SULL’ARNO

 

martedì, 29 dicembre 2009

SULL’ARNO

Andate da un’altra parte! Le mamme arrabbiate urlarono: il pallone, a forte velocità, era piombato in mezzo a loro, schizzando la sabbia dappertutto; con gesti bruschi, una scuoteva i pezzi di stoffa che sarebbero diventati un pantalone; un’altra, tomaie quasi dei sandali da donna; nonna Maria si era alzata in piedi, appoggiata la cesta mezza costruita, raccolta la palla, urlava: ve la taglio! Ve la taglio! E, gettando verso di noi la palla urlò: Andate via! Faceva molto caldo in quel mese di Aprile tant’è che le mamme e le nonne erano spollaiate, i gonnelloni e i grembiuloni arrotolati sulle ginocchia. Sembravano proprio delle galline nere a covare le uova; mentre, delle monache, per i loro fazzolettoni sulla testa. Noi, vestiti solo di mutande correvamo, tutti rossi rossi in viso, grondando di sudore da tutte le parti. Poi, stanchi di sentirci campioni alla Suarez, alla Mazzola, alla Sarti, alla Burnic, alla Facchetti, e, dopo aver ben nascosta la palla dietro un cespuglio e sotterrata nella sabbia, diventammo esploratori. Pionieri dell’Arno, armati di pistole e pugnali di legno. Antonio, orgoglioso del suo connocchiale, scrutava la riva opposta. Là, guardate, laggiù, a sinistra! Tutti a guardare in quella direzione. C’era solamente una collinetta con qualche cespuglio verde e un moncone di una specie di albero rinseccolito e ricurvo. Ma non c’è niente! Ma lui, con gli occhi ficcati dentro il cannocchiale, vedeva quello che noi non vedevamo. Laggiù qualcosa si muove, vedete quell’ombra sotto l’albero? E continuava a guardare. Andiamo a vedere! Camminare lungo la riva in fila indiana, curvi e guardinghi, scrutare ogni anfratto, ogni insenatura, aggirare la zona paludosa con il fango e le canne, arrivare in quel punto, nascondersi dietro a quella balza. Marco, con un pezzo di canna misurava il fondo, avanzava tracciando il percorso per guadare, noi restammo nascosti accovacciati, riparati dalla balza. Ecco, è giunto di là. Attenti! Dove ho ficcato la canna, l’acqua arriva sopra la vita e la corrente è forte! Uno comincia ad attraversare mentre gli altri restano nascosti. Ora, che tutti siamo passati dall’altra parte, ci raduniamo in un avvallamento della sabbia. Antonio guarda con il cannocchiale. Antonio!… Marco!… Ma dove sono andati!… Renzo!… Ma dove siete! Andiamo, ch’è tardi!… Massimo!… Piero!… Alessandro!… Carla!… Paola!… Venite!… Antonella!… Pietro!….Venite, presto… presto!… Giuseppe!… Maria!… Giuseppina!… Venite!… Enzo!… Giulia!… Claudia!… le mamme e le nonne chiamano a gran voce… Ma!… Guardate laggiù!… Hanno attraversato l’Arno!… Oh!… figliettini… Venite, presto! Mamma mia!… E’ pericoloso!… Aspettate, … Carlino! … Carlino!… Carlino!… Carlino!… Aspettate Carlino che vi viene a prendere con il barcone … Carlino!… Carlino! Carlino è quasi arrivato. Le mamme e le nonne sono già lontane sulla strada asfaltata verso casa. Noi, tutti imbarcati, avanti! I pionieri dell’Arno tornano alle loro tane.

CANTO  DECIMOQUARTO
 Chi è costui che ‘l nostro monte cerchia
prima che morte li abbia dato il volo,
e apre li occhi a sua voglia e coverchia?.
Non so chi sia, ma so ch’e’ non è solo,
domandal tu che più li t’avvicini,
e dolcemente, sì che parli, acco’lo.
Così due spirti, l’uno a l’altro chini,
ragionavan di me ivi a man dritta;
poi fer li visi, per dirmi, supini;
e disse l’uno: “ O anima che fitta
nel corpo ancora inver’ lo ciel ten vai,
per carità ne consola e ne ditta
onde vieni a chi se’; chè tu ne fai
tanto maravigliar de la tua grazia,
quanto vuol cosa che non fu più mali.
E io: “ Per mezza Toscana si spazia
un fiumicel che nasce in Falterona,
e cento miglia di corso nol sazia.
Di sovr’ esso rech’io questa persona:
dirvi ch’i’ sia, saria parlare indarno,
chè ‘l nome mio ancor molto non suona “.
“ Se ben lo ‘ntendimento tuo accarno
con lo ‘ntelletto “, allora mi rispose
quei che diceva pria, “ tu parli d’Arno “.
E l’altro disse lui: “ Perchè nascose
questi il vocabol di quella riviera,
pur com’ om fa de l’orribil cose? “.
E l’ombra che di ciò domandata era,
si sdebitò così: “ Non so; ma degno
ben è che ‘l nome di tal valle pèra;
ché dal principio suo, ov’ è sì pregno
l’alpestro monte ond’è tronco Peloro,
che ‘n pochi luoghi passa oltra quel segno,
infin là ‘ve si rende per ristoro
di quel che ‘l ciel de la marina asciuga,
ond’ hanno i fiumi ciò che va con loro,
vertù così per nimica si fuga
da tutti come biscia, o per sventura
del luogo, o per mal uso che li fruga:
ond’ hanno sì mutata lor natura
li abitator de la misera valle,
che par che Circe li avesse in pastura.
-DANTE- (Purgatorio, 42 versi dei 151)


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