APPROFONDISCI: MEDITAZIONE

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LETTO DI PROCUSTE

[Procuste era il nome di colui che catturava le persone e le faceva distendere su un letto scavato nella roccia. Chi era più corto del letto veniva allungato lavorandolo con un martello. Chi era più lungo veniva segato delle parti di corpo che sporgevano da il letto].




Palmiro Togliatti studente





(Meditazione su: “Parole oneste sulla Russia” di Palmiro Togliatti, Maggio 1919)

Se si farà, un giorno, la storia dell’opinione pubblica borghese durante la guerra [1915-18], un capitolo assai importante dovrà essere dedicato ai giudizi sulla rivoluzione russa: speranze dei primi tempi, esteriori facili ravvicinamenti ad altri grandi sconvolgimenti storici, travestimenti singolari di uomini e di cose, e poi l’inizio della disillusione, e, attraverso i giornali quotidiani (la quotidiana fabbrica delle menzogne), il formarsi della leggenda diffamatoria, che tutto vorrebbe ridurre all’operaio fanatico e incosciente di un pugno di delinquenti. Della stampa non c’è da far maraviglie; stupisce che in simile compagnia siansi talvolta trovati uomini che si era abituati a non considerare alla stregua dei soliti gazzettieri, ma come studiosi, seri e coscienti.

V’è, in fondo a ciò, una mancanza insanabile di quel senso storico che è la sola guida sicura alla valutazione di fatti tanto complessi e multilaterali, e che nel nostro caso non può andare scompagnato non solo dalla comprensione, ma dalla simpatia per ogni movimento umano, per ogni movimento in cui affiori e si affacci qualcosa dell’anima profonda dell’umanità ch’è sempre giovane, sempre vergine e nuova nell’apparente ripetersi dei fatti.

Il fare la storia è assai facil cosa: ci sono i tipi pronti, gli schermi fatti, i modelli prestabiliti. Si tratta di una rivoluzione? Non c’è che da tirar fuori l’armamentario dell’89 e del ‘93: ecco la Gironda e i Giacobini, il Terrore e la Vandea, Robespierre e Carlotta Corday, e l’animo delle folle e la psicologia dei tribuni: tutti i concetti astratti e pseudostorici, letto di Procuste in cui si fa entrare qualunque realtà (e se non centra, peggio per lei), fantocci senz’anima che ritornano come sulle scene di un teatro di burattini.

La verità è che la Rivoluzione russa è movimento originale e della Russia e dei tempi nostri, ha una pratica e una sua ideologia, che non possono essere quelle di nessun precedente moto borghese, e conforme a questa pratica e a questa ideologia esprime dal suo seno gli uomini che la guidano, forma gli istituti in cui realizza i propri ideali. Bisogna rendersi ragione nelle sue origini teoriche e nel suo valore pratico di questa grande corrente che è il movimento operaio rivoluzionario degli ultimi decenni e vedere com’esso venga a confluire con i bisogni e con le aspirazioni d’un popolo come il russo. Occorre poi collocarsi nel movimento storico della guerra europea, provocatrice e acceleratrice del dissolvimento del regime imperiale e burocratico, ma soprattutto bisogna saper vedere, negli sconvolgimenti apparentemente caotici di oggi, la profonda aspirazione, comune ormai a tutte le masse proletarie dell’età nostra, a prendere esse in mano le sorti loro e del mondo, a dare a questo stanco mondo un poco della loro fresca giovinezza.

Ci vuol altro che gli schemi dei nostri bravi professori, ci vuol altro che le ipocrite considerazioni morali dei nostri democratici sui pericoli della demagogia e dell’anarchia!

Un poco di buon senso pare però che incominci a ritornare, almeno in alcuno dei più seri uomini di studio. Ecco, ad esempio, nel numero di marzo della “Rivista Italia”, una succinta rassegna storica in cui Pietro Silva, ch’è tra i più stimati cultori di studi storici, prende occasione dell’esame di alcune pubblicazioni per dire chiaramente che al momento attuale non si hanno elementi sufficienti per dare un equo giudizio sui fatti di Russia, e per chiedere “qualcosa di più delle solite diatribe sul bolscevismo e delle cento volte ripetute leggende”. Non può certamente considerarsi opera di storia il libro del Bienstock sul Rasputin (Treves 1918), notevole per il quadro di costumi dell’alta società russa, quantunque le tinte siano esagerate e gli episodi spesso deformati, “onde si cade in una cronaca scandalosa di aneddoti e di mal costume e di corruzione”, cronaca assolutamente sproporzionata alla grandiosità degli eventi che si vorrebbero far risalire a sì piccola e torbida fonte.

Anche peggiore il libro del Perwoukine (I Bolscevichi, Zanichelli) perché non esce dai luoghi comuni della polemica antibolscevica, la quale del resto dimostra da sé stessa la propria miseria e scempia vacuità, perché chiunque abbia una piccola dose di senso critico non può fare a meno di chiedersi in qual modo degli uomini che ci vengono dipinti come pazzi, degenerati e venduti, abbiano potuto giungere a dominare la storia di tutto il loro paese.

Migliori elementi si contengono nello studio del Caburi (La Germania alla conquista della Russia – Zanichelli 1918) specie per quel che riguarda l’analisi dei fattori di disgregamento preesistenti nella macchina dell’antico regime, e con la scorta di esso il Silva è condotto a riconoscere che lo sfacelo militare fu la conseguenza dell’opera della classe dirigente zarista. I bolscevichi si industriarono a sabotare egualmente la guerra dell’Intesa e quella degli Imperi centrali, fermi a un loro punto di vista dal quale condannavano ambe le parti. E il contegno di Trotzki e dei delegati russi a Brest-Litovski, apertamente ispirato al disprezzo di tutta la solennità procedurale della diplomazia tedesca, e volta a smascherare la brutalità delle sue brame annessionistiche, “è argomento di prim’ordine per combattere il luogo comune che i capi bolscevichi sono stati tutti agenti pagati dalla Germania, e la loro opera diretta a rovinare la patria per fare il gioco degli Imperi centrali”, tesi che vizia e toglie valore al libro del Caburi.

A fornire dati concreti per un’equanime giudizio meglio contribuisce una raccolta di studi sulla Russia pubblicata dalla “Voce dei popoli”, rivista diretta da U.Zanotti-Bianco. Avremo occasione di ritornare su questo volume, e sulla soluzione dei problemi nazionali dell’Oriente europeo che in esso viene prospettata e auspicata, e che si ispira a concetti mazziniani. Dall’attuale periodo di sconvolgimento dovrebbe uscire una organizzazione plurinazionale, una unione di stati a base nazionale, in un organismo federativo. La simpatia ideale per un programma non faccia però dimenticare che l’ingresso nella storia, con un suo scopo di ricostruzione economica, della classe operaia, non può non spostare i termini anche delle questioni nazionali. Il proletariato ha trovato la via della reale unificazione, e l’ha trovata in un programma e in una azione “sua”.

Oggigiorno, concludiamo con parole del Silva, al bolscevismo è pazzesco negare una base solida nel popolo russo, e quindi una giustificazione storica”.

-Renzo Mazzetti- (Giovedì 18 Aprile 2024 h.17,59)


LA RINASCENZA

(Meditazione su: “Arte e lavoro” di P. H. “L’Ordine Nuovo” Agosto 1920)


Da che mondo è mondo, quanti uomini hanno visto che ciò che vi è di più bello è il lavoro?
L’arte è stata per dei secoli ferma davanti alla donna, al guerriero, alla stella.
Si è essa fermata davanti all’operaio?
Gli uomini intrepidi nei mestieri del fuoco offrono forse uno spettacolo meno eroico del cozzo degli amanti?
L’immagine dei donatori in ginocchio ci dice che cosa fu la fede: quale immagine ci rimane dell’uomo che amava il suo mestiere, del trasfigurato assorto nel suo lavoro?
Ogni giorno, per le mani dell’operaio, la salvezza del mondo si celebra; a lui l’arte dovrà la sua vita nuova.
Gli spettacoli dell’amore e della preghiera, non hanno più, per l’artista, capacità d’ispirazione: ma chi ha adorato la dolorosa bellezza dei mestieri?
Dopo tante immagini stanche, ecco la Rinascenza: l’alto forno spalanca la gola onde un vomito di fuoco esce contro gli uomini senza paura, il comignolo soffia verso il cielo il suo grande riso di scintille, che gli uccelli sorvolano.
Appare, tra i bianchi vapori, la filatrice di lino: discinta, nell’umido incubo del suo telaio fumoso, essa ha il viso livido incoronato dalle nebbie moventi.
Coloro che non vogliono riconoscere nel socialismo la più elevata delle mistiche: la mistica dell’idea di giustizia e che oppongono ad esso il rispetto della rendita, insistono trionfalmente su questa affermazione: “Il socialismo porterà il mondo alla bruttezza: esso farà morire l’arte”.
Bisogna pregare costoro di badar bene a che cosa si aggrapparono.
Qual è l’arte loro?
I romanzi dove si impiegano trecento pagine per venir a sapere se la viscontessa si diverte col barone, o col marchese, o con tutti e due.
La produzione teatrale dove una donna maritata va per quattro atti in cerca di giustificazioni della sua voglia di adulterio.
Questo mondo non è capace più di invenzione.
Quanta meditazione occorre, davanti all’arte contemporanea, per vedere che anche ad essa la rivoluzione [socialista e comunista] darebbe salute?
L’anima sua spossata ricerca senilmente i sollazzi pornografici: amiamo dunque l’ondata di salute che ne condurrà a termine la distruzione.
Ciò che è degno di morte deve morire.
Il mondo ha bisogno di rinascere.
I poeti delle razze agricole hanno baciato la terra, quelli dei popoli guerrieri hanno esaltato il delitto; gli scrittori della nostra razza industriale ammorbidiscono tra i vellicamenti erotici.
La condizione del lavoro rende inevitabile il contrasto continuo tra il mestiere e il divertimento: a quanti uomini la giornata più corta permetterà il meditare? E quale arte uscirà da questa meditazione del popolo?
La folla che foggia la realtà porta sopra di sé gli artisti consumatori d’inchiostro che vivono, segregati, tra lo studio gremito di libri e il salotto affollato di signore, ma il muratore ch’è morto nel costruire la casa dov’essi si chiudono ha vissuto un dramma quale essi non narreranno mai.
Quale garanzia è nella coscienza del proprio mestiere?
Nessuno ancora ha fatto regnare su di noi questa bellezza, perché coloro che la celebrano sono votati al silenzio.
Smettendo di riprodurre i gesti degli oziosi e di inventare la psicologia delle donne che vivono di rendita, l’arte ritornerà ai tempi in cui essa era la sublimazione del lavoro, del lavoro della terra e del lavoro di guerra.
Il dramma dell’officina si colloca sopra uno stesso piano con l’Iliade.
Gli uomini che oggi tengono nelle mani loro la realtà, che sopportano il colpo del sasso che cade e dell’ordigno che scoppia, sono dei poeti che hanno la bocca chiusa. Una tragica armonia è nella sofferenza loro sconosciuta.
La penna loro precede la luce. Essi vengono nell’ora commossa in cui il giorno sta per spuntare.
Il rumore dei passi sale nell’officina, alle trasmissioni immobili. Il gesto familiare del macchinista tasta le viti serrate all’ultimo filo. E’ l’ora. Il lento partire della biella distende l’olio biondo sui cuscinetti lucenti. Il volante spiega i suoi cavi sopra i raggi che accelerano il moto: grandi braccia lanciate alla ricerca di un ideale irraggiungibile. I telai si muovono. E lo strepito del laboratorio sembra, nel mattino candido, il ronzio di un insetto dalle ali nere. Chi dirà il Paradiso perduto di questa umanità?
Ma vedete la buona squadra al lavoro: sei carpentieri ribattono le chiavarde di un’altra trave di ferro. Sotto di essi l’abisso che freme di voli. Le dodici braccia obbediscono a un’anima sola, l’anima del mestiere; chi vien meno ad essa cade e fa cadere gli altri. Contro il pericolo sono armati di coscienza. I gesti ricurvi ritmati l’uno sull’altro, si fondano in un gesto solo. Nulla è bello al pari del bel lavoro. Ma se cadono essi non sanno che la caduta loro leva nello spazio un canto muto, grande come i canti di Omero.
Nella resistenza alla vertigine, davanti alle malie del fuoco dove sudano i volti duri degli affaticati i cui corpi perduti morde l’agile fiamma, qui sono gli uomini che portano la pena nel mondo.
Nello spirito loro vive la religione millenaria di cui ancora non è giunto il messia: la GIUSTIZIA.
Sperarla è il loro sogno, attuarla è la loro passione. Per essa sono capaci di amare la morte. Quale più potente spirito può dare all’arte l’ispirazione sua?

-Renzo Mazzetti- (Sabato 13 Aprile 2024 h.15,26)


IL VINCENTE ERCOLI (TOGLIATTI)

(Meditazione su: Istruzioni del PCI nel 1944 a tutti i compagni e a tutte le formazioni di partito)

1° - Linea generale del partito nel momento presente: insurrezione generale del popolo, in tutte le regioni occupate, per la liberazione del paese e per lo schiacciamento degli invasori tedeschi e dei traditori fascisti.

2° - Il partito realizza questa linea sulla base della unità di tutte le forze popolari, antifasciste e nazionali. Con la convinzione e con l’esempio esso trascina e dirige alla insurrezione tutte quelle forze, oggi organizzate nei Comitati di liberazione. L’insurrezione che noi vogliamo deve essere non di un partito o di una parte sola del fronte antifascista, ma di tutto il popolo, di tutta la nazione. I Comitati di liberazione devono essere organi di direzione politica del movimento. La stretta alleanza coi socialisti, il contatto stretto coi democratici di sinistra, con le masse cattoliche, con ufficiali e soldati patriottici devono permettere ai comunisti di adempiere le loro funzioni di forza d’avanguardia nella preparazione della lotta e nella direzione di essa. Noi vogliamo l’unità di tutto l’antifascismo e di tutta la nazione nella lotta contro l’invasore tedesco e contro i traditori fascisti perché vediamo in questa unità la garanzia della nostra vittoria.

3° - Ricordarsi sempre che l’insurrezione che noi vogliamo non ha lo scopo di imporre trasformazioni sociali e politiche in senso socialista e comunista, ma ha come scopo la liberazione nazionale e la distruzione del fascismo. Tutti gli altri problemi verranno risolti dal popolo, domani, una volta liberata tutta l’Italia, attraverso una libera consultazione popolare e l’elezione di un’Assemblea costituente.

4° - In conformità con questa linea generale dovete risolvere i problemi di organizzazione del fronte armato del popolo e della insurrezione. E’ giusto che i comunisti prendano nell’organizzazione armata dei partigiani un posto d’avanguardia, ma questa organizzazione armata deve essere unitaria. Noi lottiamo quindi perché tutti i gruppi armati esistenti, qualunque sia il loro carattere, purché siano sul terreno della guerra del popolo contro l’invasore tedesco e contro i traditori, si uniscano in una organizzazione armata unica, con un Comando militare unico, che spetta ai più energici e decisi antifascisti e ai più capaci militarmente. Questo Comando, a sua volta deve avere collegamento con i Comitati di liberazione a cui spetta la direzione politica del movimento.

5° - Si impone la fusione di piccoli gruppi di partigiani isolati in unità militari più grandi, capaci di svolgere operazioni militari sempre più vaste, che arrivino sino alle occupazioni di città e di regioni intiere, in relazione con lo sviluppo dell’azione di massa in queste località (scioperi, ecc.). Risolvete al più presto questo problema nella zona che vi riguarda e passate queste direttive – già date da me apertamente per radio – a tutte le altre zone.

6° - Per il successo si azioni militari più vaste e dell’insurrezione stessa, è indispensabile che facciate entrare in azione le masse, con azioni preparate e organizzate nelle forme opportune (manifestazioni di strada, sciopero generale, ecc.). Non è ammissibile che esista una situazione in cui solo gruppi sono attivi e grandi masse aspettano senza intervenire nella lotta. Ponete termine al più presto a questa situazione e combinate assieme i colpi di piccoli gruppi e le azioni militari più vaste con movimenti e azioni di grande massa, allo scopo di arrivare alla insurrezione generale.

7° - Riuscendo a prendere nelle mani una città o una zona, costituire in esse organi di potere popolare, cioè non di partito, ma basati sulla unità di tutte le forze antifasciste unite nei Comitati di liberazione, e condurre attraverso questi organi di potere popolare un’azione decisa, ma di carattere nazionale e antifascista (distruzione del fascismo e dei fascisti, continuare con tutte le forze la lotta contro i tedeschi; sovvenire ai bisogni del popolo su una base democratica, ecc.). Mantenere sempre l’unità, la disciplina e la solidarietà col governo nazionale rappresentante di tutti i partiti. Collaborazione stretta e continua con gli Alleati.

8° - Fate sapere regolarmente al centro quali sono gli aiuti di cui avete bisogno, e farlo sempre in forma concreta, con la più grande precisione. Esigere da tutte le formazioni armate che gli aiuti inviati dal governo siano a favore di tutto il movimento e non di gruppi singoli di partito. Seguire anche in questo campo la linea nostra di unità nazionale ed esigere che venga seguita da tutti.

PER LA DIREZIONE DEL PARTITO
COMUNISTA ITALIANO
ERCOLI
Napoli, 6 giugno 1944

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-Renzo Mazzetti- (Domenica 7 Aprile 2024 h.08,40)



IRRECONCILIABILI

(Meditazione su: Il regime capitalista è incapace di assicurare la pace di Carlo Rappoport, “L’Ordine Nuovo”, 16 Agosto 1919)

Il regime capitalista è incapace di assicurare la pace tra i popoli. La guerra mondiale, che ci aveva promesso la pace perpetua, ha prodotto l’effetto contrario. Essa ha creato ovunque un’atmosfera di guerra e di conflitti. Essa ha fatto nascere tutta una serie di giovani stati avidi di conquiste e di ingrandimento. Essa ha diviso il mondo in due campi irreconciliabili: i vincitori e i vinti. Essa tende a perpetuare gli odi e le rivalità. Il regime capitalista, dopo aver provocato un massacro senza precedenti, minaccia, incessantemente, di generarne nuovi e più atroci. Ci lascia intravedere guerre chimiche che avveleneranno intiere regioni, guerre aeree sterminatrici delle popolazioni non combattenti: vecchi, donne, bambini. L’umanità deve scegliere tra il massacro sistematico e la trasformazione fondamentale della società assurda e criminale che può solo sussistere come incubo di barbarie e di rovina universale.

-Renzo Mazzetti- (Martedì 26 Marzo 2024 h.08,16)

GIULIA RECAMIER

(Meditazione su: alcuni scritti di Massimo Gorki)

[E’ bene si tenga presente che i seguenti scritti sono del Dicembre 1917, cioè prima del periodo della collaborazione di Massimo Gorki con i bolscevichi.]

LE DONNE E LA RIVOLUZIONE”

Le lettere più interessanti che io ricevo sono lettere di donne. Queste lettere, turbate dalle impressioni del tempestoso presente, sono piene di angoscia, di risentimento e di sdegno, ma esse non sono fredde come quelle degli uomini: in ogni lettera di donna echeggia il grido di un’anima vivente, oppressa dalle indicibili miserie dei tempi in cui viviamo.

Esse danno l’impressione di essere state scritte da una sola donna, dalla Madre della Vita, da colei che ha dato al mondo tutte le razze e tutti i popoli, da colei che ha portato e porterà nel suo seno tutti i geni, da colei che ha guidato l’uomo a convertire il rozzo istinto animale nella dolce estasi di amore.

Queste lettere sono il grido dell’essere che nella vita ha portato la poesia, che ha ispirato l’arte, e che continuamente è assillato dall’aspirazione inestinguibile alla bellezza, alla vita e alla gioia.

Le lettere di cui io parlo sono piene del lamento delle madri per la corruzione dell’umanità, che sta diventando crudele, selvaggia, volgare e disonesta, mentre la morale ridiventa rozza. Queste lettere sono piene di imprecazioni contro i bolscevichi, i contadini e gli operai, e invocano su di essi tutti gli orrori, tutte le punizioni, tutte le torture.

Impiccateli tutti, fucilateli tutti, distruggeteli tutti!” chiedono le donne che furono madri e nutrici di tutti gli eroi e di tutti i santi, di tutti i geni e di tutti i criminali, di tutti i furfanti e di tutti gli uomini onesti: madri di Cristo e di Giuda, del gentile e affettuoso Francesco d’Assisi, e del triste nemico di ogni gioia, Savonarola, madri di Filippo II che nella sua vita rise una volta sola, quando ebbe la notizia del massacro della notte di S. Bartolomeo, il più grande delitto di Caterina dei Medici, la quale era pure donna e una madre.

Per odio contro la morte, la distruzione e le atrocità, la madre, l’oggetto della più grande riverenza da parte dell’uomo, colei che lo guida a cose alte e belle, essa, la sorgente della Vita e della Poesia, grida: “Uccidete! Impiccate! Fucilate!”.

Noi ci troviamo di fronte a una paurosa e oscura contraddizione, che può ben distruggere l’aureola di cui la Storia ha circondato la donna. Come possono le donne non intendere appieno la loro grande funzione di civiltà, non sentire la loro potenza di creazione, e abbandonarsi ciecamente alla disperazione suscitata nelle loro anime materne dal caos dei giorni rivoluzionari?

Non voglio addentrarmi nella questione: farò solo le osservazioni che seguono.

Voi donne sapete che la nascita è sempre accompagnata da doglie laboriose, che il nuovo essere nasce nel sangue; così vuole la sottile ironia della cieca natura. Nel momento della liberazione voi gridate come esseri animali, ma quando stringete al petto il piccolo neonato voi sorridete col beato sorriso della Madonna.

Io non vi voglio rimproverare le grida animali, so ch’esse sono prodotte da un insopportabile tormento, e anch’io, quantunque non sia una donna, quasi vengo meno alla vista di questi tormenti.

Ma io spero con tutta l’anima che presto, sorridendo il sorriso della Madonna, voi stringerete ai vostri cuori il neonato figlio della Russia.

Si deve ricordare che la rivoluzione non solo porta con sé crudeltà e delitti, ma provoca pure numerosi atti di eroica bravura, di generosità, di altruismo, di disinteresse. Perché voi non vedete anche questi? Forse perché l’odio e l’ostilità vi accecano?

I quarant’anni di guerra civile del secolo decimottavo produssero nella Francia una brutalità disgustosa, una crudeltà arrogante, ma pensate qual benefica influenza esercitò una Giulia Recamier! E numerosi sono nella storia gli esempi di influenze esercitate da donne sullo sviluppo delle idee e dei sentimenti umani. E’ giusto che voi madri siate eccessive nel vostro amore per l’umanità, ma siate pure misurate nell’odio!

I bolscevichi? Sì, io credo proprio che essi sono esseri umani come noi, nati di madri, e non vi è in essi nulla di più animalesco che in noi. I migliori di essi sono personalità notevoli, di cui andrà fiera la futura storia della Russia, e i nostri figli e nipoti ammireranno la loro energia. I loro atti possono essere violentemente criticati, e anche ironicamente scherniti, e scherni e critiche sono toccati ai bolscevichi in misura anche maggiore di quanto essi abbiano meritato. I loro avversari li circondano da una opprimente atmosfera di odio, e, ciò che è forse più pericoloso, essi sono circondati dall’amicizia servile e ipocrita di coloro che si aggirano come cani intorno ai potenti, per servirsene come di lupi, - ma costoro, noi abbiamo speranza, al pari di cani saran fatti morire.

Difendo io i bolscevichi? No, io sto lavorando contro di essi – ma io difendo gli uomini di cui conosco le sincere convinzioni, di cui conosco l’onestà personale, così come conosco la sincerità della loro devozione al bene del popolo. Io so ch’essi stanno facendo sul vivo corpo della Russia il più crudele esperimento scientifico. Io so come si odia, ma io preferisco essere giusto. Oh sì! Essi hanno compiuto molti errori assai gravi e seri – anche Dio sbagliò quando ci fece più stupidi del necessario – e la Natura si è pur sbagliata in tante cose – ma li giudicheremo noi dal punto di vista dei nostri desideri, che possono essere opposti ai loro desideri, alle loro imperfezioni? Senza sapere quali saranno i risultati politici della loro attività, io sostengo che da un punto di vista psicologico i bolscevichi hanno già reso alla Russia un grande servizio, suscitando nelle masse un interesse per gli eventi attuali, perché senza questo interesse il nostro paese sarebbe stato distrutto.

Ormai esso non sarà più distrutto, perché il popolo dalla sua apatia è sorto a nuova vita, e nuove forze sono maturate in esso; queste nuove forze non temono né la pazzia degli innovatori politici né l’avidità dei predoni stranieri, che sono così certi della loro invincibilità. La Russia si dibatte in modo convulso tra le doglie terribili e penose della liberazione, - non desiderate anche voi che il più presto possibile possa venire alla luce una Russia nuova, bella, buona e umana?

Lasciate che io vi dica, o madri, che la rabbia e l’odio sono cattive levatrici.

CHI HA PROFANATO IL MONDO?”

Tre anni di crudele insensato macello, tre anni durante i quali è stato versato il miglior sangue della terra, sono state distrutte le menti migliori delle razze colte d’Europa.

La Francia, “la guida dell’umanità” è dissanguata fino alla morte; l’Italia “il più bel dono che gli dei hanno fatto a questa terra oscura” è sull’orlo della distruzione; l’Inghilterra che “con tranquillo orgoglio rivelava al mondo i miracoli del lavoro” si irrigidisce in un ultimo sforzo disperato, “il popolo industrioso della Germania” è soffocato dagli artigli d’acciaio della guerra.

Il Belgio, la Rumenia, la Serbia e la Polonia sono in rovina; la Russia debole e sognatrice, il paese che non ha mai vissuto, che non ha mai avuto occasione di mostrare al mondo la sua forza segreta, è economicamente e spiritualmente spezzata.

Per diciannove secoli l’Europa ha predicato umanità, nelle chiese che sta ora distruggendo con le sue bombe, in libri che oggi i suoi soldati usano come materiale incendiario. E nel ventesimo secolo l’umanesimo è dimenticato e schernito. Quel che la disinteressata opera della scienza aveva creato, è stato saccheggiato da svergognati predoni e utilizzato per la distruzione dell’umanità.

Che sono tutte le guerre di trenta e di cento anni, del passato, di fronte a questi tre fantastici anni di macello? Dove possiamo noi trovare una giustificazione per questo delitto senza esempi contro la civiltà del nostro pianeta?

In nessun modo si può giustificare questa orrenda auto-distruzione. Per quanto gli ipocriti parlino dei “grandi” fini della guerra, le loro menzogne non possono velare la verità vergognosa: che questa guerra è figlia dell’avarizia, la sola dea riconosciuta e adorata da questi assassini che trafficano con la vita dell’umanità.

In ogni nazione questi furfanti stanno diffamando coloro che credono nella vittoria finale di un ideale di universal fratellanza e li chiamano pazzi, uomini pericolosi e privi di cuore, sognatori che non sanno l’amore di patria.

Essi dimenticano che Cristo, Giovanni di Damasco, Francesco d’Assisi, Leone Tolstoi, e tutti gli altri semidei e superuomini che formano il pregio e l’onore dell’umanità furono sognatori a questo modo. Ma coloro che sono pronti a distruggere milioni di vite per pochi chilometri di suolo straniero, costoro non hanno né dio né diavolo. Per essi le vite dei loro compagni hanno minor valore di un sasso, e il loro amor di patria non è nulla più di un abito mentale acquisito. Essi vogliono continuare a vivere come ne han fatto l’abitudine, a costo di causare lo sfacelo del mondo intiero.

Da tre anni essi stanno vivendo immersi fino al collo nel sangue di milioni d’uomini, che si sparge perché essi lo vogliono.

Ma quando infine l’energia delle messe sarà distrutta, quando alfine risorgerà in esse la volontà di vivere una più pura, una più umana vita, e questa volontà porrà fine a questo delirio sanguinoso, allora i colpevoli della distruzione grideranno:

La colpa non è nostra! La devastazione del mondo, la rovina e il saccheggio dell’Europa non sono state causate da noi!”.

Ma quando arriverà quel giorno, noi speriamo che la ”voce del popolo” sarà “voce di Dio” e suonerà più forte delle menzogne più sfacciate.

Fate che uniscano le loro forze tutti quelli che credono nel trionfo sulle vergogne e sulla pazzia.

Perché dopo tutto la ragione dovrà sempre essere vittoriosa.

UOMINI NUOVI”

Che ci porterà l’anno nuovo? Tutto ciò che noi sapremo chiedergli.

Per diventare uomini e donne capaci noi dobbiamo credere che questi giorni di furore, macchiati di sangue e di fango, sono i grandi giorni in cui nasce una nuova Russia.

Proprio in questi giorni, in cui gli uomini pieni della predica dell’eguaglianza e della fratellanza derubano sulla via pubblica il prossimo traendogli fino la camicia; in cui la lotta contro l’idolo della proprietà non impedisce di martirizzare e di uccidere con bestiale brutalità i più piccoli contravventori della legge della inviolabilità della proprietà; in cui i “liberi cittadini” fanno ogni sorte di dubbi commerci e si sfruttano vicendevolmente nel modo più brutale e vergognoso, in questi giorni delle più enormi contraddizioni nasce la nuova Russia.

E’ una creazione piena di dolore, che si opera tra lo strepitoso rovinare di vecchie forme di vita, sotto le rovine disfatte delle cupe caverne in cui per trecento anni il popolo ha lottato per un po’ di aria, in cui esso si è nutrito di odio e di infelicità; in mezzo all’erompere di tutta la degradazione e la viltà accumulate su di noi dal pesante giogo dell’autocrazia, in mezzo all’eruzione di un vero vulcano di bruttura, sta spegnendosi il vecchio popolo russo, l’ozioso sognatore soddisfatto di sé. E gli subentra l’operaio pieno di salute e di baldanza, artefice d’una nuova vita.

Il nuovo russo non è attraente, è meno attraente di quanto mai non sia stato. Sempre temendo che la sua vittoria possa non essere stabile e definitiva, ancora incapace di goder pienamente i frutti della sua liberazione, egli si ricopre d’una armatura di odi meschini per acquistare sempre maggiore la certezza dell’incredibile verità: ch’egli è realmente libero. Per acquistare questa certezza qual caro prezzo viene egli pagando, qual caro prezzo vengono pagando gli oggetti dei suoi esperimenti!

Ma la vita, questa maestra severa e spietata, presto lo legherà ancora una volta con la catena della necessità, e lo costringerà a lavorare, e nel lavoro comune egli dimenticherà tutti gli istinti piccini, servili, vergognosi che ancora lo signoreggiano.

Uomini e donne nuovi saranno creati da condizioni nuove: le nuove condizioni creano nuovi uomini e nuove donne.

Dalle pene di questi giorni sorgeranno questi uomini nuovi, ignari delle miserie della schiavitù, non più sfigurati dall’oppressione, e la libertà stessa di cui godranno li renderà incapaci di opprimere i loro compagni.

Andiamo incontro all’anno nuovo con la fiducia che gli uomini impareranno ad amare il lavoro e a comprendere il suo significato. Il lavoro fatto con amore non è servitù, ma creazione.

Quando alfine l’uomo avrà imparato ad amare il lavoro ch’egli farà per sé, allora il mondo e tutte le sue glorie saranno suoi.

-Renzo Mazzetti- (Venerdì 8 Marzo 2024 h.16,26)


WILLY PERK

(Meditazione su: Lotta per la libertà)

Ho lottato con decisione contro il fascismo, che sorgeva in Germania, con la penna in qualità di redattore della stampa dei lavoratori durante il periodo della Repubblica di Weimar e con la parola nelle assemblee. Ho smascherato i signori Krupp, Thyssen, Kirdorf e altri magnati dell’industria tedesca, che mentre diminuivano i salari dei lavoratori e operavano massicci licenziamenti, finanziavano contemporaneamente la banda Hitleriana. Ho appartenuto anche all’Unione di lotta contro il fascismo e ho aiutato con fermezza nel difendere le assemblee operaie e le organizzazioni operaie dagli attacchi dei fascisti. Durante queste azioni di difesa sono rimasto seriamente ferito in uno scontro con fascisti armati. Dopo il 30 Gennaio 1933 il giorno della presa del potere da parte dei nazisti, ho dovuto immediatamente passare alla illegalità, dato che le squadre della morte fasciste mi davano la caccia. Ho continuato la lotta nell’illegalità fino al mio arresto da parte della Gestapo nel 1934. Nel quartiere generale della Gestapo, situato nella Prinz-Albrecht-Strasse, una delle più famigerate prigioni dei fascisti, sono stato sottoposto a torture e più tardi condannato a otto anni di reclusione. Dopo avere scontato la pena, venni immediatamente rinchiuso nel campo di concentramento di Sachsenhausen e liberato nel 1945 dall’armata sovietica quando già i fascisti avevano dato avvio alle marce della morte con l’intenzione di liquidare i detenuti superstiti. Complessivamente dovetti scontare 10 anni e mezzo di detenzione continua sotto i nazisti.

-Renzo Mazzetti- (Mercoledì 7 Febbraio 2024 h.14,06)


OFFERTA LETTURA FINE ANNO

(Meditazione su: Offerta letture di fine anno di Bicefalo)

L’ultima settimana dell’anno era vissuta con particolare allegra meditazione. Per non terrorizzare gli animali con l’esplosione dell’iride, scoccava silenziosa la rinnovata pace per il fraterno accogliente nuovo anno. Per tenere ben svegli i cervelli e nutrire i cuori degli umani sopravvissuti, si usava riunirsi nella caverna più grande. Leggere a turno con voce alta i ricordi di racconti con poesia scelti dai giovani saggi era l’augurio universale per tramandare la vita veramente vissuta.

-Renzo Mazzetti- (Martedì 26 Dicembre 2023 h.19,39)


GIOVANI VECCHI GIOVANI

Vecchi saggi?
Ma quando!
Vecchi presidenti odierni:
Egoisti
Reazionari
Sfruttatori
Guerrafondai
Assassini di viventi
Vecchi diventati inumani
Distruttori di mondi.
Vecchi saggi moderni?
Mai!
Mai ma perché?
I vecchi saggi vanno pensionati
Pensionati e tenuti disoccupati.
Tutti i posti ai giovani e vecchi ribelli
Tutti i posti ai giovani e vecchi lavativi.

-Renzo Mazzetti- (Martedì 26 Dicembre 2023)

categoria: fantascienza, filosofia, ironia, poesia, dimenticanze tra le righe.

LETTURA A VOCE ALTA :

LICEO CLASSICO GIOVEDI' 5 OTTOBRE 2017 h.07,59

Classico è lo studio di prima categoria e di valore, è un libro e un autore di primo ordine tenuti per modello. Gli studi classici hanno per oggetto la civiltà e la cultura classica studiate nel Liceo Classico in cui prevale l'insegnamento delle materie umanistiche. Il romanticismo ha sollecitato e accompagnato il Risorgimento (prima Resistenza) e la Resistenza (secondo Rinascimento). Non propagandare e promuovere, ma addirittura sabotare gli studi classici, fu considerato un crimine dell'era finanziaria perpetrato contro l'umanità, contro l'intelligenza, contro l'istruzione, contro il benessere nel presente e nel futuro, contro le speranze d'avvenire delle giovani generazioni.

(Ricordo da un racconto di Ariella)

IL FUTURO DEI GIOVANI

Il futuro dei giovani

si realizza nella qualità

del loro presente.

(29 Dicembre 2012)

ISTRUZIONE

Semplificare l'insegnamento

nella scuola pubblica

significa moltiplicare l'ignoranza complessa.

-Renzo Mazzetti- (Settembre 2010)

SCIENTIFICO = DOMENICA 29 APRILE 2018 h.06,28.

Nessuno dei filosofi greci o scolastici aveva pensato alla possibilità di un miglioramento radicale delle condizioni della vita umana, e la filosofia era stata troppo spesso una scuola di rassegnazione. L'equivoco intorno ai termini scienza e scientifico è nato dal fatto che essi hanno assunto il loro significato da un gruppo determinato di scienze, e precisamente dalle scienze naturali e fisiche. Si chiamò scientifico ogni metodo che fosse simile al metodo di ricerca e di esame delle scienze naturali, divenute le scienze per eccellenza. Non esistono scienze per eccellenza, e non esiste un metodo per eccellenza. Ogni ricerca scientifica si crea un metodo adeguato, una propria logica, la cui generalità o universalità consiste solo nell'essere conforme al fine. Scientifico significa perciò razionale, e più precisamente razionalmente conforme al fine da raggiungere. Umanesimo della scienza e sapere, portano i loro frutti nella pratica.

(Ricordo da un racconto di Tirella)

VIA DELLA CHIACCHIERA

Umiliati e offesi

Traditi e corrotti

Incapaci e vigliacchi

Istruiti e ignoranti

Ricchi e poveri

Benestanti e disperati

Onorevoli e giornalisti

Giudici e delinquenti

Democrazia e metafora

Vita e vivere.

Parallele infinite?

-Renzo Mazzetti- (28 Aprile 2018)

CINISMO IRATO = LUNEDI' 18 APRILE 2022 h.10,59.

Con il crollo del muro di Berlino, il comunismo fino a quei tempi non realizzato dall'Union of Soviet Socialist Republics (USSR), si mise apertamente sulla via del Capitalismo realizzato. Naturalmente il più forte sfruttava il più debole. Con il sistema mercato concorrenza, la povertà era il nutrimento della ricchezza. I nullatenenti si illudevano che avrebbero avuto. Libertà e democrazia irrealizzate dalla non partecipazione popolare. Le repubbliche monarchiche avevano prodotto nuovi zar. I capi nazione si costruivano l'impero con roboanti parole e criminali esplosioni. Tutti erano arrabbiati contro tutti. La moda inventava reciproca repulsione. Ogni pretesto per qualsiasi conflitto. Il nemico di turno era per un pezzo di terra, per la nazionalità, per la religione, per la lingua, per il colore della pelle, per la cultura. Tutti vivevano e morivano male, tutti distruggevano tutto. Gli unici che ci guadagnavano erano i mercanti di armi. “Mettete dei fiori nei vostri cannoni”. In Portogallo lo fecero nel 1974 e, con la rivoluzione dei garofani, risorsero in pace. Dall'Ucraina a Israele le armi continuavano a colpire e anche la Pasqua fu morte. Le armi erano sofferenza, distruzione, morte. Riconvertire il commercio delle armi con quello dei fiori, vitale per i vivi e speranza di risorgere per i defunti.

(Ricordo da un racconto di Tommy detto Tom)

RIAVVIA CAPITALE FALLITO RIAVVIA

A memoria del vero e del critico ricordo

Le crisi finanziarie economiche umanitarie

Sono sempre state il fine realizzato obiettivo

Costo ricavo bassezze utile misero profitto

Dispotico potere oro azioni divise listini

Concorrenza sistema mercato privatizzazioni

Rozzi strumenti mali torture raffinati inganni

Umanoidi freddi mangiacervelli soldi mangiasoldi

Moltiplicazione di armi conflitti bassi interessi

Mercati merci armi droghe guerre distruzioni

Cittadini da sovrani a carne sciocca persa diffusa

Vagante disperata ingrossa odio cieco straripa

Affoga patria natura offende sfrutta esseri

Popoli illusi schiavizzati consumatori infelici

Umani suicidati umanoidi freddi mangiacervelli

Umanoidi freddi mangiacervelli soldi mangiasoldi

Conoscenza coscienza cuore spirito sapere persi

Idee da troppo tempo volteggiano nel vuoto

Crani disastrati senza cervello corpi gommosi

Galleggiano sulla perduta speranza di vivere

Umanoidi freddi mangiacervelli soldi mangiasoldi

Capitale ostinato riavvia capitale fallito riavvia

Inumano indefinito incontrollato spadroneggia

Capitale ostinato riavvia capitale fallito riavvia

Capitale ostinato riavvia capitale fallito riavvia.

-Renzo Mazzetti- (12 Gennaio 2019)

FOBIA CINISMO = SAGGINALE, LUNEDI' 30 MAGGIO 2022 h.11,33.

Il sistema dominante: mercato concorrenza, è la massima espressione della legge della foresta e cioè: l'umano imbarbarito in preda alle pulsioni della forza che opprime il più debole. Il lavoro del braccio e della mente scomparso, affossato dal primato del traffico finanziario. La degenerazione del capitalismo, ovvero: occidente avanzato civilizzato; presuntuoso padre padrone al solo scopo di realizzare il massimo profitto fine a se stesso e avulso dalla vita naturale è indifferente alla sopravvivenza di ogni essere vivente.

(Ricordo da un racconto di Maya)

FORZA E PRESUNZIONE

Europa atlantista

Scorta grano

Mangime ai pesci

Armamenti affogati

Presunta ragione

Presunta vittoria

Forza impera

Ogni versione

Presunta falsa

Farsa

Vero orrore

Morte vera.

-Renzo Mazzetti- (Sagginale, Domenica 29 Maggio 2022).

CINICA COMMEDIA (LITTLE BOY E FAT MAN) MARTEDI' 29 MARZO 2022 h.15,46.

I seguaci del sistema mercato concorrenza, lacchè del potere del Dollaro trafficante d'armi, avevano tutto il maledetto interesse (profitto) di perorare la filosofia del “Meno peggio” e la mostruosità dei “Due tempi”. La guerra, incurabile cancro dell'umanità, doveva essere a qualsiasi costo evitata con la prevenzione. Per prevenire la guerra era indispensabile e fondamentale il disarmo universale. La guerra non si era mai evitata con le armi. Soltanto nel breve periodo del dopo Secondo conflitto mondiale, le armi assicurarono un parziale non conflitto generale con “L'equilibrio del terrore”. Però, le tantissime guerre “Locali”, che insanguinarono anche gli ultimi anni del XX° e i primi del XXI° Secolo, furono denominate “Terza guerra mondiale a macchia di leopardo”. Insomma, i popoli non vissero in armonia pacifica neppure dopo gli orrori della Terza guerra mondiale scatenata delle aggressioni naziste fasciste imperiali (asse: Berlino Roma Tokyo) e delle criminali bombe atomiche statunitensi che polverizzarono completamente le città Hiroshima e Nagasaki, praticamente a guerra finita. Il cinico detto: “Se vuoi la pace, prepara la guerra” si rivelò, per colpa delle donne e degli uomini guerrafondai, incentivo per sommare alle guerre nuove guerre. Se vuoi la pace devi distruggere tutti gli armamenti e ragionare con spirito fraterno: Con il cervello e con il cuore, tutti i problemi ebbero la soluzione con reciproco rispetto e vantaggio.

(Ricordo da un racconto di Maya)

DISTRUGGI TUTTE LE ARMI

Se la tua aspirazione prioritaria

è un mondo di pace e di fratellanza,

se desideri veramente la pace

dentro ogni popolo e tra tutti i popoli,

prepara tutto, punto per punto, tutto per la pace.

Se il tuo primo pensiero irrinunciabile

si rivolge alla giustizia e all'uguaglianza,

all'amore per tutti gli esseri viventi

contro ogni tipo di sfruttamento e di prevaricazione,

se desideri veramente la pace, distruggi tutte le armi.

-Renzo Mazzetti- (Lunedì 24 Marzo 2014)

IGNOMINIOSO BUONSENSO GIOVEDI' 8 SETTEMBRE 2022 h.11,33.

A migliaia di mani di medici viene distribuita l'arma del bisturi dagli arsenali. Italia! E' chiaro per il re, per il barbiere forse, che non ha dove cacciarsi! Ancora oggi i tedeschi si libravano sopra Venezia! Germania! Pensieri, libri, musei, sparite nelle bocche spalancate delle armi! Fauci degli incendi digrignate i denti! Studenti, galoppate a cavallo di Kant! Il coltello fra i denti! Le sciabole snudate! Russia! S'è forse gelata l'Asia brigantesca? Nel sangue i desideri ribollono come un'orda. Trascinate fuori i Tolstoi rannicchiati sotto il Vangelo! Per le gambe smagrite! La barba sulla pietra! Albertino alza lo sguardo sulla scolaresca, e, dopo lunghi assorti secondi, riprende a leggere, con chiara voce, Majakovskij. Francia! Fa' cessare l'amoroso sussurro dai viali! I giovani devi lanciare in nuove danze! Ascolti, tenera? E' bello al suono della mitraglia bruciare e violentare! Inghilterra! Turchia! T-r-a-a-ch! Che è stato? M'è parso di sentire! Non temete! Una sciocchezza! La terra! Guardate, che cos'ha sui capelli? Le si sono distese sulla fronte rughe di trincee! … Oggi come un bagliore sulla calvizie terrestre, insanguinando il fermento folle, nel cielo è l'intera Europa in fiamme appesa come un lampadario. Albertino chiude il volume. Occhi negli occhi scruta pensieri. Con un cenno del naso indica. Si alza in piedi Rossana, recita: … Spero, ho fiducia che non verrà mai da me l'ignominioso buonsenso. Sono già le due... Interrotta con un cenno. Albertino: scrivete per il compito a casa: Studio con analisi scritta di Frammenti e di Majakovskij ai secoli. Compagne e compagni buonanotte.

(Ricordo da un racconto di nonna Teresina)

BENPENSANTE

(Ricordo da un racconto di Vasco)

Le ideologie sono morte.

Ci siamo liberati dei vecchi schemi.

Il buonsenso ci guida nelle necessità pratiche.

Queste affermazioni erano un concentrato di ipocrisia

perché subito dopo i conformisti reazionari

tenevano a sottolineare che erano europeisti e atlantisti.

Così, anche il buonsenso, diventava ideologico.

Era chiaro che l'approccio alle necessità pratiche

era quello di una certa visione del mondo, cioè:

europeista e atlantista che non erano Bibbia né Corano

né Sacri Comandamenti né altre religioni

né Disarmo e Pace ad ogni costo.

Le ideologie erano morte

ma quelle di chi non la pensava come loro,

perché le loro, evidentemente, no!

Infatti il loro buonsenso diventava rabbiosa contrarietà

nel momento in cui altri avversavano

il loro europeismo e atlantismo.

I truffaldini del buonsenso diventavano arroganti settari

seguaci della ideologia del più forte e della criminale disuguaglianza,

tutto il contrario del buonsenso vero

che agiva con criterio sano e il giudizio sereno e giusto”.

-Renzo Mazzetti- (Mercoledì 27 Luglio 2022 h.09,31)

BUONSENSO SABATO 9 GIUGNO 2018 h.06,11.

Il Buonsenso, si dice, sia una facoltà istintiva di giudicare con equilibrio e comprensione, soprattutto in riferimento alle necessità pratiche. Il grande Giusti: il Buonsenso, che fu già caposcuola, ora in parecchie scuole è morto affatto. La Scienza, sua figliuola, l'uccise per veder come era fatto. Da un altro punto di vista: il Buonsenso può avvenire da un'impressione e commozione che si è presto convertita in una riflessione.

(Ricordo da un racconto di Irina)

MEMORIA PARZIALE

Se c'è chi da te è definito fascistello,

tu sei, ex ministro, un fascistone,

vero, con il manganello, rozzo,

fattosi concreto di brutte parole, ma,

ma chi ti credi di essere, misero,

ignorante gonfio di presunzione?

Fascistelli e fascistoni di maniera,

giovani, meno giovani, anziani,

ma tutti vecchi dalla memoria parziale,

limpida per il tornaconto del momento,

di passato, presente, attuale colpevole,

di dimenticanze innocenti o volute?

Fascistelli e fascistoni date a tutti lezioni

ma nessuna parola viene detta sui criminali

che da troppo tengono i palestinesi

imprigionati che come voi furono e, sono, oggi!

di loro terra derubati, perseguitati, assassinati.

Oh, miseri dalla memoria parziale,

conoscete le tribolazioni e le angherie subite,

e i lutti palestinesi, curdi, catalani, e, così, oggi!

quanti popoli sconosciuti, repressi, conoscete?

Pio La Torre, il comunista, lo ricordate?

E perché no, il compagno Peppino Impastato,

perché no? Miseri dalla memoria parziale.

E quanti, e tantissimi altri, quanti e quanti,

quanti, oh, miseri dalla memoria parziale,

quanti non avete conosciuto, quanti conosciuto,

di quanti siete stati contenti del loro patire e partire?

E tu, scrittore televisivo che al professore,

all'avvocato difensore del popolo italiano,

domandi la dichiarazione di antifascismo,

tu con chi stai? Con l'occupante israeliano

o con i palestinesi, con la concorrenza o con l'operaio?

Tu, con chi stai? Con i miseri dalla memoria parziale?

-Renzo Mazzetti- (8 Giugno 2018)

SESSUATI SCAPESTRATI MARTEDI' 1 AGOSTO 2017 h.06,40.

C'erano una volta i partiti. Venivano da molto lontano. Alcuni eroici e altri spregevoli, secondo i punti di vista e i comuni percepire. Sopravvissuti alle bufere delle storie e della Storia. I partiti italiani, dalla seconda guerra mondiale, aderirono alla parola politica intesa nel nocciolo significativo di “governo della città”. Poi la degenerazione nella negazione delle ideologie (però, strizza-strizza, soltanto di quella comunista). Il credo fu tradito e deriso. Il popolo allontanato dalla partecipazione democratica. I sanguinosi complotti delle antiche corti furono sostituiti dalle dispute nei e fra i degenerati partiti. Non esisteva più la lotta politica del popolo protagonista. Difatti tutti si accusavano reciprocamente di “populismo”. Burattini dei soldi e dei mercati. Da quanto tempo il non politico era eletto dagli elettori? Liti di palazzo, la musica restava la stessa. Enrico, se pur “piccolo bianco”, fu defenestrato dall'incolore Matteo, a sua volta sostituito dal neutro... neutro... non mi viene neppure il suo nome, eppure lo sento sulla punta della lingua. Sputalo! Sputalo! gridavano un branco di sessuati scapestrati.

(Ricordo da un racconto di Irina)

IL GRANDE STREGONE

Via il sole via il libro aperto

via la falce via il martello

rottamatore primo fu Bettino.

Poi dalla televisione scese

Silvio il ricco cavaliere

sportivo e buontempone.

Ultimo fu Matteo capo partito

primo ministro e grande stregone

che tutti mise nel calderone.

-Renzo Mazzetti- (11 giugno 2015)

EBOOK: "Il Bicefalo e le Dimenticanze tra le Righe"

categoria: fantascienza, filosofia, ironia, poesia, dimenticanze tra le righe.

FINE


VUOTACESSI ATTUALE 

(Meditazione su: A piena voce -Prima introduzione al poema- di Vladimir Majakovskij)

Cari compagni posteri! Rimestando nella merda impietrita di oggi, scrutando le tenebre dei nostri giorni, voi, forse, domanderete anche di me. E forse affermerà il vostro dotto, coprendo con l’erudizione lo sciame delle domande, che, pare, ci sia stato un certo cantore dell’acqua bollita, nemico inveterato dell’acqua naturale. Professore, si tolga gli occhiali-biciclo! Io stesso racconterò del tempo e di me. Io, vuotacessi e acquaiolo, mobilitato e chiamato dalla rivoluzione, andai al fronte dai parchi nobiliari della poesia: donnetta capricciosa. Leggiadro coltivava il giardino; la figlia, la villa, il lago e la quiete. “Da me ho piantato il giardino, lo annaffierò da me”. Chi spande versi dall’innaffiatoio, chi li spruzza a bocca piena, ricciuti Mitreiki, saputi Kudreiki, chi diavolo la sbroglierà con loro! Per l’alluvione non c’è quarantena, e smandolinano sotto le mura: “Tara-tina, tara-tina, t-en-n…”. Non è grande onore che da queste rose si levino le mie statue nei giardinetti dove scatarra la tisi, dove sta la puttana col teppista e la sifilide. Per me di aghitpròp ne ho avuto fino al collo, per me, imbastire per voi romanze sarebbe stato più redditizio e allettante. Ma io mi domandavo, mettendomi sulla gola della mia canzone. Ascoltate, compagni posteri, l’agitatore e lo strillone. Coprendo le fiumane di poesia, scavalcherò i volumetti lirici e come un vivo parlerò ai vivi. Verrò a voi nella lontananza comunista non come un canoro vate-paladino eseniniano. Giungerà il mio verso sopra i crinali dei secoli, sopra le teste di poeti e di governi. Giungerà il mio verso, ma non così, non come uno strale in una caccia di cupidi e lire, non come giunge la luce delle stelle spente. Il mio verso a fatica squarcerà la mole degli anni e apparirà pesante, ruvido, tangibile, come ai nostri giorni è giunto l’acquedotto, costruito dagli schiavi di Roma. Nei tumuli dei libri, sepolcri di poesia, scoprendo per caso le schegge di ferro dei versi, voi con rispetto le toccherete come un’arma antica ma terribile. Non sono avvezzo a carezzare l’orecchio con la parola, e tra i ricci l’orecchio della fanciulla non arrossirà, sfiorato da frasi scurrili. Dispiegati in parata gli eserciti delle mie pagine, passo in rassegna il fronte delle righe. Stanno i versi, con pesantezza di piombo, pronti alla morte e alla gloria immortale. I poemi si sono irrigiditi in fila compatta, puntando le bocche di fuoco dei titoli spalancati. Arma di tutte più amata, pronta a slanciarsi in un grido, sta raggelata la cavalleria delle arguzie, levando le lance appuntite delle rime. Tutti questi reparti armati fino ai denti, che per vent’anni sono passati di vittoria in vittoria, fino all’ultimissimo foglietto, io li consegno a te, proletario del nostro pianeta. Ogni nemico dell’immensa classe operaia è anche il mio vecchio acerrimo nemico. Di marciare ci ordinarono sotto la bandiera rossa gli anni della fatica e i giorni della fame. Ogni volume di Marx l’aprivamo, come in casa propria si aprono le imposte, ma anche senza leggerli capivamo dove andare, in quale campo combattere. Noi la dialettica non l’imparammo da Hegel. Col fragore delle battaglie irrompeva il verso, quando sotto i proiettili dinanzi a noi fuggivano i borghesi, come una volta noi davanti a loro. Dietro i geni, vedova sconsolata, si trascini la gloria nella marcia funebre, ma tu muori, mio verso, muori come un soldato, come anonimi morivano i nostri negli assalti! Me ne infischio dei bronzi massicci, me ne infischio del muco marmoreo! Accordiamoci pure sulla gloria, tanto siamo tra noi, ma ci sia monumento comune il socialismo edificato nelle battaglie. Poteri, verificate le boe dei dizionari: dal Lete affioreranno residui di parole come “prostituzione”, “tubercolosi”, “blocco”. Per voi, che siete agili e robusti il poeta ha leccato gli sputi della tisi con la ruvida lingua del manifesto. Con la coda degli anni io prenderò l’aspetto dei mostruosi fossili caudati. Compagna vita, dai, acceleriamo il passo dei giorni che restano nel piano quinquennale! Nemmeno un rublo i versi m’hanno messo da parte, gli ebanisti non m’hanno arredato la casa. E tranne una camicia lavata di fresco in tutta coscienza dirò che non mi occorre altro. Presentandomi alla Commissione centrale di controllo dei luminosi anni futuri, sopra la banda dei ladri poetici e scrocconi io leverò come una tessera bolscevica tutti i cento volumi dei miei libri di partito.

-Renzo Mazzetti- (Venerdì 8 Dicembre 2023 h.16,54)


CULTURA LIBERA CON SPIRITO CRITICO

(Meditazione su: I comunisti italiani per l’autonoma e libera funzione della cultura: non chiediamo obbedienze a nessuno. Enrico Berlinguer: parte delle conclusioni al convegno degli intellettuali, Roma, 15 Gennaio 1977) 

Il modo in cui poniamo oggi la funzione della cultura per la trasformazione del paese corrisponde a una tradizione, a una peculiarità del Partito comunista italiano, come partito della classe operaia, come partito democratico e nazionale, come grande organismo che è esso stesso produttore di cultura. Noi ci siamo battuti sempre e ci battiamo per il progresso e l’espansione della vita culturale. Ma in questo nostro impegno dobbiamo sempre guardarci da interventi che possano, nella benché minima misura, ledere l’autonomia della ricerca storica, delle attività culturali, della creazione artistica, giacché queste hanno come condizione vitale di sviluppo non quella di obbedire a un partito, a uno Stato, a un’ideologia, ma quella di poter dispiegarsi in pienezza di libertà e di spirito critico.

Tale impostazione, che è parte della più generale visione che noi abbiamo dei rapporti tra democrazia e socialismo, si distingue da quella di alcuni partiti al potere nei paesi socialisti; atteggiamenti e comportamenti del potere politico quali quelli di cui si ha notizia (per esempio in Cecoslovacchia dove siamo di fronte, addirittura, ad atti di tipo repressivo), sono per noi inaccettabili in linea di principio. Interpretando questa posizione generale del partito alcuni nostri compagni intellettuali hanno preso l’iniziativa di una dichiarazione pubblica, che noi consideriamo giusta ed opportuna.

Fa parte irrinunciabile del nostro patrimonio una concezione che riconosce l’essere compito del partito comunista, degli altri partiti democratici e dei pubblici poteri, in quanto siano orientati anch’essi in senso democratico, da un lato la creazione del clima politico morale e, dell’altro lato, l’attuazione delle condizioni materiali, pratiche, organizzative che consentano il positivo e libero sviluppo della ricerca, della iniziativa e del dibattito culturale. Ma non è compito né dei partiti, né dello Stato esigere obbedienze, far prevalere concezioni del mondo, limitare in qualsiasi modo le libertà intellettuali. Ed io, cari compagni e amici - non senza prima ringraziare tutti voi e in modo del tutto particolare il compagno Argan, che è venuto a rappresentare la città di Roma e la nuova amministrazione popolare romana - voglio concludere il mio intervento proprio con la tranquilla conferma di questa nostra impostazione: da essa non dobbiamo discostarci mai. 

-Renzo Mazzetti- (Sabato 25 Novembre 2023 h. 14,41)


DIFESA ARMATA (MORTE RECIPROCA)

(Meditazione sul P. C. I. Direzione: XVII Congresso nazionale Tesi, Settembre 1986)

Una politica che contribuisca al superamento delle più gravi crisi regionali.

Risolvere positivamente le crisi regionali più acute, che oggi sono aperte nelle varie parti del mondo e che costituiscono un pericolo più generale di aggravamento delle tensioni internazionali e di guerra, fa tutt'uno con il sostegno, che l'Europa e le sue forze democratiche di sinistra debbono dare alle rivendicazioni di libertà e di democrazia, di diritti civili e umani, all'aspirazione all'indipendenza e alla dignità nazionale dei popoli e delle nazioni. Gli obiettivi principali sono oggi: La soluzione pacifica della gravissima crisi del Medio Oriente, con l'affermazione del diritto nazionale del popolo palestinese ad avere una patria e a costruire un proprio Stato: alla ricerca di questa soluzione politica, che garantisca la sicurezza di tutti gli Stati della Regione, compreso Israele, deve partecipare l'Olp; un compito particolare verso i popoli del Mediterraneo e del Medio Oriente, al fine di ritrovare la via della pace e della sicurezza nella regione mediterranea, spetta a tutte le forze democratiche italiane.

Contro il terrorismo internazionale. Il superamento di queste situazioni di tensioni e di scontro può creare le migliori condizioni per affermare nuovi rapporti di convivenza tra i popoli e il rispetto della legalità internazionale e per sconfiggere ogni manifestazione di terrorismo e di pirateria.

La lotta al terrorismo e alla criminalità a livello mondiale si pone comunque come problema urgente e specifico e comporta l'adozione di misure efficaci e un'opera di concentrazione degli sforzi.

E' un compito che spetta all'intera comunità internazionale, alla quale l'Europa e i singoli governi europei sono chiamati a dare un loro contributo, e a cui deve andare il sostegno, la vigilanza e la mobilitazione dell'opinione pubblica internazionale.

Una politica estera di pace. L'obiettivo dell'avanzamento e della trasformazione esige una politica estera, saldamente ancorata all'indipendenza nazionale, di cooperazione internazionale, di pace, europeistica. Ciò comporta tre scelte essenziali: Una politica di disarmo bilanciato e controllato come quadro e fondamento anche della effettiva politica di sicurezza che è necessaria per l'Italia e l'Europa. Una politica che realizzi una Europa unita e democratica attraverso la creazione dell'Unione europea e che rivendichi nell'immediato politiche comuni nel campo monetario, economico (mercato unico), industriale, scientifico. Una politica che ponga su altre basi il rapporto Nord-Sud su scala mondiale, non solo per ragioni evidenti di solidarietà, ma perché un nuovo ordine economico internazionale è in prospettiva indispensabile agli stessi paesi sviluppati.

-Renzo Mazzetti- (Lunedì 23 Ottobre 2023 h.13,23)


EGOISMO CONCORRENZA ANGOSCIA

(Meditazione su: “La felicità negata” di Domenico De Masi)

Non c'è progresso senza felicità e non si può essere felici in un mondo segnato dalla distribuzione iniqua della ricchezza, del lavoro, del potere, del sapere, delle opportunità e delle tutele. Questo è l'esito raggiunto da una politica economica che ha come base l'egoismo, come metodo la concorrenza e come obiettivo l'infelicità.

-Renzo Mazzetti- (Mercoledì 13 Settembre 2023 h.09,07)


ISOLA DI LIPARI

(Meditazione su: Comunicato alla stampa antifascista fatto pervenire clandestinamente dall'organizzazione dei confinati di Lipari nella seconda metà del 1930, tratto da: Gli antifascisti al confino 1926-1943 di Gelso Ghini e Adriano Dal Pont, Editori Riuniti, 1971).

Da parecchi mesi, all'isola di Lipari si va sviluppando una situazione sempre più grave e difficile per la colonia di confinati politici; ciò è dovuto principalmente al continuo arrivo di agenti provocatori, spie cadute in disgrazia all'interno e che qui cercano di riabilitarsi provocando il confinato politico serio e corretto, il quale non vuole avere nulla in comune con simili malviventi. La rivalità che da parecchio tempo esiste tra il comando del distaccamento della milizia e la direzione (ufficio di PS) diretta da un commissario, spinge questi due organi ad una gara nel mostrare capacità e zelo, gara che si risolve, naturalmente, a tutto danno del confinato. Si potrebbe dire che tra i due litiganti il terzo ne soffre.

La sera del 25 settembre 1931, veniva esposto nella vetrina di un negoziante di stoffe, all'angolo di strada Santa Lucia, un quadro offensivo, riproducente le caricature di tre confinati. L'autore del quadro è una losca figura, un certo Muratori, noto fascista di Modena. La reazione dei confinati fu pronta, e il sullodato individuo si dovette rifugiare in mezzo alla milizia, la quale si mise a schernire e a minacciare di arresto (il che fu fatto) i confinati esposti al ridicolo da quella canaglia fascista. Alcuni andavano ad avvisare la direzione e ad esporre il contegno dei militi, ma il direttore alzò la voce, ingiungendo loro di uscire dall'ufficio se non volevano essere arrestati. La mattina del 5 ottobre 1931, il provocatore B. R., spalleggiato da due suoi compaesani romagnoli, T. e P., dopo un periodo di continua provocazione, aggredirono in piena strada un giovane comunista, pure romagnolo, certo Sozzi. Per fortuna, questo giovane riuscì a difendersi e poi fuggì. Senonché il R. andò a denunciare alla direzione il Sozzi, sostenendo di essere stato da lui aggredito, denuncia che provocò l'intervento della milizia a favore del R., con le solite perquisizioni a destra e sinistra. I comunisti si sentirono presi alla gola, e affrontarono il R. alla prima provocazione che costui, insieme agli altri, spalleggiato dalla milizia, mosse contro il confinato Bernabino per pestarlo di botte. La milizia arrestò sei giovani, tra cui Bertinelli di Parma, Baltaro piemontese, Baldiseri di Bologna, compresi Sozzi e il Bernabino, e li tenne fino a notte in camera di sicurezza, dove furono picchiati nel modo più brutale. Erano talmente rovinati che cinque di essi si dovettero ricoverare nell'infermeria del carcere, mentre il Sozzi fu lasciato libero e venne portato nella sua abitazione con la schiena nera per i colpi ricevuti e con le impronte del nerbo che lo colpì per una trentina di volte. Questo giovane, che ha avuto un fratello ucciso dalle torture in un carcere del suo paese, invitò un medico del posto a rilasciargli un certificato che avrebbe usato per denunciare un tenente della milizia che ordinò la fustigazione. Ma questo medico si rifiutò, ed allora si rivolse a quello della colonia; questi rispose che gli avrebbe fatto il certificato di malattia guaribile in 15 giorni, ma lo consigliò, però, di stare attento, perché ne avrebbe prese ancora, e in più sarebbe stato denunciato per calunnia contro il corpo della milizia. Parecchi confinati si affrettarono ad avvertire le autorità del paese, ma provvedimenti non se ne presero e la direzione continua a rispondere nel solito modo, quindi il confino si trova in balia dell'arbitrio di un qualsiasi milite che ti può arrestare, portare in camera di sicurezza e farti bastonare senza nemmeno interrogarti e spiegarti le ragioni del fermo, mentre la direzione dorme o finge di dormire.

Il fermento tra i confinati è al colmo e la popolazione biasima il contegno delle autorità. Ora tocca ai nostri giornali, servendosi di queste poche righe, iniziare una campagna che possa contribuire ad aiutare questi compagni relegati e trattati peggio degli ergastolani, costretti a vivere con un misero sussidio e sfruttati da tutti, a cominciare dai negozianti, senza contare che la disciplina a cui si è sottoposti impedisce di trovare lavoro e di potere aprire spacci o fare altre cose che possono essere di conforto.

Parecchi vorrebbero rivolgersi all'autorità fuori dall'isola, ma questo non si può fare perché la signora direzione lo impedisce. Così, non rimane che un po' di speranza nella stampa, a meno che 400 confinati prigionieri e inermi non debbano affrontare un'aperta lotta con 220 militi fascisti, più il corpo ufficiali, 46 agenti, 50 carabinieri, marinai e fascisti!

-Renzo Mazzetti- (Martedì 13 Giugno 2023 h.09,37)


MARZO 1991 (PDS E RIFONDAZIONE)

(Meditazione su: “Le confessioni di un militante”. Il Tirreno di Venerdì 29 Marzo 1991, Franco Polidori intervista l'ex sindaco Renzo Mazzetti)

E' ancora sull'Aventino, in bilico. Ma sempre più vicino a Rifondazione Comunista. La sua crisi politica è racchiusa in poco tempo, da quando il PCI ha portato avanti la sua revisione. Renzo Mazzetti, ex sindaco di Montopoli, fa parte del “gruppo dei venti” che non ha aderito al PDS, promotore di assemblee gremite (l'ultima a Ponte a Egola, la prossima dopo Pasqua).

L'incontro avviene a Torre Giulia, nel circolo ARCI. C'è già la sede di Rifondazione. Chi tira le file è Riccardo Susini, ex segretario del vecchio PCI e ora coordinatore insieme a Mario Costagli.

Renzo Mazzetti sente la tentazione di aderire a Rifondazione. “Ma la scelta è importante, troppo importante. Vede -racconta- la tessera del PCI io l'ho presa nel 1964. Avevo 16 anni. La mia formazione politica e culturale è avvenuta con Gramsci e Togliatti. E ritengo che non sia stata ideologica, caso mai rivolta verso la democrazia, la libertà, la giustizia”.

Ricorda: “Il mio avvicinamento al PCI, in quegli anni, fu un contatto immediato. Sono sempre stato un operaio. Ora sono infermiere al Del Campana Guazzesi di S.Miniato. Un lavoro che svolgo con passione, al servizio degli ultimi, perché così sono considerati gli anziani. Non mi pento di averlo scelto. Ho fatto il '68 alla Piaggio, alla catena di montaggio del “Ciao”, e nel consiglio di fabbrica. E prima ancora ho lavorato ai bottali di una conceria e poi in un calzaturificio”.

“Nel 1970 sono stato eletto consigliere comunale, poi all'Intercomunale e assessore della sanità a Montopoli, successivamente nel consorzio socio-sanitario, prima che fosse chiamato USL.

Sindaco lo sono diventato nell'86 e lo sono rimasto fino al '90. Dall'84 all'89 in cassa integrazione alla Piaggio, una vera e propria ingiustizia.

Mi sono iscritto alle liste di collocamento, ho cercato lavoro per cinque lunghi anni. So cosa vuol dire questa attesa. Poi la possibilità al Campana Guazzesi, non mi sono tirato indietro. Perché non ho fatto più il sindaco? Quattro legislature come amministratore credo siano più che sufficienti, il sacrificio è notevole. La gente non sa, pensa chi sa che cosa, quando uno è in Comune. Lo rifarei, comunque. Non ho nulla da rinnegare, e non voglio fare adesso da concime a una quercia (del PDS, ndr). Ho vissuto le grandi lotte. Si è parlato del crollo del comunismo, ma mi chiedo se il comunismo è stato applicato veramente. Se non ci sono state forme, che conosciamo tutti, che hanno travalicato i confini del comunismo. Il PCI è stato unico e originale, ma ha pagato il dopo-Berlinguer. Nella zona del cuoio abbiamo portato avanti il lavoro, la produzione e l'ambiente. Abbiamo costruito un'alleanza con i ceti medi, in particolare con il settore dell'artigiano. Altrimenti non si capirebbe perché il PCI ha avuto sempre voti in questa zona. Mi ricordo che siamo stati anche antesignani per molte questioni. Quando ero al consorzio socio-sanitario, proponemmo la sicurezza nei luoghi di lavoro e una programmazione sul campo sanitario. Eravamo i primi in Toscana e, forse in Italia, a proporre idee nuove. Forse proprio qui nel nostro comprensorio, si è realizzata quella terza via che veniva indicata dal PCI di allora, ai tempi di Berlinguer. Il produrre senza inquinare, non solo era uno slogan, ma sintetizzava l'attenzione verso altri tipi di realizzazioni. Basti pensare all'attivazione dei depuratori, o alle battaglie sulle migliori condizioni degli operai”.

“Questioni che si sono perse per colpa del governo centrale che ha ristretto gli spazi, laddove, come da noi, si stava operando per una equità. E certe questioni si sono perdute, quando è venuta meno la tensione sociale ed è venuto fuori uno sviluppo distorto che emargina. Che ha imbarbarito i rapporti. Ha prevalso l'individualismo. Non abbiamo saputo ascoltare più l'operaio e l'artigiano. Abbiamo perso i contatti e i connotati di una politica sociale. Ma la colpa non è tutta del PCI. Chi ricorda gli anni Settanta lo sa bene. Le vicende del terrorismo, l'attacco del padronato con la fase dei licenziamenti. E' lì che non abbiamo avuto il coraggio di protestare, ne è venuta fuori una scorciatoia. Ed invece sarebbe stato proprio quello il periodo per ricostruire un programma di intervento, per il cambiamento e il rinnovamento. Achille Occhetto ha resistito meno di Bettino Craxi e di Gianni Agnelli. Anziché riprendere un cammino per la democrazia compiuta, è arrivato il PDS. E' stata data ragione ai nostri avversari politici”.

“Occhetto ha passato il guado, diventando come gli altri. Dov'è l'originalità del PDS? E le battaglie da intraprendere dove sono? La mia crisi è uguale a quella di quelli che ancora non si sono iscritti al PDS. Sono disorientati. E riunioni come quella di Ponte a Egola, servono a capire. Una discussione collettiva e ricca di partecipazione, di idee. Siamo tornati a discutere sul senso reale delle cose. E' un presupposto importante per un nuovo PCI. Lo confesso. Idealmente, sono già con Rifondazione. Ma la discussione, bene insostituibile, è giusto che continui. C'è chi ci accusa di aver indebolito la sinistra con questa iniziativa. No. Io dico che occorre superare questo aspetto. Se non aderisco al PDS, non faccio una scissione. Chi spera di rimanere comunista minoritario nel PDS, penso che vada incontro all'esaurimento. I comunisti sanno, per loro esperienza, che per portare avanti certi ideali hanno bisogno di un'elaborazione autonoma. E non di minoranza. Ecco dov'è il rischio. Fare del PDS una testimonianza, e i comunisti non sono abituati a farla, questa testimonianza”.

-Renzo Mazzetti- (Sabato 27 Maggio 2023 h.16,36)


TALK-SHOW

(Meditazione su: Il futuro? Come in un film ne cerco gli indizi nella memoria di Ettore Scola in: Incontro al Duemila, L'Unità, Dicembre 1986)

Eccesso di tecnologia, ingegneria genetica, nucleare. Ma anche disaffezione alla politica. Piccole oltre che grandi immoralità. “Mi preoccupa soprattutto questa sorta di disaffezione, questa incapacità a concentrarsi che scorgo nella gente. In parte la creano i mass-media. Infatti, alla televisione, si citerà sicuramente questo o quel problema che corrisponde a un bisogno reale, a un problema stringente. Ma dopo due minuti “seri” ci saranno le tre ore di spettacoli del sabato sera, oppure i contenitori di talk-show. Con un effetto negativo sui cervelli e sulle menti della gente. Tuttavia l'incapacità a concentrarsi non significa soltanto che non vogliamo riflettere di più e in modo profondo. Il punto è che non sappiamo indignarci; non proviamo sgomento. Sgomento per come è ridotta Roma, per la disoccupazione dei giovani, per gli sfratti. Ci buttiamo tutto dietro le spalle. E davanti abbiamo solo un caleidoscopio di argomentini e argomentucci. Perciò sono confuso. Per cosa sdegnarmi? Per cosa appassionarmi? Certo, quelli della Resistenza erano avvantaggiati. Sapevano di dover sparare. Avevano un nemico. Oggi nessuno riesce a indicare un bersaglio preciso. Il pericolo sta proprio in questo calo d'interesse, di ambizione (intendo ambizione a migliorare); insomma oggi non c'è amore e non c'è passione”.

-Renzo Mazzetti- (Mercoledì 3 Maggio 2023 h.16,07)


GIOVANNI PESCE MEDAGLIA D'ORO

(Meditazione su: Testimonianza di un attore. Calendario del Popolo, Gennaio 1951).

Una storia della lotta partigiana nel secondo Risorgimento è appena al suo inizio; e, quindi giunge prezioso ogni contributo di testimonianza dal giorno in cui nelle montagne si costituirono le Brigate Garibaldi e altre formazioni che condussero contro i nazi-fascisti una vera e propria guerra. Nelle città sorsero i GAP (Gruppi d'Azione Partigiana) e più tardi le SAP (Squadre d'Azione Partigiana) che portarono al più alto grado di efficacia il sabotaggio del materiale nemico, i colpi di mano contro gli impianti e i mezzi di trasporto, la punizione delle spie e dei traditori, e specialmente l'audacissima e continua azione di assalto individuale degli invasori e contro i loro infami collaboratori. Nuovo contributo di storia ci vien dato ora da Giovanni Pesce con il suo libro “Soldati senza uniforme”, che ne fu attore. Ecco la motivazione della sua medaglia d'oro: “Ferito ad una gamba in un'audace e rischiosa impresa contro la radio trasmittente di Torino, fortemente guardata da reparti tedeschi e fascisti, riusciva miracolosamente a sfuggire alla cattura portando in salvo un compagno gravemente ferito e dal martirio delle carni straziate e dal sacrificio di molti compagni caduti seppe trarre nuova e maggiore forza combattiva, mantenendo pura ed intatta la fede giurata. In pieno giorno, nel cuore di Torino, affrontava da solo due ufficiali tedeschi e dopo averli abbattuti a colpi di pistola, ne uccideva altri due accorsi in aiuto dei primi; sopraffatto e caduto a terra fronteggiava coraggiosamente un altro gruppo di nazi-fascisti che apriva intenso fuoco contro di lui, riuscendo a porsi in salvo incolume”.

-Renzo Mazzetti- (Venerdì 10 Marzo 2023 h.16,37)


ANNALISA AI CARI STUDENTI

(Meditazione su: Comunicazione n.197 della Dirigente Scolastica Dottoressa Annalisa Savino. Oggetto: messaggio sui fatti di via della Colonna. Agli studenti e per conoscenza: Alle loro famiglie, ai docenti, alla DSGA e al personale ATA. Firenze, 21 Febbraio 2023)

Cari studenti, in merito a quanto accaduto lo scorso sabato davanti al Liceo Michelangiolo di Firenze, al dibattito, alle reazioni e alle omesse reazioni, ritengo che ognuno di voi abbia già una sua opinione, riflettuta e immaginata di sé, considerato che l'episodio coinvolge vostri coetanei e si è svolto davanti a una scuola superiore, come lo è la vostra. Non vi tedio dunque, ma mi preme ricordarvi solo due cose. Il fascismo in Italia non è nato con le grandi adunate di migliaia di persone. E' nato ai bordi di un marciapiede qualunque, con la vittima di un pestaggio per motivi politici che è stata lasciata a sé stessa da passanti indifferenti. “Odio gli indifferenti” - diceva un grande italiano, Antonio Gramsci, che i fascisti chiusero in un carcere fino alla morte, impauriti come conigli dalla forza delle sue idee. Inoltre, siate consapevoli che è in momenti come questi che, nella storia, i totalitarismi hanno preso piede e fondato le loro fortune, rovinando quelle di intere generazioni. Nei periodi di incertezza, di sfiducia collettiva nelle istituzioni, di sguardo ripiegato dentro il proprio recinto, abbiamo tutti bisogno di avere fiducia nel futuro e di aprirci al mondo, condannando sempre la violenza e la prepotenza. Chi decanta il valore delle frontiere, chi onora il sangue degli avi in contrapposizione ai diversi, continuando ad alzare muri, va lasciato solo, chiamato con il suo nome, combattuto con le idee e con la cultura. Senza illudersi che questo disgustoso rigurgito passi da sé. Lo pensavano anche tanti italiani per bene cento anni fa ma non è andata così.

-Renzo Mazzetti- (Venerdì 24 Febbraio 2023 h.19,45)


CURZIO MALAPARTE

(Meditazione sulle creazioni di Curzio Malaparte)

L'Italia, senza la Toscana, non sarebbe che un pezzo d'Europa. L'Arno è il fiume che ride in faccia alla gente. La bestemmia è una maniera rabbiosa d'esser devoti. La libertà è la conoscenza del rapporto fra la vita e la morte, fra il mondo dei vivi e quello dei morti. Le isole in mare rimbalzano sulle onde e ogni tanto s'accostano alla riva, s'allontanan fuggendo, par che non debbano tornare mai più. I pescatori seduti sugli scogli fanno oscillare la canna sull'acqua, e il mare afferra l'amo coi denti, giocano a chi più tira: a un tratto il pescatore si rovescia sulla schiena, alzando la lunga canna, e il mare gli è sopra come un lottatore, gli preme sul petto e sul ventre, poi lascia la presa, si butta all'indietro, e l'uomo si curva di nuovo sull'onda che fugge. In quella lotta passano le ore, il mare ride intorno agli scogli. Il mio monte: E vorrei avere la tomba lassù, in vetta allo Spazzavento, per poter sollevare il capo ogni tanto e sputare nella gora fredda del tramonto. O italiani grassi che usate abbracciarvi l'un l'altro, e prendere tutto in facile, e veder tutto roseo, e tutto quel che fate lo gabellate per eroico, e vi credete virtuosi, e avete la bocca piena di libertà mal masticata, e pensate tutti ad un modo, sempre, e non v'accorgete d'esser pecore tosate. O italiani che non amate la verità, e ne avete paura. Che implorate giustizia, e non sognate se non privilegi, non invidiate se non abusi e prepotenze, e una sola cosa desiderate: esser padroni, poiché non sapete essere uomini liberi e giusti, ma o servi o padroni.

-Renzo Mazzetti- (Lunedì 23 Gennaio 2023 h.10,32)


VINO NOSTRO

(Meditazione su: I versi disimpegnati di Marziale)

Nei giorni grassi del vecchio munito di falcetto, in cui regnano incontrastati dadi, mi lascerai - penso - scherzare con versi disimpegnati, Roma che indossi il copricapo della libertà. Hai riso: allora posso scherzare, non è vietato. Bando alle preoccupazioni che fanno impallidire; lasciate che parli di tutto quello che mi viene in mente, senza pensieri molesti. Ragazzo, mesci acqua e vino in parti uguali nelle coppe, come quelle che Pitagora offriva a Nerone; mesci, Dindimo, ma più spesso: se sono sobrio non so far nulla, ma se bevo mi daranno man forte ben quindici poeti. E ora dammi baci, ma alla maniera di Catullo, e se saranno tanti come lui mi ha detto, ti regalerò il Passero di Catullo.

-Renzo Mazzetti- (Venerdì 13 Gennaio 2023 h.17,55)


INTESA DEMOCRATICA

(Meditazione su: Economia. I punti fermi dell'intesa tra PCI, PSI, DC, PRI, PSDI. Rinascita n.26 del 1 Luglio 1977, Mariano D'Antonio)

L'accordo che i partiti hanno raggiunto sulle questioni economiche può essere valutato per il suo contenuto; per le reazioni che ha suscitato; per la sua corrispondenza o meglio la sua adeguatezza rispetto a ciò che affettivamente accadrà nei prossimi mesi.

Cominciamo dai contenuti.

Nella bozza programmatica non si concede nulla all'ottimismo. La situazione economica del paese è giudicata ancora molto grave, densa di pericoli, nonostante alcuni miglioramenti che si sono registrati nella seconda metà dell'anno scorso e nei primi mesi del 1977. Il tasso di inflazione (cioè il ritmo a cui i prezzi aumentano), pur essendosi ridotto, rimane tra i più alti nella storia recente del nostro paese e rispetto agli altri paesi industrializzati. La bilancia dei pagamenti continua a registrare un passivo di origine strutturale, dovuto, cioè, all'eccesso di importazioni di petrolio. Il disavanzo pubblico, pur essendosi ridotto l'anno scorso, è ancora elevato rispetto alla produzione materiale. Gli investimenti produttivi non aumentano a sufficienza e l'occupazione lavorativa ristagna oppure è in leggero declino nell'industria manifatturiera. Le preoccupazioni maggiori, infine, vengono dal Mezzogiorno, dove la ripresa nel 1976 non c'è stata, ed anzi si è avuto ristagno o addirittura regresso produttivo (come nell'agricoltura e nell'edilizia), dove si concentra gran parte della disoccupazione e della sottoccupazione lavorativa. L'elenco delle perduranti difficoltà economiche, con cui la bozza di documento programmatico si apre al capitolo dell'economia, già dice qual è la “filosofia” che dovrà ispirare l'azione pubblica nei prossimi tempi. Nessun ottimismo sulle capacità di ripresa spontanea e duratura del mercato, e perciò grande impegno e responsabilità nella condotta degli affari economici, nel lavoro di direzione e di orientamento politico del processo economico.

Primato della politica economica, dunque. Ma in che senso, verso quali obiettivi e con quale gamma di strumenti? Gli obiettivi sono quelli che vengono indicati dalle forze politiche democratiche da tempo (diciamo almeno dall'insorgere della crisi petrolifera): contenere l'inflazione senza sacrificare la crescita economica. La strumentazione individuata nell'accordo programmatico presenta alcuni elementi già fatti propri dal governo Andreotti, mentre altre indicazioni appaiono nuove e costituiscono un passo in avanti rispetto all'azione spesso debole, incerta e anche contraddittoria del governo finora in carica. Costituisce un orientamento consolidato l'indicazione che la spesa pubblica non possa superare il limite definito anche in sede di accordi col Fondo monetario internazionale. E' una novità la proposta che si dia luogo, per i prossimi due anni, alla programmazione della spesa anche mediante un bilancio consolidato del settore pubblico tradizionale.

La parte più innovativa, e meglio definita riguardante la finanza pubblica, è quella relativa al capitolo delle entrate, in cui oltre a indicare le modalità per incrementare gli incassi della pubblica amministrazione (con la riscossione dell'imposta locale sul reddito, Ilor, mediante autotassazione, il recupero delle evasioni dei contributi sociali), si propone qualche incentivo fiscale agli investimenti produttivi (il credito di imposta sui profitti reinvestiti) ovvero alla ricapitalizzazione delle imprese (con la caduta della doppia tassazione sui redditi delle società e con l'equiparazione del trattamento fiscale dei dividendi azionari a quello goduto dagli interessi).

In sintesi, l'orientamento che si vuole imprimere al bilancio dello Stato è quello di farne sempre più uno strumento che incida sulla composizione delle spese della collettività, abbassando la quota delle risorse che viene destinata ai consumi (sia quelli privati che a quelli pubblici), e stimolando la formazione del capitale produttivo. Passa, per questa via, l'orientamento affermato con vigore nei mesi scorsi dalle forze politiche della sinistra, e in primo luogo dal PCI, secondo cui la riduzione del disavanzo pubblico non poteva essere fatta soltanto nell'aggregato delle entrate (da accrescere) e dalle uscite (da comprimere) del bilancio della pubblica amministrazione, ma andava verificata più dettagliatamente, individuando cioè modifiche nella composizione delle spese e degli incassi.

Questa linea - che possiamo definire di “deflazione orientata” - appare ancora più evidente se passiamo a considerare i cosiddetti interventi prioritari che vengono individuati nella bozza programmatica, e che riguardano i settori dell'edilizia, dell'agricoltura e dell'energia. Più fiduciosi nella ripresa, sia pure stimolata, delle convenienze di mercato per l'edilizia, più “dirigistici” nell'agricoltura e nel settore dell'energia.

I provvedimenti preannunciati vanno nella direzione che nei mesi scorsi i partiti della sinistra e i sindacati hanno più volte indicato e che non ha affatto costituito finora un asse privilegiato della politica economica governativa. Si tratta in breve, per dirla con una espressione ad effetto ricorrente, di interventi che saldano la politica a breve con la politica a medio termine: il sostegno delle produzioni edilizia, agricola ed energetica da un lato è un'occasione per mantenere elevato, con strumenti politici, il livello della spesa globale e quindi impedire che la deflazione del mercato interno si avviti, a spirale, su se stessa: d'altro lato, costituisce una sorta di investimento per il futuro, nel senso che questo tipo di intervento (se è portato rigorosamente a compimento) accresce la possibilità di produzioni a scarso contenuto di importazioni (come nell'edilizia) ovvero sostitutive di prodotti esteri (come nel caso dell'agricoltura e dell'energia elettronucleare). Si tratta di misure che puntano ad allentare la dipendenza dell'economia italiana dal mercato estero, che rimuoveranno - se condotte, ripetiamo, a termine con rigore e in tempi tecnici accettabili - alcuni vincoli i quali pongono continuamente il nostro paese nella dolorosa scelta tra sviluppo con crescente indebitamento verso l'estero e stagnazione con miglioramento della bilancia dei pagamenti.

Il risanamento della finanza pubblica e la qualificazione dei programmi di spesa in una direzione direttamente o indirettamente produttivistica (intendendo con questa espressione anche il contributo che gli interventi prioritari suddetti potranno dare alla riqualificazione del sistema produttivo e quindi alla sua collocazione nei confronti del mercato estero) non esauriscono i temi trattati nell'accordo programmatico. Un altro gruppo di indicazioni riguarda, schematicamente parlando, le attività che oggi già producono per il mercato, le imprese private e pubbliche esistenti, con i problemi che esse attualmente sono chiamate a fronteggiare. Qui, nonostante alcune novità che subito segnaleremo, si può trovare forse più evidente il segno del compromesso raggiunto tra le forze politiche e sociali diverse, e anche antagoniste.

A parte i problemi delle industrie a partecipazione statale (su cui però per la prima volta diventano orientamento di governo alcune proposte finora sparse, miranti a fare uscire l'industria pubblica dalla conduzione discrezionale, dai criteri dell'assistenzialismo, dalla lottizzazione delle cariche, che sono tutti connotati precipui dell'indirizzo politico seguito fino ad oggi in materia dagli esponenti della DC), il carattere compromissorio delle proposte presentate ci pare particolarmente evidente su due questioni molto delicate che condizionano la vita delle imprese produttive: l'indebitamento delle imprese e il costo del lavoro. Per i debiti contratti dalle imprese verso le banche, si indica la via del loro consolidamento, cioè del passaggio da debiti a breve a debiti a medio termine, per una data quota. Con ciò si vuole ottenere di ridurre il carico finanziario delle imprese (cioè gli interessi passivi, che sono più bassi nel caso dei debiti a medio termine rispetto al caso dei debiti a breve). In pratica, con questa misura si sposta istituzionalmente l'equilibrio finora raggiunto tra profitto industriale e rendita bancaria a favore del primo e a svantaggio dell'altra.

Il sollievo che si dà in questo modo alla situazione finanziaria delle imprese costituisce, a nostro avviso, tuttavia, un favore senza sensibili contropartite immediate, e perciò una concessione all'azione spontanea del mercato. E' vero che nel documento programmatico, piuttosto che a queste misure finanziarie per le imprese, si dà grande rilievo alla legge sulla riconversione industriale e ai programmi di settore che essa indica per l'impiego del credito agevolato (cioè della maggiore leva finanziaria utilizzabile a vantaggio delle imprese). Ma il discorso riguarda in questo senso il futuro, mentre nell'immediato si concede una quota delle risorse alla finanza delle imprese senza controllarne gli impieghi.

Sul costo del lavoro, se gli scatti di contingenza (per motivi che vedremo) dovessero superare nella seconda metà dell'anno i limiti previsti dal Fondo monetario, si ricorrerebbe alla fiscalizzazione degli oneri sociali che, ove dovesse essere ripetuta anche nel corso del 1978, sarebbe finanziata mediante le imposte dirette. I problemi della riforma del salario (quiescenza, anzianità, eccetera) e delle sperequazioni retributive sono poi oggetto di un esplicito impegno, e saranno affrontati immediatamente, sia in collegamento con i sindacati operai e padronali, sia in seguito all'indagine sulla giungla retributiva predisposta dal Parlamento. Questa parte degli accordi tiene conto in buona sostanza delle posizioni del sindacato e pone perciò come punto fermo l'accordo che è stato recentemente raggiunto, e cioè che la contingenza, nei suoi caratteri più importanti, è una conquista indeclinabile del movimento operaio.

In conclusione, il programma di politica economica si presenta con un respiro molto ambizioso e contiene motivi ispiratori anche nuovi da non sottovalutare. Esso respinge la solita politica dei due tempi (prima la stabilizzazione e poi la ripresa dello sviluppo). Non si affida a macchinose estrapolazioni macroeconomiche dall'attendibilità indubbia. E' più attento a realizzare una combinazione di molteplici strumenti (quindi non privilegia, come si è fatto nel passato, la politica monetaria, ma pone al centro la politica finanziaria e lo stimolo diretto agli investimenti produttivi pubblici e privati). Lega direttamente gli obiettivi agli strumenti, evitando di confondere gli uni con gli altri. Tiene conto dei vincoli esterni a cui la nostra economia deve purtroppo soggiacere nel breve termine.

Basta tutto ciò a qualificarlo come un programma che segna una svolta radicale nella conduzione degli affari economici, e che perciò assegna una prospettiva di rinnovamento tangibile, immediata, sicura alla società nazionale? Su ciò permangono ancora perplessità e riserve, che sono state espresse, ad esempio, dai sindacati dopo l'incontro avuto con i partiti democratici. Il punto che ha attirato le maggiori critiche è stata una caratteristica comune alle proposte contenute nella bozza programmatica, e cioè il fatto che esse sembrano proiettate troppo nel medio termine e perciò sembrano avere scarsa incidenza sulle condizioni presenti dell'economia italiana.

Qui tocchiamo il terzo gruppo di questioni che si erano indicate all'inizio, e cioè la corrispondenza tra gli orientamenti programmatici e i problemi immediati, che la congiuntura economica porrà sul tappeto nei prossimi mesi. Non vi è dubbio che dall'autunno in poi si registrerà nell'industria un sensibile rallentamento della produzione, e che l'occupazione lavorativa si ridurrà, se non altro per il mancato rimpiazzo dei lavoratori pensionati. La domanda interna si è infiacchita anche in seguito ai prelievi fiscali dei mesi scorsi. La politica monetaria è ancora poco espansiva, nonostante la recente riduzione del tasso ufficiale di sconto. Il ciclo economico si fa insomma nel nostro paese sempre più breve: espansione e ristagno si succedono cioè a tempi ravvicinati, il tetto all'espansione essendo costituito dalla strozzatura dei conti con l'estero e dal tasso di inflazione.

In queste circostanze rimarranno certamente delusi quanti si immaginano che i problemi venuti ad accumularsi nel corso degli anni, e che trovano nelle difficoltà attuali il punto di sbocco, possano avere soluzione nell'immediato, con un atto politico (e di politica economica) pure così significativo come un accordo tra le forze politiche democratiche. La prospettiva più realistica che l'esecuzione degli interventi concordati (un'esecuzione fedele, rigorosa, fatta sotto il controllo continuo delle forze politiche, priva di furbizie e di fughe in avanti) può aprire, è, nelle condizioni attuali, che la situazione non precipiti e che al tempo stesso si ponga mano ad una riforma dell'apparato produttivo lungo una direzione di marcia innovativa.

-Renzo Mazzetti- (Martedì 27 Dicembre 2022 h.07,52)


ESORDIO

(Meditazione su: Io non sono marxista di Marx)

I marxisti affermano che la loro teoria non è un dogma ma una guida per l'azione, che la loro dottrina è una scienza; è la scienza, cioè, che studia lo sviluppo della società, il movimento operaio, la rivoluzione proletaria, e, quindi, come scienza, essa è qualche cosa che si sviluppa si perfeziona a seconda delle nuove conoscenze e delle nuove esperienze. Fu in questo senso che Marx disse la famosa frase: “Io non sono marxista”. Egli, cioè, non era ciecamente legato alla sua dottrina; ma riteneva che questa si dovesse sviluppare e perfezionare nel corso della storia.

-Renzo Mazzetti- (Lunedì 7 Novembre 2022 h.11,33)


MISSILI E CUBA

(Meditazione sull'attacco americano contro Cuba del 1961 e i missili nucleari russi a difesa di Cuba del 1962)

L'invasione di Cuba fu il fallito tentativo di rovesciare il governo di Fidel Castro messo in atto dalla CIA per mezzo di esuli cubani anticastristi sbarcati sull'isola. Il 15 Aprile 1961, otto bombardieri partiti dal Nicaragua, bombardarono gli aeroporti dell'Avana, di Santiago e di San Antonio De Los Banos, causando numerose vittime e distruggendo una parte delle modeste forze aree dell'isola. Era il preludio del tentativo dell'invasione statunitense contro Cuba conosciuto come “Sbarco alla Baia dei Porci”. Nella notte tra il 16 e il 17 Aprile 1961, circa 1.300 fuoriusciti cubani reclutati, comandati e pagati dalla CIA furono scortati dalla marina militare statunitense dal Guatemala (dove erano stati addestrati per più di un anno) fino al largo della costa meridionale dell'isola e da qui inviati a prendere possesso di una spiaggia isolata ove stabilire una testa di ponte in attesa di una sollevazione popolare contro il governo di Fidel Castro, della quale la stessa CIA si diceva relativamente certa (in realtà sperando soprattutto che resistessero il tempo sufficiente per dichiararsi “governo provvisorio” e giustificare un attacco statunitense in grande stile). Furono subito scoperti e attaccati da quel che restava dell'aeronautica cubana, accerchiati da milizie popolari e forze regolari. Gli scontri a fuoco lasciarono sul campo circa 100 morti tra gli invasori e 160 tra le forze di difesa cubane, ma non vi fu nessuna sollevazione popolare contro il governo e il giorno dopo la battaglia era finita. L'invasione era stata respinta e i circa 1.200 invasori superstiti furono presi prigionieri e, dopo una complessa trattativa, furono rimandati negli Stati Uniti nel Dicembre 1962, in cambio di 53 milioni di dollari in cibo e medicine. Dopo la fallita invasione dell'isola da parte degli USA, che volevano rovesciare il governo di Fidel Castro, nel 1962 Cuba diede ai sovietici la possibilità di installare nel Paese una base missilistica con testate nucleari. Gli Stati Uniti non potevano tollerare una minaccia tanto grave e vicina al loro territorio e così attuarono un blocco navale dell'isola. Dopo alcune settimane di forte tensione, le due superpotenze riuscirono a trovare un accordo. Kennedy avanzò la seguente proposta: Se i missili fossero stati rimossi, gli Stati Uniti si sarebbero impegnati a non invadere Cuba e non appoggiare terze parti che lo avessero fatto; inoltre, avrebbero ritirato i loro missili dalla Turchia, ma senza rendere pubblico che il ritiro era effettuato in conseguenza della rimozione dei missili russi da Cuba. Una parte dell'accordo, in sostanza, doveva restare segreta, perché gli Stati Uniti non volevano essere accusati di abbandonare i loro alleati per tutelare i propri interessi nazionali. Kruscev accettò la proposta e nell'Ottobre 1962 annunciò la rimozione dei missili sovietici da Cuba. Il mondo tirò un sospiro di sollievo. Forse l'accordo fu agevolato da mediazioni esterne del Papa Giovanni XXIII, ma non lo si può affermare con certezza. Non è semplice stabilire a chi, tra USA e URSS, la soluzione della crisi giovò di più. In entrambi i Paesi le fazioni più oltranziste si dichiararono deluse: I “falchi” degli Stati Uniti protestarono sia per la rimozione dei missili dalla Turchia, sia per non aver colto l'occasione di eliminare Castro; quelli russi contestarono la scelta di cedere sui missili senza contropartite importanti. Quel che è certo è che Kruscev ottenne un risultato apprezzabile salvaguardando il governo castrista di Cuba. L'Unione Sovietica accettò di rimuovere i missili dall'isola e gli USA rimossero il blocco navale da Cuba. Nel mondo la piccola Cuba apparve come il nuovo Davide vittorioso sul grande Golia.

-Renzo Mazzetti- (Giovedì 27 Ottobre 2022 h.18,26)


PERTINI PARTIGIANO PRESIDENTE

(Meditazione su: “Ignominia e fuga dei fascisti” di Sandro Pertini. Rinascita anno XII – N. 4 Aprile 1955)

Di recente, alla Camera dei deputati, nel mio intervento sullo scioglimento del MSI dissi fra l'altro: “Nell'aprile 1945 i gerarchi fascisti, lanciando appelli dalla radio Milano, scagliarono contro di noi i giovani, mentre essi, gettate via le fastose divise in orbace, il volto non più feroce ma livido di paura, con il loro duce in testa, travestito da soldato nazista, pensarono solo a fuggire”.

Un deputato missino mi interruppe gridando: “Sono morti da soldati”. Non è vero. I gerarchi fascisti fuggirono e l'esempio fu dato loro da Mussolini e da Graziani. Lasciamo parlare i fatti. Mussolini, nel tardo pomeriggio del 25 Aprile, s'incontrò all'Arcivescovado di Milano con i rappresentanti del CLNAI [Comitato Liberazione Nazionale Alta Italia] per trattare la resa sua e dei suoi.

Aveva abbandonato ogni tracotanza e alterigia, era disfatto; un uomo ormai finito. La sua unica preoccupazione fu quella di chiedere che nei suoi confronti si applicassero le norme del diritto internazionale e cioè il CLNAI, accettata la sua resa, avrebbe dovuto considerarlo prigioniero di guerra; assicurargli l'incolumità fisica e consegnarlo quindi agli Alleati. Il compagno Emilio Sereni ed io, arrivati in ritardo all'Arcivescovado perché impegnati, quali membri del Comitato insurrezionale, alla periferia di Milano, ci opponemmo recisamente a queste condizioni. Mussolini doveva essere considerato un criminale di guerra e come tale trattato.

L'ex prefetto Tiengo, uno dei partecipanti a quell'incontro, sentita questa nostra ferma dichiarazione, si allontanò per correre a riferirla a Mussolini rientrato in Prefettura. Tiengo, ritornato poco dopo, con atteggiamento teatrale dichiarò testualmente: “Il duce ha deciso di non arrendersi”. Ricordo che il cardinale Schuster chiese proprio a me, che gli sedevo vicino: “E adesso che accadrà?”. - “Eminenza, la ruota ha incominciato a girare stamani, nessuno potrà più fermarla”, risposi al porporato costernato soprattutto, penso, per la sorte del “duce” di cui durante il ventennio era stato un entusiasta sostenitore. Mentre con il bravo compagno Filippo Carpi (Guido) lasciavo l'Arcivescovado, udimmo la radio Milano lanciare questo appello: “Attenzione, attenzione: tutte le camicie nere d'Oltrepo Pavese si concentrino in Milano”. Dunque Mussolini intendeva resistere sul serio? Bisognava prendere le adeguate misure e cioè, avvertire i comandi delle formazioni partigiane e prima di tutto gli operai della OM, della CGE, della Pirelli, ecc. i quali, eseguendo l'ordine del Comitato insurrezionale composto da Longo, Sereni, Valiani e da me, si erano dall'alba del 25 aprile asserragliati nelle fabbriche, trasformandole in fortilizi. Quel pomeriggio l'OM fu assediata da repubblichini e le maestranze con i loro tecnici chiuse nello stabilimento attraversarono momenti difficili. Noi vivemmo ore di ansia. Guai se i repubblichini fossero riusciti a entrare nella fabbrica. Furono più tardi dispersi da formazioni partigiane e la sera del 25 io potevo parlare agli operai e ai tecnici della OM.

Altrettanto accadde a quelli della CGE.

Mussolini voleva veramente cercare la morte eroica?

La verità la conoscemmo il 26 aprile, quando occupammo la Prefettura. Apprendemmo dagli uscieri e dagli impiegati rimasti, che Mussolini dopo l'appello-radio a tutte le camicie nere perché si concentrassero in Milano, pensò solo a preparare la fuga sua e degli altri gerarchi. Non un personaggio da tragedia, ma da farsa si rivelò ancora una volta. Fece raccogliere documenti riservati e soprattutto denari e gioielli e ordinò si formasse un'autocolonna. Mi raccontò un impiegato che più di una volta il “duce” si affacciò dal balcone, che dava sul cortile, e come un forsennato incitava i soldati tedeschi ed i suoi, a far presto, a non perdere tempo. Non riusciva più a dominarsi, a nascondere la sua paura. L'unica sua preoccupazione: fuggire. E questo mentre la radio lanciava alle camicie nere l'ordine di concentrarsi in Milano. Era tutta una commedia per ingannare noi ed i suoi giovani seguaci, i quali raccogliendo l'appello e credendo che il loro “duce” intendesse resistere, scesero in piazza contro di noi. Forse qualcuno di essi ripensava alle parole che dai balconi d'Italia il loro “duce” aveva più volte ripetuto con il volto feroce e con propositi bellicosi: “Se avanzo seguitemi, se indietreggio uccidetemi, se muoio vendicatemi”. No, il loro “duce” non cercava la morte eroica; si era arreso alla paura e pensava solo a salvarsi.

Ci dissero gli impiegati della Prefettura che Borsani, cieco di guerra, il quale con altri si trovava nel cortile in attesa di Mussolini, quando lo avvertirono del suo arrivo, lo esortò a non fuggire, a restare in Milano, a resistere. Mussolini a quella esortazione scrollò le spalle, manifestando fastidio, e si affrettò a salire in macchina. Borsani, saputo questo, non esitò a tacciare ad alta voce Mussolini di viltà e di tradimento.

E l'autocolonna con i gerarchi fascisti e il loro “duce” travestito da soldato nazista e le valigie piene di valuta estera e di preziosi si allontanò dalla Prefettura.

E sino all'ultimo Mussolini guarderà tremando alla morte, verso cui aveva spinto tanti giovani.

Rodolfo Graziani si dimostrò in quella occasione degno del suo “duce”. Mentre, staccatosi dall'autocolonna di Mussolini, tentava la fuga per altra via, fu arrestato il 28 aprile da alcuni matteottini. Il gruppo dei partigiani delle Matteotti, con Graziani, s'incontra a Como con il tenente americano Dadario. “Il leone di Neghelli” riesce ad avvicinarsi all'ufficiale americano: gli getta le braccia al collo e con voce piagnucolosa lo supplica di salvarlo, di sottrarlo ai partigiani. Il tenente Dadario lo calma, lo rassicura e dichiara ai matteottini che Graziani deve essere considerato prigioniero di guerra sotto la protezione del Comando alleato. Viene condotto nella metropoli lombarda e chiuso in una camera dell'Hotel Milano. Chi scrive, in ottemperanza all'ordine emanato dal CLNAI contro i criminali di guerra, ordinò che Graziani fosse fucilato, nonostante l'arbitraria dichiarazione del tenente americano. Purtroppo chi l'ordine doveva eseguire deplorevolmente tergiversò per debolezza o per altre ragioni e Graziani ebbe salva la vita.

Orbene, di fronte a questa viltà manifestata dai gerarchi fascisti stanno la serenità e la fierezza dimostrate dai condannati a morte della Resistenza. Leggete le lettere di questi patrioti. Nessuna retorica, nessuna declamazione vana, nessuna preoccupazione per le loro persone. Solo parole semplici, serene, piene di fede. Fra le molte due sole le scelgo: una di una popolana, l'altra di un operaio.

Irma Marchiani – medaglia d'oro della Resistenza – un'ora prima di essere fucilata scrive alla sorella:

Prigione di Pavullo, 26-11-1944.
Mia cara Pally, sono gli ultimi istanti della mia
vita... credimi non ho mai fatto nessuna cosa che
potesse offendere il nostro nome. Ho sentito il
richiamo della Patria per la quale ho combattuto, ora
sono qui... fra poco non sarò più, muoio sicura di
avere fatto quanto mi era possibile affinché la
libertà trionfasse. Baci e baci dal tuo e vostro Paggetto”.

Eusebio Giambone, operaio, il 3 aprile 1944 alla vigilia della sua fucilazione scrive alla sua compagna:


Fra poche ore io certamente non sarò più, ma
sta pur certa che sarò calmo e tranquillo di fronte
al plotone di esecuzione come lo sono attualmente.
Sono così tranquilli coloro che ci hanno condannati?
Certamente no. Essi credono con le nostre condanne
di arrestare il corso della storia: si sbagliano. Nulla
arresterà il trionfo della nostra idea”.

Da questo raffronto appare più che mai evidente la profonda differenza fra la statura morale dei capi fascisti e quella dei resistenti. Gli uni non erano che degli avventurieri pronti a giocare sulla pelle dei loro seguaci; gli altri erano degli uomini di fede, che consideravano la vita prezzo della loro idea.

-Renzo Mazzetti- (Sabato 13 Agosto 2022 h.13,09)


ELISIO VIVENTE

(Meditazione su: “Il libro del nuovo mondo morale” di Robert Owen)

Quest'opera è stata scritta per spiegare, in primo luogo, la causa dell'errore universale, che ha prodotto il disordine, la degradazione e la miseria della razza umana; e, in secondo luogo, per schiudere alla generazione presente un NUOVO MONDO basato su principi contrari a questo errore, e nel quale le cause che l'hanno prodotto cesseranno d'esistere. In questo Nuovo Mondo gli abitanti raggiungeranno una condizione di esistenza tale che uno spirito di carità e d'affetto pervaderà l'intera razza umana: l'uomo vivrà una vita spirituale e felice fra una razza di esseri superiori. La conoscenza di se stesso e della natura, che otterrà in tal modo, lo indurrà e lo renderà capace, per il suo stesso interesse o per il desiderio di felicità, a formare questi ordinamenti esterni e superiori, che lo collocheranno in un paradiso terrestre. Poiché in questo nuovo mondo tutti sapranno che con l'unione si può ottenere una felicità maggiore che con il disaccordo, cesserà ogni opposizione e contesa fra uomo e uomo, fra nazione e nazione, per interessi individuali o nazionali di qualsiasi genere Diventerà evidente a tutti l'immenso potere che, grazie al progresso della conoscenza, si può ora ottenere dalle circostanze esterne, controllate dalla società, per la formazione del carattere generale della razza umana e, di conseguenza, non si lascerà nessun bambino crescere nell'ignoranza, nella superstizione, o con disposizioni o abitudini inferiori; o senza la conoscenza della propria organizzazione, delle leggi della natura in generale, delle scienze utili e delle arti pratiche della vita. Perciò la degradazione della mente e del corpo, finora prodotta da una generale iniziazione nell'errore, riguardante l'organizzazione o i poteri naturali dell'uomo, e gli innumerevoli errori che ne conseguono, saranno completamente sconosciuti. Né esisteranno più i mali che ora sono causati dal desiderio, creato dall'ignoranza, di ottenere una superiorità individuale nella ricchezza, nei privilegi e negli onori; ma a tutti saranno assicurati vantaggi molto superiori a questi, e tutti proveranno sentimenti molto più elevati di quelli che le distinzioni individuali possono creare. Si formeranno dei sistemi scientifici per rendere la ricchezza, dovunque e in ogni tempo, più abbondante delle necessità o dei desideri della razza umana, e cesserà di conseguenza ogni brama d'accumulazione personale o qualsiasi disuguaglianza di condizione. La necessità di una produzione continua di ricchezza, per l'uso e il godimento di tutti, e il diritto d'ognuno di creare e di godere la giusta parte di essa, saranno ovvi ed ammessi.

-Renzo Mazzetti- (Sabato 6 Agosto 2022 h.11,44)


IL RISCATTO DEL LAVORO

(Meditazione su: “Inno dei lavoratori” di Filippo Turati)

Su fratelli, su compagne, su, venite in fitta schiera: sulla libera bandiera splende il sol dell'avvenir. Nelle pene e nell'insulto ci stringemmo in mutuo patto, la gran causa del riscatto niun di noi vorrà tradir. Il riscatto del lavoro dei suoi figli opra sarà: o vivremo del lavoro o pugnando si morrà. La risaia e la miniera ci han fiaccati ad ogni stento come i bruti d'un armento siam sfruttati dai signor. I signor per cui pugnammo ci han rubato il pane, ci han promessa una dimane: la dimane si aspetta ancor. Il riscatto del lavoro dei suoi figli opra sarà: o vivremo del lavoro o pugnando si morrà. L'esecrato capitale nelle macchine ci schiaccia, l'altrui solco queste braccia son dannate a fecondar. Lo strumento del lavoro nelle mani dei redenti spenga gli odii e fra le genti chiami il dritto a trionfar. Il riscatto del lavoro dei suoi figli opra sarà: o vivremo del lavoro o pugnando si morrà. Se divisi siam canaglia, stretti in fascio siam potenti; sono il nerbo delle genti quei che han braccio e che han cor. Ogni cosa è sudor nostro, noi disfar, rifar possiamo; la consegna sia: sorgiamo troppo lungo fu il dolor. Il riscatto del lavoro dei suoi figli opra sarà: o vivremo del lavoro o pugnando si morrà. Maledetto chi gavazza nell'ebbrezza dei festini, fin che i giorni un uom trascini senza pane e senza amor. Maledetto chi non geme dello scempio dei fratelli, chi di pace ne favelli sotto il pié dell'oppressor. Il riscatto del lavoro dei suoi figli opra sarà: o vivremo del lavoro o pugnando si morrà. I confini scellerati cancelliam dagli emisferi; i nemici, gli stranieri non son lungi ma son qui. Guerra al regno della guerra, morte al regno della morte; contro il diritto del più forte, forza amici, è giunto il dì. Il riscatto del lavoro dei suoi figli opra sarà: o vivremo del lavoro o pugnando si morrà. O sorelle di fatica o consorti negli affanni che ai negrieri, che ai tiranni deste il sangue e la beltà. Agli imbelli, ai proni al giogo mai non splenda il vostro riso: un esercito diviso la vittoria non avrà. Il riscatto del lavoro dei suoi figli opra sarà: o vivremo del lavoro o pugnando si morrà. Se eguaglianza non è frode, fratellanza un'ironia, se pugnar non fu follia per la santa libertà. Su fratelli, su compagne, tutti i poveri son servi: cogli ignavi e coi protervi il transigere è viltà. Il riscatto del lavoro dei suoi figli opra sarà: o vivremo del lavoro o pugnando si morrà.

-Renzo Mazzetti- (Lunedì 11 Luglio 2022 h.12,23)


DOLLARO E SUDDITI ARMATI

(Meditazione su: “Liberarci dalla sudditanza del dollaro” estratto dal “Programma dei comunisti per un governo di svolta democratica” approvato dal XIII Congresso del PCI del 13-17 Marzo 1972)

Occorre operare in questa Europa e con questa Europa per fare del dollaro una moneta come tutte le altre: è questa una condizione essenziale per evitare che ogni decisione programmatica da parte della nostra nazione venga rimessa in discussione da scelte decise fuori dall'Italia e dall'Europa e dettate dagli interessi economici e di potenza degli imperialisti americani. I comunisti si battono per una prima conferenza europea sulla sicurezza e la cooperazione, per la riduzione bilanciata e controllata delle forze armate e degli armamenti, per l'eliminazione di tutte le basi straniere e delle servitù militari.

-Renzo Mazzetti- (Lunedì 16 Maggio 2022 h.09,05)


DISARMARE PACIFICARE PER LA VITA

(Meditazione su: Il comunicato anglo-sovietico, Mosca 3 marzo 1959. Giornale del mattino, mercoledì 4 marzo 1959)

Ecco il testo del comunicato congiunto anglo-sovietico sottoscritto oggi al Cremlino da Mac Millan e Krusciov:

“Su invito del governo dell'Unione Sovietica, il signor Harold Mac Millan, primo ministro del Regno Unito, accompagnato dal segretario di stato agli affari esteri, Selwyn Lloyd, e dai consiglieri ufficiali, si è recato in visita ufficiale nell'Unione Sovietica dal 21 febbraio al 3 marzo 1959. Nel corso della loro visita Mac Millan e Selwyn Lloyd hanno avuto occasione di avere discussioni con il primo ministro sovietico Nikita Krusciov, e con altri membri del governo sovietico, compresi Mikoian, primo vice presidente del consiglio dei ministri, e Gromiko, ministro degli esteri dell'Unione Sovietica”.

I problemi.

“Questi colloqui hanno avuto per argomento alcuni tra i più importanti problemi che costituiscono attualmente motivo di preoccupazione generale in campo internazionale. Le due parti hanno tuttavia tenuto conto del fatto che alcuni problemi riguardano molti altri Paesi oltre l'Unione Sovietica e il Regno Unito. Benché non abbiano proceduto a negoziati, i primi ministri nel corso dei colloqui da essi avuti per dieci giorni, anno potuto avere un utile scambio di vedute, su questi problemi.

Essi hanno approfittato di questa occasione per illustrare il loro atteggiamento e le ragioni che lo motivano, per quanto concerne tutti i problemi discussi. I liberi scambi di idee che hanno avuto luogo hanno creato una migliore comprensione degli atteggiamenti rispettivi dei due governi ed hanno, di conseguenza, apportato un utile contributo in vista dei negoziati internazionali, più ampi, che devono avere luogo.

I primi ministri hanno convenuto che un progresso realizzato verso la soluzione del problema del disarmo apporterebbe un contributo maggiore al mantenimento della pace.

Esso contribuirebbe ad aumentare la fiducia internazionale e a ridurre l'onere delle spese militari.

Essi si sono messi d'accordo per proseguire i loro sforzi allo scopo di realizzare dei progressi in questo campo.

Il loro obbiettivo comune rimane l'interdizione finale delle armi nucleari e l'utilizzazione dell'energia nucleare a soli scopi pacifici.

Essi hanno tuttavia riconosciuto la grande importanza di giungere a un accordo sulla cessazione delle esplosioni nucleari a scopo sperimentale, con un sistema efficace di ispezione e di controllo internazionale.

Essi hanno passato in rassegna i lavori della conferenza di Ginevra sulla sospensione degli esperimenti nucleari e hanno deciso di continuare i loro sforzi per giungere a un accordo soddisfacente.

Essi ritengono che un accordo del genere ridurrebbe la tensione, eliminerebbe il possibile pericolo per la salute e per la vita, costituito dalle esplosioni nucleari sperimentali, e contribuirebbe ad arrestare gli sviluppi futuri delle armi nucleari.

I primi ministri hanno scambiato delle complete spiegazioni dei punti di vista rispettivi dei loro governi sui problemi relativi alla Germania, compreso quello di un trattato di pace con la Germania, e il problema di Berlino. Essi non sono stati in grado di mettersi d'accordo sugli aspetti giuridici e politici di questi problemi.

Contemporaneamente essi hanno riconosciuto che è della massima importanza, per il mantenimento e per il consolidamento della pace e della sicurezza in Europa e nel mondo, che questi problemi siano risolti in maniera urgente. Essi hanno di conseguenza riconosciuto la necessità che negoziati urgenti siano aperti tra i governi interessati, per stabilire la base di una soluzione delle loro divergenze. Essi ritengono che negoziati del genere potrebbero stabilire le fondamenta di un sistema stabile di sicurezza europea. In questo campo essi hanno convenuto che uno studio più ampio potrebbe essere utilmente fatto circa le possibilità di aumentare la sicurezza con qualche sistema di limitazione delle forze e degli armamenti, sia classici che nucleari, in una regione determinata dell'Europa parallelamente allo stabilimento di un appropriato sistema di ispezione”.

I negoziati.

“In relazione con tutti questi problemi, i primi ministri hanno accettato il principio secondo il quale le divergenze tra i paesi dovrebbero essere risolte mediante negoziati e non con la forza.

Essi hanno riconosciuto che se si vuole che tali negoziati giungano a buon fine è importante che ciascuna parte compia uno sforzo sincero per comprendere il punto di vista dell'altra.

Essi sono d'accordo nel dichiarare che la presente visita del primo ministro e del ministro degli esteri britannici nell'Unione Sovietica, ha costituito un valido contributo a una comprensione del genere.

I primi ministri hanno inoltre discusso un certo numero di problemi particolari concernenti direttamente i governi del Regno Unito e dell'Unione Sovietica.

I primi ministri hanno espresso la loro fiducia che i contatti personali stabiliti tra i capi dei governi dell'Unione Sovietica e del Regno Unito saranno continuati nell'interesse dello sviluppo dell'amicizia e della cooperazione tra i popoli dei due paesi e nell'interesse della preservazione e del consolidamento della pace universale.

Firmato: Harold Mac Millan, primo ministro del Regno Unito, e Nikita Krusciov, presidente del consiglio dei ministri dell'Unione Sovietica”.

-Renzo Mazzetti- (Domenica 1 Maggio 2022 h.11,44)


RADIO MILANO LIBERTA’

(Meditazione su: Col concorso del popolo eliminare tutti i gerarchi fascisti (sunto). Palmiro Togliatti da Radio Milano Libertà, 4 Gennaio 1944)

La necessità di concentrare l'attenzione su altri problemi più urgenti non ci ha permesso sinora di commentare il decreto recente del governo del maresciallo Badoglio, che prevede la eliminazione di tutti coloro che sono stati gerarchi fascisti, dai posti che tuttora occupano nell'apparato dello Stato e nelle amministrazioni locali. Consideriamo questo decreto come un primo passo serio sulla via della lotta spietata che deve essere condotta per liberare il paese dai residui immondi della dittatura fascista. Per quanto riguarda le regioni libere, cioè il Mezzogiorno e le isole, la sola cosa che abbiamo da osservare è la seguente. Aver fatto un decreto e basta. L'essenziale è la sua applicazione, e in questo caso l'applicazione non potrà essere efficace se non partecipano ad essa le organizzazioni popolari antifasciste e le masse del popolo. Fino a che le cose si svolgeranno fra le quattro pareti dei locali di una commissione, sarà troppo facile a qualsiasi gerarca far veder il nero per il bianco, nascondere i suoi delitti o presentarsi come un elemento di cui oggi non si possa fare a meno. Anche i funzionari che dirigono l'amministrazione provvisoria alleata stanno accorgendosene. Quante non sono le canaglie fasciste, quanti non sono i gerarchi abietti e odiati dal popolo, che sono riusciti dopo lo sbarco e l'avanzata alleata, a rimanere al loro posto e persino a ricevere dei nuovi incarichi importanti. Il metodo che essi hanno seguito per raggiungere questo scopo è sempre stato lo stesso; si sono presentati al comando alleato, hanno lustrato le scarpe, alla fascista, a qualche funzionario alleato ignaro delle cose italiane, e così hanno ottenuto di ricevere dei posti alle volte importanti. Oggi, a quanto sappiamo, gli alleati stessi si stanno accorgendo dell'errore commesso e stanno correggendolo. I gerarchi fascisti che erano riusciti, in questo modo, col raggiro e con le menzogne, a ottenere dei posti, utilizzavano questi posti unicamente per fare opera di tradimento e di oppressione del popolo. Oggi incominciano ad essere cacciati e puniti. Bisogna quindi che il decreto del governo Badoglio sulla cacciata e sulla punizione dei gerarchi venga applicato rigorosamente, evitando di ricadere nell'errore. Ma questo si potrà fare sul serio soltanto se l'applicazione di questo decreto sarà il risultato di una larga campagna, a cui siano attirate le masse popolari e le loro organizzazioni. Quando una casa è invasa dalle cimici e si vuole ripulirla, non ci si limita ad andare a cercare gli insetti e a ucciderli uno per uno, ma si spalancano le finestre, si fa entrare il sole, si fa penetrare fino negli angoli più remoti il disinfettante che distrugge per sempre i parassiti. Questo disinfettante, nel caso dei gerarchi fascisti, è l'odio sacrosanto del popolo contro gli uomini abietti che per venti anni lo hanno oppresso e dissanguato. Siano aperte dunque le porte al popolo e ai suoi rappresentanti diretti, cioè agli uomini e alle organizzazioni in cui il popolo ha fiducia, se si vuole che la cacciata dei gerarchi sia davvero cosa radicale.

-Renzo Mazzetti- (Domenica 24 Aprile 2022 h.14,52)


COSCIENZA SECOLARE PENSANTE

(Meditazione su coscienza e pensiero)

Coscienza è il conoscimento di sé medesimo, è consapevolezza dei fini e del valore delle proprie azioni, è cognizione di qualche verità speculativa certa incontrastabile. Libertà di coscienza, facoltà di credere come uno vuole nella fede politica, religiosa. Paul Valéry: “Ogni punto di vista è falso”, rappresentò la “poesia pura”; studi scientifico-matematici, una profonda revisione del linguaggio; scrisse saggi nei quali il problema psicologico della conoscenza è analizzato con metodo essenzialmente cartesiano (Descartes Renato: filosofo, fisico, geografo in cui la chiarezza proviene solo da un criterio di evidenza, cioè da un riconoscimento intuitivo della verità raggiunta con la scomposizione di ogni fatto nei suoi elementi costitutivi a mezzo delle operazioni: metodo, analisi, sintesi, enumerazione, distinzione in ordine numerabile e isolamento fino alla chiarezza, il riconoscimento dell'evidenza. In questo modo resta valida, come sola realtà, quella del proprio pensiero, in quanto la coscienza stessa dell'atto pensante è l'unica nozione di essenza che si possieda e dalla quale tutto deriva). Il poemetto “Jeune Parque” di Paul Valéry è un soliloquio della creatura scaduta dall'incorruttibilità originaria priva di pensiero alla viva contaminazione della coscienza.

-Renzo Mazzetti- (Venerdì 8 Aprile 2022 h.17,01)


POESIA AGLI AMICI DI DOMENICA

Nel ringraziare per lo splendido convivio culturale invio i miei saluti affettuosi. (Meditazione su: Indicibile, Incontro, Supposte esplosive (privilegi armati), Filastrocca armata, Distruggi tutte le armi)

INDICIBILE MERCOLEDI' 19 DICEMBRE 2012 h. 06,39.

Caro compagno, siamo impegnati nella propaganda per la manifestazione dell'11 ottobre. Abbiamo affisso i manifesti nelle tre bacheche, in quattro circoli ricreativi e diffuso in tutto il comune di Montopoli in Val d'Arno (Pisa), in quasi tutte le cassette delle lettere, almeno 1.500 volantini. Strada facendo abbiamo incontrato persone che domandavano cosa si portava. Alla nostra risposta che portiamo la propaganda di Rifondazione Comunista accettavano il volantino domandando di cosa si trattava trattenendosi a parlare per un po'. Caro compagno Bertinotti, è probabile che la parola comunismo sia indicibile assecondo che ambienti si frequenta. Se, come noi, si frequentassero ambienti di lavoratori e pensionati con persone cosiddette ''comuni'', il comunismo sarebbe, come è, una parola degna e piena di significato. Essere comunisti per noi è uno stimolo costante nella ricerca della qualità nel nostro fare politica. Cordiali saluti. Firmato: Il Circolo del Partito della Rifondazione Comunista di San Romano; lì, 7 ottobre 2008. ( Lettera aperta al compagno Fausto Bertinotti, ai giornali Liberazione e Il Manifesto. Per conoscenza al compagno Paolo Ferrero ) . (Ricordo da un racconto di Tirella)

I N C O N T R O
E sentivo
che tu sentivi
quel richiamo
della nostra foresta:
se il vento fischiava
ora fischia più forte...
Un bacio
ad ogni strofa
sulle labbra entusiasma
quello e questo entusiasmo.
Contessa del mondo
nostra unica Patria.
Momenti magici
perenni rivivono
vivono!
-Renzo Mazzetti- (2001)

SUPPOSTE ESPLOSIVE (PRIVILEGI ARMATI) DOMENICA 21 OTTOBRE 2018 h.06,12.

Quando feci il servizio militare in marina (un anno in più) il comandante mi consigliò, con il volume e il tono di un ordine: firma! Firma significava l'arruolamento volontario, ma io ero un operaio metalmeccanico e avevo ormai scritto nel mio destino le lotte dell'Autunno Caldo, quelle dopo il Sessantotto Studentesco. Vedi, poi continuò, con il tono basso e invitante del cospiratore: nessun politico ha il coraggio di darci contro. Abbiamo chiesto l'aumento dello stipendio, con più attenzioni e facilitazioni normative (traduci privilegi) che, se menano il can per l'aia e poi rifiutano, gli ho detto che porto la mia nave davanti a Ostia e sparo sui palazzi dove si annidano tutti quegli stronzi. Le mie supposte esplosive saranno più convincenti di tanti discorsi e scioperi dei finocchi del sindacato. Cazzo! (Ricordo da un racconto di Bicefalo)

FILASTROCCA ARMATA
Com'è bello spendere una ventina di miliardi di euro all'anno com'è bello
com'è bello spendere più di sessanta milioni di euro al giorno com'è bello
com'è bello spendere molto spendere male com'è bello
com'è bello spendere molto spendere male com'è bello
com'è bello spendere molto spendere male com'è bello
com'è bello spendere irrazionale inefficiente com'è bello
com'è bello spendere irrazionale inefficiente com'è bello
com'è bello spendere irrazionale inefficiente com'è bello
com'è bello spendere una ventina di miliardi di euro all'anno com'è bello
com'è bello spendere più di sessanta milioni di euro al giorno com'è bello
com'è bello spendere più di cinque miliardi all'anno in armi com'è bello
com'è bello spendere più di quindici milioni al giorno in armi com'è bello
com'è bello il cacciabombardiere effe trentacinque com'è bello
com'è bello il nuovo corazzato da combattimento com'è bello
com'è bello navigare con la nuova nave da guerra com'è bello
com'è bello l'aereo sulla seconda portaerei com'è bello
com'è bello l'aereo sulla prima portaerei arrugginita com'è bello
com'è bello il missile della fregata com'è bello
com'è bello cacciabombardiere nave corazzato portaerei fregata com'è bello
com'è bello spendere una ventina di miliardi di euro all'anno com'è bello
com'è bello spendere più di sessanta milioni di euro al giorno com'è bello
com'è bello spendere più di cinque miliardi all'anno in armi com'è bello
com'è bello spendere più di quindici milioni in armi al giorno com'è bello
com'è bello spendere più di quindici milioni in armi al giorno com'è bello.
-Renzo Mazzetti- (9 Luglio 2018)

DISTRUGGI TUTTE LE ARMI
Se la tua aspirazione prioritaria
è un mondo di pace e di fratellanza,
se desideri veramente la pace
dentro ogni popolo e tra tutti i popoli,
prepara tutto, punto per punto, tutto per la pace.
Se il tuo primo pensiero irrinunciabile
si rivolge alla giustizia e all'uguaglianza,
all'amore per tutti gli esseri viventi
contro ogni tipo di sfruttamento e di prevaricazione,
se desideri veramente la pace, distruggi tutte le armi.
-Renzo Mazzetti- (24 Marzo 2014)
-Renzo Mazzetti- (Lunedì 21 Marzo 2022 h.10,53)


UCRAINA GUERRA E CONCILIO

(Meditazione su: Ricordo di una lettura sulla carta stampata sull'Ucraina, Enciclopedia Hoepli)

L'Ucraina fu teatro di sanguinose lotte fra reazionari e bolscevichi, il ritmo evolutivo della letteratura nazionale riprese regolare nella tranquillità assicurata dal regime sovietico, fautore del libero sviluppo culturale di ogni nazione convivente dentro i confini dell'URSS. Poeti simbolisti e futuristi, narratori proletari e marxisti attestarono il radicale rinnovamento e la crescente vitalità di una letteratura oppressa per secoli. Rileggo: Il drammaturgo Oleksander Korneicuk, più volte premiato per i suoi lavori ispirati alla guerra civile, i narratori Iuriy Ianovskyj, Petro Panc, Ostap Vysnja, i poeti Pavlo Tycina, Maxym Rylskyj, Mykola Bazan. I primordi della storia dell'Ucraina si identificano con quelli della storia della Russia. I territori che presero più tardi il nome di Ucraina erano inclusi nel principato di Kiev sotto la dinastia dei Rjurikidi, con il principe Vladimiro I, il Santo che si convertì al cristianesimo di Bisanzio, il principato passò nell'ambito della cultura bizantina. Subì ungheresi, lituani, polacchi. Il contrasto tra polacchi e ucraini si acuì, anche per il fatto che, dopo il Concilio di Brzese, avendo i vescovi ortodossi d'Ucraina mantenuto il rito orientale, pur riconoscendo la supremazia della Chiesa di Roma, si formarono in Ucraina due gruppi religiosi: I cattolici di rito latino (Polacchi) e i cattolici di rito ortodosso (in maggioranza Cosacchi). Eccetera, eccetera, eccetera.

-Renzo Mazzetti- (Sabato 19 Marzo 2022 h.09,47)


GUERRA ALLA GUERRA

(Meditazione su: "Guerra alla guerra", documentario del 1946, regia di Romolo Marcellini e Giorgio Simonelli)

Il mondo offre agli uomini i preziosi doni di Dio, che essi con il proprio lavoro trasformano in elementi di vita e di felicità. Ma purtroppo non sono capaci di goderne tranquillamente, giacché si lasciano dominare dall'egoismo, dall'avidità ed ecco sorgere le guerre che insanguinano la terra: in piena pace, gli uomini preparano eserciti e strumenti di distruzione. Solo una voce si leva ad ammonire, a richiamare gli uomini alla ragione: la voce del Pontefice. A nulla servono i generosi sforzi del Papa, il suo intervento personale e scoppia l'immane conflitto. Vediamo in sintesi tutte le fasi, tutti gli aspetti della sanguinosa tragedia. Alle infinite sofferenze dell'umanità impazzita cerca, con opera diuturna, di recar sollievo la Chiesa. Si apprestano ricoveri e cibi, si organizzano treni di soccorso, si organizza lo scambio dei prigionieri e dei malati, si organizza un mirabile servizio d'informazioni. E quando l'immane conflitto cessa, almeno nella maggior parte del mondo, è ancora la Chiesa che continua infaticabile a curare le ferite ancora aperte, è la voce del Pontefice che si leva ammonitrice a persuadere i figli, a disperdere i fermenti malefici, a mostrare a tutti le vie della carità e della vera pace.

-Renzo Mazzetti- (Martedì 1 Marzo 2022 h.15,20)


CIN CIN DI TEODORO

(Meditazione su: Il brindisi di Teodoro al banchetto comunista organizzato dal Journal du peuple di Dupoty a Belleville, Parigi, 1840)

Il cittadino Théodor Dézamy, redattore del giornale L'égalitaire: All'emancipazione del lavoratore! All'educazione egualitaria! Cittadini! In tre fasi si compendiano tutte le parole che il presente desta e che si disputano l'avvenire: Capitale, lavoro, talento. Affrettiamoci a respingere l'aristocrazia del capitalista, perché ogni proprietà individuale consacra lo sfruttamento del lavoratore da parte dell'ozioso. Respingiamo così con tutte le nostre forze l'aristocrazia del più dotato. In qualunque forma si sviluppi, l'ineguaglianza è una causa inesauribile di miserie e di discordie, un fermento perenne di odi e di rivoluzioni. Porre come fondamento dell'edificio sociale il minimo privilegio, è preparare per l'avvenire una catastrofe inevitabile! Perché mai il capitalista o il più dotato dovrebbero dunque divorare la sostanza comune? Perché questa doppia e rivoltante iniquità, per cui il debole e l'infermo sono in balìa della forza, dell'intrigo e della poltroneria? Perché questa lebbra impura che ammorba tutte le nostre gioie più legittime, tutt'intera la nostra esistenza? Non più monopolisti! Non più privilegiati! Non più oziosi! Non più schiavi! Non più signori! Libertà! Uguaglianza! Fraternità! Ecco cosa costituisce la felicità perfetta! Ecco lo scopo reale dell'umanità! Tutti desideriamo ardentemente giungere a questa meta. Qual è dunque il cammino più breve? Ecco la domanda che ciascuno di noi deve porsi. Cittadini! Il cammino più breve per giungere alla felicità comune è l'educazione egualitaria: Questa è la nostra ferma e sincera convinzione. Perciò non cesseremo di avvicinare e di ripetere queste due potenti formule: All'emancipazione del lavoratore! All'educazione egualitaria!

-Renzo Mazzetti- (Mercoledì 29 Dicembre 2021 h.09,50)


STATALE 429 (FANGHI SOTTO LA STRADA)

(Meditazione su: “Vicenda Keu-Fanghi Conciari” di Maria Vanni e Giuseppe Novino, Montopoli in Val d'Arno, 23 novembre 2021).

Il nostro comprensorio dal mese di Maggio di quest'anno è alla ribalta sui mezzi stampa e trasmissioni televisive, come la 7 per la vicenda Keu -Fanghi Conciari. In qualità di ex assessori all'ambiente e consiglieri del Comune di Montopoli e per un dovere civico verso i nostri concittadini riteniamo che per inquadrare meglio la vicenda occorra ripercorrere anche la storia e capire così quando sono state prese decisioni che hanno probabilmente direttamente o indirettamente inciso sui fatti di inquinamento ambientale che oggi stanno emergendo nelle indagini della Magistratura sullo smaltimento illecito dei fanghi conciari. E' fuori dubbio che nel Comprensorio del Cuoio fin dagli anni ottanta la problematica ambientale sia stata particolarmente sentita e partecipata in particolare sul tema della depurazione delle acque e come conseguenza quello delle maleodoranze e dei rifiuti. Per questo motivo la allora USL 17 aveva dato vita ad una prima esperienza di prevenzione ambientale con la realizzazione di un Centro di Telerilevamento in continuo delle Emissioni in atmosfera degli impianti di Depurazione della zona del Cuoio, Esperienza innovativa e rivoluzionaria per l'epoca. L'esperienza viene interrotta nel 1989 prendendo a pretesto i lavori di ampliamento e ristrutturazione degli impianti di depurazione. Ma nel 1996 con la nascita dell' ARPAT sotto la forte spinta dei Comitati antinquinamento, di alcune forze politiche locali e tramite l'accordo (concertazione) fra alcune Amministrazioni comunali di (S.Miniato e Montopoli) si ricrearono le condizioni favorevoli per la RlATTlVAZlONE del NUOVO CENTRO di Telerilevamento che con sede in San Romano si occuperà quindi di Prevenzione dell'Inquinamento Atmosferico. Gli altri controlli istituzionali compresi quelli sui Rifiuti prodotti nel Comprensorio del Cuoio sono di stretta competenza del Dipartimento Provinciale Arpat di Pisa. Questa tecnica di controllo, anticipando le norme europee sui controlli integrati pone le basi per l'Emas di distretto, per la certificazione del prodotto Pelle, imponendo la regola del progressivo miglioramento ambientale che è concordato tra tutte le parti interessate alla tutela ambientale. La sensazione di una presenza forte sul territorio, con risultati più che positivi, documentati dai resoconti che periodicamente venivano forniti da ARPAT alle Amministrazioni Locali, ed apprezzati dagli abitanti locali, attivano un percorso di progressivo potenziamento della struttura servizio Locale. Nell'Ottobre del 2006 era cosi apprezzata l'esperienza del Centro che viene firmato un accordo tra la direzione generale di Arpat, il Dipartimento provinciale Arpat, la Provincia di Pisa e i comuni del Comprensorio per il potenziamento dei controlli nel comprensorio e il riconoscimento del Telerilevamento come Centro ad Eccellenza Regionale da prendere ad esempio ipotizzando il possibile inserimento e monitoraggio di altre importanti attività operanti sul territorio regionale che avevano problematiche analoghe. Si cominciano ad avvertire, non casualmente, però anche pressioni contrarie. Inizia un lungo dibattito sulla utilità di una struttura forte locale e purtroppo tutto questo porta attorno al 2010-2011 alla chiusura del Servizio Locale a San Romano da allora, solo sede di appoggio per gli operatori che nel frattempo passano da 8-10 operatori a solo 2, senza più disporre di specialisti eper di più senza quegli strumenti che avevano consentito di fare prevenzione rappresentando, in questo senso, solo fumo negli occhi. E' stato un gravissimo errore dal punto di vista politico oltre che tecnicamente ingiustificato. Si ha la sensazione che ci sia un momento di declino dalle attenzioni verso la tutela e il rispetto dell'ambiente e della salute, tanto che a Montopoli all'assessore all'ambiente che faceva notare certe incongruenze viene tolta la delega e nasce il gruppo misto così da continuare a porre l'attenzione sulle questioni ambientali, sui controlli e sullo smantellamento del dipartimento Arpat di San romano. In questo periodo su Montopoli viene portata l'attenzione anche sullo spargimento in notturna di ammendante in diversi campi e vengono richiesti controlli e rassicurazioni. Tutto ciò probabilmente non può essere accaduto senza il consenso della Provincia di Pisa, della direzione di Arpat, del Dipartimento ARPAT di Pisa, dei Comuni del Comprensorio in particolare S.Croce e Montopoli V/A. che di fatto si contraddicono rispetto a precedenti decisioni. È singolare che l'allora assessore all'Ambiente, attuale Sindaco di S.Croce S/A, sicuramente mal consigliato, abbia condiviso questo passaggio che ha avuto come conseguenza probabilmente una diversa modalità dei controlli in qualità e quantità, venendo meno in particolare quelli in continuo strategici sui maggiori impianti. È singolare che anche l'allora Responsabile del Dipartimento dell'ARPAT che a quanto pare non ha fatto nulla per evitarne la chiusura (o non gli era permesso?) e che, continuando a ricoprire incarichi importanti e strategici, ora nuovamente Direttore Tecnico, invece prenda le distanze da una scelta politica e tecnica che ha costituito sicuramente la premessa perché i soggetti da controllare si siano sentiti più liberi di agire. Tornando alle vicende attuali siamo dubitativi sul fatto che: - i 2 operatori rimasti a San Romano, che ci risulta non avere nessuna autonomia, che eseguono compiti loro assegnati dai dirigenti del Dipartimento, abbiano favorito reati ambientali. Basta pensare che le date dei controlli programmati agli scarichi idrici erano un segreto di "Pulcinella", in quanto tutti, compreso quindi anche i gestori degli impianti di Depurazione, erano in grado di prevedere con largo anticipo la data del controllo la cui periodicità (quindicinale) era stabilita peraltro da una Legge della Regione Toscana. Sarebbe interessante capire invece se i responsabili del dipartimento Arpat di Pisa in questi dieci anni hanno disposto di effettuare con una certa frequenza anche i controlli a "sorpresa ”. Ma il fatto ancora più strano è che venga dato molto risalto da parte dei mezzi di informazione, ad un presunto inquinamento idrico ipotizzando un collegamento dello stesso con il KEU che non ha alcun senso, in ragione del fatto che il reato contestato dalla Magistratura è, per lo smaltimento illecito di rifiuti [ SOLIDI !!! ]. Questo rischia di essere fuorviante per l'opinione pubblica che può pensare che ci sia la volontà di nascondere chissà cosa. Noi abbiamo la massima fiducia nella Magistratura che deve continuare ad indagare ma ci domandiamo perché la Direzione di Arpat e il Dipartimento provinciale di Pisa non si sono sentiti ancora il dovere di fare chiarezza assumendosi le proprie responsabilità. E non c'è niente di male ad ammettere che forse anche, per carenza di organico e di organizzazione, si sono dimenticati, in questi ultimi 10 anni di fare frequentemente i "controlli a sorpresa” anche e sopratutto sul rifiuti [ SOLIDI !!! ] in uscita dal comprensorio del Cuoio, attività di competenza del Dipartimento Provinciale. Crediamo che sia questo uno dei motivi per cui, giustamente, i Comitati che rappresentano coloro che abitano nei pressi della SS n.429 lamentano che dal 2010 siano stati pressochè assenti i controlli PREVENTIVI sui materiali collocati sotto il manto stradale considerato che tale smaltimento era autorizzato a tale scopo. In merito a ciò ci rivolgiamo anche al Sindaco del Comune di Montopoli per ricordare che dato che nel passato con interrogazioni (dal 2011 ai 2013 circa) e segnalazioni e stato da noi messo in evidenza che nel territorio di Montopoli si è assistito alla distribuzione di materiale anomalo. Forse sarebbe opportuno che il Sindaco in maniera preventiva chiedesse un controllo e una verifica per tutelare e togliere così ogni dubbio ai nostri concittadini. Infine abbiamo la sensazione che la questione ambientale e quella, in particolare della Politica Provinciale inerente alla Gestione dei Rifiuti e delle discariche in qualche modo sia direttamente e indirettamente collegata alle vicende attuali. E' evidente che dobbiamo ripartire condividendo tra tutte le parti sociali l'obiettivo della tutela della salute attraverso una maggiore tutela del territorio ed è naturale che debbano essere potenziati i controlli ambientali in generale su tutto il territorio della Regione ma in particolare nell'area del Cuoio rivedendo l'organizzazione, riportando nel comprensorio una vera Struttura di controllo come era fino al 2011. E se vogliamo aprire veramente una nuova fase, occorrerà rinnovare anche la dirigenza con riferimento anche a coloro che hanno prima condiviso scelte di depotenziamento, inopportune [ DANNOSE !!! ], e poi gestito la riorganizzazione, auspicando ora una maggiore puntualità nei controlli. Crediamo che il Comprensorio tutto, dalle aziende conciarie ai lavoratori impiegati e quindi tutti coloro che hanno sempre operato in conformità alle leggi ambientali, se vogliamo anche prima e meglio di tanti altri distretti, debba tornare ad essere identificato per i meriti che giustamente hanno sempre vantato per la qualità del prodotto pelle ed il ruolo importante avuto nell'economia e nella tutela ambientale. (Meditazione su: “Vicenda Keu-Fanghi Conciari” di Maria Vanni e Giuseppe Novino, Montopoli in Val d'Arno, 23 novembre 2021).

-Renzo Mazzetti- (Lunedì 13 Dicembre 2021 h.17,39)


GRILLO VANO

(Meditazione su: La trave nell'occhio, postato da Grillo Beppe alle 15:39 in muro del pianto il 15 Agosto 2009).

Una montagna di balle. L'aria è pesante in questo Ferragosto. Troppi ormai girano con una trave nell'occhio. Non temono più alcuna conseguenza. La trave nell'occhio, se esibita con disinvoltura in pubblico, è diventata un segno di riconoscimento sociale. Uno status symbol. L'Italia è un Inferno che simula il Paradiso. Il Parlamento è il girone infernale più ambito. Una volta giunto lì puoi fare tutto quello che è proibito ai comuni cittadini. Alle anime morte che sono diventate oggi tanti italiani. Puoi consentirti un tal numero di travi nell'occhio da mettere su una falegnameria. Droghe pesanti, mafia, camorra, corruzione, prostituzione. Un deputato cocainomane non commette peccato, un falegname che coltiva canapa viene ammazzato. Il secondo cerchio, oltre al Parlamento, è ugualmente protetto. E' la Borsa Italiana, terreno di vita e di guadagni di Tronchetti, Geronzi, Tanzi, Cragnotti, dell'ubiquo Berlusconi e dei discendenti della famiglia Agnelli. Nel terzo cerchio prosperano i faccendieri, gli amministratori locali, i picciotti più semplicemente i lecca culo. Sono legioni e legioni. Portano sulle pupille travi più piccole dei loro padroni, ma, tra tutti, sono i più sfrontati, i più beceri. Insultano ragazzi in pubblico e li fanno trascinare via dalle forze dell'ordine. Il quarto cerchio contiene i quaqquaraquà, i bocca chiusa, gli indifferenti, i mi volto dall'altra parte, i mio nonno ha campato cent'anni perché si faceva i cazzi suoi. Sono eserciti, sono infiltrati ovunque, nelle famiglie, negli uffici, nelle chiese. A protezione di questo fantastico mondo di travi ci sono i cultori della menzogna. Allevati nelle redazioni dei giornali, negli uffici stampa dei partiti, negli studi televisivi. Mentitori di razza che starnazzano come le oche del Campidoglio contro ogni accenno di verità. Cercatori di peli nell'uovo negli avversari del sistema. Trasformano il bianco in nero. La merda in oro. Un cialtrone in presidente del Consiglio. Una velina in un ministro. Un guitto in un portavoce del Senato. Sono i maghi moderni della parola di Stato. Professionisti della diffamazione. Vomitatori di calunnie grazie alle sovvenzioni, alle tasse dei cittadini. Fa caldo in questa Italia, in questo Agosto. Un caldo insopportabile. Fuori dai gironi ci sono i precari, i disoccupati, i pensionati a 500 Euro al mese, i laureati senza un futuro. Ci sono gli onesti, gli umiliati, i cercatori di verità, i rompicoglioni che si informano attraverso la Rete e la stampa internazionale. Sono tanti e sono ancora pochi. Ma è una marea crescente. Quando gli informati saranno maggioranza, le pale dell'elicottero cominceranno a girare. Forse ci vorrà un cargo per trasportarli tutti, forse non basterà. Beati i fuggitivi, perché non subiranno la collera degli onesti. Loro non si arrenderanno mai (ma gli conviene?). Noi neppure.

-Renzo Mazzetti- (Lunedì 11 Ottobre 2021 h.10,41)


DOTTRINA EISENHOWER

(Meditazione su: “DOTTRINA EISENHOWER”)

La fine del monopolio dell'arma atomica significò, a partire dal Settembre 1949, indebolire la base militare e strategica della politica estera degli americani. La crescente potenza economico e militare degli Stati socialisti non lasciavano nessuna speranza di potervi restaurare il capitalismo. Gli americani continuavano nella loro politica aggressiva. Giunti al potere i repubblicani, preso atto della sconfitta subita in Corea, puntarono su una intensificazione della lotta anticomunista come base della loro politica estera, stanziarono milioni di dollari per finanziare l'attività di sabotaggio contro contro l'Unione Sovietica e gli altri Stati socialisti. Furono incrementate attività di: guerra psicologica, spionaggio, provocazione, stimolo e sostegno alla emigrazione controrivoluzionaria dagli Stati socialisti e il loro sfruttamento ai fini eversivi, aumento accelerato della potenza militare americana e alleati. Il segretario di Stato degli USA, John Foster Dulles, considerava la guerra psicologica contro gli Stati socialisti la linea strategica più importante della lotta politica. Tutta la forza dell'apparato propagandistico degli americani era usata per disorientare l'opinione pubblica americana, per cercare di convincere il popolo americano che i comunisti avevano volontà aggressive. Però la guerra propagandistica non diede i risultati che i suoi promotori si attendevano. L'offensiva di pace, che i sovietici avevano lanciato agli inizi degli anni Cinquanta, aveva convinto milioni di americani degli obiettivi pacifici della loro politica estera. Il lancio da parte dei sovietici, nel 1957, del primo satellite artificiale era una testimonianza del fatto che l'Unione Sovietica era giunta prima degli Stati Uniti alla conquista dello spazio, che li aveva superati nello sviluppo dei nuovissimi rami della scienza e della tecnica. Tutto ciò imponeva l'introduzione di correttivi nella politica estera americana. L'andamento delle relazioni internazionali stava a dimostrate quanto le posizioni della politica estera americana fossero viziate. L'opinione pubblica americana chiedeva una revisione di quella politica. Ma il passaggio dall'ormai radicato dogma della “guerra fredda” alla ricerca delle vie concrete per la soluzione dei problemi più scottanti, doveva essere per la diplomazia americana un processo lungo, tormentato, avversato. Dopo le elezioni del 1952, il cambio della guardia alla Casa Bianca con l'avvento al potere dei repubblicani, non portò nessun cambiamento sostanziale nella politica estera. L'indirizzo fondamentale degli americani rimase quello di competere per la “direzione del mondo”. Già nel 1950 Eisenhower, parlando agli studenti della Columbia University aveva detto: “Gli Stati Uniti d'America hanno un compito oneroso, ma onorifico. Essi hanno la missione di guidare il mondo. La vostra generazione ha la meravigliosa possibilità di recare il proprio contributo perché questa guida sia un modello morale, intellettuale e materiale per l'eternità”. Gli americani consideravano la lotta per la “direzione del mondo” prima di tutto partendo dalla pratica della “guerra fredda” contro l'Unione Sovietica e gli altri Stati socialisti. Il programma elettorale del Partito repubblicano annunciava il passaggio dalla politica del “contenimento del comunismo” praticata dai democratici, a quella della “liberazione dal comunismo” dei popoli che si trovavano sotto il dominio sovietico. I primi due anni della presidenza Eisenhower videro imperversare la reazione anticomunista fomentata dalle inchieste del senatore Mc Carthy. Il suo modo di calpestare grossolanamente le più elementari libertà democratiche aveva suscitato vigorose proteste da parte di diversi rappresentanti della società americana. Nella lettera di un semplice cittadino americano alla Casa Bianca si poteva leggere: “Mc Carthy reca un danno incalcolabile al Partito repubblicano, al nostro Paese, alla sua reputazione all'estero”. Il senatore reazionario, che oltrepassava tutti i limiti, prese di mira nella sua “caccia alle streghe” persino i più alti rappresentanti degli ambienti governativi del Paese. Come doveva scrivere più tardi lo stesso Eisenhower: “Né insegnanti, né impiegati statali, né ministri, nessuno era garantito contro le accuse insensate di Mc Carthy”. L'attività di Mc Carthy assunse un carattere enormemente scandaloso moralmente e politicamente. Dati inconfutabili stavano a dimostrare che Mc Carthy aveva anche attinto a piene mani alle casse statali. Nel Dicembre 1954 veniva condannato dalla schiacciante maggioranza del Senato, sui cui scranni, però, continuò a sedere. Comunque, la sua condanna non significava affatto che nella politica interna degli americani ci fosse stato un qualsiasi spostamento a sinistra, un ravvedimento veramente democratico. L'espressione più condensata della politica antioperaia del governo può essere riscontrata nella legge Landrum-Griffin-Kennedy del 1959, con la quale venivano frapposte nuove difficoltà alle organizzazioni dei lavoratori e si davano al governo ampie possibilità di intervento per reprimere gli scioperanti. Molti americani innocenti furono sacrificati, le relazioni commerciali e pacifiche tra sovietici e americani compromesse, demolita la coesistenza pacifica e lo sviluppo di relazioni tra paesi con una politica e un sistema economico diverso. La “dottrina Eisenhower” e la politica che su di essa si basava, avevano le scopo di rafforzare l'accerchiamento militare contro l'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (URSS), togliere ai popoli dell'Asia sud occidentale e dell'Africa settentrionale la possibilità di appoggiarsi ai paesi socialisti nella lotta contro il colonialismo per l'indipendenza e la pace. Egitto, Siria, Giordania, Yemen, Sudan, Tunisia, Afghanistan, Arabia Saudita respinsero le ingerenze degli americani. Libano, Libia, Etiopia dichiararono che dagli americani potevano essere accettati soltanto aiuti economici, senza condizioni politiche e senza interferenze negli affari interni. Le offerte americane furono accolte da Israele, Iraq, Iran, Turchia. I Sovietici denunciarono i piani di espansione imperialistica. In una dichiarazione della Tass del Gennaio 1957 si rilevava che gli americani non avevano tratto i dovuti insegnamenti dal fallimento dell'aggressione e cercavano chiaramente “di ritornare alla già fallita politica di forza”. Nel Febbraio 1957 i sovietici si rivolgevano a: Inghilterra, Francia e USA con la proposta di prendere in considerazione un progetto di Dichiarazione di principi a favore della pace e della sicurezza nel Medio Oriente e la non ingerenza negli affari interni dei paesi della zona. Le potenze occidentali non collaborarono. Allora i sovietici proposero che dichiarassero almeno di condannare il ricorso alla forza come mezzo per regolare i problemi ancora insoluti. Ma neanche questa proposta fu accolta. Benché la “dottrina Eisenhower” (1953-1961), fosse stata respinta dai popoli del Medio Oriente, gli americani cercarono di usarla come base per esercitare pressioni su alcuni paesi della zona, minacciando il ricorso alla forza. In questo modo agirono nei confronti di: Giordania, Siria, Iraq, Libano. Nell'Aprile 1957 gli americani, con la minaccia di un intervento armato, riuscirono a far allontanare dal governo giordano coloro che attuavano una politica anticoloniale e antimperialistica. Nel Settembre-Ottobre 1957 addirittura prepararono un intervento militare contro la Siria. Volevano portare il colpo principale dal territorio turco, sul quale erano concentrate ingenti forze d'invasione: 50 mila uomini, 700 carri armati, cannoni, aerei. Nel porto di Smirne pattugliavano le navi della VI flotta americana. In questa situazione tanto tesa, i sovietici dichiararono di aver preso le misure necessarie per aiutare le vittime dell'aggressione. Avvertimenti dissuasivi furono fatti pervenire direttamente anche alla Turchia. La ferma posizione dei sovietici aiutò la Siria a sottrarsi al pericolo che la minacciava. Nel Luglio 1958 aveva trionfato la rivoluzione nell'Iraq, gli esponenti del regime monarchico abbattuto e le potenze imperialistiche si apprestarono a lanciare un colpo contro la Repubblica Irachena per bloccarne lo sviluppo e per impedire che il suo esempio fosse seguito altrove. Nello stesso mese le truppe americane erano nel Libano, e dopo qualche giorno quelle inglesi entravano in Giordania. I sovietici chiesero ripetutamente l'immediata cessazione dell'intervento e il ritiro delle truppe americane e inglesi dal Libano e dalla Giordania. I sovietici precisavano che, date le gravi minacce provenienti da una zona vicina alle proprie frontiere, si riservavano il diritto di prendere le misure necessarie, dettate dagli interessi di tutela della pace e della propria sicurezza. I sovietici, a metà Luglio 1958, inviavano messaggi a: Inghilterra, Francia, India, USA, nei quali si affermava che la pace era sospesa a un filo, che il l'intervento poteva provocare una reazione a catena che sarebbe stato impossibile arrestare. Al contrario, avvenimenti importanti per lo sviluppo delle relazioni pacifiche sovietico-americane e segnali positivi che si stavano superando i residui della “guerra fredda” furono: Nell'estate del 1959 il vicepresidente degli Stati Uniti, Richard Nixon, visita l'Unione Sovietica, dando così la dimostrazione che tra i due Paesi erano possibili contatti anche al massimo livello governativo; Settembre 1959 il presidente del Consiglio dei ministri dell'URSS, Nikita Krusciov visita gli USA. La visita suscitò grande interesse e convinse una parte dell'opinione pubblica americana della necessità di ricercare le vie giuste per normalizzare e sviluppare i rapporti pacifici tra i due Stati. Ma, alla nuova linea politica nei rapporti tra i due Stati, ancora non consolidata, doveva essere inferto un duro colpo nel Maggio 1960 quando, in violazione di tutte le norme del diritto internazionale, un aereo-spia americano “Lookheed U-2” veniva sorpreso a sorvolare il territorio dell'URSS e abbattuto sopra Sverdlovsk. Il governo americano non solo si rifiutò di dare spiegazioni in merito, ma dichiarò che tali voli sarebbero continuati.

-Renzo Mazzetti- (Lunedì 27 Settembre 2021 h.07,55)


ROMA PER LUIGI PETROSELLI

(Meditazione su: “L'altra Roma. Il nuovo che si fa strada” di Luigi Petroselli, Rinascita 19 Dicembre 1975)

Roma era la città che Togliatti definiva il terreno più adatto per l'azione “rinnovatrice e innovatrice” del partito della classe operaia, era la capitale di uno Stato che assumeva l'antifascismo non come una ideologia di parte, ma come l'ideologia del rinnovamento nazionale. Il 1947 simboleggia l'interruzione di questa fase: al punto che tutto il cammino successivo è segnato da quella mutilazione che si volle operare nella coscienza nazionale, influenzando il tipo di sviluppo non meno che l'organizzazione dello Stato, la cultura non meno che il costume. La cultura politica e, più in generale, la cultura che ha orientato o secondato il tipo di sviluppo imposto poi al paese, sia negli anni della ricostruzione che negli anni del miracolo economico, non ha mai avuto, a causa di quella mutilazione, una ispirazione conseguentemente e pienamente democratica e nazionale. Cosa poteva nascere per la capitale? La crescita abnorme e caotica di Roma è stata, così, non solo lo specchio deformato e deformante, come si usa dire, del tipo di sviluppo distorto e disumano imposto al paese, ma parte organica e funzionale di esso. Anche per questo le grida che oggi vengono lanciate si moltiplicano contro Roma dalle centrali del potere economico, ancorché cariche di messaggi di modernità, mostrano la corda e non possono cogliere il bersaglio. Gli squilibri mostruosi e assurdi di Roma e le fasce di parassitismo che ne soffocano ancora la vita non sono stati una residua palla di piombo al piede di un paese che conosceva la seconda rivoluzione industriale, ma hanno fatto da contrappunto e da detonatore alla dilapidazione di risorse materiali, culturali, umane, che ha contrassegnato tutto lo sviluppo del paese e la vita delle metropoli che questo sviluppo hanno creato. La direzione, gli obiettivi, la qualità sociale dello sviluppo, sono perciò il campo reale di un'indagine, che voglia essere attuale, sulla città né capitale né megalopoli. Il discorso sul passato e sul presente può diventare così il discorso sul futuro, perché ci richiama alle grandi mete di risanamento e di rinnovamento che una nuova guida politica e morale deve indicare con urgenza al paese. Il discorso si collega alla mancata soluzione delle grandi questioni nazionali (quella meridionale, quella femminile, quella giovanile), al processo, mancato o stentato o contraddittorio, delle riforme in campi decisivi, in primo luogo in quello dello Stato, della scuola, dell'università, dell'uso del territorio e dei servizi sociali e civili. In questo contesto, anche il problema chiave dell'assetto urbanistico si colloca in una giusta luce. Per questa via, il ruolo di Roma può essere assunto, affrontato, avviato a soluzione con il concorso di tutte le energie del paese, come una nuova questione nazionale. Passato, presente e futuro: perché oggi siamo, con evidenza, a un bivio. Pesano oggi le conseguenze di un tipo di sviluppo che non è più possibile rimettere in moto se non a prezzi di lacerazioni gravi e imprevedibili; ma l'impossibilità è soprattutto politica. Questa impossibilità non risulta rispetto ad un modello di capitale, ma deriva dal fatto che sono cresciute le forze che, opponendosi ai mali di Roma, hanno creato le condizioni per aprire una pagina affatto nuova del suo cammino. Torniamo in qualche modo al punto di partenza del discorso. Noi guardiamo al bilancio di questi trent'anni come ad un'epoca nella quale il cammino della rivoluzione democratica e antifascista avviato con la Resistenza, è stato interrotto e contrastato, ma non si è mai definitivamente chiuso. Una breccia è rimasta aperta e attraverso di essa sono passate quelle memorabili battaglie sociali, economiche, politiche che hanno segnato la vita della capitale non meno che la vita del paese.

-Renzo Mazzetti- (Lunedì 13 Settembre 2021 h.14,00)


AFGANE TAPPE (STORIA E GEOGRAFIA)

(Meditazione su: Vicende del popolo afgano fino al 1965)

Nel millennio prima che da noi arrivasse Cristo un ruolo sempre maggiore cominciano a esercitare i paesi situati nelle immense distese dell'Iran e dell'Asia centrale. Le zone desertiche o semidesertiche che si trovano al centro della penisola iraniana, sono limitate ad ovest e a sud dai monti Zagros. I monti Zagros e la parte settentrionale dell'Iran sconfinavano nella Media, mentre le zone montuose meridionali costituivano la Persia. A nord-est e ad est dei deserti dell'interno dell'Iran erano situate la Partia, la Battriana e l'Aracosia, che occupavano le zone sud-occidentali dell'Asia centrale, le regioni orientali dell'odierno Iran. L'Afghanistan con il suo confine settentrionale oltrepassa l'Iran perché quel confine fu portato all'Oxus per opera degli inglesi per bloccare l'espansione dei russi verso Sud. Dopo la seconda guerra mondiale l'Afghanistan era un paese agricolo con sfruttamento feduale dei contadini. La terra coltivata apparteneva ai grandi proprietari terrieri che la cedevano in affitto o a mezzadria così per quel che riguardava il bestiame, mentre i prodotti dell'artigianato subivano condizioni sfavorevoli dovuti alla concorrenza straniera. Le pessime condizioni di vita della popolazione e l'acuirsi della situazione politica, furono teatro di ripetuti sollevamenti delle tribù con insurrezioni armate contro il governo. Nel 1946 il posto di primo ministro, lasciato dal dimissionario Mohammed Hashim, fu occupato dal fratello, zio del re, Shah Mahmud. Il nuovo governo fece un piano di sette anni per lo sviluppo dell'economia nazionale. Il piano prevedeva l'espansione della produzione industriale e agricola con l'utilizzazione del capitale privato afghano con sgravi fiscali, sostegno ai piccoli e medi commercianti, l'aiuto degli USA. Gli americani imposero all'Afghanistan un accordo con la compagnia Morrison-Hudson per la costruzione di una rete di irrigazione e di strade nel sud del paese, nei bacini dei fiumi Helmand e Argandab. A questo progetto l'Afghanistan affidava le speranze di sviluppo dell'agricoltura, nello stesso tempo il governo continuò a favorire l’emigrazione degli agricoltori e delle popolazioni seminomadi nelle regioni settentrionali del paese dove esistevano terre idonee alla coltivazione abitate da tagikistani, uzbeki, turkmeni. Questi provvedimenti non solo non diedero soluzione ai problemi sociali ma provocarono incidenti e tensioni politiche interne. Nel 1949 la compagnia Morrison-Hudson non rispettò i termini fissati per la costruzione della rete di irrigazione e chiese inoltre stanziamenti aggiuntivi, così l'Afghanistan fu costretto a chiedere un prestito agli Stati Uniti. Il prestito di 21 milioni di dollari era destinato interamente al pagamento dei lavori della compagnia e all'acquisto delle attrezzature necessarie. Il progetto quindi non corrispose alle speranze di superare le difficoltà economiche. Ebbe un riflesso negativo sulla situazione economica dell'Afghanistan anche il peggioramento delle condizioni di smercio del prodotto fondamentale dell'economia afghana, il karakul, e questo fatto ridusse le disponibilità di valuta pregiata. Nel Parlamento si formò un gruppo di deputati che si ispiravano alle idee della “Gioventù ridestata”. Questi deputati, ritenendo l’attività parlamentare il mezzo risolutivo per trasformare l'ordinamento esistente, si proposero non soltanto di utilizzare il Parlamento quale tribuna ma di trasformare il Consiglio popolare in un organo effettivo di potere e di controllo delle istituzioni governative. Con il peggioramento della situazione economica nel paese divennero più pressanti le critiche e più attiva l'opposizione. Cresceva l'insoddisfazione per la politica economica governativa rivolta a proteggere i ristretti interessi dei commercianti legati alle importazioni e alle esportazioni e aumentavano le preoccupazioni per i disastrosi risultati della collaborazione con il capitale americano. Emerse con evidenza il contrasto tra gli interessi dell'Afghanistan e i piani di espansione delle potenze imperialiste in Asia. Con l'inizio della “guerra fredda” il corso neutralistico assunto in politica estera assicurò al governo afghano condizioni favorevoli per uno sviluppo indipendente. Nel Novembre del 1946 l'Afghanistan confermò la sua intenzione di attenersi a una politica di pace entrando a far parte dell'ONU. In un periodo di slancio della lotta anticoloniale in Oriente l'Afghanistan ripetutamente espresse la propria solidarietà ai paesi che avevano conquistato la sovranità. Così nel 1947-49 l'Afghanistan fu tra i paesi che condannarono le azioni aggressive dei colonialisti contro l'Indonesia e contro i popoli arabi. La politica di neutralità dell'Afghanistan fu aspramente contrastata dai circoli aggressivi occidentali che tentarono esplicitamente di coinvolgere questo paese nei blocchi politici e militari che si andavano formando in Asia. Ai fini di pressione furono sfruttate anche le dispute di confine tra l'Afghanistan e il Pakistan (l'Afghanistan non riconosceva i mutamenti di status politico dell'India britannica introdotti nel 1947 per quanto riguardava il destino delle regioni con popolazione di ceppo afghano). Le mire dei fondatori di blocchi aggressivi aggravarono le tensioni tra l'Afghanistan e l'Iran: la costruzione del sistema di irrigazione nella regione del fiume Helmand provocò una disputa tra l'Afghanistan e l'Iran a proposito del controllo del regime idrico di questo fiume che nel suo basso corso bagnava le regioni sud-orientali dell'Iran. Nel Giugno del 1949 il Consiglio popolare decise di disdire gli accordi tra l'Afghanistan e l'Inghilterra firmati al momento della nascita del Pakistan e di non riconoscere la linea “Durand”: la linea di confine tra l'Afghanistan e il Pakistan fissata nell'accordo anglo-afghano del 1893 che aveva assegnato immense regioni con popolazioni di ceppo afghano all'India britannica. A Kabul si sottolineò che questa azione non aveva mire annessionistiche ma era diretta a sostenere i diritti delle popolazioni afghane che vivevano oltre i confini. Durante la campagna scatenata dagli Stati imperialisti contro l'Afghanistan emerse l'esistenza di buoni rapporti fra l'Afghanistan e l'URSS che nel Giugno 1946 firmarono un accordo sui confini di Stato sulla base del rispetto reciproco e iniziarono gli accordi commerciali. All'inizio degli anni '50 la situazione nel Paese si aggravò. Nelle manifestazioni c'era la piccola e media borghesia urbana e, in parte, rurale, intellettuali, gruppi di impiegati statali e di gioventù studentesca. Nel 1951 comparvero nell'Afghanistan i primi giornali privati, editi dai dirigenti delle diverse correnti politiche sorte sulla base del movimento “Gioventù risvegliata”, di orientamento prevalentemente democratico. Negli articoli si chiedeva l'abolizione dei privilegi del grande capitale privato e provvedimenti in favore dei piccoli e medi proprietari. Un'altra rivendicazione era quella della eliminazione del monopolio del potere politico dei latifondisti e dei rappresentanti del grande capitale. I nuovi giornali pubblicavano materiali nei quali si manifestavano gravi preoccupazioni per la situazione economica del paese. Venivano messi in evidenza l'arretratezza dell'agricoltura e dei trasporti, il costante aumento dei prezzi dei generi di prima necessità, la riduzione del tenore di vita della popolazione, e così via. I giornali svilupparono anche una grande campagna in favore dell'introduzione nel paese delle istituzioni democratiche, tra cui il diritto alla creazione di organizzazioni politiche e la responsabilità del governo di fronte al Parlamento. Contemporaneamente si chiedeva la revisione della Costituzione in vigore, che era quella del 1931, e la democratizzazione del sistema elettorale. Verso la metà del 1954 gli editori del giornale radicale “la Voce del Popolo” cercarono di fondare un partito legale, ma questo tentativo provocò misure repressive da parte delle autorità. Nell'Aprile del 1952 ebbero luogo le elezioni politiche ordinarie. Per l'intervento aperto delle autorità nella campagna elettorale, nessun rappresentante dell'opposizione riuscì eletto nel Consiglio nazionale. Per la prima volta nella storia del paese i gruppi di opposizione organizzarono a Kabul una aperta manifestazione politica per esprimere il loro disaccordo sulla procedura che si era seguita nell'effettuazione delle elezioni. Al comizio tenutosi in quella circostanza fu deciso di chiedere l'invalidazione dei risultati elettorali. Le autorità respinsero la richiesta e scatenarono la persecuzione contro quanti partecipavano alle attività dell'opposizione. Intanto, in presenza delle perduranti difficoltà economiche, la tensione politica interna stava aumentando: si registrava un crescente passivo alimentare e valutario, un aumento del carovita e della disoccupazione. Le difficoltà finanziarie erano state aggravate dalla caduta, sui mercati mondiali, dei prezzi dei principali prodotti dell'esportazione afghana, soprattutto le pelli di Astrakan, esportate fondamentalmente negli USA e che costituivano la principale forma di entrata di valuta straniera. Nello stesso tempo l'Afghanistan doveva far fronte a nuovi tentativi dell'imperialismo, in primo luogo di quello americano, intesi a imporre al paese un controllo economico e politico. Sulla base di accordi conclusi tra gli USA e l'Afghanistan nel 1951, 1952 e 1953, i rappresentanti americani ottenevano il diritto di intervenire direttamente nei problemi che interessavano l'agricoltura, l'industria e i trasporti afghani, la lavorazione delle ricchezze naturali, la pubblica istruzione e la sanità. Malgrado il divieto dell'attività dei gruppi di opposizione, che le autorità avevano imposto nel 1952, le rivendicazioni economiche e politiche dell'opposizione trovavano ascolto perché nascevano da condizioni oggettive, il che non poteva non influire sul contenuto della politica statale dell'Afghanistan. Orientandosi verso il “graduale adattamento” dei rapporti sociali esistenti alle necessità dello sviluppo capitalistico, conservando però intatta la struttura di classe del potere dal punto di vista esteriore, i circoli governativi furono costretti a prendere una serie di misure per estendere le basi sociali del regime. In occasione del cambiamento di governo del Settembre 1953 (quando il primo ministro Mahmud Shah Khan si ritirò dopo sette anni di potere, cedendo il posto al generale Mohammed Daoud Khan, già ministro della Difesa e degli Interni) andarono al potere i rappresentanti di quelle classi dirigenti che erano disposte ad attuare alcune riforme, considerando i problemi sociali che erano venuti a maturazione e la nuova situazione internazionale. Ma nonostante una accresciuta “duttilità” della politica ufficiale, l'obiettivo del governo non era mutato, e rimaneva quello di rafforzare le posizioni delle classi dominanti. Il nuovo governo, alla cui testa era stato messo un cugino del re, Mohammed Daoud Khan, inaugurò la cosiddetta politica dell’ “economia guidata” e promosse una serie di riforme. Venne rafforzato il controllo dello Stato sul commercio con l'estero, il sistema creditizio con la creazione di nuove banche e di cooperative di credito, furono estesi i programmi di sviluppo dell'industria con la partecipazione dello Stato, e così via. Furono anche poste limitazioni all'attività commerciale delle grandi società per azioni e della Banca nazionale afghana privata. Il primo piano quinquennale di sviluppo, la cui attuazione cominciò in Afghanistan nel 1956, si vide assegnare la funzione di unico programma dell'edificazione economica. Nella politica del nuovo governo si manifestò anche una certa aspirazione a rafforzare la sovranità del paese in politica estera, ciò che provoco l'ostilità da parte degli imperialisti. Dopo la creazione dei blocchi militari, le potenze occidentali accrebbero notevolmente le loro pressioni sull'Afghanistan per costringerlo ad aderirvi, rinunciando a una politica neutrale e ai provvedimenti economici annunciati. L'Afghanistan divenne oggetto di provocazioni promosse dagli organizzatori dei blocchi imperialistici, per inasprire la tensione internazionale. Come negli anni precedenti, gli imperialisti cercarono di sfruttare a questo fine le divergenze afghano-pakistane. Nel 1955 le relazioni fra questi due paesi si inasprirono nuovamente in seguito alla decisione dei governanti del Pakistan di chiudere praticamente il transito ai carichi afghani destinati all'esportazione. Questa misura ebbe gravi ripercussioni sul commercio con l'estero dell'Afghanistan, dato che esso veniva attuato prevalentemente attraverso il territorio pakistano. Da parte pakistana vennero anche ordite provocazioni armate alla frontiera afghano-pakistana. I governi degli USA, dell'Inghilterra e dei loro associati nei blocchi militari intervennero in appoggio queste azioni delle autorità pakistane, insistendo nello stesso tempo perché il governo di Kabul accettasse la proposta fatta ufficialmente dalla Turchia e dal Pakistan di aderire alla loro alleanza militare. Minacce aperte all'indirizzo dell'Afghanistan e preparativi militari sospetti alle frontiere meridionali del paese spinsero nel Maggio 1955 il governo afghano a proclamare lo stato d'emergenza nel paese e a ordinate la mobilitazione generale. Contemporaneamente il governo di Kabul inviava a Mosca una delegazione ufficiale per avviare trattative relative alle misure da prendere per rompere il blocco economico contro l'Afghanistan, organizzato dall'imperialismo. Nel mese di Giugno venne firmato un accordo sui problemi del transito, in base al quale i due contraenti riconoscevano il diritto reciproco al libero passaggio delle merci attraverso i rispettivi territori, alle condizioni più vantaggiose. Questo accordo aiutò l'Afghanistan a superare le sue difficoltà economiche e ne rafforzò la posizione internazionale. Gli avvenimenti del 1955 ebbero una grande influenza sugli stati d'animo della pubblica opinione afghana e determinarono ulteriori passi in avanti nella linea della politica estera ufficiale. Nel Novembre 1955 venne convocata per la prima volta nel dopoguerra, con la partecipazione dei membri del governo e del parlamento, la Loe Jirga, assemblea dei rappresentanti delle Province con funzioni sovracostituzionali, per esaminare i problemi di politica estera. Riconfermato l'interesse che aveva l'Afghanistan a risolvere pacificamente la controversia con il Pakistan, la Loe Jirga in una sua deliberazione accennò alle minacce alla sovranità afghana provenienti dagli organizzatori dei blocchi imperialistici in Asia. Il governo veniva incaricato di prendere i provvedimenti che si rendevano necessari per accrescere le capacità difensive del paese. Le decisioni della Loe Jirga costituirono un'importante pietra miliare sulla via della formazione di una linea di politica estera neutrale dell'Afghanistan. Alla fine del 1955, su invito del governo afghano, Kabul fu visitata da una delegazione governativa sovietica. Nel corso delle conversazioni avute in quell'occasione, le due parti si dichiararono disposte a rafforzare le relazioni di buon vicinato tra l'Unione Sovietica e l'Afghanistan. Fu deciso di prorogare di 10 anni la validità del trattato sovietico-afghano di neutralità e non aggressione del 24 Giugno 1931. L'URSS, continuando nei suoi sforzi intesi a collaborare allo sviluppo delle forze produttive dell'Afghanistan, si dichiarò d'accordo di dargli assistenza tecnica e un aiuto finanziario sotto forma di un credito di 100 miliardi di dollari da destinare ai bisogni dell'economia nazionale. Il rafforzamento delle relazioni di buon vicinato tra Mosca e Kabul facilitò la stabilizzazione della linea neutrale dell'Afghanistan. La collaborazione economica dell'URSS e degli altri Paesi socialisti, considerevolmente estesasi verso la metà degli anni '50, era diventata per l'Afghanistan un fattore di prim'ordine per l'attuazione del programma di sviluppo economico. Nel 1956 tra l'URSS e l'Afghanistan furono sottoscritti accordi sulla collaborazione nello sviluppo dell'economia afghana e sull'assistenza tecnica sovietica all'Afghanistan. Nello stesso anno venivano firmati i primi accordi, commerciale e per i pagamenti, tra l'Afghanistan e la Polonia, si estendeva la collaborazione economica afghano-cecoslovacca, iniziavano le relazioni diplomatiche tra l'Afghanistan e l'Ungheria, nel 1958 venivano allacciate con la Romania, mentre si gettavano le basi per i rapporti commerciali con la Repubblica Democratica Tedesca. Tra il 1956 e il 1961, cioè nel periodo di attuazione del primo piano quinquennale, furono costruiti o si cominciarono a costruire in Afghanistan, con l'assistenza tecnica e finanziaria a condizioni di favore dagli Stati socialisti, imprese energetiche per la lavorazione dei metalli, cementifere, minerarie e altre, e furono costruiti molti impianti irrigui e di trasporto su strada. In queste imprese, come pure negli istituti scolastici dei paesi socialisti, fu organizzata anche la preparazione di tecnici afghani, di operai per la costruzione e per l'esercizio degli impianti. La collaborazione con i paesi socialisti creò per l'Afghanistan la possibilità reale per accelerare lo sviluppo della sua economia. Così, i crediti a condizioni di favore concessi dall'URSS garantivano più del 60% dei mezzi valutari che l'Afghanistan contava di ottenere da crediti e prestiti esteri per attuare il suo piano quinquennale. Dal 1950 al 1959 gli scambi fra l'Afghanistan e i paesi socialisti erano aumentati di oltre sei volte e costituivano il 38,5% degli scambi complessivi dell'Afghanistan, il 33,1% dei quali con la sola URSS. Tra l'altro, circa tre quarti delle importazioni afghane di macchine e attrezzature provenivano dall'URSS. Anche i contatti tecnico-scientifici si erano estesi ponendo le premesse per il primo accordo culturale sovietico-afghano concluso nel 1960. Lo sviluppo delle relazioni con i Paesi socialisti, sulla base della parità di diritti e del reciproco vantaggio, rafforzò l'imperialismo nella necessità di escogitare nuovi mezzi per raggiungere i vecchi obiettivi espansionistici in Afghanistan. La ricerca di questi mezzi corrispondeva ai ristretti interessi di classe dei circoli governativi afghani, determinati dagli interessi di politica interna del regime latifondista. Nella seconda metà degli anni '50 vennero offerti all'Afghanistan alcuni prestiti americani per i bisogni delle costruzioni stradali e per estendere, con la partecipazione degli USA, la rete dei trasporti automobilistici e aerei alla frontiera meridionale dell'Afghanistan. Nel 1956 veniva firmato un nuovo accordo sull'assistenza tecnica degli USA all'Afghanistan, nel 1957 uno sulle garanzie offerte agli investimenti privati americani nell'economia afghana e, infine, nei 1958 veniva concluso un accordo di transito afghano-pakistano, che offriva alcuni vantaggi alla parte afghana. Anche i rappresentanti del capitale della Repubblica Federale Tedesca avevano intensificato la loro attività nell'Afghanistan. Nel 1958 l'Afghanistan firmava con la Repubblica Federale Tedesca un accordo sull'assistenza tecnica ed economica, e un altro sugli scambi e i pagamenti. Analoghi accordi furono conclusi con la Francia, nel 1959 e con l'Italia nel 1960. Era aumentato anche il volume degli scambi dell'Afghanistan con il Giappone. Sfruttando la collaborazione dei circoli monarchici afghani, i monopoli statunitensi e i loro alleati occidentali intensificarono notevolmente la loro penetrazione nell'Afghanistan, con il pretesto di prestargli un'assistenza culturale. Estendendo nel paese la loro influenza ideologica gli imperialisti cercavano di indebolire gli orientamenti antimperialistici che vi si stavano sviluppando. Nella politica delle potenze occidentali continuava a manifestarsi apertamente il desiderio di scalzare la linea neutralista dell'Afghanistan. Nel 1957 furono fatti tentativi per costringere questo paese ad accettare la “dottrina Eisenhower”. La stampa reazionaria occidentale rafforzò la campagna diretta contro la collaborazione sovietico-afghana. Uno dei mezzi per premere su Kabul consisteva nell'intervenire nelle divergenze afghano-pakistane. Dopo il colpo di Stato militate del 1958 in Pakistan, la tensione alle frontiere meridionali dell'Afghanistan aumentò considerevolmente. Negli anni '50, seguendo una linea neutralista nella sua politica estera, l'Afghanistan estese la sua collaborazione in campo internazionale con gli Stati non allineati dell'Asia e dell'Africa. Nel 1956 il governo afghano si dichiarò solidale con l'Egitto, vittima dell'aggressione anglo-franco-israeliana. Nel 1958 le richieste di un ritiro delle truppe americane e britanniche dal Libano e dalla Giordania furono accolte positivamente in Afghanistan. Il governo e il popolo afghani presero posizione in appoggio ai diritti nazionali del popolo algerino, così come di quelli di altri popoli dell'Oriente arabo che lottavano con le armi contro i colonialisti. A Kabul fu condannata l'intromissione imperialistica negli affari interni del Congo e furono formulate proteste contro la discriminazione razziale nell'Unione Sudafricana. Venne intensificato lo scambio di visite tra le autorità statali dell'Afghanistan e dell'India, della Repubblica Araba Unita e di altri Paesi neutrali. L'Afghanistan prese parte alla Conferenza di Bandung. All'Onu e nei suoi organismi specializzati, i rappresentanti dell'Afghanistan presero sempre posizione in favore della pacifica coesistenza tra gli Stati. Dal 1950 al 1960 furono compiuti notevoli passi in avanti nello sviluppo sociale dell'Afghanistan. I provvedimenti economici presi in questo periodo accelerarono sensibilmente i processi di superamento degli istituti pre-capitalistici e dei loro residui. Lo sviluppo della produzione manifatturiera, quello delle costruzioni, considerevole per le dimensioni dell'Afghanistan, allargarono le basi del lavoro salariato, organizzato secondo i sistemi capitalistici, accelerarono la formazione delle zone economiche e quella di un mercato nazionale. Allo stesso tempo, però, il processo di sviluppo delle relazioni capitalistiche nell'Afghanistan era caratterizzato da profonde contraddizioni e accompagnato da un estremo peggioramento della situazione dei lavoratori. Gravi problemi sociali, che riguardavano la stragrande maggioranza della popolazione del paese, sorgevano dalla questione agraria rimasta irrisolta. La politica delle classi dominanti in questo campo era di giungere gradualmente, in modo “indolore” per i grandi proprietari fondiari, a modificare i rapporti agrari esistenti, per adattarli alle necessità dello sviluppo capitalistico. Operando in questa direzione, il governo Daoud prese misure per estendere il credito agrario e cercò di contribuire al perfezionamento dei metodi tecnici nelle coltivazioni e negli allevamenti, secondo il programma di “sviluppo sociale delle campagne” previsto nel primo piano quinquennale. Tuttavia, la mancata soluzione del problema agrario continuava a limitare le possibilità imprenditoriali, soprattutto degli strati più bassi della borghesia nazionale. Il monopolio latifondista della terra e dei mezzi di irrigazione consentiva di conservare ovunque lo sfruttamento semifeudale dei contadini poveri. Negli anni '50 si accelerò notevolmente anche il processo di eliminazione dei privilegi, ereditati dal passato, accordati ai notabili delle tribù nomadi e seminomadi, orientati in senso separatista rispetto al potere centrale. In queste tribù, come del resto fra la popolazione agricola del paese, si era avviato un processo di differenziazione sociale che stava creando le premesse per l'affermazione di rapporti capitalistici. Ma dal punto di vista politico, le tribù nomadi e seminomadi, che disponevano di proprie milizie armate, continuavano a essere fonte di una certa debolezza dello Stato, dato che limitavano le possibilità del governo di attuare le riforme. L'estensione alle zone abitate dalle tribù delle disposizioni amministrative statali, fiscali, militari e altre, incontrarono una resistenza, anche armata, che concorse a peggiorare la situazione del paese. Lo sviluppo sociale del paese portava anche a una certa evoluzione nelle concezioni di alcuni settori del clero. Ma l'influenza della sua parte conservatrice, rimaneva notevole. L'opposizione feudal-clericale, rappresentata soprattutto dai khan di alcune tribù nomadi e dalla parte conservatrice del clero, costituiva l'ala più a destra delle forme politiche del paese. Ma nonostante la loro resistenza furono fatti sforzi per eliminare una serie di norme residuate del passato nei campo del diritto e del modo di vivere. Il passo più consistente in questa direzione fu la pratica abolizione, nel 1959, dell'obbligo per le donne di velarsi. Accanto al contrasto tra il vecchio e il nuovo, nell'Afghanistan si andavano profilando sempre più nitidamente le contraddizioni tra il lavoro e il capitale, benché non esistesse ancora nel paese un movimento operaio e contadino organizzato. Le difficilissime condizioni di vita e di lavoro della popolazione aumentavano il malcontento. Gruppi di sostenitori per i cambiamenti sociali cominciavano a costituirsi nella clandestinità. Essi manifestavano l'interesse per le idee rivoluzionarie più avanzate dell'epoca. I provvedimenti presi nella seconda metà degli anni '50 e i cambiamenti operati nella politica governativa, nonostante il loro significato obiettivamente positivo, erano di gran lunga insufficienti rispetto alle esigenze dello sviluppo economico e politico del paese. Agli inizi degli anni '60 l'Afghanistan si scontrò con nuovi tentativi delle potenze occidentali di violare l'indirizzo politico del paese orientato verso la neutralità e il non allineamento. Si fecero più difficili le relazioni tra l'Afghanistan e il Pakistan. Il permanere della tensione in questa regione era considerato dagli organizzatori dei blocchi imperialistici in Asia come un mezzo di pressione costante sullo Stato afghano. Nel Settembre del 1961 si registrò la rottura dei rapporti diplomatici tra l'Afghanistan e il Pakistan, e per effetto delle misure adottate dal governo pakistano vennero bloccati i commerci e i transiti di merci. Al fine di allentare la tensione sui suoi confini meridionali il governo afghano accettò una mediazione iraniana appoggiata dagli Stati Uniti. Tuttavia i tentativi di convincere l'Afghanistan ad abbandonare l'indirizzo neutralista, intrapresi nel 1962 nel corso di questa mediazione, non ebbero successo. Il governo di Kabul non mutò il suo approccio negativo alla politica condotta dai blocchi aggressivi imperialisti. L'acuirsi della tensione internazionale portò invece all'insorgere di maggiori preoccupazioni nei ceti più conservatori della società afghana che temevano nella rottura dei rapporti con il Pakistan l'allontanamento dall'Occidente. Nel 1961-63 il governo di Muhammed Daoud si scontrò con la crescente opposizione della destra sobillata della provocatoria propaganda imperialista. Si approfondirono le divergenze negli ambienti governativi sulle questioni della politica statale al punto che nel marzo del 1963 il gabinetto Daoud diede le dimissioni. Il nuovo governo formato da Muhammed Yusuf nel settore dell'economia confermò l'indirizzo seguito negli anni precedenti e proclamò l'intenzione di “favorire l'iniziativa privata nel quadro di una economia guidata”. Il governo espresse però anche l'intenzione di apportare alcune innovazioni al sistema amministrativo dello Stato. Nel 1963 fu preannunciata l'intenzione di apportare alcuni emendamenti alla Costituzione allo scopo di estendere i diritti civili. Questa decisione, che teneva conto delle volontà popolari, ristrutturava gradualmente l'amministrazione dello Stato. La nuova legge fondamentale approvata nel 1964 confermò l’ordinamento monarchico costituzionale riservando al re il potere supremo, riconoscendo le autonomie del potere esecutivo, legislativo e giudiziario. Si fecero però anche più reali i poteri del Parlamento che acquistò maggiore influenza sugli indirizzi politici, e l'Assemblea nazionale ottenne in parte il diritto di esprimere la sua fiducia al governo. La Costituzione riconosceva il diritto all'esistenza dei partiti, prevedeva il suffragio segreto nelle elezioni del Parlamento e degli organi di potere locale e conteneva una serie di dichiarazioni riguardanti i rapporti di lavoro, l'istruzione, la sanità e altri settori di interesse generale. Il governo di Yusuf fece nello stesso tempo passi diretti ad alleggerire la tensione nei rapporti con il Pakistan. Con la mediazione dello scia dell'Iran, nel Maggio del 1963 a Teheran ci fu un incontro tra delegazioni ufficiali dell'Afghanistan e del Pakistan che diede quale risultato l'accordo per il ristabilimento dei rapporti diplomatici e dei collegamenti commerciali ed economici tra i due paesi. Quello di Teheran fu ritenuto un regolamento della situazione tale da attrarre lo Stato afghano nell'orbita della politica imperialistica. Tuttavia Kabul confermò la sua intenzione di seguire il tradizionale indirizzo neutralistico. Nel 1964 l'Afghanistan prese parte alla conferenza dei paesi non allineati del Cairo. Rispondeva ai veri interessi dello Stato afghano, al rafforzamento della sua indipendenza politica ed economica, l'esistenza di rapporti amichevoli con l'URSS e gli altri paesi socialisti. Nel 1964 furono firmati nuovi accordi sovietico-afghani di cooperazione nell'economia, nel settore tecnico, scientifico e culturale. Nel 1965 l'Unione Sovietica e l'Afghanistan prolungarono per altri dieci anni il patto di neutralità e di reciproca non aggressione del 24 Giugno 1931. Verso la metà degli anni '60 in Afghanistan fu portato a compimento il piano di cooperazione per la realizzazione di grosse strutture con l'aiuto dell'URSS, come, ad esempio: il canale di irrigazione di Jalalabad, l'asse stradale Kushka-Herat-Kandahar, attraverso i monti Hindukush, la centrale idroelettrica di Naghloo. Dopo l'entrata in vigore della Costituzione del 1964 e prima della convocazione del nuovo Parlamento, nel paese fu imposta una “fase transitoria”, durante la quale il potere legislativo fu demandato al governo. La nuova legge elettorale, entrata in vigore nel Maggio del 1965, definì nei dettagli la procedura da seguire nella condotta della campagna elettorale. Per la prima volta nella storia afghana le donne poterono partecipare alle votazioni.

-Renzo Mazzetti- (Giovedì 26 Agosto 2021 h.14,27)


LOTTE OPERAIE DISTRUTTE

(Meditazione su: “Ma che brutta storia” di Ricci Giovanni in “Giorni” dell'8 Febbraio 1978)

La Rai ha distrutto circa centomila metri di filmati originali e di registrazioni sonore sulle lotte operaie dell'autunno 1969, malgrado che Cgil-Cisl-Uil ne avessero ripetutamente chiesto la conservazione. Al di là dei retroscena politici che in un episodio di questo tipo certo non mancano, bisogna dire che la decisione è, su di un piano culturale, inammissibile e persino grottesca. Non si comprende infatti, se non alla luce di precise ipotesi sociologiche, come un ente fondato sulla comunicazione audiovisiva possa disfarsi di testimonianze filmiche e sonore il cui rilievo storico, già oggi notevole, era destinato ad accrescersi sempre più. In realtà è questo uno dei molti casi nei quali non si valuta, per calcolo di parte o arretratezza metodologica, il significato che alcuni documenti non-scritti vengono ad assumere nella storiografia: una storiografia che esamina spesso le sole fonti scritte e che dunque si dimentica di approfondire il ruolo delle classi subalterne, la cui cultura si è abitualmente espressa per mezzo di soluzioni diverse dallo scrivere. Del resto anche oggi continuano ad esserci popolazioni e gruppi sociali che trasmettono la propria storia secondo forme inconsuete per gli storici tradizionalisti. Naturalmente fra gli studiosi c'è chi riesce a compiere il salto di qualità aggiornando e perfezionando i vecchi ferri del mestiere. Ovviamente talune scienze non hanno potuto farne a meno e fin dalla loro nascita hanno utilizzato una documentazione di tipo materiale anziché scritto: è il caso dell'archeologia e della paleontologia. Anche i paleografi (cioè gli studiosi delle scritture antiche) non possono prescindere dall'analisi della carta e degli inchiostri impiegati nei documenti, mentre la storia della tecnica si basa in massima parte sull'esame e l'analisi della strumentazione relativa a una particolare attività (consideriamo, per esempio, la quantità di informazioni storiche e culturali deducibili dagli attrezzi del contadino. E, ancora, nella storia dell'urbanistica, lo studio delle varie forme dell'abitare (un villaggio africano o un paese dei Pirenei o una cascina sperduta nella campagna), che possono offrire importanti notizie sull'organizzazione sociale ed economica del gruppo insediato su un determinato territorio. Insieme alle fonti materiale un “flash” sulla storia delle classi e dei popoli non egemoni è costituito dalle fonti orali. Il film ha il potere di destrutturare ciò che generazioni di uomini di Stato, di pensatori erano riusciti ad ordinare in un bell'equilibrio. Distrugge l'immagine di parata che ogni istituzione, ogni individuo si era costruito di fronte alla società. La macchina da presa ne rivela il funzionamento reale, dice di più di quanto ciascuno vorrebbe mostrare.

-Renzo Mazzetti- (Venerdì 30 Luglio 2021 h.12,58)


VIRUS INFINITI (PALESTINESI ESTINTI)

(Meditazione su: Palestina di ieri e di oggi. Storia di una speculazione imperialistica su drammi di nazionalità e di razza. Calendario del Popolo, Luglio 1948)

Il lembo dell'estrema costa orientale mediterranea, che è la Palestina, costituì sempre una posizione strategica di primo piano. Tale la considerarono i romani, che vi soppiantarono la locale antichissima civiltà ebraica, e i mercanti medioevali che con le Crociate pensarono di aprirvi una porta verso oriente. Tale la considerò sempre in epoca moderna l'Inghilterra che ne fece un baluardo militare a difesa dei suoi petroli del Medio Oriente e delle sue linee di comunicazione imperiali. I governi inglesi dimostrarono anzi di annettervi un'importanza così grande da abbandonare qualsiasi scrupolo pur di ottenerne e conservarne il dominio. Già parecchi anni prima della guerra mondiale 1914-18 Londra cominciò i suoi intrighi per strappare all'impero turco la Palestina e altri territori del Medio Oriente. La Palestina era in quel momento il centro di complesse aspirazioni nazionali: le popolazioni arabe, desiderose di sottrarsi al giogo dell'impero ottomano, volevano che essa facesse parte di uno stato arabo indipendente. Gli ebrei, sparsi per il mondo dove più volte avevano subìto persecuzioni di ogni genere, avevano dato inizio a un movimento per ricostituire in Palestina, terra dei loro padri, una loro patria. Gli inglesi promisero ad entrambi di soddisfare le loro contraddittorie richieste, lettera di Mac Millan, 1915, agli arabi, e dichiarazioni di Balfour, 1917, agli ebrei, e si fecero dare dalla Lega delle Nazioni il mandato sulla Palestina, col preciso compito di istituirvi una “home” nazionale ebraica. Si guardarono però dall'assolvere l'impegno preso. Gli ebrei cominciarono ad immigrare in Palestina, dove svolsero e svolgono una vasta attività civilizzatrice con la creazione di fattorie collettive, veri modelli di agricoltura razionale, con opere di bonifica, con la nascita di numerose industrie. Da questa immigrazione nacquero i primi conflitti tra la popolazione araba e i nuovi venuti, conflitti che gli inglesi fecero di tutto per rendere più acuti, scontentando ora l'uno ora l'altro dei contendenti. Gli inglesi, nel 1939 con un Libro Bianco, dichiararono impossibile la formazione di uno stato ebraico indipendente e posero un limite alla immigrazione ebraica. Dopo la Seconda guerra mondiale la situazione palestinese viene complicata dall'apparizione dell'imperialismo americano nel Medio Oriente. Gli Stati Uniti, che durante la guerra si erano impadroniti di molte concessioni petrolifere nei paesi arabi, vogliono partecipare al controllo della Palestina, la cui importanza economica (per gli oleodotti che l'attraversano) è strategica e non sfugge loro. Comincia così, sotto l'apparente idillio, il conflitto fra i due imperialismi. Gli americani, per la pressione di una gran parte dell'opinione pubblica, decisero in un primo tempo di giocare la carta ebraica, sperando di fare del nuovo stato una pedina della loro politica nel Medio Oriente. Per questo appoggiarono l'immigrazione di centomila ebrei e più tardi all'ONU si batterono per la spartizione della Palestina in un stato ebraico e in uno arabo. Il movimento sionista, sebbene fortemente controllato da alcuni gruppi imperialistici, contiene una grande forza di progresso nella stessa aspirazione nazionale che lo anima. I coloni ebraici che nelle loro fattorie hanno già ottenuto alcune conquiste di tipo socialista costituiscono un fermento di democrazia nel Medio Oriente che può rappresentare un serio pericolo per gli imperialisti del petrolio. La politica americana che è riuscita ad aggiogare al suo carro alcuni stati arabi, è perciò rimasta sempre incerta e ha tentato, dopo un primo momento filosionista, di procurarsi appoggi in tutti e due i campi: in quello ebraico da usare come arma contro i rivali inglesi, in quello arabo da usare come arma contro le avanguardie progressive del movimento ebraico. Gli stati arabi, riuniti in una lega controllata dagli inglesi, hanno infatti una fisionomia reazionaria fra le più arretrate: si tratta di piccoli regni dispotici o retti da piccole caste la cui permanenza al potere dipende solo dall'appoggio di un imperialismo straniero. Per questa ragione l'Inghilterra ha deciso invece di giocare la carta araba. Quando nel 1947 il governo di Londra capì che l'opinione pubblica mondiale gli era dichiaratamente ostile per i continui conflitti che la sua politica provocava in Palestina, l'Inghilterra ricorse ad un espediente propagandistico: fece il gesto di rimettere tutta la questione palestinese alle decisioni delle Nazioni Unite e contemporaneamente annunciava di rinunciare al mandato. Di nascosto si preparava però a restare nel paese sotto altra forma. L'ONU adottò l'unica soluzione equa possibile: la spartizione della Palestina in due stati: uno arabo, l'altro ebraico. L'Inghilterra aizzò gli stati arabi, quasi tutti controllati militarmente e politicamente da lei, perché non accettassero la soluzione e minacciassero la guerra qualora essa fosse stata attuata ugualmente. L'Inghilterra dichiarò più tardi di non potersi impegnare a rispettarla lei stessa visto che gli stati arabi non erano d'accordo. L'Inghilterra non volle neppure ritardare il ritiro delle sue truppe tanto da permettere all'ONU di intervenire per far rispettare la decisione presa. Il 15 maggio 1947, mentre ancora si discuteva al Consiglio di Sicurezza, Londra ritirò le sue truppe dalla Palestina e contemporaneamente muoveva gli eserciti arabi, da lei organizzati armati e comandati, perché iniziassero l'invasione della Palestina. L'Inghilterra usciva da una porta per rientrare dalla finestra. Gli Stati Uniti, dopo aver approvato la spartizione, ritrattarono e tentarono di imporre alla Palestina un mandato fiduciario per avere una parte da leone. La manovra non gli riuscì e il presidente Truman all'atto della creazione dello stato ebraico, diede il suo riconoscimento alla nuova Israele. La mossa giunse improvvisa e costituì il terzo voltafaccia americano sul problema palestinese. Ma non doveva essere l'ultimo: quando Israele si trovò aggredita dagli arabi, Washington si guardò bene dall'assumere un atteggiamento energico in difesa degli ebrei. Gli Stati Uniti preferirono continuare il doppio gioco, forti della loro potenza economica di cui hanno bisogno sia gli arabi che gli ebrei. L'unica fra le grandi potenze che, a detta di tutti gli osservatori, abbia mantenuto una posizione coerente su una questione tanto delicata, è l'Unione Sovietica che, dopo aver appoggiato la spartizione, riconobbe de jure lo stato di Israele e si batté perché fossero adottate energiche sanzioni contro gli stati arabi aggressori, proposta osteggiata apertamente dagli inglesi e subdolamente dagli americani.

-Renzo Mazzetti- (Martedì 18 Maggio 2021 h.10,20)


VIRUS EFFETTI VARI

(Meditazione sul discorso di Draghi Mario a Fiumicino,12 Marzo 2021)

Questa prima visita in un sito vaccinale è stata una visita breve ma veramente bella e mi è venuto in mente una cosa, che queste ragazze e questi ragazzi che lavorano come volontari o in forma permanente hanno reso, questo che è un luogo medico, in realtà un luogo di speranza, perché entrando qui si capisce che ne usciremo e ne usciremo grazie a voi e grazie a tutti coloro che faranno questa campagna vaccinale, che aderiranno a questa campagna vaccinale, si ha la sensazione che se ci sono delle strozzature nella logistica non sono qui, si ha la sensazione che ci è una mobilitizzazione collettiva fondata proprio sulla solidarietà e sull'entusiasmo. Quindi vi ringrazio prima di iniziare la parte più formale di questo incontro. Voglio ringraziare la Croce rossa italiana, Aereoporti di Roma, la regione Lazio e l'Istituto Lazzaro Spallanzani che hanno contribuito ad allestire questo Centro vaccinale. Un grazie anche a coloro che mi hanno accompagnato durante la visita e un grazie al ministro Speranza per tutto quello che ha fatto finora. A voi come a tutti i medici, infermieri e volontari che lavorano instancabilmente in tutti i presidi sanitari d'Italia, va la profonda riconoscenza mia e di tutto il paese. A più di un anno dall'inizio dell'emergenza sanitaria, ci troviamo purtroppo davanti a una nuova ondata di contagi. Nell'ultima settimana si sono registrate più di 150 mila nuove infezioni, a fronte delle 130 mila, quasi 131 mila della settimana precedente. Ora l'incremento dei ricoverati positivi al virus è stato di quasi 5 mila persone, il numero dei pazienti in terapia intensiva è cresciuto di oltre 650 mila unità. Queste cifre ci impongono la massima cautela. Dobbiamo limitare ovviamente il numero dei morti e impedire la saturazione delle strutture sanitarie. Il ricordo di quello che è accaduto la scorsa primavera è vivo e faremo di tutto per impedire che possa ripetersi. Sulla base dell'evidenza scientifica il governo ha adottato oggi misure restrittive che abbiamo giudicato adeguate e proporzionate. Lo abbiamo fatto con un decreto legge che vedrà il parlamento pienamente coinvolto nella discussione. Le nostre scelte sono state condivise più volte nella Conferenza Stato regioni nello spirito di massima collaborazione fra i diversi livelli dell'Amministrazione. E' importante che questo avvenga perché senza una collaborazione si perde entusiasmo in questa che è una battaglia comune collettiva. L'ultima riunione per dirvi che dimostra questa collaborazione con le regioni è avvenuta questa mattina poco prima del Consiglio dei ministri e a questa riunione ha partecipato il ministro Speranza che è qui con noi oggi. Qualche giorno fa ho ringraziato gli italiani per la loro infinita pazienza. Sono consapevole che le misure di oggi avranno conseguenze sull'istruzione dei figli, sull'economia, ma anche sullo stato psicologico di noi tutti. Il presidente della Croce rossa ricordava prima la situazione di difficoltà psicologica che incontrano alcune persone, le persone più anziane, le difficoltà io credo che siano di tutti coloro che sono spesso soprattutto delle persone sole che rimangono oggi ancora più sole e che hanno difficoltà a incontrare a vedere le persone più care. Queste misure sono necessarie per evitare un peggioramento che renderebbe inevitabili provvedimenti ancora più stringenti. A queste misure si accompagna l'azione di governo a sostegno di famiglie e imprese e l'accelerazione della campagna vaccinale che da sola dà speranza di uscita dalla pandemia. Per venire incontro alle esigenze delle famiglie abbiamo deciso già nel decreto di oggi di garantire il diritto al lavoro per chi ha figli in didattica a distanza o in quarantena, per chi svolge attività che non consentono il lavoro a casa sarà riconosciuto l'accesso ai congedi parentali straordinari o al contributo badanti. Il decreto che comprende tutte le altre misure di sostegno all'economia è previsto per la settimana prossima. I 32 miliardi già autorizzati sono interamente impegnati. Ma non basta. Ho intenzione di proporre al parlamento, in occasione della presentazione del documento di economia e finanza, un nuovo scostamento di bilancio. Le misure previste nel decreto legge di questa settimana sono corpose e coprono una platea più ampia e arriveranno rapidamente nella prossima settimana. Tra i provvedimenti più significativi c'è il prolungamento della cassa integrazione e guadagni, un più ampio finanziamento degli strumenti di contrasto alla povertà per sostenere i nuovi poveri, coloro che ormai sono diventati maggioranza nelle file della Caritas. Agli autonomi, alle partite IVA che hanno subìto perdite di fatturato riconosciamo contributi in forma più semplice, immediata, senza criteri settoriali. L'altro impegno che questo governo e io stesso abbiamo preso con i cittadini è quello di dare nuovo vigore alla campagna vaccinale. Nella giornata di ieri l'agenzia italiana del farmaco su richiesta della magistratura ha bloccato un lotto di vaccini AstraZeneca dopo la segnalazione di alcuni gravi effetti avversi. E' una decisione precauzionale in linea con quanto fatto da altri paesi europei e che se non altro dimostra l'efficacia dei servizi di vigilanza. Il parere dell'agenzia italiana del farmaco condiviso dagli scienziati, dall'organizzazione mondiale della sanità è che non ci sia un'evidente prova, un'evidente correlazione tra questi eventi e la somministrazione del vaccino. L'agenzia europea per i medicinali, l'EMA, sta esaminando i casi sospetti, ma ha anche consigliato di proseguire con l'utilizzo del vaccino. Qualunque sia la decisione finale dell'EMA posso assicurarvi che la campagna vaccinale proseguirà con rinnovata intensità. Ad oggi si vedono già i primi risultati di questa accelerazione. Solo nei primi undici giorni di Marzo è stato somministrato quasi il 30% di tutte le vaccinazioni fatte fino all'inizio di questo mese. E' il doppio della media dei due mesi precedenti. Il ritmo giornaliero attuale è di circa 170 mila somministrazioni al giorno e l'obiettivo è quello di triplicarlo presto. Abbiamo ricevuto poco meno di 8 milioni di dosi ma contiamo su una forte accelerazione nelle prossime settimane. Inoltre di oggi è la notizia della conclusione del primo contratto tra un'azienda italiana e una multinazionale titolare di brevetto. Continueremo a sviluppare le capacità produttive di vaccini in Italia. L'Unione Europea ha preso impegni chiari con le case farmaceutiche e ci aspettiamo che vengano rispettati. Questa settimana abbiamo preso decisioni forti nei confronti delle aziende in ritardo con le consegne. Seguiteremo a farlo per difendere la salute degli italiani. Il nostro obiettivo in accordo con il ministro della salute Roberto Speranza e il capo della Protezione Civile Fabrizio Curcio e il Commissario straordinario all'emergenza generale Francesco Paolo Figliuolo è quello di utilizzare tutti gli spazi utili disponibili per le vaccinazioni. Ci si potrà vaccinare non solo negli ospedali o in altri siti come questo ma anche nelle aziende, nelle palestre, nei parcheggi come questo di Fiumicino. In Italia sono già operativi 1694 siti vaccinali fissi e molti altri verranno individuati. Per questo cambio di passo avremo bisogno dell'aiuto di molti, molti anche come voi. Penso prima di tutto ai medici generali tra cui quelli che ho visto oggi, specialisti e specializzandi con cui il ministro Speranza ha già sottoscritto accordi a tal fine, ma anche medici competenti delle aziende, dai medici sportivi agli odontoiatri, opereranno nel pieno rispetto dei protocolli medici e per garantire somministrazioni sicure e rapide. Il loro contributo è centrale per il successo di questa campagna come lo è stato in tutte le altre fasi della pandemia, ma fondamentale è la partecipazione di tutti i cittadini. Pensiamo solo che con una vaccinazione diffusa potremo fare a meno delle restrinzioni di come quelle che abbiamo approvato oggi in Consiglio dei ministri. Collaborazione decisiva è anche quella delle regioni. Lo Stato attraverso il Commissario straordinario e la Protezione civile si farà carico di intervenire in tutte le situazioni di difficoltà. Il principio è quello della sussidarietà, del rispetto delle prerogative che la Costituzione assegna ad ogni levello dell'Amministrazione pubblica. A questo proposito piccola osservazione che guarda a domani: nella riunione del Consiglio dei ministri di oggi, il ministro per il Turismo ci ha ricordato una cosa giustissima che noi non sappiamo quando usciremo da questa situazione, sappiamo però quando ne usciremo, dobbiamo essere organizzati per la riapertura delle attività economiche e quindi dovremo cominciare ad aggiornare già da ora i protocolli condivisi con le regioni per la riapertura di queste attività. L'Italia ha scelto di cominciare la sua campagna vaccinale dal personale delle strutture sanitarie che deve operare in sicurezza nell'interesse di tutti. Abbiamo poi proceduto a vaccinare nelle Residenze sanitarie assistenziali dove vivono i nostri cittadini più deboli, infine abbiamo dato priorità agli ultra ottantenni insieme a chi opera nella scuola, nell'università, nel soccorso pubblico. Mentre completeremo le vaccinazioni a queste categorie procederemo però rispettando il numero dato dall'età e dalle condizioni di salute per gli altri cittadini. A tutti chiedo di aspettare il proprio turno come ha fatto in maniera esemplare il Presidente della Repubblica. E' un modo di mostrarci una comunità solidale proteggendo chi ha più da temere per gli effetti della pandemia pur consapevole delle difficoltà oggi voglio darvi un messaggio di fiducia, di forza, di speranza. Questo governo vi accompagnerà con la stessa intensità dimostrata nel suo primo mese di vita.

-Renzo Mazzetti- (Lunedì 15 Marzo 2021 h.09,04)


VIRUS AGNELLI

(Meditazione su: “E ancora la Fiat ci guadagna” di Fortebraccio, l'unità 22/1/1982).

Come il giro delle stagioni, immutabile e fatale, così ci appare la vicenda della Fiat. C'è sempre un tempo dell'anno in cui s'alzano alte grida di allarme sulla sorte di questa azienda: gli affari vanno male, le previsioni sono nere, bisogna ridurre, ridimensionare, restringersi. “Ahimè, che sarà di noi?”, piange l'avvocato Basetta, soprannominato Agnelli. E aggiunge, con voce tenebrosa, che occorrerà ridurre la maestranza, con licenziamenti o cassa integrazione. Tale è il destino. Poi passano i mesi, finisce l'anno, si compilano i bilanci e Basetta scrive una lettera agli azionisti nella quale annuncia che le cose sono andate bene e, secondo ogni ragionevole previsione, andranno ancor meglio l'anno prossimo. Intanto, dai conti fatti, si può già concludere che anche quest'anno la Fiat chiuderà in attivo e che gli azionisti incaseranno un dividendo almeno non inferiore a quello dell'anno trascorso, quando ogni azione rese 125 lire. L'altro ieri l'avvocato Basetta ha illustrato la rituale lettera e noi abbiamo visto sulla Repubblica un quadro che illustra chiaramente la situazione. Vi sono indicati tre capitoli: fatturato, che risulta cresciuto, rispetto all'80, del 21%, mentre gli investimenti sono passati ad un totale di 1.242 miliardi. Nell'80 furono di miliardi 960. Mica male, eh? Una cifra soltanto appare deficitaria: i dipendenti, vale a dire gli operai, erano 342.654 e ora sono 315.362, cioè 27.292 in meno, e non ci risulta che l'avvocato Basetta abbia sentito il dovere di segnalare questa diminuzione almeno scrivendo, a guisa di inciso, “con rammarico”, o “purtroppo” o qualche analoga espressione di rincrescimento. La Fiat guadagna anche quest'anno, e 27.292 operai sono a spasso. Intanto gli azionisti passano alla cassa a riscuotere. Chi sono poi questi azionisti? Com'è noto sono tutti, o quasi, membri della famiglia Agnelli ed è lecito calcolare che almeno la metà di essi non facciano assolutamente nulla. Sono già ricchissimi e diventano sempre più danarosi cacciando via decine di migliaia di lavoratori al principio di ogni anno e intascando a Natale centinaia di milioni, e forse a Basetta toccano addirittura dei miliardi. Qualcuno vorrebbe che noi comprendessimo anche le ragioni dei padroni. Non le comprenderemo mai, ci rifiutiamo di capirle, non vogliamo neppure ascoltarle. Vogliamo che lor signori ricordino che siamo dei rivoluzionari e che li vogliamo costringere, sia pure con metodo democratico, a non sfruttare più.

-Renzo Mazzetti- (Domenica 7 Marzo 2021 h.08,34)


PARLARE POCO

(Meditazione su: “Il passo” di Mario Melloni sul “Popolo”, 24 Agosto 1946)

L'Unità ha pubblicato una manchette: “Dopo l'ultima conferenza-stampa dell'on. De Gasperi a Parigi – Sonnino, come ministro degli esteri, aveva, per lo meno una qualità degna di rilievo: quella di parlare poco”. Se una battuta cosiffatta fosse comparsa su un qualsiasi altro giornale, avremmo evitato di farne caso: ma il fatto che essa si possa leggere sul foglio comunista, ci sembra così straordinario ed allarmante, che vogliamo sottolinearlo senza indugio, perché non si dica, un giorno, che a noi è sfuggita la data di ieri. Significativa data, o amici, nella storia del comunismo nostrano; il quale, dopo avere vittoriosamente resistito sino alla mezzanotte del 22 agosto 1946, all'apparire del giorno successivo si è lasciato tentare dal desiderio di fare dell'ironia e dello spirito, inaugurando così, probabilmente senza saperlo e sicuramente senza volerlo, un processo di decadimento rivoluzionario le cui conseguenze, non dubitatene, si manifesteranno prima o poi irreparabili. Non giudicate questo discorso sproporzionato all'occasione da cui origina: è questa la prima volta, infatti, che i comunisti si propongono, diremmo disinteressatamente, di essere spiritosi. Non nuovi al sarcasmo, alla beffa, all'insulto, essi avevano sempre, sinora, evitato rigorosamente l'ironia, che non domanda ricompensa alcuna; e si compiace di sé, come una bella donna allo specchio; e s'appaga della sua grazia fuggevole, autentica capitalista dello spirito, primogenita viziata della saggezza e del buon senso. Anticollettivista per nascita e per educazione, l'ironia è tenuta dai comunisti in conto di corrompitrice e perversa; nonché praticarla, essi addirittura ostentano di ignorarne l'esistenza; e quando li scorgete chiusi al sorriso, immusoliti e gravi, assorti, aggrottati e remoti, non crediate che soffrano o meditino o sognino. Niente affatto. Lottano, i compagni, lottano contro la tentazione dell'umorismo, contro il rischio della facezia, contro il repentaglio del buon sangue, che essi considerano, avvertiti da un istinto profondo, le più pericolose quinte colonne dalle quali debbano ad ogni costo difendersi. Ma questa volta, salvo errore, ci siamo. A De Gasperi gli stessi comunisti avevano mosso sino a ieri il rimprovero di non farsi sentire abbastanza, di non agitarsi a dovere, di non “essere presente” in ogni occasione; ed è forse per compensare il suo deplorato silenzio, che Togliatti è andato a parlare, non invitato, nel solo luogo al mondo in cui doveva tacere, scatenando, con un solo discorso, il più vasto e fastidioso baccano che, a essere sordi, si potesse desiderare. Non v'era dunque motivo di sorta per accusare Da Gasperi di incontinenza verbale; eppure L'Unità ci si è provata; e ci si è provata, evidentemente, soltanto per fare dello spirito. Il tentativo, naturalmente, poteva riuscire assai meglio; ma in queste cose, come si dice quando si fanno dei brutti regali, quello che conta è il pensiero; vale a dire l'intenzione. E l'intenzione innegabilmente c'è. Ora noi siamo persuasi che bisogna francamente rallegrarsene, perché un comunista incline all'arguzia un giorno o l'altro finirà per sorridere; e dal sorriso alla Critica Sociale, il passo, come tutti sanno, è breve. (Meditazione su: “Il passo” di Mario Melloni sul “Popolo”, 24 Agosto 1946)

-Renzo Mazzetti- (Domenica 28 Febbraio 2021 h.08,21)


VIRUS DRAGHI SIRENE

(Meditazione sulla dichiarazione di Vito Crini dopo l'incontro con Mario Draghi, Sabato 6 Febbraio 2021)

Oggi abbiamo incontrato il presidente incaricato Draghi e abbiamo ovviamente ribadito la consapevolezza della situazione in cui si trova il paese e quindi c'è la necessità di dotare il paese il più presto possibile di un governo che possa adottare tutte le misure necessarie a partire dai ristori alle persone in difficoltà. Abbiamo ribadito che in questo ultimo anno e mezzo alcune forze di maggioranza hanno lavorato insieme e ottenuto risultati importanti affrontando anche la crisi pandemica nel miglior modo possibile, confrontandosi e riconoscendo esigenze e criticità reciproche con una capacità di mediazione e di comprensione delle rispettive caratteristiche e tanta lealtà che da parte nostra non è mai mancata, e questo ci ha consentito di superare momenti difficili o di contrasto con quella giusta mediazione per ottenere il miglior risultato nell'interesse dei cittadini. E' sulla base di una vocazione solidale, ambientalista, europeista che si deve formare un nuovo governo, innanzitutto partendo da quello che è già stato realizzato. Abbiamo ribadito la nostra volontà che non siano indebolite misure come il reddito di cittadinanza e abbiamo trovato una persona anche sensibile a questo tema e all'importanza che ha in questo momento. Abbiamo temi delicati che hanno portato alle dimissioni e atti di scoglio politico che sono avvenuti negli ultimi mesi come quelli legati alla giustizia, il super bonus al 110%, queste sono alcune delle misure su cui abbiamo focalizzato. Si è parlato di tecnologia, ecologia e ambiente. La vocazione ambientalista e la vocazione innovatrice che devono coniugarsi in una politica industriale di cui il paese ha bisogno, una politica industriale che risponda alle esigenze di tutelare la salute dei cittadini. Abbiamo parlato anche del forte inquinamento in alcune zone del paese come la pianura padana e come la tecnologia può aiutarci intervenendo lo Stato con le scelte che possono indirizzare le politiche industriali verso una direzione anziché un'altra, detassando le imprese che fanno attività che sia di tutela ambientale o che riducano le proprie emissioni cercando di andare verso l'incentivo a fare un certo tipo di politica industriale. Abbiamo ribadito il concetto che quando e se si formerà un governo noi ci saremo sempre con lealtà che è quella che ha caratterizzato la nostra attività. Abbiamo riproposto un tema a noi caro che è la banca pubblica degli investimenti in modo da mettere a sistema tutte quelle attività bancarie che possono diventare un volano per le piccole e medie imprese, quelle magari che hanno difficoltà ad accedere al mercato bancario privato. Ovviamente come Movimento 5 stelle non abbiamo mai fatto prevalere il consenso rispetto agli interessi del paese e quindi le nostre scelte le abbiamo sempre fatte mettendo anche da parte, facendo scelte anche coraggiose in alcuni casi che potevano portare una parte del paese magari a non condividerle, però ritengo che fossero comunque nell'interesse del paese e dei cittadini, alcune misure ci hanno anche portato alla riduzione del consenso ma è importante mettere davanti al consenso la responsabilità per il momento in cui ci troviamo. Questo è solo un primo incontro e aspettiamo dal presidente incaricato una sintesi e quindi abbiamo dato la nostra disponibilità a valutare se ci sono le condizioni per prendere parte all'esecutivo, questa disponibilità la verificheremo nel momento in cui ci confronteremo ulteriormente per comprendere il quadro nel quale questo si muoverà, partendo innanzitutto, e lo ribadisco, dai temi perché il nostro obiettivo è riuscire a portare al centro i temi dei finanziamenti europei che sono una sfida fondamentale per il paese, per il futuro delle nostre generazioni, sono un piano che deve essere realizzato nel più breve tempo possibile. L'attuazione dei fondi in arrivo dall'Europa sia fatta non solo nell'interesse specifico di progetti che abbiano una matrice di benessere per i cittadini ma anche perché il mondo ci guarda e giudicherà se l'Italia è un paese che è cambiato, e di questo possiamo anche dire che garantiremo con i nostri valori che l'attuazione di quei fondi sia fatta con onestà, trasparenza e nell'interesse esclusivo e del benessere dei cittadini.

-Renzo Mazzetti- (Domenica 7 Febbraio 2021 h.16,03)


VIRUS O LUCE

(Meditazione sulla dichiarazione di Giuseppe Conte di Giovedì 4 Febbraio 2021 alle ore 14 circa)

Desidero innanzitutto ringraziare il Presidente Mattarella. E' stato un prezioso interlocutore negli anni dei miei mandati, sia per quanto riguarda i rapporti istituzionali, che per quanto riguarda i rapporti personali, e desidero anche ringraziare tutti gli amici della coalizione che hanno lealmente collaborato per la realizzazione del nostro progetto politico. Ieri ho incontrato il Presidente incaricato Mario Draghi. E' stato un colloquio lungo, un colloquio molto aperto, al termine del quale gli ho fatto gli auguri di buon lavoro. In queste ore qualcuno mi descrive come un ostacolo alla formazione di una nuova esperienza di governo, evidentemente non mi conosce o parla in malafede. I sabotatori cerchiamoli altrove, io ho sempre lavorato e continuerò a lavorare per il bene del paese e perché si possa formare un nuovo governo politico per risolvere le urgenze sul piano sanitario, economico e sociale, quindi nell'interesse dei cittadini, per il bene del paese. Da questo punto di vista auspico un governo politico che sia solido e che abbia quella sufficiente coesione per poter operare scelte politiche eminentemente politiche perché le urgenze del paese richiedono scelte politiche che non possono essere affidate a squadre di tecnici. Mi rivolgo adesso agli amici del Movimento: io ci sono e ci sarò, e come pure dico agli amici del PD e di LEU: dobbiamo continuare tutti insieme perché il nostro progetto politico, che ho sintetizzato nella formula “Alleanza per lo sviluppo sostenibile”, è un progetto forte, concreto che aveva già iniziato a dare buoni frutti, dobbiamo continuare a perseguirlo perché offre una prospettiva reale di modernizzare finalmente il nostro paese nel segno della transizione energetica, della transizione digitale e della inclusione sociale. Grazie!

-Renzo Mazzetti- (Giovedì 4 Febbraio 2021)


VIRUS SENATORE

(Meditazione sulla favola di Esopo: “Il lupo e l'agnello”)

Un lupo vide un agnello presso un torrente che beveva, e gli venne voglia di mangiarselo con qualche bel pretesto. Standosene là a monte, cominciò quindi ad ad accusarlo di insudiciare l'acqua, così che egli non poteva bere. L'agnello gli fece notare che, per bere, esso sfiorava appena l'acqua col muso e che, d'altra parte, stando a valle, non gli era possibile intorbidire la corrente a monte. Venutogli meno quel pretesto, il lupo allora gli disse:”Ma tu sei quello che l'anno scorso ha insultato mio padre”. E l'agnello a spiegargli che a quella data egli non era ancora venuto al mondo. “Bene”, concluse il lupo, “se tu sei così bravo a trovare delle scuse, io non posso mica rinunziare a mangiarti”.

-Renzo Mazzetti- (Mercoledì 13 Gennaio 2021 h.11,30)


VIRUS MONITUM

(Meditazione su “Il tarlo”” di Fausto Amodei)

In una vecchia casa piena di cianfrusaglie, di storici cimeli, pezzi autentici ed anticaglie, c'era una volta un tarlo di discendenza nobile che cominciò a mangiare un vecchio mobile.

Avanzare con i denti per avere da mangiare e mangiare a due palmenti per avanzare; il proverbio che il lavoro ti nobilita nel farlo non riguarda solo l'uomo, ma pure il tarlo. Il tarlo in breve tempo, grazie alla sua ambizione, riuscì ad accelerare il proprio ritmo di produzione; andando sempre avanti senza voltarsi indietro riuscì così a avanzar di qualche metro. Farsi strada con i denti per mangiare, mal che vada, e mangiare a due palmenti per farsi strada. Quel che resta dietro a noi non importa che si perda, ci si accorge, prima o poi, che è solo merda. Per la legge di mercato assunse poi per via un certo personale con contratto di mezzadria; di quel ch'era scavato grazie al lavoro altrui una metà se la mangiava lui. Lavorare per mangiare qualche piccolo boccone che dia forza di scavare per il padrone; l'altra parte del raccolto, ch'è mangiata dal signore, prende il nome di maltolto o plusvalore. Poi, col passare degli anni, venne la concorrenza da parte d'altri tarli con la stessa intraprendenza; il tarlo proprietario ristrutturò i salari e organizzò dei turni straordinari. Lavorare a perdifiato, accorciare ancora i tempi perché aumenti il fatturato e i dividendi. Ci si accorse poi ch'è bene, anziché restare soli, far d'accordo tutti insieme dei monopoli: Si sa com'è la vita: ormai giunto al traguardo, per i trascorsi affanni il nostro tarlo crepò d'infarto. Sulla sua tomba è scritto: per l'ideale nobile di divorarsi tutto quanto un mobile, chiaro monito per i posteri, questo tarlo visse e morì.

-Renzo Mazzetti- (Martedì 22 Dicembre 2020 h.07,03)


VIRUS COLORE

(Meditazione sul colore rosso nei tempi)

Da lontano arrivava il testimone del riscatto dell'umanità di color rosso dipinto. Conquistato il potere, o quasi, la Bandiera rossa (a significare il colore del sangue versato nelle lotte dai lavoratori del braccio e della mente) dai deboli di spirito tradita, dall'ipocrita borghesia reazionaria affossata.

-Renzo Mazzetti- (Domenica 29 Novembre 2020 h.07,34)


VIRUS TREND (GIALLO ARANCIONE ROSSO)

(Meditazione su: Misure contro il mortale virus mondiale 2020 annunciate dal capo del governo Giuseppe Conte, mercoledì 4 Novembre 2020 alle ore 20,22 circa)

La situazione appare particolarmente critica, il virus da noi, ma anche in tutta Europa, circola, corre forte, anche violento. Nell'ultima settimana, monitorata dal 19 al 25 ottobre, il numero di nuovi casi è quasi raddoppiato rispetto alla settimana precedente, e infatti l'Rt che segnala la capacità di trasmissione del virus è aumentata di 1,7, parliamo di una media nazionale che vuole dire che ci sono alcune regioni che hanno un Rt ancora superiore. Rispetto alle persone contagiate sale il numero degli asintomatici, diminuisce in percentuale il numero delle persone che vanno in terapia intensiva, ma è vero che i numeri complessivi sono in costante aumento e comportano un'alta probabilità che molte regioni superino le soglie critiche delle terapie intensive già nelle prossime settimane. Dobbiamo necessariamente intervenire. Dobbiamo farlo per rallentare la circolazione del virus in attesa di poter disporre, ci auguriamo quanto prima, di vaccini, di terapie risolutive. Oggi, a differenza della prima ondata, disponiamo di un piano molto articolato che si basa su 21 parametri. Questo piano è una bussola che ci indica dove intervenire, con quali misure anche differenziate e mirate. Più elevata è la circolazione del virus e più sale il rischio di tenuta dei servizi sanitari, e più restrittive sono le misure che andiamo ad intraprendere. Ma se invece introducessimo misure uniche su tutto il territorio nazionale produrremmo un duplice effetto negativo, quello da un lato di non adottare misure realmente adeguate, efficaci per le condizioni delle regioni che sono a maggior rischio, e dall'altro finiremo per imporre delle misure irragionevolmente restrittive per quelle aree del paese dove invece la situazione è meno grave. Per questo abbiamo distinto l'intera penisola in tre aree: gialla, arancione, rossa, ciascuna con proprie misure restrittive. Tutte le misure che vi riassumerò entreranno in vigore a partire da venerdì perché abbiamo voluto differire la validità di un giorno per consentire a tutti di disporre di un tempo congruo per organizzare le proprie attività, e poco fa, il ministro Speranza ha adottato un'ordinanza che ha individuato le regioni più critiche nella fascia rossa, gialla, arancione. Partiamo dall'area gialla: Abruzzo, Basilicata, Emilia Romagna, Campania, Lazio, Liguria, Toscana, Provincia di Trento e Bolzano, Friuli Venezia Giulia, Marche, Molise, Sardegna, Umbria, Veneto. Area arancione: Puglia, Sicilia. Area rossa: Calabria, Lombardia, Piemonte, Valle d'Aosta. Non ci sono regioni in area verde perché nessuno può sottrarsi dalle restrizioni. Nel dettaglio, le restrizioni sono le seguenti: In tutt'Italia coprifuoco dalle 22 alle 5. Chiudono i centri commerciali nei weekend. Sospesi i concorsi (salve alcune eccezioni). Mezzi di trasporto al 50%. Sospese scommesse anche in bar e tabaccherie. Bar e ristoranti restano aperti fino alle 18. Didattica a distanza al 100% per le scuole superiori. Nell'area arancione divieto di spostarsi da un Comune all'altro. Restrizioni anche per gli spostamenti da e fuori regione. Chiudono bar e ristoranti 7 giorni su 7. Nell'area rossa chiudono negozi e attività non essenziali. Limitati gli spostamenti anche all'interno dello stesso territorio. Chiudono le scuole superiori e le classi di seconda e terza media. Nell'area gialla è vietato circolare dalle 22 alle 5 del mattino. Raccomandazione di non spostarsi se non per motivi di salute, lavoro, studio, situazioni di necessità. Chiusura dei centri commerciali nei giorni festivi e prefestivi ad eccezione delle farmacie, parafarmacie, punti vendita di generi alimentari, tabaccherie ed edicole al loro interno. Chiusura di musei e mostre. Didattica a distanza per le scuole superiori, fatta eccezione per gli studenti con disabilità e in caso di uso di laboratori; didattica in presenza per le scuole dell'infanzia, le scuole elementari e le scuole medie. Chiuse le università, salvo alcune attività per le matricole e per i laboratori. Riduzione fino al 50% per il trasporto pubblico, ad eccezione dei mezzi di trasporto scolastico. Sospensione attività sale giochi, sale scommesse, bingo, slot macchine anche nei bar e tabaccherie. Chiusura di bar e ristoranti alle ore 18. L'asporto è consentito fino alle 22. Per la consegna a domicilio non ci sono restrizioni. Restano chiuse piscine, palestre, teatri, cinema. Restano aperti i centri sportivi. Per gli spostamenti, l'autocertificazione. Va detto però che ogni settimana verrà valutata la situazione nella singola Regione. In caso di aggravamento si passerà alla fascia successiva; se invece la situazione migliora si potrà passare a quella precedente con un alleggerimento delle restrizioni (ma solo se sono in zona rossa o arancione per almeno 14 giorni). Ci aspettano mesi lunghi e difficili. Ma con l’aiuto di tutti possiamo farcela. E' prossimo un nuovo DPCM con il quale saranno previsti aiuti economici per le imprese danneggiate. Sarà un Decreto Ristori-Bis e già domani sera dovrebbe essere approvato dal Consiglio dei Ministri.

-Renzo Mazzetti- (Giovedì 5 Novembre 2020 h.10,45)


VIRUS TENDENZA ASCOLTO

(Meditazione su: “Parola di Giuseppe Conte, Domenica 21 Giugno 2020”)

Buon pomeriggio a tutti. Si sono appena conclusi i lavori della consultazione nazionale. Sono stati lavori molto intensi, in una settimana molto intensa, e non ci siamo chiusi affatto, anzi ci siamo aperti alla società civile, al mondo produttivo, al mondo della cultura. Abbiamo iniziato sabato scorso e abbiamo incontrato, in una cornice molto istituzionale, tutte le massime autorità europee istituzionali. Abbiamo ragionato del quadro europeo, del quadro mondiale dell'economia e dei suoi trend. Abbiamo continuato ascoltando all'incirca 85-90 ore. Alcuni giorni, ieri, per esempio, dalle ore 9 a mezzanotte continuativamente abbiamo ascoltato, ci siamo confrontati con organizzazioni sindacali, mondo dell'industria, del commercio, dell'artigianato, grandi e piccole imprese, terzo settore, regioni, provincie, comuni, imprese bancarie e assicurative, aziende pubbliche e private, esponenti della cultura, del teatro, del cinema, della musica, dello spettacolo, tanti cittadini, abbiamo infine sentito da ultimo, abbiamo voluto concludere con i rappresentanti delle varie associazioni delle professioni sanitarie. Abbiamo lavorato in un clima di massima concentrazione, molto proficuo, un clima molto intenso, abbiamo toccato con mano problemi, approfondito anche sofferenze...

-Renzo Mazzetti- (Martedì 30 Giugno 2020 h.12,16)


PROGRESSO E BENESSERE

(Meditazione su: ”Discorso all'umanità - Il grande dittatore” di Charlie Chaplin)

Mi dispiace. Ma io non voglio fare l'imperatore. No, non è il mio mestiere. Non voglio governare, né conquistare nessuno; vorrei aiutare tutti se è possibile: ebrei, ariani, uomini neri e bianchi. Tutti noi, esseri umani, dovremmo aiutarci sempre; dovremmo godere soltanto della felicità del prossimo. Non odiarci e disprezzarci l'un l'altro. In questo mondo c'è posto per tutti: la natura è ricca, è sufficiente per tutti noi; la vita può essere felice e magnifica. Ma noi lo abbiamo dimenticato. L'avidità ha avvelenato i nostri cuori, ha precipitato il mondo nell'odio, ci ha condotto a passo d'oca a far le cose più abiette. Abbiamo i mezzi per spaziare, ma ci siamo chiusi in noi stessi; la macchina dell'abbondanza ci ha dato povertà; la scienza ci ha trasformato in cinici; l'abilità ci ha resi duri e cattivi. Pensiamo troppo e sentiamo poco. Più che macchinari, ci serve umanità. Più che abilità, ci serve bontà e gentilezza. Senza queste qualità, la vita è violenza, e tutto è perduto. L'aviazione e la radio hanno riavvicinato le genti. La natura stessa di queste invenzioni reclama la bontà dell'uomo, reclama la fratellanza universale, l'unione dell'umanità. Perfino ora la mia voce raggiunge milioni di persone nel mondo, milioni di uomini, donne , bambini disperati. Vittime di un sistema che impone agli uomini di torturare e imprigionare gente innocente. A coloro che mi odono, io dico: non disperate, l'avidità che ci comanda è solamente un male passeggero. L'amarezza di uomini che temono le vie del progresso umano, l'odio degli uomini scompare insieme ai dittatori. E il potere che hanno tolto al popolo, ritornerà al popolo. E qualsiasi mezzo usino, la libertà non può essere soppressa. Soldati! Non cedete a dei bruti! Uomini che vi sfruttano! Che vi dicono come vivere! Cosa fare! Cosa dire! Cosa pensare! Che vi irreggimentano! Vi condizionano! Vi trattano come bestie! Non vi consegnate a questa gente senza un'anima! Uomini macchina, con macchine al posto del cervello e del cuore. Voi non siete macchine, voi non siete bestie, siete uomini! Voi avete l’amore dell'umanità nel cuore. Voi non odiate coloro che odiano solo quelli che non hanno l’amore altrui. Soldati! Non difendete la schiavitù! Ma la libertà! Ricordate, promettendovi queste cose dei bruti sono andati al potere: mentivano, non hanno mantenuto quelle promesse e mai lo faranno. I dittatori forse son liberi perché rendono schiavo il popolo. Allora combattiamo per mantenere quelle promesse, combattiamo per liberare il mondo, eliminando confini e barriere! Eliminando l'avidità, l'odio e l'intolleranza! Combattiamo per un mondo ragionevole; un mondo in cui la scienza e il progresso, diano a tutti gli uomini il benessere. Soldati! Nel nome della democrazia siate tutti uniti!

-Renzo Mazzetti- Venerdì 22 Maggio 2020 h.06,50)


ORECCHIE E CERVELLO (ARCA E F35)

(Meditazione su: Davide Lajolo in: “Poesia come pane”)

Cesare è seduto nel primo banco del liceo “D'Azeglio”. Ascolta quel professore severo che non ammette neppure un bisbiglio con trepidazione. Dalla scuola privata alla scuola pubblica il salto è lungo, soprattutto perché quel professore così preciso, così esigente sentenzia seccamente: “Non sono cose da imparare a memoria. Devi aprire le orecchie; non prendere appunti: le orecchie e il cervello se l'hai. E rileggiti il testo e assimila quello che dice. Questo si chiama studiare, non altro”. Con questo professore la scuola diventa vita, professore ed allievi una assemblea democratica, i classici insegnamento ed esempio, il grido del Foscolo grido di libertà che nessuno deve soffocare né per propria viltà né per imposizione esterna. Augusto Monti è un uomo ingaggiato con se stesso e con gli altri dal mattino alla sera, perché lui è la “sollecitudine civile”, l'esempio, il militante, l'antifascista per costituzione perché ama la libertà come la vita, non è mai bigotto: “Impegnarsi, ingaggiarsi, lo scrittore lo vuole e lo deve essere? Lo scrittore fa quello che può, chi non si ingaggia vuol dire che non è da tanto”. E allo stesso tempo in cui Monti riafferma queste convinzioni sulle quali costruisce gli uomini e gli scrittori di domani, eccolo incantarsi e incantare gli allievi leggendo e spiegando la favola dell'Ariosto.

-Renzo Mazzetti- (Martedì 14 Aprile 2020 h.06,42)


VIRUS E POPOLO (PRESTITO VOLONTARIO E MARX)

(Meditazione su: Nuovi Argomenti; Calendario del Popolo. Anno 1954. “Marx si è ingannato?”)

Nuovi argomenti, la rivista di Moravia e Carocci: “Uno sguardo alla carta geografica mostra che i paesi comunisti hanno alcuni tratti in comune, cioè sono paesi asiatici o situati sulla frontiera tra Asia e Europa; sono tutti paesi (con la sola eccezione della Cecoslovacchia e della Germania Est) che al momento dell'avvento del comunismo si trovavano in condizioni economiche e sociali arretrate. Insomma la previsione di Marx che il comunismo non poteva trionfare che nei paesi ad alto tenore civile, industriale e capitalistico, non si è avverata. Al contrario il comunismo ha trionfato in paesi ad assetto feudale, artigianesco, patriarcale. A parte l'ovvia inesattezza, per cui regimi socialisti o in via di diventarlo vengono sbrigativamente definiti “comunisti”, la costatazione, come tale, mi sembra innegabile. Dobbiamo dunque pensare che Marx si è ingannato e che il movimento rivoluzionario odierno che si proclama marxista meriterebbe piuttosto la qualifica di populista?”. Il Calendario del Popolo, risponde: “A confronto di tanta polemica banale o grossolanamente ingiuriosa, l'obiezione presentata, per quanto non nuova, si distingue senza dubbio per una certa sottigliezza per l'interesse reale della questione sollevata. Come tale, essa merita di venir catalogata in quel gruppo di “obiezioni utili” che danno luogo a chiarimenti opportuni per tutti. Diciamo però subito che l'osservazione sarebbe valida se il marxismo fosse quello che non è e che nella persona dei suoi più autentici rappresentanti si è sempre rifiutato di essere: cioè qualche cosa di dogmatico. Essa coglierebbe perfettamente nel segno se il marxismo pretendesse di valere come una specie di tavola pitagorica per la soluzione anticipata dei problemi del futuro. (Ma è superfluo aggiungere che il marxismo è mille miglia lontano dall'avere simili pretese). Quando Marx diceva che la rivoluzione proletaria e la conseguente socializzazione sarebbero avvenute nei paesi capitalisticamente più evoluti, egli non intendeva enunciare una legge assoluta e infallibile destinata a funzionare in tutti i casi. La sua previsione aveva un carattere approssimativo e tendenziale, tale da non escludere affatto l'esistenza di fattori e di elementi di vario genere i quali potessero ostacolare le realizzazioni “lineare” del processo rivoluzionario e imprimergli un diverso corso e diverse caratteristiche. Se Marx avesse deliberatamente negato questa possibilità, allora e solo allora si potrebbe scorgere nella sua previsione un difetto di dogmatismo; allora e solo allora si potrebbe affermare che egli si è ingannato! La previsione di Marx si riduceva sostanzialmente a questo: un paese sarà tanto più vicino ad una trasformazione in senso socialista quanto più la sua situazione sarà capitalisticamente matura, quanto più sarà avanzato il processo di concentrazione della produzione e della ricchezza e quanto più grande sarà diventato l'esercito dei proletari. Tutto questo è esattissimo (tanto è vero che se nel '17 la rivoluzione d'Ottobre avesse vinto a Londra e a Liverpool anziché a Mosca e a Pietrogrado, l'opera di edificazione socialista sarebbe proceduta molto più facile e spedita), solo che va inteso cum grano salis, dando cioè all'affermazione un significato indicativo e orientativo su un piano storico generale. In concreto le cose non vanno in modo né semplice né lineare: è giocoforza infatti pretendere in considerazione una molteplicità di altri elementi che controagiscono e controinfluiscono rispetto alla tendenza generale senza giungere peraltro a smentita. Ad esempio: ci possono essere (e ci sono) paesi in cui dal punto di vista economico-sociale esistono le condizioni obiettive per un mutamento di struttura in senso socialista, nei quali però non sono ancora mature altre non meno necessarie condizioni (la classe operaia è politicamente e ideologicamente impreparata; la borghesia gode ancora di una forte vitalità, eccetera eccetera.). Ci possono essere invece paesi economicamente arretrati, in fase ancora precapitalistica, nei quali lo sviluppo rivoluzionario può essere fortemente facilitato dalle più aspre e aggrovigliate contraddizioni interne, dalla debolezza e incapacità politica della classe dirigente, dalla possibilità da parte della classe operaia di trovare nelle masse sfruttate (contadini eccetera) dei preziosi alleati. A ciò si aggiunga -fattore sempre più importante- la situazione internazionale i cui rapporti di forza influiscono in modo spesso decisivo sulla evoluzione politica di un paese. La previsione di Marx non deve dunque venir interpretata in modo rigido e puntuale (troppo comodo intendere in modo superficiale o schematico una data tesi per poi “trionfare” su di essa dicendo: è sbagliata!). Ma non basta. Quella previsione va aggiornata e reinterpretata in rapporto al variare delle condizioni storiche che sono oggi parecchio diverse da quelle che erano ai tempi di Marx. Esponendo i principi del leninismo nell'Aprile del 1924, Stalin metteva in rilievo come, nell'analizzare le premesse della rivoluzione proletaria, non si potesse più partire dall'esame di un solo paese, bensì dall'esame della situazione di tutti o della maggior parte di essi “perché le singole economie nazionali hanno cessato di essere delle unità autosufficienti e sono diventate anelli di una catena unica che si chiama economia mondiale,perché il vecchio capitalismo civile si è trasformato in imperialismo....”. Se prima -chiariva Stalin- si era soliti considerare la rivoluzione proletaria come risultato del solo sviluppo interno di un dato paese, questo punto di vista non è più sufficiente. Oggi bisogna considerare la rivoluzione proletaria -egli continuava- soprattutto come il risultato della rottura del fronte mondiale imperialistico in questo o quel paese. La risposta tradizionale che veniva data dai teorici della Seconda Internazionale al quesito: dove incomincerà la rivoluzione?, viene respinta come dogmatica dal marxismo-leninismo. Diceva ancora Stalin: “Dove può essere spezzato prima il fronte del capitale? In quale paese? Là dove l'industria è più sviluppata -si rispondeva di solito- dove il proletariato costituisce la maggioranza, dove c'è più civiltà, più democrazia... No, -obbietta la teoria leninista della rivoluzione- non obbligatoriamente là dove l'industria è più sviluppata eccetera eccetera. Il fronte del capitale si spezzerà là dove la catena dell'imperialismo è più debole... . Nel 1917 la catena era più debole in Russia, paese capitalisticamente meno sviluppato di quanto non lo fossero la Francia, la Germania, l'Inghilterra, l'America... . Dove si spezzerà la catena nel prossimo avvenire? Ancora una volta dove essa è più debole”.

-Renzo Mazzetti- (Lunedì 6 Aprile 2020 h.07,46)


RASSEGNA SALUTARE / IGIENE E PREVENZIONE

(Meditazione su: Igiene e prevenzione del Partito della Rifondazione Comunista Circolo San Romano-Montopoli, 26 Ottobre 2009)

Nell' ottobre del 2008 avevamo posto all'attenzione dell'amministrazione comunale i problemi stagnanti che riguardavano e ancora riguardano la tutela della salute e dell' ambiente, il lavoro e i controlli pubblici. Sono passati dodici mesi e ci ritroviamo a fare le stesse domande: cosa facciamo e cosa si intende fare per il potenziamento del controllo e per la prevenzione ambientale? Quante e quali risorse finanziarie ed umane sono state utilizzate e sono disponibili a questo scopo? A che punto è il famoso accordo del 2006 che pose precisi impegni alle amministrazioni per l'attuazione del centro regionale di telerilevamento a San Romano? Che seguito ha avuto il pronunciamento unanime del consiglio comunale montopolese per l'attuazione di una politica ambientale che tutelasse la popolazione dal famoso tubone? Le leggi regionali e i comportamenti locali sembra che portino a togliere alla nostra zona anche la sede dell'arpat e a non fare il centro regionale di telerilevamento. Vogliono sacrificare il servizio pubblico per privatizzare anche la tutela della salute e la salvaguardia ambientale per regalare soldi al privato senza tutelare la popolazione e non aiutare la nostra industria? Noi comunisti non accettiamo silenziosamente che tutto ciò avvenga e continuiamo la lotta perché il malcostume non intacchi la nostra comunità e si realizzi la politica ambientale pulita.

-Renzo Mazzetti- (Venerdì 6 Marzo 2020 h.10,20)


OLOF PALME (IL TESTAMENTO)

(Meditazione su: La svolta che prevedo per l'Europa di Olof Palme, Gennaio 1986, International Center of the Swedish labor movement)

Le teorie dei cicli politici hanno riscosso notevole popolarità presso numerosi storici. L'eminente storico americano, nonché mio caro amico, Arthur M. Schlesinger è in procinto di pubblicare un libro sull'argomento. Ho letto parte del manoscritto e sono certo che stimolerà un ulteriore dibattito.

Schlesinger cita suo padre il quale affermava di essere in grado di distinguere tra periodi conserva- tori e radicali o “tra periodi in cui prevale l'interesse per i diritti dei pochi e periodi in cui prevale l'interesse per le ingiustizie a danno dei più”. La tesi che vorrei qui esporre è che potremmo presto uscire da un periodo dominato dall'interesse per i diritti dei pochi” per entrare in una fase di “interesse per le ingiustizie dei più”. In trent'anni di attività politica di queste svolte ne ho viste più d'una.

Quando, nei tardi anni 40, cominciai a interessarmi di politica, la sinistra europea era forte, e i tradizionali rapporti di potere venivano fortemente messi in discussione. Dopo la seconda Guerra mondiale la gente voleva farla finita con la miseria e votava per i partiti che si battevano per la piena occupazione e l'assistenza sociale. Perfino Winston Churchill dovette imparare la lezione, quando i reduci gli votarono contro costringendolo ad abbandonare l'incarico. Tuttavia negli anni 50 seguì una brusca sterzata a destra. Fra le cause vi fu probabilmente un certo senso di stanchezza. Dopo gli enormi sforzi della ricostruzione nel dopoguerra, molti cominciavano a desiderare vantaggi personali dalla migliorata situazione economica. Volevano insomma che gli effetti della ricostruzione si riflettessero anche sui loro portafogli e sui loro consumi individuali. Gli anni della guerra e dell'immediato dopoguerra avevano creato un'immensa domanda inevasa di consumo che ora voleva essere soddisfatta. I negozi erano pieni di nuovi articoli di consumo, dai frigoriferi alle lavatrici, dalle automobili alle calze di nylon.

Il clima era dunque favorevole a quei politici che dicevano all'opinione pubblica: vi renderemo liberi. Pagherete meno tesse e avrete più beni di consumo. E che aggiungevano: la vita è migliore con i conservatori. Fu così che un'ondata conservatrice, sia pure morbida, attraversò numerosi paesi del mondo industrializzato. Figure come Eisenhower, Menzies e Macmillan ne furono i simboli. I nuovi sistemi di assistenza sociale non vennero smantellati, né la meta della piena occupazione messa in discussione. Ma le priorità slittarono dal bene collettivo al perseguimento dell'interesse privato individuale. Negli anni 60 le priorità cambiarono ancora. La scena politica fu dominata dall'attenzione ai problemi di pubblico interesse, la guerra e la pace, una maggiore eguaglianza e partecipazione nelle decisioni e nell'attivismo politico. I sistemi assistenziali e i più elevati consumi individuali non bastavano più a risolvere i problemi e a soddisfare i desideri dei lavoratori dell'industria. Durante un periodo di rapida crescita si creò il settore pubblico e il moderno Stato sociale venne migliorato in molti nostri paesi. Perfino negli Stati Uniti, Kennedy e Johnson lanciarono una “guerra contro la miseria” e proclamarono l'era della “Grande Società”. Negli anni 70 la marea conservatrice ci ha sommerso. In parte a causa delle frustrazioni provocate dagli eccessi dell'ultrasinistra negli anni 60, ma soprattutto a causa delle crisi economiche seguite al boom dei prezzi petriliferi. L'ideologia neoconservatrice attribuiva ogni colpa dei problemi economici al Keynesismo e all'economia mista. Ricordo la spavalda affermazione di un certo professor Engels durante una conferenza a Melbourne nel '76: ”Keynes è morto”, proclamò. Lo Stato sociale era accusato di aver impoverito il settore privato, le politiche distributive egualitarie erano accusate di aver disinnescato la molla del profitto, vera forza trainante del capitalismo. I sindacati forti erano definiti come “imperfezioni del mercato” che avevano amputato la libertà delle imprese.

La conclusione dei neoconservatori era che bisognava restaurare un'economia di mercato libera e competitiva che lo Stato sociale andava in larga parte smantellato. L'ideologia conservatrice si esprimeva in questa fase in modo molto più aggressivo e progettuale rispetto agli anni 50, e i risultati di quest'ondata conservatrice li vediamo nelle statistiche sulla disoccupazione europea.

E' ovvio che ricercare delle spiegazioni generali per svolte politiche come quelle descritte sia un'affascinante sfida intellettuale. Un paio di anni fa ho letto il libro “Shifting Involvements” di Albert Hirschman. Questi sostiene di aver scoperto un'alternanza fra la ricerca della felicità collettiva e individuale. Hirschman costruisce un ciclo “pubblico-privato” nel quale la società oscilla tra stagioni tutte volte all'azione collettiva e al pubblico interesse e stagioni volte invece al perseguimento privato di interessi materiali individuali.

Nell'ipotesi di Hirschman, a svolgere un ruolo importante sarebbe una presunta base ciclica della psicologia umana. Gli esseri umani sono creature caratterizzate da insoddisfazioni intrinseche e inestinguibili. I bisogni sono indeterminati e dunque mai totalmente in grado di essere soddisfatti. Hirschman cita l'osservazione di Kant: “Date a un uomo tutto ciò che egli desidera e in quel preciso momento avvertirà che questo tutto non è tutto”.

La delusione è la malattia universale dell'umanità. Quindi è anche la malattia universale della politica e, secondo Hirschman, una molla fondamentale del cambiamento politico. In democrazia, la politica è in ultima analisi la ricerca dei rimedi. In una nazione in cui i cittadini scelgono i propri dirigenti, questi dovono giustificare il proprio ruolo affrontando, vincendo i problemi del loro tempo. “La politica, in ultima analisi”, dice Schlesinger “è l'arte di risolvere i problemi”.

E' questo, secondo Hirschman, a provocare i cicli politici. Ogni era politica, dominata o dall'interesse pubblico e da quello privato, arriva prima o poi a scontrarsi con problemi che non è in grado di risolvere e con ciò, inevitabilmente, genera disillusione inducendo un forte desiderio di novità.

Ciascuna fase crea le proprie contraddizioni. L'azione collettiva nella sua ricerca di una società egualitaria, di solito accumula numerosi cambiamenti in rapida successione. Dopo un po' di tempo, il pubblico sente il bisogno di digerire. Un'azione collettiva con andamento sostenuto è logorante dal punto di vista emotivo.

La capacità di una nazione di immergersi in un impegno politico di grande tensione è limitata, affermano Schlesinger e Hirschman. La natura impone delle pause. La gente non vuole più saperne di costringersi a sforzi eroici; preferisce disinteressarsi degli affari pubblici; immergersi nel privato. Stanca dell'incessante impegno nel paese, delusa dai risultati, cerca un intervallo di riposo e recupero.

Così l'azione collettiva, la passione, l'idealismo, il rinnovamento regrediscono. I problemi pubblici vengono consegnati alla mano invisibile del mercato. Entriamo in un periodo di “privitizzazione”, di accumulazione, di materialismo, edonismo, cinismo, ma spesso anche di religiosità. E sono anche periodi di preparazione a una nuova svolta politica in avanti.

Per citare Schlesinger: “Ogni epoca di predominio dell'interesse privato è caratterizzata da correnti sotterranee che acquistano forza gradualmente, correnti di insoddisfazione, critica, fermento, protesta. Segmenti della popolazione restano indietro nella corsa all'accumulazione. Gli intellettuali si estraniano. Problemi rimossi diventano acuti nel regno dell'interesse privato, minacciano di diventare incontrollabili, esigono rimedi. La gente si stanca dei motivi e dei punti di vista egocentrici, delle aspirazioni in dOppiopetto, delle finalità materiali della vita. Vuole che le siano date proposte e significati più ampi. Comincia a chiedere non ciò che il suo paese può fare per essa, ma ciò che essa può fare per il proprio paese. La vacanza dalle pubbliche responsabilità ricarica l'energia nazionale e le sue batterie. La gente è pronta per un nuovo appello. Un problema esplosivo, che cresce minaccioso al di là delle possibilità di soluzione del mercato e delle sua mani invisibili, conduce infine a una rottura e all'inizio di una nuova era politica”.

Vorrei fare due osservazioni su questa ipotesi. In primo luogo, credo che i popoli europei comincino ad essere “pronti per un nuovo appello”. Il “problema esplosivo” è chiaro quale sia: la disoccupazione di massa e i disagi sociali da essa provocati.

I primi sintomi del prossimo passaggio a una nuova era politica di azione collettiva sono chiaramente visibili. Vediamo un crescente numero di persone mettere in discussione la politica e l'economia di un sistema che ha creato venti milioni di disoccupati nel nostro continente. Vediamo diffondersi la protesta contro il razzismo e la xenofobia provocati dalla disoccupazione. Il movimento antirazzista “Touche pas à mon pote” sta diventando un movimento di massa. E nelle recenti elezioni politiche in Westfalia, in Grecia, in Italia, in Norvegia, in Danimarca e in Svezia abbiamo potuto assistere a successi della sinistra e ad arretramenti della destra.

La seconda osservazione è questa. L'ipotesi ciclica non è necessariamente un'ipotesi di rotazione intorno a una posizione di equilibrio. Al contrario, io vedo un chiaro indirizzo sotteso allo sviluppo storico dei nostri paesi. Naturalmente sono periodi di azione collettiva ad aver scandito il ritmo, ad aver aperto nuove frontiere. I periodi di azione privatistica sono stati in generale delle semplici pause o fasi di riposo. A volte le innovazioni del periodo precedente sono state messe in discussione come negli anni 70, ma più spesso si è trattato di periodi di consolidamento nei quali assorbire e legittimare i progressi acquisiti prima.

L'esperienza dimostra anche che è molto difficile rinunciare ai progressi ottenuti nei periodi più radicali. Negli Stati Uniti l'amministrazione repubblicana sembra fallire nel suo tentativo di ridimensionare il sistema ssistenziale, e anche il governo “tory” in Gran Bretagna sembra aver fallito nel suo progetto di taglio della spesa pubblica.

Anche qui in Svezia, l'attacco neoconservatore allo Stato assistenziale è stato respinto nelle ultime elezioni, quando i conservatori hanno dovuto mettere le carte in tavola e spiegare, al di là della retorica, la loro reale politica. E' stata una grande vittoria, non soltanto per il movimento laburista svedese ma anche, io credo, per tutte le forze progressiste in Europa.

Forse non dovremmo dare troppa importanza a questa ipotesi storica, e in un certo senso piuttosto speculativa, dei cicli politici. Soprattutto, non dobbiamo darla per scontata e attendere passivamente gli sviluppi. Tuttavia, è sorprendente come essa calzi bene all'attuale scenario europeo.

-Renzo Mazzetti- (Venerdì 3 Gennaio 2020 h.08,52)


NILDE JOTTI A PERTINI

(Meditazione sui novant'anni di Pertini: “Caro Sandro ancora grazie” di Nilde Jotti. Ottobre 1986)

La vita, l'opera tutta di Sandro Pertini - di cui abbiamo appena festeggiato i 90 anni - hanno una ispirazione costante: il legame indissolubile tra libertà e giustizia sociale, tra i diritti fondamentali e inalienabili degli uomini e le conquiste di emancipazione e progresso che fanno più giusta ed equa la società. In questo nesso, vissuto da Sandro Pertini sempre con grande consapevolezza e passione, vi è anche un retaggio fondamentale della tradizione socialista italiana che animò le prime grandi lotte sociali di fine secolo e che ispirerà l'opposizione al fascismo giungendo fino alla nuova Costituzione repubblicana. La convinzione che le grandi questioni di libertà camminano e avanzano insieme a quelle della giustizia e della eguaglianza costituisce poi una premessa teorica e politica della concezione di democrazia che, certo gradualmente e con difficoltà non lievi da superare, si è affermata proprio negli anni della resistenza al fascismo e ha costituito l'elemento unitario di fondo, direi non corrodibile, delle forze politiche della sinistra del nostro paese. Una concezione della democrazia che ha al centro l'uomo nella sua dimensione storica e reale, una concezione che esprime una forma alta di “umanesimo” - mi si consenta questa parola -, un umanesimo in cui la “ragion politica”, anche la più nobile, non si sovrappone mai, non cancella mai le esigenze, le attese, le aspirazioni degli uomini in carne ed ossa, cioè nella condizione reale del loro sviluppo politico e sociale. Di questa forma di umanesimo Pertini è stato sempre un propugnatore tenace e un maestro. In questo, credo sia giusto dirlo, c'è stato un insegnamento importante in tutti questi anni anche per noi. Un insegnamento accolto e rivissuto in una lotta politica reale che ha consentito di sentire sempre Sandro come un combattente che, con la sua inalterata fedeltà ideale e politica, sta da questa parte della barricata, dalla parte dei lavoratori e delle battaglie democratiche. Se ripercorriamo gli anni che vanno dal suo primo arresto (1925) e processo, alla coraggiosa vicenda dell'espatrio di Turati - che Pertini accompagna in Francia -, all'esilio e poi al ritorno in patria (1929) con il carcere e il confino fino all'eroica partecipazione alla lotta di Liberazione, riconosciamo in lui una nozione salda di democrazia che guida la sua azione e sostiene la sua battaglia e i suoi sacrifici. Una democrazia che non è un modello astratto ma si costruisce nelle esperienze reali di milioni di uomini e di donne, che è fatta di ideali e di sentimenti, di regole e principi irrinunciabili e di attenzione al nuovo, a quello che cambia e matura nella coscienza di ognuno e soprattutto nell'animo dei giovani. Un bisogno quindi di stare con la gente, vivendone situazioni, problemi e speranze. Per questo nell'esilio Pertini non farà solo lavoro politico ma farà anche - lui, un intellettuale, un avvocato destinato a una brillante carriera - il pulitore di macchine e l'imbianchino; per questo - da un certo punto in poi - vivrà lo stesso esilio come un limite troppo grande, un distacco troppo forte (dirà al limite dell'inutilità) con il suo paese, con quello che sta provocando il fascismo nella coscienza nazionale. Questo punto di partenza credo abbia anche dato sostanza alla particolare sensibilità di Sandro Pertini per il grande tema delle relazioni internazionali, della pace e del disarmo, del diritto di ogni popolo alla sua indipendenza e al suo sviluppo. Per questo, i suoi gesti e le sue parole, soprattutto come presidente della Repubblica, nelle varie occasioni e sedi anche internazionali, sono giustamente apparse ai cittadini e ai governi come autentico impegno, volontà effettiva del nostro paese e dei suoi dirigenti di operare in un modo nuovo e senza preconcetti per rapporti di amicizia e di pace tra i popoli.

Per combattere le battaglie di democrazia e di progresso, per cambiare le condizioni della nostra società e del paese Pertini avverte sin dalla giovinezza che è necessario stare dentro un'organizzazione collettiva. Lì l'elaborazione e il confronto delle idee, quando diventano un patrimonio comune, hanno la forza di incidere nella realtà. Lì il contributo del singolo cessa di essere una spinta individuale, pure nobile e importante, e diviene, arricchita e moltiplicata, una forza collettiva. In Pertini c'è - ci sarà sempre - l'orgoglio di essere socialista. Una scelta fatta in anni lontanissimi e che non potrebbe mutare se non al prezzo più grave: il tradimento di se stesso e, per dirla con una parola a lui cara, della sua fede. Qui voglio ricordare un episodio, pur noto, che travagliò nel profondo il suo animo e che ci testimonia la sua straordinaria vicenda politica e morale. Quando era nelle durissime carceri fasciste, in gravi condizioni di salute, la madre - verso cui Sandro ha avuto sempre un profondissimo affetto - inoltrò una domanda di grazia. Ecco allora la sua lettera al presidente del Tribunale speciale per rifiutare questa iniziativa:”Sento che macchierei la mia fede politica che più di ogni cosa, della mia stessa vita, mi preme”. E poi un'altra lettera alla madre in cui, con grande sofferenza personale, Sandro spiega come quel gesto colpirebbe tutta la sua vita: “Come si può pensare che io, pur di tornare libero, sarei pronto a rinnegare la mia fede? E privo della mia fede, cosa può importarmene della libertà?”. Ecco, questo è Pertini: con il suo attaccamento agli ideali politici, al suo partito. E proprio questo suo rigore intellettuale e morale gli ha consentito di rimanere sempre profondamente libero e coerente - qui sta il suo insegnamento - anche di fronte al proprio partito, alla cui vita e iniziativa ha portato un contributo ricco e autonomo che non ha significato mai appiattimento o conformismo. E' aperto da tempo un dibattito sui partiti, sul loro ruolo e sul rapporto che essi stabiliscono con la società: ci sono critiche e denunce, molto spesso motivate, di caduta di tensione ideale, di capacità di indicare progetti. Trovo che un punto fondamentale sia anche e proprio nel carattere della militanza politica, cioè nella capacità del singolo di non trasformarsi in rotella di un apparato burocratico e di difendere una propria autonomia di giudizio e di valutazione. Questo non significa individualismo, piuttosto consapevolezza che dire quel che si pensa, confrontarlo con gli altri, e lottare per affermarlo, finisce per essere un bene prezioso per la stessa vita dell'organizzazione collettiva.

In questi giorni di festa in cui il paese si è raccolto intorno a Pertini per festeggiarlo, dobbiamo esprimergli un altro motivo di gratitudine: per gli anni della sua presidenza della Repubblica. Può esser valido discutere atti isolati della sua presidenza. Ma resta fermo che egli ha esercitato il suo mandato in modo attivo e combattivo, obbedendo ai grandi principi che stanno a fondamento della Costituzione e che ne pervadono lo spirito. Sandro Pertini è stato sempre profondamente consapevole dell'autonomia delle istituzioni, della loro funzione di rappresentanza generale che non consente spazi ad interessi di gruppi o di parti. Eppure, perché le istituzioni svolgano fino in fondo il loro ruolo, debbono saper parlare al paese e al tempo stesso ascoltare la gente, viverne i sentimenti, i bisogni. Il cittadino deve così sentirsi parte viva e costitutiva dello Stato e delle sue istituzioni, e in esse trovare un punto di riferimento che trascende la sua vicenda individuale e lo lega, in rapporto di solidarietà e di rispetto dei reciproci diritti, agli altri cittadini. Ora, Sandro Pertini è stato, dobbiamo dirlo, il punto più alto di raccordo e di sintonia tra paese ed istituzioni in tutti questi anni di vita repubblicana. Lo è stato - e questo non lo potremo mai dimenticare - in un momento dei più drammatici, quello del lungo attacco terrorista alla stessa convivenza civile del nostro paese. Non voglio - sarebbe cosa contro la storia - sminuire il ruolo che altri soggetti individuali e collettivi hanno avuto perché si resistesse al terrorismo ed esso fosse sostanzialmente battuto. Eppure la tensione morale, l'angoscia umana e politica che però mai cedeva alla rassegnazione, l'intransigenza sua nella lotta (intesa anche come “no” a qualsiasi cedimento), la solidarietà umana ai tanti colpiti da tragedie terribili ed inspiegabili, sono state il suo messaggio più alto alla nazione, l'aiuto più forte a credere nella democrazia, a difenderla - tutti - con la tenacia, con il coraggio, con la fermezza di chi sa di stare dalla parte della civiltà e della ragione. Per questo diciamo ancora grazie a Pertini. Per questo i giovani - che spesso avvertono con maggiore immediatezza l'importanza dei valori fondamentali - si sono stretti e si stringono intorno a lui come ad un amico e ad un maestro.

-Renzo Mazzetti- (Venerdì 13 Dicembre 2019 h.09,53)


IL SENSIBILE COMPAGNO

(Meditazione su: “15 Agosto 1941” tratto da “Discorsi agli italiani” di Mario Correnti (Palmiro Togliatti), Radio Mosca)

Sono certo che molti di voi, alcune sere or sono hanno sentito, trasmesso dalla nostra Radio, il grande comizio di rappresentanti dei popoli slavi, incontratisi a Mosca per proclamare la loro fraternità e la solidarietà loro nella lotta contro la Germania hitleriana. Ho assistito a questo comizio, e vi confesso che ne sono uscito con l'animo profondamente commosso. Sono molto difficili, per noi latini, queste lingue slave, con le loro radici, coi loro accenti, con le loro costruzioni così diverse dalle nostre. Ho sentito parlare uno scrittore russo, un generale polacco, un poeta montenegrino, uno storico della Boemia, un professionista bulgaro, un deputato sloveno. In dodici idiomi diversi, ho sentito leggere lo stesso appello alla lotta per la libertà, per l'indipendenza, per la difesa delle patrie slave minacciate dall'invasore tedesco, e la somiglianza stessa della parlata mi diceva ad ogni istante che si tratta di dodici popoli diversi, ognuno dei quali ha una storia e una personalità ben determinate, ma che si sentono e sono fratelli e che oggi una comune minaccia stringe assieme in una lotta comune. Dodici popoli, 160 milioni di uomini abitanti l'enorme territorio che si stende tra le rive dell'Adriatico e le vaste pianure siberiane. I teorici della superiorità della razza tedesca su tutte le altre hanno deciso che questi popoli appartengono a una razza inferiore e che perciò non hanno diritto di essere liberi. Hitler ha lanciato contro di loro il suo esercito di banditi assetati di sangue e di rapina. Ha distrutto gli Stati per la cui indipendenza lottarono per secoli i polacchi, i boemi, i serbi, i croati; mette il piede sul collo dei bulgari; vuole rubare agli ucraini le loro terre; vuole rendere schiavi i russi. Vano delirio di un pazzo! Se oggi in Europa vi è un popolo del quale veramente si può dire che è disceso a un livello di civiltà inferiore a quello degli altri popoli europei esso è il popolo tedesco che, profondamente corrotto dalle sanguinarie dottrine del nazionalsocialismo, si è fatto un ideale dell'aggressione, del saccheggio, della barbarie. Quale differenza, perciò, fra il cosiddetto panslavismo del secolo scorso, strumento reazionario delle mire espansioniste dello zarismo, e questa odierna mobilitazione dei grandi e dei piccoli popoli slavi in difesa della loro esistenza e di quelle libertà nazionali che sono una conquista della moderna civiltà europea! “Noi amiamo la libertà e la patria. Libertà o morte!” - ha detto un nipote di Leone Tolstoj. “Ognuno dei popoli slavi ha diritto di vivere e di lavorare in pace, eguale tra gli eguali!” - ha proclamato un ceco. “Le terre fecondate dal sudore e dal sangue dei nostri padri sono nostre, e noi le difenderemo lottando fino all'ultima goccia del nostro sangue!” - hanno gridato un serbo, un montenegrino, un ucraino. Ascoltavo i loro discorsi, e un'idea sorgeva sempre più chiara nella mia mente: la causa per cui questi popoli lottano è la stessa per cui lottarono i nostri padri e i nostri nonni, negli anni eroici del nostro Risorgimento. Lo spirito profetico di Giuseppe Mazzini aleggiava nella riunione di Mosca. Giuseppe Mazzini sognò la resurrezione dei popoli slavi. La causa della libertà di questi popoli fu per lui una causa altrettanto nobile e sacra quanto quella del popolo italiano. Perché l'Italia possa essere sicura del suo avvenire, - è necessario che si costituiscano in Stati indipendenti, liberi da ogni oppressione straniera, tutte le nazioni che abitano tra il Mar Nero e la Vistola, tra i Carpazi e le Alpi Giulie. Solo in questo modo potrà essere elevata una barriera contro i sempre rinnovati tentativi di conquista violenta da parte del germanesimo. Il popolo italiano e i popoli slavi hanno dunque un interesse, una causa comune da difendere. Scossi dall'appello di Mazzini, vennero a combattere per la libertà italiana alcuni tra i migliori figli dei popoli slavi, e le camice rosse di Garibaldi dettero il loro sangue per la liberazione dei popoli balcanici. L'ammirazione e la solidarietà con i popoli slavi insorti contro i loro oppressori è una delle note dominanti di tutta la letteratura patriottica del Risorgimento. Ricordate Carducci? Vi voglio leggere alcuni versi da lui scritti attorno al 1860. L'altra sera, quando li ho riletti, ritornato a casa dopo il comizio degli slavi, mi sembrava fossero stati scritti ora, per la situazione di oggi, e non ottant'anni fa, sentite:

Su, da' monti Carpazi a la Drava,
Da la Bosnia a le tessale cime,
Dove geme la Vistola schiava,
Dove suona di pianti il Balcan!
Su, d'amore nel vampo sublime
Scoppin l'ire de l'alme segrete!
Genti oppresse, sorgete, sorgete!
Ne la pugna vi date la man!...
...Serbo, attendi! Su'l pian di Cossovo
Grande l'ombra di Lazzaro s'alza;
Marco prence da l'antro fuor balza,
E il pezzato destriero annitrì...
...In quell'uno che tutti ci fiede,
Chi si pasce del sangue di tutti,
Di giustizia d'amore di fede
Tutti armati leviamoci su.
E tu, fine de gli odi e de i lutti,
Ardi, o face di guerra, ogni lido!
Uno il cuore, uno il patto, uno il grido
Né stranier né oppressori mai più.

“Né stranier, né oppressori mai più”. Come vorrei che queste parole penetrassero nel cuore e nella mente di ogni italiano! Questa è la tradizione italiana, la vera, la immortale tradizione dell'Italia liberale, democratica, rivoluzionaria, garibaldina. Questa tradizione, Mussolini e il fascismo l'hanno messa sotto i piedi, e il popolo italiano sta già pagando il fio di questo delitto. Preso da mania di conquista, spinto dall'avidità senza limiti di caste reazionarie abituate a vivere di rapina, Mussolini ha preteso lanciarsi egli pure alla conquista delle terre slave, alla distruzione degli Stati nazionali slavi del bacino danubiano e dei Balcani. E il risultato? Quello dal quale metteva un guardia Mazzini. Dalla Vistola al Mar Egeo, l'Europa orientale geme oggi sotto il tallone tedesco, e il popolo italiano è ridotto a sua volta a essere vassallo della Germania di Hitler. I soldati italiani fanno da gendarmi, in Serbia, in Croazia, nel Montenegro, mentre i tedeschi saccheggiano per conto proprio questi paesi, e contro gli italiani, come contro i tedeschi, si dirige l'odio dei popoli che dovevano essere nostri amici, nostri collaboratori, nostri alleati, nella resistenza all'espansione violenta del germanesimo. Come appendice mercenaria dell'esercito di Hitler viene mandata al macello la gioventù italiana. Il tradimento degli ideali del Risorgimento coincide col tradimento degli interessi nazionali e materiali del paese. Vi è una via di salvezza per l'Italia, ed è che tutto ciò che vi è di sano nel nostro organismo nazionale si ribelli a questo tradimento e risollevi la bandiera della lotta per la libertà. Bisogna dare nuova vita al patto di alleanza sognato e predicato da Mazzini, tra il popolo italiano e i popoli slavi. Come ai tempi di Mazzini, una è la nostra causa. I giorni dell'hitlerismo sono contati. L'unione contro di esso di tutti i popoli slavi rende completo l'isolamento del nazionalsocialismo tedesco, rende vieppiù certa la sua sconfitta. E' scoccata l'ora della riscossa anche per gli italiani. In difesa dei nostri interessi, in nome delle nostre tradizioni migliori, in nome degli ideali per cui sorgemmo e ci affermammo in Europa come nazione, il nostro posto è coi popoli di tutta l'Europa come nazione, il nostro posto è coi popoli di tutta l'Europa e del mondo intiero che hanno giurato di far indietreggiare la barbarie tedesca, di cancellare per sempre l'onta del nazionalsocialismo e del fascismo.

-Renzo Mazzetti- (Mercoledì 11 Dicembre 2019 h.11,48)


PER LA SCUOLA PUBBLICA

(Meditazione su: “Per la scuola” di Piero Calamandrei)

Difendiamo la scuola democratica: la scuola che corrisponde a quella Costituzione democratica che ci siamo voluti dare; la scuola che è in funzione di questa Costituzione, che può essere strumento, perché questa Costituzione scritta sui fogli diventi realtà. Io sono un giurista abituato per abito mentale a vedere di tutti i problemi l'aspetto giuridico. E quindi anche del problema della scuola, sarò portato naturalmente a vedere gli aspetti giuridici, costituzionali. La scuola, come la vedo io, è un organo “costituzionale”. Ha la sua posizione, la sua importanza al centro di quel complesso di organi che formano la Costituzione. Nella seconda parte della Costituzione, quella che si intitola “l'ordinamento dello stato”, sono descritti quegli organi attraverso i quali si esprime la volontà del popolo. Quegli organi attraverso i quali la politica si trasforma in diritto, le vitali e sane lotte della politica si trasformano in leggi. Ora, quando vi viene in mente di domandarvi quali sono gli organi costituzionali, a tutti voi verrà naturale la risposta: sono le Camere, la Camera dei deputati, il Senato, il presidente della repubblica, la magistratura: ma non vi verrà in mente di considerare fra questi organi anche la scuola, la quale invece è un organo vitale della democrazia come noi la concepiamo. Se si dovesse fare un paragone tra l'organismo costituzionale e l'organismo umano, si dovrebbe dire che la scuola corrisponde a quegli organi che nell'organismo umano hanno la funzione di creare il sangue. Gli organi ematopoietici, quelli da cui parte il sangue che rinnova giornalmente tutti gli altri organi, che porta a tutti gli altri organi, giornalmente, battito per battito, la rinnovazione e la vita. La scuola, organo centrale della democrazia, perché serve a risolvere quello che secondo noi è il problema centrale della democrazia: la formazione della classe dirigente, non solo nel senso di classe politica, di quella classe cioè che siede in parlamento e discute e parla (e magari urla) che è al vertice degli organi più propriamente politici, ma anche classe dirigente nel senso culturale e tecnico: coloro che sono a capo delle officine e delle aziende, che insegnano, che scrivono, artisti, professionisti, poeti. Questo è il problema della democrazia, la creazione di questa classe, la quale non deve essere una casta ereditaria, chiusa, una oligarchia, una chiesa, un clero, un ordine. No. Nel nostro pensiero di democrazia, la classe dirigente deve essere aperta e sempre rinnovata dall'afflusso verso l'alto degli elementi migliori di tutte le classi, di tutte le categorie. Ogni classe, ogni categoria deve avere la possibilità di liberare verso l'alto i suoi elementi migliori, perché ciascuno di essi possa temporaneamente, transitoriamente, per quel breve istante di vita che la sorte concede a ciascuno di noi, contribuire a portare il suo lavoro, le sue migliori qualità personali al progresso della società. A questo deve servire la democrazia, permettere ad ogni uomo degno di avere la sua parte di sole e di dignità. Questo può farlo soltanto la scuola, la quale è il complemento necessario del suffragio universale. La scuola, che ha proprio questo carattere in alto senso politico, perché solo essa può aiutare a scegliere, essa sola può aiutare a creare le persone degne di essere scelte, che affiorino da tutti i ceti sociali. Vedete, questa immagine è consacrata in un articolo della Costituzione, sia pure con una formula meno immaginosa. E' l'articolo 34, in cui è detto: “La scuola è aperta a tutti. I capaci ed i meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi”. Questo è l'articolo più importante della nostra Costituzione. La stato deve costruire le sue scuole. Prima di tutto la scuola pubblica. Prima di esaltare la scuola privata bisogna parlare della scuola pubblica. La scuola pubblica è il prius, quella privata è il posterius. Per aversi una scuola privata buona bisogna che quella dello stato sia ottima. Vedete, noi dobbiamo prima di tutto mettere l'accento su quel comma dell'articolo 33 della Costituzione che dice così: “La repubblica detta le norme generali sull'istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi”. Lo stato non si deve limitare a porre principi platonici, ideali, teorici della costituzione delle scuole. Le deve costruire in conformità, con fedeltà a questi principi. Istituire, realizzare tutte le scuole, di tutti gli ordini. E questo non deve farlo a titolo, direi quasi, di campionario. Lo stato non deve dire: io faccio una scuola come modello: poi il resto lo facciano gli altri. No, la scuola è aperta a tutti e se tutti vogliono frequentare la scuola di stato, ci devono essere in tutti gli ordini di scuole, tante scuole ottime, corrispondenti ai principi posti dallo stato, scuole pubbliche, che permettano di raccogliere tutti coloro che si rivolgono allo stato per andare nelle sue scuole. La scuola è aperta a tutti. Lo stato deve quindi costituire scuole ottime per ospitare tutti. Questo è scritto nell'artico 33 della Costituzione. La scuola di stato, la scuola democratica, è una scuola che ha un carattere unitario, è la scuola di tutti, crea cittadini, non crea né cattolici, né protestanti, né marxisti. La scuola è la espressione di un altro articolo della Costituzione: dell'articolo 3: “Tutti i cittadini hanno parità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinione politica, di condizioni personali e sociali”. E l'articolo 51: “Tutti i cittadini possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizione di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge”. Di questi due articoli deve essere strumento la scuola di stato, strumento di questa eguaglianza civica, di questo rispetto per le libertà di tutte le fedi e di tutte le opinioni. Questo strumento è la scuola pubblica, democratica. Non bisogna lasciarci vincere dallo scoramento. Vedete, fu detto giustamente che chi vinse la guerra del 1918 fu la scuola media italiana, perché quei ragazzi, di cui le salme sono ancora sul Carso, uscivano dalle nostre scuole e dai nostri licei e dalle nostre Università. Però guardate anche durante la Liberazione e la Resistenza che cosa è accaduto. E' accaduto lo stesso. Ci sono stati professori e maestri che hanno dato esempi mirabili, dal carcere al martirio. Una maestra che per lunghi anni affrontò serenamente la galera fascista è qui tra noi. E tutti noi, vecchi insegnanti abbiamo nel cuore qualche nome di nostri studenti che hanno saputo resistere alle torture, che hanno dato il sangue per la libertà d'Italia. Pensiamo a questi ragazzi nostri che uscirono dalle nostre scuole e pensando a loro, non disperiamo dell'avvenire. Siamo fedeli alla Resistenza. Bisogna, amici, continuare a difendere nelle scuole la Resistenza e la continuità della coscienza morale.

-Renzo Mazzetti- (Venerdì 22 Novembre 2019 h.09,46)


VIOLENZA

(Meditazione su: Il dio della guerra e la violenza di Esopo)

Gli dei tutti presero moglie e ciascuno si ebbe colei che gli assegnava il sorteggio. Il dio della guerra fu l'ultimo del turno e non trovò più che la Violenza. Preso da un'ardente passione per lei, la sposò. Per questo, dovunque essa vada, egli le tien dietro. Dove compare la violenza, sia in una città, sia tra i popoli, guerra e battaglie tosto la seguono.

-Renzo Mazzetti- (Giovedì 7 Novembre 2019 h.06,37)


AI CURDI UNA PATRIA NON GUERRA

(Meditazione su: Oggi sono contro la guerra tutti coloro che hanno coscienza dei veri interessi loro e della nazione di Palmiro Togliatti da Radio Milano-Libertà, 23 luglio 1942)

Ripetiamolo: oggi sono contro la guerra tutti coloro che hanno coscienza dei veri interessi loro e della nazione.

Gli operai: perché la guerra li riduce alla miseria e convince tutti che le promesse di giustizia sociale fatte dai fascisti erano pura menzogna.

I contadini: perché la politica di guerra del fascismo li priva dei loro prodotti, li riduce a coltivare il suolo come servi per conto dei tedeschi.

Gli industriali che non sono venduti ai tedeschi o alla casta plutocratica: perché sull'altare dell'Asse la loro industria viene sacrificata.

I commercianti onesti: perché contro di loro si dirige la furia degli speculatori, che affamano il popolo per arricchirsi loro e nutrire i tedeschi.

Gli intellettuali: perché la loro coscienza si ribella alle stupide e barbare dottrine naziste che si vogliono loro imporre, costringendoli a rinnegare le tradizioni del nostro pensiero nazionale.

I monarchici: perché vedono l'avvenire stesso della monarchia compromesso dalle sconfitte militari e dalla politica di avventure di Mussolini.

I cattolici: perché sanno che Hitler vuole distruggere in tutto il mondo la religione cattolica e sostituire ad essa un barbaro paganesimo.

I fascisti che non si sono venduti né allo straniero né ai plutocrati del nostro paese: perché vedono le promesse e gli ideali del fascismo stesso calpestati ogni giorno da una cricca di uomini venali, corrotti, incapaci, e sentono l'avvenire della nazione irreparabilmente compromesso da una politica che ci rende servi dell'imperialismo tedesco.

Gli ex combattenti del 1915-18: perché è il nemico tradizionale d'allora, è la Germania imperialista e brutale d'allora e di sempre che Mussolini vuole rendere padrona di tutta l'Europa e quindi anche del nostro paese.

Mai come in questo momento si può dire che la grande maggioranza degli italiani è contro la politica del governo fascista, perché sente e vede ogni giorno più chiaramente che questa politica è contraria agli interessi della nazione.

Questa è la base sulla quale deve sorgere oggi un largo movimento per imporre la fine della guerra e una politica nuova in tutti i campi. Questo movimento deve essere e sarà un Fronte nazionale, prima di tutto perché esso non esclude nessuna tendenza politica, nessuna categoria di interessi e nessuna sfumatura di opinioni, e in secondo luogo perché il suo obiettivo non è né di classe, né di partito, ma essenzialmente e solamente nazionale. Si tratta di salvare la nazione dalla rovina economica, da nuovi disastri militari e dallo sfacelo e dal caos politico. Questo è il traguardo al quale ci sta portando Mussolini. Ma il popolo, che lo capisce, vuole salvarsi e si salverà.

Organizzarsi, combattere, chiamare le masse popolari al combattimento, questo è il compito del momento. Le notizie dai fronti dicono chiaramente che il momento critico della guerra si avvicina per la Germania e per l'Asse. E' nostro compito - se comprendiamo gli interessi del nostro paese - accelerare lo scioglimento della fosca tragedia nella quale Hitler e Mussolini hanno precipitato il mondo. E il momento di muoversi e di colpire è oggi, e non più tardi, perché ogni giorno di ritardo ci avvicina alla catastrofe spaventosa che noi vogliamo che al nostro paese sia evitata.

La pazienza del popolo è arrivata alla fine. La gente non ne può più. Ogni appello e ogni esempio di azione contro la guerra daranno frutti grandissimi. Non indugiamo. Il nostro scopo è chiaro.

Vogliamo la rottura dell'Asse, il ritiro dei soldati italiani dalla Russia e la fine della guerra. Vogliamo pane per tutti a sazietà. Vogliamo essere di nuovo liberi e padroni in casa nostra. Vogliamo che Hitler e l'imperialismo tedesco vadano alla rovina, e non il nostro paese. E siamo disposti a far tutto e faremo tutto quello che è necessario per ottenerlo.

-Renzo Mazzetti- Giovedì 17 Ottobre 2019 h.06,47)


SALUBRE GARA

(Meditazione su: Provate a produrre senza inquinare di Roberto Musacchio, Rinascita n.41, Sabato 24 Ottobre 1987)

L'ambiente sta diventando a pieno titolo una dimensione concreta della politica. Con questa nuova concretezza del problema occorre dunque misurarsi sul piano degli indirizzi, delle proposte, delle scelte fattuali in modo che vengano mantenute e tramutate in fatti le ispirazioni innovatrici di cui la cultura ambientale è portatrice. L'ambiente deve essere un asse capace di riqualificare l'insieme delle scelte economiche e produttive, la ricerca scientifica, la politica dell'istruzione, eccetera. Questo significa che per affrontare l'inquinamento, occorre innanzitutto prevenirlo investendo in questo obiettivo l'insieme degli sforzi volti all'innovazione tecnologica, alla riqualificazione produttiva, alla programmazione economica. Fondamentale è la capacità dello Stato di determinare indirizzi e convenienze, capacità che è totalmente mancata ai governi di pentapartito. L'obiettivo deve essere, in sintonia con gli indirizzi Cee, quello di produrre senza inquinare. Ciò richiede grandi impegni nei settori industriali, nella produzione di energia, nell'agricoltura, nei trasporti, nei modelli di consumo. Di fronte alle condizioni drammatiche del Po e dell'Adriatico o alla valanga dei rifiuti tossico-nocivi questa prospettiva appare ineludibile. Le opere di disinquinamento sono efficaci se riescono a inserirsi in un quadro di interventi che va nella direzione del produrre senza inquinare, e diventa fondamentale la questione del governo di questi processi, quindi della programmazione. C'è qui la grande possibilità di far crescere una occupazione qualificata. Pensiamo solo al campo dei servizi tecnici per la conoscenza del territorio o per la consulenza alle imprese impegnate nella qualificazione ambientale della propria produzione. Siamo di fronte a un terreno decisivo e di grande impegno per tutti. Per le industrie chiamate a cimentarsi sul serio con la modernità, uscendo da una cultura strettamente aziendalistica, in un quadro che sia realmente di innovazione di sistema.. Per il sindacato dei lavoratori che possono vedere rilanciate e unificate su un terreno più avanzato le lotte per l'occupazione, il controllo e la qualificazione degli investimenti e, da non dimenticare, per la salute. Per gli enti locali e le autonomie regionali chiamati ad essere soggetto attivo e propulsore del governo del territorio. E' su questo che si deve lavorare incalzando il governo già dalla legge finanziaria che si muove, ancora una volta, in direzione opposta alle esigenze del paese.

-Renzo Mazzetti- (Sabato 21 settembre 2019 h.09,30)


SEQUENZA RICORDO PERENNE

(Meditazione su: Sequenza ricordo perenne)

Ricerca e raccolta di Renzo Mazzetti/Bicefalo ordinata in: Sequenza sulla politica di repressione del centrismo e del centro-sinistra dal 1947 al 1969. In 22 anni la forza ha ucciso 97 lavoratori [Fonte: “Rinascita”n.16 del 18 Aprile 1969 dopo la Liberazione dell'Italia dalla sanguinosa dittatura fascista (d.L.)]. Questa è la suddivisione per regione: Sicilia 24, Puglia 19, Emilia-Romagna 17, Lombardia 6, Calabria 4, Abruzzo-Molise 4, Lazio 4, Veneto 4, Lucania 3, Liguria 3, Campania 3, Umbria 2, Toscana 2, Piemonte 1, Sardegna 1. In totale 97 di cui 58 nel Mezzogiorno, 31 nel Settentrione e 8 nell'Italia Centrale.

1947

(Presidente del Consiglio Alcide De Gasperi; vice-presidenti Giuseppe Saragat e Randolfo Pacciardi; ministro dell'Interno Mario Scelba).

CERIGNOLA, 15 NOVEMBRE

Celere e carabinieri aprono il fuoco nel corso di uno sciopero generale contadino. Uccisi due braccianti, Domenico Angelini, 28 anni, e Onofrio Perrone, di 42 anni e padre di tre figli.

CORATO (BARI), 18 NOVEMBRE

Durante il medesimo sciopero la polizia uccide tre manifestanti: L'attivista sindacale della CGIL Diego Masciavè, 26 anni, il bracciante Pietrino Neri e la giovane contadina di 19 anni Anna Rimondi.

CAMPI SALENTINA (LECCE), 20 NOVEMBRE

I carabinieri uccidono due contadini nel corso di una manifestazione per la terra: Antonio Augusti, 34 anni, e Santo Niccoli, 36.

GRAVINA (BARI), 22 NOVEMBRE

Nel corso di una manifestazione per la terra i carabinieri uccidono il bracciante Ignazio Labbatessa, 36 anni.

BISIGNANO (COSENZA), 2 DICEMBRE

La polizia uccide il contadino Mario Rosmundo, 32 anni.

ROMA, 6 DICEMBRE

La celere spara su un corteo di lavoratori di Primavalle uccidendo l'operaio Giuseppe Tanas.

CANICATTI' (AGRIGENTO), 22 DICEMBRE

Celere e carabinieri sparano su un corteo di braccianti disoccupati.Tre morti:

Giuseppe Amato, 24 anni, Salvatore Lauria, 28 anni e Giuseppe Lupo, 42 anni.

CAMPOBELLO DI LICATA (AGRIGENTO), 22 DICEMBRE

Nel corso di uno sciopero viene ucciso dai carabinieri il bracciante Francesco D'Antone, 36 anni e padre di 4 figli.

1948

(Presidente del Consiglio Alcide De Gasperi; vice-presidente Giuseppe Saragat; ministro dell'Interno Mario Scelba).

PANTELLERIA (TRAPANI), 30 MARZO

I carabinieri aprono il fuoco contro un corteo di cittadini che manifestavano per gli eccessivi gravami fiscali nell'isola. Tre morti, Antonio Valenza, 28 anni, Giuseppe Pavia, 35, Michele Salerno, 22.

ANDRA (BARI), 13 APRILE

Durante uno sciopero, il bracciante Riccardo Suriano, 25 anni, viene colpito da una bomba lacrimogena lanciata dalla polizia; stordito, viene ucciso a colpi di calcio di moschetto.

TARCENTA (ROVIGO), 13 Aprile

I carabinieri uccidono Evelino Tosarello, 24 anni, durante uno sciopero bracciantile nel delta padano.

SPINO D'ADDA (CREMONA), 3 GIUGNO

La celere apre il fuoco contro un corteo di lavoratori. Ucciso il bracciante Luigi Venturini, 22 anni.

SAN MARTINO IN RIO (REGGIO EMILIA), 2 Luglio

Il contadino Sante Mussini, 22 anni, muore schiacciato da un'autoblinda dei carabinieri nel corso di una violenta carica della polizia contro i lavoratori in sciopero.

GENOVA, 14 e 15 LUGLIO

Uccisi dalla celere, nel corso delle manifestazioni di protesta contro l'attentato a Togliatti, tre lavoratori: Biagio Stefano, Maria Alice e Mariano D'Amori.

GRAVINA (BARI), 15 LUGLIO

Ucciso dalla polizia a colpi di moschetto nei fianchi il bracciante Vito Nicola Lombardo, 22 anni.

ROMA, 18 LUGLIO

La celere spara su un corteo antifascista: ucciso l'edile Filippo Ghionna, 19 anni.

SIENA, 19 LUGLIO

Ucciso da un agente di PS, con una revolverata in fronte nella sede della Confederterra, il contadino Severino Matteini, 35 anni.

GRAVINA (BARI), 24 LUGLIO

I carabinieri sparano contro un corteo di braccianti che manifestano per il lavoro: ucciso il giovanissimo bracciante Luigi Schiavino, 16 anni.

PISTOIA, 16 OTTOBRE

Un giovane operaio della San Giorgio, Ugo Schiano, viene ucciso dalla polizia con una scarica di mitra in testa.

BONDENO (FERRARA), 29 NOVEMBRE

Muore all'ospedale di Bondeno (Ferrara), il contadino Ferdinando Ercolei, gravemente ferito dalla celere cinque giorni prima durante una manifestazione popolare per la difesa della gestione diretta del collocamento.

1949

(Presidente del Consiglio Alcide De Gasperi; vice-presidente Giuseppe Saragat; ministro dell'Interno Mario Scelba).

ISOLA LIRI (FROSINONE), 17 FEBBRAIO

Polizia e carabinieri sparano contro gli operai della cartiera in sciopero; 35 feriti di cui 7 gravi. Due giorni dopo l'operaio Tommaso Diafrate viene ucciso, travolto da un automezzo dei carabinieri che stavano occupando militarmente il paese.

TERNI, 17 MARZO

La polizia spara contro una manifestazione popolare di protesta per la firma del Patto Atlantico. Ucciso giovane operaio delle acciaierie, Luigi Trastulli.

MOLINELLA (BOLOGNA), 17 maggio

I carabinieri uccidono con una raffica di mitra la mondina Maria Margotti, vedova con due figlie piccole, durante una manifestazione di solidarietà coi braccianti in lotta.

MEDIGLIA (MILANO), 20 MAGGIO

La polizia uccide il bracciante Pasquale Lombardi, 18 anni.

SAN GIOVANNI IN PERSICETO (BOLOGNA), 12 GIUGNO

La polizia uccide il contadino Loredano Bizzarri, 42 anni.

GAMBARA (BRESCIA), 12 GIUGNO

Nel corso dello stesso sciopero bracciantile il contadino sessantenne Marziano Girelli ha il cranio fracassato dalla fucilata di un carabiniere.

FORLI', 3 GIUGNO

La celere spara contro gli operai della fabbrica Mangelli in sciopero. Uccisa un'operaio di 32 anni, Iolanda Bertaccini.

MELISSA (CATANZARO), 30 OTTOBRE

La celere apre il fuoco contro braccianti e contadini poveri che avevano occupato il feudo Fragalà, di proprietà del marchese Berlingieri. Tre morti: Giovanni Zito, 15 anni, Francesco Nigro, 29 anni, e una contadina di 24 anni, Angelina Mauro.

BAGHERIA (PALERMO), 29 NOVEMBRE

I carabinieri uccidono con una raffica di mitra la contadina di 18 anni Filippa Mollica Nardo.

TORREMAGGIORE (FOGGIA), 29 NOVEMBRE

Nel corso di una riunione di braccianti dinanzi alla Camera del Lavoro, celere e carabinieri aggrediscono senza preavviso la piccola folla. Vengono trucidati due braccianti, Antonio La Vacca, 42 anni, padre di 4 figli e Giuseppe La Medica, 37 anni.

MONTESCAGLIOSO (MATERA), 14 DICEMBRE

Una raffica di mitra, sparata da un brigadiere dei carabinieri, uccide i due braccianti Michele Oliva, 35 anni, e Giuseppe Novello, 36.

1950

(Presidente del Consiglio Alcide De Gasperi; ministro dell'Interno Mario Scelba).

MODENA, 9 GENNAIO

Polizia e carabinieri aprono il fuoco sugli operai delle fonderie Orsi che manifestavano contro la serrata della fabbrica. I poliziotti si scatenano in una vera caccia all'uomo, sparando al bersaglio sulle sagome umane. Vengono uccisi sei operai: Angelo Appiani, 30 anni, Renzo Bersani, 21, Arturo Chiappelli, 43, Ennio Garagnani, 21, Arturo Malagoli, 21, Roberto Rovatti, 36.

SECLI (LECCE), 14 FEBBRAIO

La celere spara contro i braccianti. Ucciso con una raffica all'addome il contadino Antonio Micali, 31 anni.

MARGHERA (VENEZIA), 15 MARZO

La celere apre il fuoco sugli operai della Breda uccidendone due: Nerone Piccolo, 25 anni, e Virgilio Scala, 33 anni.

LENTELLA (CHIETI), 21 MARZO

La polizia uccide due braccianti: Nicola Mattia, 41 anni, padre di 3 figli, e Cosimo Maciocco, 26 anni.

PARMA, 22 MARZO

La polizia uccide l'operaio disoccupato Attila Alberti, di 32 anni.

CELANO (L'AQUILA), 31 APRILE

Polizia e carabinieri sparano sui braccianti uccidendone due: Antonio Berardicuti, 35 anni, e Agostino Paris, 24 anni.

TORINO, 17 MARZO

Muore, durante una selvaggia carica della celere contro i dimostranti antifascisti, il pensionato Camillo Corino, di 58 anni.

1951

(Presidente del Consiglio Alcide De Gasperi; ministro dell'Interno Mario Scelba).

ADRANO (CATANIA), 17 GENNAIO

La polizia uccide a colpi di fucile il contadino Girolamo Rosano, 36 anni.

COMACCHIO (FERRARA), 18 GENNAIO

I carabinieri uccidono il bracciante Antonio Fantinoli.

PIANA DEGLI ALBANESI (PALERMO), 18 GENNAIO

Ucciso dalla polizia il bracciante Damiano Lo Graco, di 33 anni.

1952

(Presidente del Consiglio Alcide De Gasperi; vice-presidente Attilio Piccioni; ministro dell'Interno Mario Scelba).

VILLA LITERNO (CASERTA), 19 MARZO

Durante una manifestazione per la terra i carabinieri aprono il fuoco contro i contadini. E' ucciso Luigi Noviello, 42 anni, che lascia la moglie incinta e 5 figli tutti in tenera età.

1954

(Presidente del Consiglio Mario Scelba; vice-presidente Giuseppe Saragat; ministro dell'Interno Mario Scelba).

MILANO, 16 FEBBRAIO

La polizia spara contro un corteo di lavoratori. Ucciso l'operaio Ernesto Leoni.

MUSSUMELI (CALTANISETTA), 17 FEBBRAIO

Tre donne e un ragazzo, che partecipavano ad una manifestazione per ottenere acqua potabile, vengono uccisi da un selvaggio attacco dei carabinieri e della polizia. Sono Onofria Pellizzeri, 50 anni e madre di 8 figli; Giuseppina Valenza, 72 anni; Vincenza Messina, 25 anni e madre di 3 figli; Giuseppe Cappolonga, di 16 anni.

1956

(Presidente del Consiglio Antonio Segni; vice-presidente Giuseppe Saragat; ministro dell'Interno Fernando Tambroni).

VENOSA (POTENZA), 13 GENNAIO

La polizia spara sui braccianti disoccupati uccidendo Rocco Girasole, 20 anni.

COMISO (RAGUSA), 20 FEBRAIO

I carabinieri uccidono due braccianti: Paolo Vitale, 35 anni, e Cosmo De Luca, 40.

BARLETTA (BARI), 13 MARZO

La celere apre al fuoco su una manifestazione di disoccupati uccidendo un bracciante, Giuseppe Spadaro, di 30 anni, e due operai, Giuseppe Di Corato e Giuseppe Lo Iodice.

1957

(Presidente del Consiglio Adone Zoli; vice-presidente Giuseppe Saragat; ministro dell'Interno Antonio Segni).

SAN DONACI (BRINDISI), 14 SETTEMBRE

I carabinieri sparano contro una manifestazione contadina. Tre morti, i braccianti Luciano Valentini, Mario Celò, Antonio Carignano.

1959

(Presidente del Consiglio e ministro dell'Interno Antonio Segni).

SPOLETO (PERUGIA), 30 OTTOBRE

La polizia uccide un lavoratore, Franco Fiorelli, di 34 anni.

1960

(Presidente del Consiglio Fernando Tambroni; ministro dell'Interno Giuseppe Spataro).

LICATA (AGRIGENTO), 5 LUGLIO

La polizia uccide il contadino Giuseppe Napoli, 25 anni, aprendo il fuoco su un gruppo di dimostranti alla stazione ferroviaria.

REGGIO EMILIA, 7 LUGLIO

La celere spara per oltre venti minuti in piazza della Libertà. Cinque lavoratori uccisi: Lauro ferioli, 22 anni, Ovidio Franchi, 19 anni, Marino Serri, 41 anni, Emilio Reverberi, 39 anni, Afro Tondelli, 36 anni.

PALERMO, 8 LUGLIO

Nel corso delle manifestazioni popolari di protesta per la strage di Reggio Emilia la polizia uccide tre persone: Francesco Vella, Rosa La Barbera e Giuseppe Malleo.

CATANIA, 8 LUGLIO

I carabinieri colpiscono a morte e lasciano dissanguare sul marciapiede di piazza Stesicoro il giovane edile Salvatore Novembre, di 19 anni.

1961

(Presidente del Consiglio Amintore Fanfani; vice-presidente Attilio Piccioni; ministro dell'Interno Mario Scelba).

SARNICO (BRESCIA), 11 MAGGIO

La polizia uccide l'operaio disoccupato Mario Savoldi, di 30 anni.

1962

(Presidente del Consiglio Amintore Fanfani; vice-presidente Attilio Piccioni; ministro dell'Interno Paolo Emilio Taviani).

CECCANO (FROSINONE), 28 MAGGIO

I carabinieri aprono il fuoco contro gli operai del saponificio Scala. Viene ucciso l'operaio Luigi Mastrogiacomo, 37 anni e padre di 3 figli.

MILANO, 27 OTTOBRE

Selvaggia carica del 2° reparto celere contro una manifestazione di solidarietà con Cuba: l'universitario Giovanni Ardizzone, 20 anni, viene schiacciato da una jeep.

1968

(Presidente del Consiglio Giovanni Leone; ministro dell'Interno Franco Restivo).

LODE' (NUORO), 12 SETTEMBRE

Nel corso di una manifestazione popolare di protesta per una questione di pascoli un carabiniere uccide con un colpo di moschetto l'operaio Vittorio Giua, 23 anni.

AVOLA (SIRACUSA), 2 DICEMBRE

Il reparto speciale della celere di stanza a Catania, fatto affluire per ordine del questore di Siracusa, apre il fuoco sui braccianti in sciopero per il rinnovo del contratto di lavoro. Vengono uccisi Giuseppe Scibilia, 47 anni e padre di 3 figli, e Angelo Sigona, 25 anni.

1969

(Presidente del Consiglio Mariano Rumor; vice-presidente Francesco Martino; ministro dell'Interno Franco Restivo).

BATTIPAGLIA (SALERNO), 9 APRILE

La celere spara contro i cittadini che manifestano contro la chiusura del tabacchificio. Vengono uccisi il tipografo Carmine Citro, di 19 anni, e la professoressa Teresa Ricciardi, di 30 anni.

-Renzo Mazzetti- (Lunedì 9 Settembre 2019 h.07,42)


FERRUCCIO PARRI (PRIMO GOVERNO)

(Meditazione su: Ferruccio Parri, primo ministro del primo governo libero e democratico dopo la Liberazione dalla dittatura fascista).

Ferruccio Parri, primo ministro del primo governo libero e democratico dopo la Liberazione, rappresentante del CLNAI e dirigente del Partito d'azione. Il Partito d'azione, terzo partito di sinistra, si fondava soprattutto sugli intellettuali e i ceti piccolo-borghesi, sosteneva il programma che prevedeva la nascita di una democrazia progressiva con l'attuazione di profonde riforme. Del governo Parri (21 Giugno 1945) fecero parte i rappresentanti di tutti i partiti del Comitato di Liberazione Nazionale (CLN): vice presidente: Pietro Nenni (PSI); ministro degli esteri: Alcide De Gasperi (DC); ministro della giustizia: Palmiro Togliatti (PCI); ministro dell'industria e del commercio: Giovanni Gronchi (DC); ministro delle finanze: Mauro Scoccimarro (PCI); ministro dell'agricoltura: Fausto Gullo (PCI), eccetera. La partecipazione al governo dei comunisti e dei socialisti consentì di dare corso a una serie di urgenti provvedimenti diretti a ricostruire l'economia e a migliorare la situazione dei lavoratori. Diedero un notevole aiuto al governo nella ricostruzione economica i CLN e i Consigli di fabbrica. Per iniziativa del ministro comunista dell'agricoltura, Gullo, furono prorogati tutti i contratti agrari; ai proprietari fu proibito di licenziare i braccianti e di cacciare gli affittuari. Con un decreto speciale Gullo abolì il subaffitto e aumentò la quota dei mezzadri nella spartizione del raccolto. Questi decreti, pur avendo un valore limitato dal punto di vista pratico, ebbero invece un grande significato politico: essi diedero una spinta allo sviluppo del movimento contadino per la terra ma furono accolti con feroce opposizione dai proprietari terrieri che furono costretti a rispettare le leggi soltanto sotto la pressione delle masse contadine. Il ministro comunista delle finanze, Scoccimarro, elaborò tre progetti di legge: sulla confisca dei profitti illegalmente conseguiti durante il fascismo e la guerra; su un'imposta straordinaria progressiva sulle eredità e un progetto di riforma delle finanze che prevedeva la sostituzione della cartamoneta per lottare contro l'inflazione e per far contribuire in maniera appropriata i gruppi più ricchi. Questi tre progetti di legge tuttavia non furono approvati a causa del sabotaggio dei liberali e dei democristiani i quali, dopo pochi mesi, abbandonarono Ferruccio Parri e fecero la crisi di governo.

-Renzo Mazzetti- (Giovedì 29 Agosto 2019 h.09,37)


GIURISDIZIONALE

(Meditazione su: Umberto Terracini “Deputati e magistrati” in Rinascita del 28 Luglio 1972)

Il sistema adottato per la elezione del Consiglio superiore - sistema maggioritario a collegi separati per gradi di giurisdizione, con evidente privilegio di rappresentanza a favore dei gradi maggiori - contro il dettato costituzionale, il carattere gerarchico dell'ordine, vi ha fomentato un regime autoritario il quale a sua volta ha favorito il tralignamento della magistratura in corpo separato dello Stato all'interno dello Stato. Impegnata a difendere i propri interessi corporativi, la magistratura è stata inevitabilmente sospinta nell'ambito politico, a collusioni e collisioni che sono inconciliabili con la sua autonomia e indipendenza. Penso alla permanenza in vigore dei codici fascisti i quali fanno dei magistrati, che sono soggetti soltanto alla legge (articolo 101 della Costituzione), nolenti o volenti che essi siano, gli strumenti obbligati di una volontà repressiva persecutoria; penso alla mancata riforma dell'ordinamento giudiziario, concepito e costruito in servizio della dittatura, e che tale ispirazione continua obiettivamente a rimanere compenetrato; penso all'inquadramento gerarchico del Pubblico ministero che suona a beffa dell'indipendenza dei magistrati che non ne dirigano gli uffici; penso alla dipendenza militarizzata degli agenti di polizia addetti ai servizi giudiziari dal ministro dell'Interno - quegli agenti di polizia che in definitiva, tramite le denunce, sono in realtà i veri promotori dell'azione penale.

-Renzo Mazzetti- (Sabato 3 Agosto 2019 h.07,52)


CHINNICI E LA TORRE

(Meditazione sulla relazione tenuta da Rocco Chinnici a Palermo nel Gennaio 1983)

Nell'istruzione dei processi di mafia, fatti nuovi si sono verificati dall'estate 1982 in poi. Sulla base dei rapporti della squadra mobile e dei carabinieri, ai quali hanno fatto immediatamente seguito accurate e specifiche indagini della polizia tributaria, è stato possibile acquisire concreti elementi di prova in ordine ai reati di associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, alla produzione e spaccio delle sostanze stesse. I risultati conseguiti fino ad oggi hanno fornito conferma alla tesi di coloro i quali hanno sempre sostenuto che nei processi a carico di appartenenti ad associazioni mafiose è necessario che tanto le indagini di polizia giudiziaria quanto quelle giudiziali siano indirizzate, principalmente, all'accertamento di quelle attività illecite che a seconda dei momenti, caratterizzano l'opera della mafia: dalla mediazione esosa e parassitaria sui trasferimenti delle aree fabbricabili, allo sfruttamento delle risorse idriche per uso irriguo, dalle guardianie nei cantieri edili al contrabbando di tabacchi lavorati esteri, dall'imposizione di tangenti a pesanti interventi nel settore degli appalti di opere pubbliche e in taluni settori dell'attività amministrativa. Siffatti risultati hanno dimostrato che le associazioni mafiose nel momento in cui operano gli illeciti interventi in settori nei quali necessariamente sono costretti a intrattenere rapporti con delinquenti non inseriti, in modo organico, nelle associazioni stesse, diventano vulnerabili alle forze di polizia e alla magistratura; lo diventano ancora più quando, intraprendendo attività economiche dall'apparenza lecita per reimpiegare gli enormi profitti conseguiti attraverso 0perazioni illecite sono costrette a intrattenere rapporti con istituti di credito pubblici o privati o con la pubblica amministrazione. Oggi si può sostenere che l'accumulazione di capitali enormi seguiti alla criminale attività nel campo degli stupefacenti ha finito paradossalmente con l'aprire una breccia nell'impenetrabile muro che ha sempre circondato e protetto le imprese mafiose. Nella lotta contro le associazioni mafiose un notevole passo in avanti è stato fatto dopo l'entrata in vigore della legge La Torre del 13 Settembre 1982. La legge, introducendo nel vigente codice penale il reato di associazione per delinquere di tipo mafioso, colma una lacuna: nella pratica giudiziaria, infatti, da qualche decennio era invalsa la prassi di diversificare l'associazione per delinquere mafiosa da quella comune aggiungendo nella formulazione del capo di imputazione l'espressione “di tipo mafioso”. La legge, con particolare riferimento all'acquisizione delle prove, si appalesa di estrema rilevanza sia sotto il profilo sostanziale che sotto l'aspetto processuale. Dal punto di vista sostanziale essa, individuando nell'accumulazione illecita di ricchezze l'obiettivo principale dell'associazione mafiosa, offre all'operatore precise indicazioni utili sul terreno nel quale deve svilupparsi l'azione di prevenzione e di repressione; è il campo delle attività economiche in genere, degli appalti, dei servizi pubblici, delle concessioni, nel quale, specie nell'ultimo decennio si è avuta la presenza massiccia e devastante delle associazioni mafiose. La validità della legge, ancora prima dell'approvazione, è emersa a pochi mesi dalla presentazione, quando, utilizzando le norme del codice di procedura penale i magistrati palermitani diedero inizio a quell'intensa attività istruttoria che li spinse ad indagare fuori dal territorio nazionale e che rivelò una realtà mafiosa con caratteristiche nuove, organizzazioni mafiose prepotentemente inserite nel tessuto socio-economico dell'isola che avevano assunto metodi gangsteristici e terroristici, con saldi e stabili collegamenti col crimine organizzato nazionale e internazionale.

-Renzo Mazzetti- (Mercoledì 24 Luglio 2019 h.08,04)


QUIZ GLOBALE

(Meditazione su: La ricerca delle radici, Primo Levi)

E' in corso la più grande delle rivoluzioni culturali: la stanno conducendo in silenzio gli astrofisici. Il profano (e profani siamo tutti, ad eccezione di un migliaio di specialisti al mondo) non può che accettare i nuovi mostri celesti, reprimere brividi inediti, tacere e pensarci su. Dalle spedizioni interplanetarie degli ultimi dieci anni abbiamo imparato più cose sul cosmo di quante ne avessimo dedotte in tutti i millenni precedenti; abbiamo visto, fra l'altro, che lunari, venusiani e marziani non esistono e non sono mai esistiti. Siamo soli. Se abbiamo interlecutori, essi sono così lontani che, a meno di imprevedibili svolte, con loro non parleremo mai; tuttavia, qualche anno fa abbiamo mandato loro un patetico messaggio. Ogni anno che passa ci rende più soli: non soltanto l'uomo non è il centro dell'universo, ma l'universo non è fatto per l'uomo, è ostile, violento, strano. Nel cielo non ci sono Campi Elisi, bensì materia e luce distorte, complesse, dilatate, rarefatte in una misura che scavalca i nostri sensi e il nostro linguaggio. Ad ogni anno che passa, mentre le cose terrestri si aggrovigliano sempre più, le cose del cielo inaspriscono la loro sfida: il cielo non è semplice, ma neppure impermeabile alla nostra mente, ed attende di essere decifrato. La miseria dell'uomo ha un'altra faccia, che è di nobiltà; forse esistiamo per caso, forse siamo la sola isola d'intelligenza nell'universo, certo siamo inconcepibilmente piccoli, deboli e soli, ma se la mente umana ha concepito i buchi neri, ed osa sillogizzare quanto è avvenuto nei primi attimi della creazione, perché non dovrebbe saper debellare la paura, il bisogno e il dolore?

-Renzo Mazzetti- (Martedì 16 Luglio 2019 h.07,27)


DUE GIUGNO (UMBERTO TERRACINI)

(Meditazione su: Umberto Terracini che da detenuto nelle carceri fasciste divenne un padre della Repubblica)

Se si volesse trovare un filo conduttore nella lunga vicenda umana e politica di Umberto terracini, e si volesse sintetizzarlo in una sola espressione efficace, questa potrebbe essere: “La forza della ragione”. La storia di Terracini è la storia di un militante che più volte, nella sua vita politica, ha avuto “ragione contro il partito” ma che, per la sua formazione terzinternazionalista e per la sua stoffa di grande dirigente, è sempre stato consapevole che, anche a prezzo di gravi sacrifici e dolorose rinunce, ciò non doveva portarlo ad avere “ragione fuori dal partito”. Eletto nel Comitato centrale della frazione comunista al convegno di Imola, Terracini firmò con Bordiga la relazione di questa al congresso di Livorno, durante il quale rivendicò in un lucido e serrato discorso le ragioni storiche e ideali della scissione. Eletto nel Comitato centrale del Pci e, solo del gruppo ordinovista, nell'Esecutivo, nel Maggio del 1921 si recò per la prima volta nella Russia sovietica per partecipare ai lavori del III Congresso dell'Internazionale comunista, al termine dei quali fu eletto membro dell'esecutivo. Toccò a lui farsi portavoce delle perplessità del Pci per la nuova politica di “fronte unico” dell'Internazionale comunista, in un intervento che gli valse una dura replica polemica di Lenin. Al momento della marcia su Roma si trovò ad essere uno dei pochi dirigenti presenti in Italia e resse, con Ruggero Grieco, la direzione del partito nel momento della maggiore repressione: a Milano riorganizzò clandestinamente la segreteria, con un'opera difficile e pericolosa di cui Togliatti gli diede atto più tardi, scrivendo a Gramsci che a Terracini si doveva “in gran parte la rapidità con cui il partito ha ricostituito le sue file dopo gli ultimi colpi”. Fu incarcerato per sei mesi, proprio mentre era in corso il dibattito che precedette il congresso di Lione, dal quale fu rieletto alle più alte cariche del partito. Liberato nel Febbraio del 1926 diresse l'Unità di Milano e l'organizzazione dell'attività sindacale e di massa. Arrestato di nuovo in Settembre, dopo le leggi eccezionali fu deferito al Tribunale speciale. Nell'istruttoria per il celebre “processone”, la posizione di Terracini, concordemente indicato dagli inquirenti come “uno dei capi più autorevoli e più sentiti del Pci e indiziato quale massimo organizzatore del partito, si presentò subito gravissima. Nel Maggio del 1930 Terracini è di nuovo in carcere, dopo sette anni dal carcere viene assegnato al confino, prima a Ponza e poi a Ventotene. Terracini torna libero nell'Agosto del 1943 ma, esposto alla minaccia delle persecuzioni razziali, fu costretto ad espatriare in Svizzera, dove fu internato per più di due mesi in un campo profughi. Poco dopo Terracini passò clandestinamente da solo la frontiera unendosi alle formazioni partigiane che avevano occupato l'Ossola fungendo in Settembre-Ottobre da segretario della giunta della Repubblica libera. Alla caduta di questa, dovette però nuovamente passare in Svizzera, dove lo raggiunse l'invito della segreteria del partito a raggiungere Roma, avendo la Direzione deciso di reinserirlo nel lavoro degli organi centrali del Pci. Consultore nazionale e membro dell'Alta Corte di giustizia, fu eletto deputato alla Costituente, quindi presidente dell'Assemblea stessa. Mise a disposizione della guida dei lavori doti di penetrazione, di diplomatica energia e di chiarezza sintetica che gli valsero la stima generale e che ne fanno uno dei massimi artefici della Costituzione repubblicana.

-Renzo Mazzetti- (Mercoledì 5 Giugno 2019 h.06,35)


CHIESA E POPOLO

(Meditazione su: Cristiani e società di Giuseppe Alberigo)

Preludio personale: La religione è il singhiozzo della creatura oppressa: è il senso effettivo di un mondo senza cuore, come lo è lo spirito di una vita senza spirito. Essa è l'oppio del popolo. Così già scriveva l'immortale Marx. Poi, un cattolico democratico, il grande Alberigo: E' importante parlare di cristiani e società e non di rapporti fra Chiesa e Stato, proprio per sottolineare che è finita nella realtà delle cose ogni contrapposizione o accostamento di due termini che sembravano un tempo indicare realtà ben delimitate e distinte tra loro. Certamente il Vaticano II con la felice affermazione della chiesa come popolo di Dio in cammino consente di percepire il senso vero del coinvolgimento storico dei cristiani in una società che non è più una cristianità come era stata per secoli. Per questo si va facendo sempre più serrato il dibattito tra chi sostiene che tuttora i cristiani sono portatori di una civiltà, di una cultura, di un disegno politico o più largamente sociale dedotti dalla fede e che hanno bisogno di strumenti socio-civili per esprimersi, e chi invece ritiene questo un ciclo ormai storicamente chiuso e propone ed esperimenta un coinvolgimento storico totale nelle culture, nelle strutture esistenti, dove giocare con gli altri uomini il proprio destino in libertà e responsabilità di scelte. La testimonianza del cristiano è in questo caso fedeltà ai valori essenziali e primari come la giustizia e la pace e soprattutto annuncio del messaggio di salvezza del Cristo morto e risorto, segno di speranza per gli uomini di tutte le epoche, di tutte le latitudini e di tutte le ideologie, culture e strutture politiche.

-Renzo Mazzetti- (Martedì 28 Maggio 2019 h.09,43)


REVIVISCENZE NERE (ANTIFASCISMO OGGI)

(Meditazione su: “Stroncarlo alle radici” di Enrico Berlinguer. Rinascita del 12 Febbraio 1971)

Il fascismo poté affermarsi grazie all'appoggio e alla complicità dell'apparato statale e dei pubblici poteri. Esiterei a dire che oggi al vertice dello Stato vi sia un disegno analogo a quello di certi governi liberali dell'epoca: favorire il fascismo per i colpi che dava al movimento operaio nell'intento di riassorbirlo e controllarlo in un secondo tempo. Ma questo è da appurare. Sta di fatto che l'atteggiamento dei pubblici poteri di fronte alle reviviscenze squadriste ha molti punti di analogia con i governi di allora. In alcuni settori c'è infatti aperta collusione o complicità, in altri inerzia e passività, e sempre e comunque una grande tolleranza. In Italia vi sono leggi contro la rinascita del fascismo. Conosciamo tutti la solerzia dei pubblici poteri nell'usare i codici fascisti quando i braccianti di Avola elevano un blocco stradale, quando gli studenti e gli operai scioperano e lottano, quando si perseguono perfino reati di opinione. Allora scatta rapidissimo il meccanismo della repressione di classe. Ma le leggi repubblicane, di ispirazione e contenuto antifascista, non vengono applicate. A Reggio Calabria i caporioni di destra hanno potuto organizzare la loro guerriglia, far saltare case ed edifici pubblici, persino uccidere. Tutto ciò accade da mesi e non vi è un solo processo celebrato contro di essi. E' chiaro che c'è un vuoto e che ci sono precise omertà e complicità, tanto che solo oggi si procede a Reggio a qualche arresto di responsabili.

-Renzo Mazzetti- (Venerdì 10 Maggio 2019 h.06,29)


PRODURRE SENZA INQUINARE

(Meditazione su: “Produrre senza inquinare” di Adrio Puccini sindaco del Comune di Santa Croce sull'Arno)

La concia delle pelli con i suoi effetti inquinanti sul territorio e nel mare, ha scritto una storia in cui i protagonisti sono l'inquinamento e le lotte per combatterlo. Le aziende conciarie sorsero senza vincoli ambientali, scaricavano le proprie acque inquinanti nelle fosse e nei canali che portavano le acque nell'Arno fino al mare. C'era consenso fra le parti sociali e la lotta sindacale era soltanto per i salari e il contratto locale e nazionale. Le lavorazioni conciarie non avevano subito nessun ostacolo e gli imprenditori erano soddisfatti per i profitti e i lavoratori godevano delle paghe più alte, delle 40 ore, della riduzione del periodo dell'apprendistato. Una grande rottura si verificò nel 1953 con lo sciopero a oltranza per tre mesi. Già prima dell'entrata in vigore della legge Merli, aveva iniziato ad affermarsi una coscienza ambientalista che contrastava con il tipo di lavorazione senza regole della conceria. Il consenso acritico allo sviluppo dell'attività ebbe termine con la presa di coscienza che, per la produzione conciaria e per la ricchezza, non si poteva più pagare con la salute e con il libero inquinamento. In particolare, dal 1970, la lotta contro l'inquinamento ebbe un salto di qualità sintetizzata nella parola d'ordine: “Produrre senza inquinare” per sviluppare, con la geniale strategia, una salubre attività conciaria e, nel contempo, difendere la salute dei lavoratori, delle popolazioni e dell'ambiente.

-Renzo Mazzetti- (Lunedì 1 Aprile 2019 h.07,07)


I PRIMI ANNI FASCISTI NEL PISANO

(Meditazione su: Alcuni dei tanti crimini fascisti degli anni venti nella testimonianza scritta il 15 Gennaio 1991 da Ideale Guelfi, Presidente della Sezione dell'Anppia di Pisa raccolta in “Ora e sempre Resistenza” edito dalla Provincia di Pisa e ANPI nel Novembre 1995)

All'inizio degli anni venti, la violenza fascista si scatena con inaudita ferocia. Le squadracce nere agiscono senza remore, alla luce del giorno, in violazione di ogni legge e regola umana, aiutati in ciò dalla copertura delle autorità preposte all'ordine pubblico e al rispetto della legge, le quali non si limitano a ciò. Tanto che nel corso di uno sciopero per i patti colonici a Orciano, i carabinieri uccidono il 20 Luglio 1920 il contadino Piero casini. Dunque la violenza fascista, copertura e complicità delle autorità evidenziano come fu stroncato il movimento operaio e democratico; la legalità è imposta con un regime di arbitrio e di sopraffazione, che doveva portare il Paese alla tragedia delle guerre di aggressione, alla sconfitta e all'occupazione tedesca. Proseguo: il 4 Marzo 1921 a San Casciano viene ucciso il comunista Enrico Ciampi dalla squadraccia del marchese Serlupi. Il 13 Aprile, il segretario della Federazione Socialista Carlo Cammeo fu assassinato nella scuola davanti agli scolari. Nei due casi i fascisti furono prosciolti in istruttoria. L'assassinio di Carlo Cammeo suscitò una forte reazione popolare. Ai funerali partecipò una grande folla. La cerimonia si concluse in piazza del Duomo: parlarono il comunista Mingrino, il socialista Stizzi e Italo Bargagna a nome di tutti i movimenti giovanili antifascisti. Il 9 Luglio il comunista Vasco Viviani, mentre si trovava ad un bar sito in viale Umberto nei pressi di Porta a Piagge, veniva aggredito. Mentre tentava di fuggire era colpito alle spalle da alcune rivolverate e moriva il giorno stesso. La polizia non procedette a nessun arresto. Il 2 Aprile 1922 Alvaro Fantozzi, segretario della Camera del Lavoro di Pontedera, mentre si recava a Marti ad un'adunanza della Lega Mista Operai, nei pressi di Casteldelbosco veniva affrontato da una “squadra nera” e freddato con tre colpi di pistola. Nel giorno dei funerali del sindacalista il prefetto autorizzava un forte concentramento di fascisti a Pontedera, dimostrando ancora una volta l'acquiescenza dell'autorità governativa al disegno eversivo fascista. La notte dell'8 Aprile una squadra fascista, del famigerato Alessandro Carosi, si recava nella casa dell'anarchico Ugo Rindi, segretario della Federazione del Libro e, presentandosi come agente di pubblica sicurezza, lo condusse in strada e a poche centinaia di metri dall'abitazione lo assassinarono a pugnalate e mutilarono il cadavere. L'assassinio di Ugo Rindi suscitò profondo dolore nella popolazione. Il 19 Marzo 1922 nei pressi di Marciana fu assassinato il maestro d'arte alla scuola di Cascina, l'anarchico Comasco Comaschi. Il crimine suscitò un'ondata di sdegno e di proteste. Comaschi era molto stimato per le sue doti di profonda umanità. I funerali si svolsero con la partecipazione massiccia delle popolazioni del cascinese. Gli aggressori individuati e denunciati furono assolti per non luogo a procedere. Nel mese di Ottobre 1925 Vittorio Caciagli, segretario delle Leghe Bianche della zona di Pontedera, mentre si recava a Cascina ad un'assemblea della Lega locale, è aggredito da una squadraccia fascista. Duramente colpito si accascia al suolo, bastonato e pestato selvaggiamente muore venti giorni dopo.

-Renzo Mazzetti- (Giovedì 21 Marzo 2019 h.06,46)


CAUSA CONTESTO STRUMENTI CONTRATTACCO

(Meditazione su: Esigenza di superare il capitalismo con il suo sistema mercato, la concorrenza e l'ossessione dell'alta velocità)

Premesso che, la causa è un insieme di diritti; il contesto è la concatenazione di un insieme di circostanze che accompagnano i fatti; gli strumenti sono tutto ciò che viene utilizzato per il raggiungimento di un determinato fine, è chiaro che, in ogni analisi economico-socio-politica, tutto quanto sopra scritto, deve essere preso e interpretato. Ovvio è che la dittatura del proletariato è la realizzazione della lotta vittoriosa sulla dittatura zarista. Poi, nelle altre nazioni, l'avvento del socialismo inizia con la vittoria nelle libere elezioni democratiche e che, con il metodo democratico (vedi, per esempio, la via italiana al socialismo di Togliatti) verrà superato il sistema capitalistico. Però, va considerata la variabile dell'iniziativa controrivoluzionaria reazionaria dei colpi di Stato militari. Difatti, l'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, nel momento in cui si avviava ad intraprendere il percorso che democratizzava quel regime, subì un colpo di Stato violento (ricordo i giorni e la lunga notte, passata davanti al televisore, di combattimenti e il parlamento assediato dai militari rivoltosi che sparavano all'impazzata) che riportò quel Paese indietro negli anni posti tra il feudalesimo, in una moderna mescolanza con la dittatura dello zar e la dittatura del governo bolscevico dei liberi lavoratori al potere, e Gorbaciov, sopravvissuto (miracolosamente?) in giro per il mondo. Ebbene, la critica repulsiva rivolta alla causa social-comunista, oltre ad essere contro quei principi in quanto tali, è, purtroppo, massimamente rivolta a quel contesto e a quegli strumenti, cause ed effetti che mossero la Rivoluzione d'Ottobre e l'avvento della dittatura del proletariato. Illuminante è “Il dottor Zivago” di Boris Pasternàk a cui avrei dato il Premio Lenin. Così, prendiamo un altro esempio (tra i numerosissimi) che è quello del Cile in cui il Congresso nazionale, in conformità alla Costituzione e con la maggioranza assoluta dei voti, democraticamente elesse il socialista Salvador Allende alla carica di Presidente del governo di Unità Popolare, ma anche Allende fu assassinato durante il violento colpo di Stato militare. E' chiaro che il libero gioco della democrazia deve essere sempre e comunque accettato da tutti e senza condizioni, altrimenti il mondo non va avanti, e il sistema capitalistico non verrà mai superato nonostante il conclamato suo esaurimento e le continue crisi distruttive di tutto. Pensate, e dopo questa lettura, ripensate: c'è chi afferma, perché ha vinto una battaglia della lotta di classe e teme il contrattacco degli avversari, che la destra e la sinistra politica non ci sono più.

-Renzo Mazzetti- (Lunedì 11 Marzo 2019 h.06,39)


ROCCIA LICHENI CLIMA

(Meditazione su: Roccia e vita)

Introduzione. Toro Seduto: Quando l'ultimo albero sarà abbattuto/ L'ultimo fiume avvelenato/ L'ultimo pesce catturato/ Soltanto allora ci accorgeremo/ Che i soldi non si possono mangiare. Svolgimento. La roccia originaria della montagna, per effetto dell'alternarsi del caldo con il gelo, del vento, dell'acqua, dei ghiacciai, si rompe, si frantuma in pezzi più o meno grandi, formando i depositi di detriti che si vedono ai piedi delle pareti rocciose; l'azione dell'acqua e degli altri fattori, frantuma il detrito in pezzi sempre più piccoli. Il detrito non è ancora un terreno fertile, ma comincia a possederne in misura assai limitata alcune caratteristiche: esso è in grado di trattenere l'umidità, se non in permanenza, perlomeno per periodi sufficientemente lunghi, e quest'acqua ha un discreto contenuto in sali nutritivi, provenienti dalla decomposizione delle rocce. Alcune piante, particolarmente i cosiddetti licheni, che si vedono formare chiazze dai colori vivaci sulla roccia, e alcuni batteri, possono già vivere, date le loro scarse pretese, in questo ambiente, e danno l'avvio al processo della vita organica. Con la loro morte queste piante formano i primi accumuli di materia organica in decomposizione, su cui possono attecchire piante con pretese maggiori. Queste piante sono generalmente alberi, in particolare le cosiddette conifere, pini, abeti, alberi vari; sono queste piante già molto evolute e complesse a differenza delle prime; esse hanno necessità nutritive maggiori, ma la loro stessa complessità le mette in grado di soddisfarle. Con le radici profonde e sviluppate esse vanno a cercare l'acqua e gli elementi nutritivi nelle profondità del detrito, e fino negli anfratti della roccia. La foresta si sviluppa rapidamente e rigogliosamente. La foresta agisce profondamente sui fattori della formazione del terreno fertile; agisce sul clima, proteggendo la Terra dal sole, e dal freddo, e impedendo così sia il riscaldamento eccessivo, e quindi anche la rapida evaporazione dell'acqua, sia il congelamento del terreno, creando cioè un ambiente ad umidità e temperatura abbastanza uniformi; agisce sul regime dell'acqua, rallentando la fusione delle nevi in modo da dare al terreno il tempo di assorbire l'acqua di fusione, senza che questa scorra via in ruscelli come avviene nei luoghi scoperti, e formando con i residui di foglie e rami caduti uno strato soffice e spugnoso in grado di trattenere forti quantità d'acqua; impedisce l'erosione, consolidando il terreno con le radici; agisce sul contenuto in materie nutritive del detrito, accumulando alla sua superficie con i residui delle piante morte, delle foglie, dei rami caduti, le materie nutritive che le radici hanno tratto dagli strati più profondi; crea cioè uno strato superficiale molto più fertile del detrito primitivo, strato superficiale che si avvia già a diventare un terreno fertile.

-Renzo Mazzetti- (Martedì 26 Febbraio 2019 h.06,44)


POPOLAZIONI ALLOGENE E COLONIALI

(Meditazione su: “Basta con le fucilazioni! Basta con il Tribunale Speciale!” Appello del Partito Comunista D'Italia. Manifesto diffuso clandestinamente, anno 1935)

Operai, contadini, popolazioni allogene della Venezia Giulia, dell'Istria e del Sud Tirolo, popolazioni della Libia e delle Colonie africane! Il processo contro i nazionalisti rivoluzionari sloveni si è chiuso con quattro condanne a morte e con altre condanne mostruose. Il Tribunale Speciale, strumento infame di repressione dello Stato Capitalista italiano, ha mandato ancora dinanzi al plotone di esecuzione quattro rivoluzionari e ne ha condannato altri otto a morte certa. Francesco Marrussich, Zvonimir Milus, Ferdinando Bidovec e Francesco Valencic sono la nuova preda dei carnefici fascisti, degli affamatori e degli oppressori del popolo lavoratore d'Italia. I nomi di questi martiri vanno ad unirsi a quelli di Della Maggiora e di Vladimiro Gortan ed a quelli delle migliaia di vittime che il regime fascista ha sacrificate in questi anni. Salutiamo i condannati sloveni di Trieste, salutiamo la memoria dei fucilati di Trieste! Il regime fascista è scosso dalla crisi che imperversa nel paese. Gli affamati di tutte le città e di tutte le campagne italiane demoliscono pietra su pietra, alla base, il regime fascista; ed il malessere che si diffonde e si esaspera, ed i movimenti di masse che riprendono, e lo scoramento che invade le stesse file fasciste turbano la apparente solidità del regime. Non vi è per il capitalismo italiano una prospettiva di uscire dalla situazione; e perciò esso sviluppa la politica che conduce alla guerra e ripete periodicamente le macabre cerimonie del Tribunale Speciale e delle fucilazioni che dovrebbero ricordare al proletariato italiano che il fascismo non ha perduta la sua capacità originaria di opprimerlo, di tenerlo in soggezione e di strangolare ogni libertà elementare. Ma la serie degli assassini del fascismo non servono a risolvere la crisi. Essi, anzi, ne esprimono in modo acuto e tragico il carattere profondo, e la loro periodicità ostinata dice che nove anni di terrore bianco non sono riusciti a dare una stabilità al regime politico del capitalismo in Italia né a distruggere la combattività del proletariato, dei contadini lavoratori e delle popolazioni allogene e coloniali, che torna a farsi forte e decisa. Il processo di Trieste, e le condanne che lo concludono, si verificano in un momento in cui la ripresa della lotta delle masse si fa ognora più evidente. La ripresa della lotta delle masse è il segno caratteristico più importante del momento attuale in Italia. In questo quadro debbono essere posti gli episodi di lotta dei quali sono stati accusati quali promotori od autori i recenti imputati di Trieste. Gli episodi di guerra civile nella Venezia Giulia, per il loro intensificarsi, non debbono più essere considerati come episodi terroristici, isolati nel tempo e nello spazio. Nelle regioni allogene slovene e croate, nell'ultimo anno, si è svolta una ininterrotta guerra di partigiani, alla quale aderisce, in forme diverse, tutta la popolazione oppressa. Questo fatto non può essere considerato all'infuori del movimento di ripresa della classe lavoratrice in tutta Italia. E' perciò che le punizioni “esemplari” del Tribunale Speciale non servono più allo scopo. Le masse lavoratrici si mettono in marcia e nessuno potrà arrestarle. Il Partito Comunista, come già in occasione della fucilazione di Vladimiro Gortan, antesignano della ripresa della lotta delle minoranze oppresse nella Venezia Giulia, denunzia il nuovo e più efferato assassinio di fronte al proletariato italiano, e dichiara alle minoranze oppresse croate e slovene della Venezia Giulia e dell'Istria e alla minoranza tedesca del Sud Tirolo, così come alle popolazioni della Libia e delle Colonie africane che non esiste altra via per scuotere il giogo del fascismo italiano all'infuori di quella che porta alla distruzione del regime del capitalismo in Italia. Per condurre questa guerra difficile e decisiva occorre che lo spirito di sacrificio e di lotta delle masse lavoratrici e delle minoranze nazionali sia messo a profitto degli obbiettivi rivoluzionari del proletariato, sola classe capace di condurre a termine vittoriosamente la lotta di tutti gli oppressi e gli schiavi del regime del capitalismo.

-Renzo Mazzetti- (Giovedì 14 Febbraio 2019 h.06,46)


AVANTI POPOLO, ALLA RISCOSSA (COMUNISMO TRICOLORE)

(Meditazione sul Comunismo Tricolore: La stampa, l'editoria, le scuole; Almanacco PCI '76)

Il 1975 è stato per L'Unità un anno di ulteriore sviluppo nella diffusione organizzata, per la raccolta degli abbonamenti e un crescente attaccamento del partito e del movimento operaio nel suo insieme alla gloriosa testata e del ruolo importantissimo di informazione e di orientamento che l'Unità e la stampa comunista svolgono su un'area sempre più ampia di militanti, di lavoratori, di democratici e, in particolare, fra le nuove generazioni. Per corrispondere alla funzione nazionale ed al ruolo dirigente del partito comunista, L'Unità, nel corso degli anni, si è data una struttura unica nel suo genere: due redazioni centrali e due centri di stampa: Roma e Milano; sedici redazioni locali: Milano, Torino, Genova, Venezia, Trieste, Bologna, Reggio Emilia, Modena, Firenze, Ancona, Perugia, Roma, Napoli, Bari, Palermo, Cagliari; duecento corrispondenti locali; redazioni e corrispondenti quotidianamente lavorano alla realizzazione di ben 30 pagine locali; quasi 1.000 persone fra operai, giornalisti ed impiegati lavorano nelle redazioni e nei centri stampa de L'Unità; L'Unità è presente su tutto il territorio nazionale in 20.000 punti di vendita, cui viene fatta pervenire utilizzando, oltre a normali servizi pubblici, numerose linee proprie di trasporto (circa 30 mezzi). L'Unità, un grande patrimonio editoriale del partito e dei lavoratori che ha come uniche fonti di

finanziamento: la vendita, gli abbonamenti, la pubblicità, la sottoscrizione. Importanti, non secondarie, pubblicazioni: Rinascita, Critica marxista, Politica ed economia, Donne e politica, Nuova generazione, Riforma della scuola, Democrazia e diritto, Studi storici, Nuova rivista internazionale, Cinema sessanta, Istituto Gramsci, Editori riuniti. Scuole e corsi: “Alicata” ad Albinea-Reggio Emilia; “Istituto Togliatti” alle Frattocchie-Roma; Corsi regionali e provinciali: “Istituto Curiel” a Faggeto Lario-Como; Scuole di: Bari, Modena, Lecce, Cascina.

-Renzo Mazzetti- (Lunedì 10 Dicembre 2018 h.06,56)


TUTTE E TUTTI

(Meditazione su: “L'esercizio della democrazia è dovere di tutti”: Lettera di Roberta Fantozzi della segreteria del Partito della Rifondazione Comunista a Sergio Boccadutri pubblicata da Piobbichi Francesco il 13 ottobre 2010)

Caro Sergio, come tu scrivi le rotture portano con sé un carico pesante di emotività. Che tu abbia deciso di lasciare il partito e conseguentemente l’incarico di tesoriere che hai ricoperto negli ultimi anni, non è cosa lieve per questa comunità. Non lo è dal punto di vista delle relazioni umane che certo vanno comunque preservate. Non lo è rispetto al funzionamento del partito e alla necessità di trovare un sostituto al ruolo che hai ricoperto con una correttezza che ti riconosciamo tutta, né lo è per le motivazioni politiche che porti, molto dure. Come ti ho scritto immediatamente dopo aver ricevuto la lettera, vorrei avere avuto un luogo in cui fosse stato possibile discutere. Questo è avvenuto per una delle questioni che tu poni ed a cui dai grande rilevanza nella lettera, ma mai, incredibilmente, per nessuna delle altre. Su Liberazione, sulla scelta di operare per il suo rilancio abbiamo avuto un dissenso esplicito in più riunioni della segreteria. Il tentativo che il giornale sta facendo, ad oggi fruttuosamente, con una risposta assai significativa in termini di abbonamenti, sottoscrizioni, iniziative importanti come quelle degli artisti che hanno donato le loro opere, ci hanno indotto a pensare che delle due strade che sempre esistono per risanare un bilancio, andasse percorsa non quella dei tagli, ma quella di un rinnovato investimento di fiducia. Comunque su questo, si è per l’appunto discusso. Il contrasto di opinioni è stato esplicito, come lo è l’assunzione di responsabilità da parte della segreteria nell’aver scelto questo. Ma sul resto? “La generosità antica di chi condivide un vincolo forte di appartenenza” come scrivi, non avrebbe dovuto comportare la possibilità per questa comunità di persone, per coloro con cui tu hai lavorato a fianco per mesi, di conoscere quello che era il tuo giudizio, la tua critica e il tuo dissenso, per quanto aspro fosse e di poter di questo, discutere? Si possono dire molte cose di questo partito, ma non sicuramente che non sia un luogo democratico, fino in fondo. Un luogo con molti limiti, ma in cui tutti possono dire quello che pensano. Un luogo in cui, in virtù esattamente della scelta che abbiamo fatto di “gestione unitaria”, nessuno viene espulso dalla segreteria o estromesso dagli incarichi che ricopre, quale che sia la sua distanza e la sua critica rispetto alla linea di maggioranza. Una cosa non piccola, con i tempi che corrono, pesantemente segnati dalla riduzione plebiscitaria della politica. Un’idea della democrazia faticosa, ma praticata con coerenza. E da quale documento e da quale affermazione di quale dirigente hai tratto il giudizio che l’obiettivo perseguito sia, “la meccanica auto promozione” del gruppo dirigente, accusato di stare in piedi solo per la “speranza.. di riempire quelle caselle”, cioè come si capisce dalla lettera, di occupare qualche posto in Parlamento? Che ci sia l’obiettivo di riportare il Partito, la Federazione, la sinistra di alternativa in Parlamento è evidente ed esplicito. E certo converrai: non credo di dover argomentare come l’estromissione della sinistra dai massimi livelli istituzionali sia uno dei dati che segnano drammaticamente il quadro politico esistente. Ma da quale dichiarazione o da quale comportamento ti senti autorizzato a trarre il giudizio che esprimi? Alle elezioni europee, che abbiamo affrontato con la speranza di riuscire ad eleggere una rappresentanza istituzionale, il segretario del partito, sollecitato a candidarsi da moltissime parti, ha rifiutato di farlo, per lavorare a tempo pieno al partito e perché questo era evidentemente incompatibile con la presenza che pure speravamo di conquistare a Bruxelles. Invece si è candidato – scelta discutibile certo- in una situazione difficilissima alle scorse regionali. In Campania, dove l’alleanza con il centrosinistra, pure praticata in altre realtà, era impraticabile per il profilo inaccettabile del candidato del PD. In una situazione in cui era quasi impossibile sperare di essere eletti, ma si trattava piuttosto di dare una mano in una condizione difficilissima e

evidentemente “testimoniale”. E più di un membro della segreteria ha rifiutato “collocazioni” istituzionali alle scorse regionali. Nuovamente si potranno dire molte cose, ma non che non vi sia una tensione costante ad informare i propri comportamenti ad una etica della politica che è l’opposto del cinismo privatistico della propria auto collocazione. E perché non ci hai mai dato la possibilità di parlare con te di “politica alta” come la chiami? Non so cosa vuoi dire con questo. Penso si tratti della nostra proposta politica complessiva. Non è così difficile da comprendere. Si compone di tre elementi connessi tra loro. Il primo è la necessità di un’alleanza elettorale larga per poter mandare a casa Berlusconi e difendere la Costituzione, con un accordo su alcuni punti anche sul terreno sociale, ma senza la riproposizione di un accordo organico di governo per cui non vediamo ad oggi le condizioni. Un'alleanza in cui sia possibile conquistare anche l’obiettivo di liberare il paese, attraverso una legge elettorale proporzionale, da un maggioritario che in questi anni ha garantito tanto lo strapotere di Berlusconi, quanto la distruzione della sinistra. Il secondo è la necessità di costruire percorsi che uniscano una sinistra autonoma dal PD, sui contenuti e nel vivo delle relazioni sociali, ponendo fine alla lunga stagione delle divisioni. Il terzo nodo è la costruzione di un movimento duraturo: conflitto, progetto e partecipazione, indispensabili per qualsiasi prospettiva di alternativa. Si potrà dire che è difficile. Ma è politica. Per noi è la proposta più giusta e più realistica. Senz’altro più giusta di quella di chi dice che è indifferente se al governo ci sta Berlusconi o il centrosinistra. Ed anche più realistica di chi pensa sia possibile oggi, un’alleanza organica di governo. Ci sono cose su cui io credo che tu abbia parzialmente ragione. E’ troppo forte la divisione per appartenenze pregresse, che è cosa diversa dalla dialettica sempre legittima tra diverse posizioni politiche. E’ troppo il tempo che consuma, ed il tempo che abbiamo è una risorsa preziosa, da spendere per cambiare il mondo. E la Federazione della sinistra, che non è solo un cartello elettorale, ha certamente bisogno di usare il prossimo congresso come un’occasione di apertura ai conflitti sociali, alle energie intellettuali e alla passione politica che vive nella nostra società. Si poteva discuterne. C’è un’ultima cosa che voglio dirti. Forse per il ruolo che svolgo, insieme ai tanti limiti e alle tante inadeguatezze di questo partito, vedo anche altro. Vedo circoli e federazioni che da mesi stanno lavorando per la mobilitazione del 16 ottobre, e lo fanno nei territori, con delegate e delegati, lavoratrici e lavoratori, con cui faticosamente hanno ricostruito una relazione, a partire dalle tante vertenze a difesa dei posti di lavoro. Vedo un partito che si è generosamente speso insieme a tanti altri per raccogliere le firme per i referendum sull’acqua pubblica. O le pratiche straordinarie delle Brigate di Solidarietà di cui tanti nostri compagni e compagne sono parte importante, che sono riuscite ad organizzare a Nardò un campo di solidarietà e auto organizzazione dei lavoratori agricoli migranti che è un’esperienza unica. Va tutto bene dunque? No, non va tutto bene. Ma certo tutte/i noi meritavamo un po’ di più che non apprendere via mail i tuoi giudizi e le tue scelte. Con la speranza di incontrarsi nuovamente e il suggerimento che mi sento di darti. Un ruolo, qualsiasi ruolo in un partito politico, certo nel nostro - compreso quello di tesoriere - non è un compito ragionieristico in cui si chieda ad una persona di rinunciare a quello che pensa, di auto censurarsi. L’esercizio faticoso della democrazia è diritto e io credo, anche dovere, di tutte e tutti. Ogni giorno.

-Renzo Mazzetti- (Venerdì 23 Novembre 2018 h.06,56)


TRIESTE PALERMO ITALIA

(Meditazione su: Lode della dialettica di Bertolt Brecht)

L' ingiustizia oggi cammina con passo sicuro. Gli oppressori si fondano su diecimila anni. La violenza garantisce: com'è, così resterà. Nessuna voce risuona tranne la voce di chi comanda e sui mercati lo sfruttamento dice alto: solo ora io comincio. Ma gli oppressi molti dicono ora: quel che vogliamo non verrà mai. Chi è ancora vivo non dica: mai! Quel che è sicuro non è sicuro. Com'è, così non resterà. Quando chi comanda avrà parlato, parleranno i comandati. Chi osa dire: mai? A chi si deve, se dura l'oppressione? A noi. A chi si deve, se sarà spezzata? Sempre a noi. Chi viene abbattuto, si alzi! Chi è perduto, combatta! Chi ha conosciuto la sua condizione, come lo si potrà fermare? Perché i vinti di oggi sono i vincitori di domani e il mai diventa: oggi! (Meditazione su: Lode della dialettica di Bertolt Brecht)

-Renzo Mazzetti- (Domenica 4 Novembre 2018 h.09,23)


UNIONE SPIRITUALE O EUROPA AUTORITARIA ?

(Meditazione su: Scuola e cultura in umanesimo e comunismo di Concetto Marchesi)

L'umanità ha bisogno di costituirsi un fondamento solido di coscienza e una graduazione certa di valori, che non significa altezza o bassezza, ma necessaria e provvida varietà dell'opera umana; e non ammette zone rarefatte di privilegiati e di fortunati e zone dense di umiliati e vinti, a una società in cui ciascuno possa dare alle proprie attitudini il più sensibile rendimento attraverso una scuola che non sia un mercato e una cultura che non sia una mutua dissimulazione di impotenza.

Il mondo della cultura e della scuola ha dato finora ai giovani un senso di soffocazione: è apparso come chiuso a tutte le esigenze del mondo morale; e più la cultura si elevava e affinava nelle sue speciali ricerche e applicazioni, più appariva il suo distacco dai principi di dignità e di utilità sociale, e da quell'aspirazione all'universale che è nello spirito dell'uomo. Così veniva formandosi il tecnico, il giurista, il letterato, lo storico dentro un'orgogliosa clausura che badava a dar pregio allo strumento e alla persona che lo adoperava e alla utilità personale che ne veniva, anziché ai fini superiori cui lo studio è diretto, cioè alla scienza intesa come perpetua ricerca di un bene comune. Così la cultura più saliva in alto, più si estraniava dalla vita popolare e nazionale; diveniva interessata occupazione di laboratori, di biblioteche, di singoli istituti, dove si curava l'addestramento del conoscitore, dell'esperto, dell'erudito, dello scolastico, di coloro che avevano l'unica sollecitudine di distinguersi dalla massa degli umili per entrare in quella dei profittatori. Così la cultura e la scienza si venivano raccogliendo e differenziando in una ricerca di posti distinti da cui si potesse comandare agli altri e abusare degli altri; e invece di una comunione spirituale si cercò l'autorità, e l'indifferenza politica e morale divenne il gelido manto della dottrina.

-Renzo Mazzetti- (Sabato 27 Ottobre 2018 h.06,47)


PESCI VOLANTI

(Meditazione su Faust di Johann Wolfgang Goethe)

Filosofia ho studiato, medicina e diritto, e, purtroppo, la teologia, da capo a fondo, con ogni sforzo.

Adesso eccomi qui, povero pazzo, e sono intelligente quanto prima. Mi chiamano dottore, professore, e già saranno almeno dieci anni, di su, di giù, per dritto e per traverso, che meno per il naso gli studenti, e nulla, vedo, ci è dato sapere; il cuore per poco non mi scoppia. La so più lunga, certo, di tutti i presuntuosi, dottori, professori, preti e scribacchini; né scrupoli né dubbi mi tormentano, non temo né l'Inferno né il demonio. In cambio sono privato di ogni gioia, non

m'immagino di conoscere il giusto, non m'immagino d'insegnare agli uomini come correggersi, come migliorare; non possiedo né terra, né denaro, non ho gloria né onori in questo mondo. Questa vita non la vorrebbe un cane! Per questo mi sono dato alla magia, se mai per forza e bocca dello spirito qualche segreto mi si palesasse, e non avessi più a sudare amaro a parlare di quello che non so, potessi conoscere nel fondo che cosa tiene unito il mondo, scoprire i semi delle forze attive, non rimestare più tra le parole... Come vanno su e giù forze celesti, porgendosi a vicenda i secchi d'oro!

Con ali benedette e profumate dal cielo attraversano la terra, e il Tutto ne risuona in armonia! Che scenario! Ah, ma è solo uno scenario! Dove potrò afferrarti, Natura senza fine? E dove, seni, voi? Sorgenti di ogni vita alle quali la terra e il cielo pendono, voi cui si tende questo petto vizzo

sgorgate, dissetate, e io languisco invano?

-Renzo Mazzetti- (Lunedì 15 Ottobre 2018 h.06,15)


ARBITRIO E LEGGE

(Meditazione su: XXVI, Annali, Tacito)

I primi uomini, non ancora eccitati da male passioni, vivevano senza infamia, né delitti, e, perciò, senza colpa né castighi. Neppure v'era bisogno alcuno di premi, poiché gli uomini istintivamente ricercavano solo cose buone ed oneste, e, perché nulla desideravano contrario al bene, nulla era ad essi impedito con la minaccia di pene. Al contrario, abbandonata l'eguaglianza, e la temperanza e il sentimento dell'onore sopraffatti dalla cupidigia e dalla prepotenza, sorsero governi dispotici, che presso molti popoli rimasero per sempre. Alcuni, invece, o subito o più tardi, mal sopportarono il potere dei re e preferirono l'istituzione delle leggi. Queste in un primo tempo furono semplici, in armonia con la natura primitiva degli uomini, e fra esse furono celebri soprattutto le leggi dei Cretesi e quelle degli Spartani, compilate le une da Minosse e le altre da Licurgo. In tempi più recenti Solone ne scrisse altre per gli Ateniesi, già più raffinate e più varie. Presso di noi Romolo regnò a suo arbitrio assoluto, dopo di lui Numa tenne soggetto il popolo con i vincoli della religione, e con il diritto divino, Tullo ed Anco a loro volta istituirono altre norme di vita, ma, più di tutti, Servio Tullio fu ordinatore di un corpo di leggi, alle quali gli stessi re dovessero obbedire.

-Renzo Mazzetti- (Martedì 25 Settembre 2018 h.06,11)


OGGI

(Meditazione su: Diciassettesimo capitolo, parte tratta da: Era ieri di Enzo Biagi a cura di Loris Mazzetti)

Parlai con la garbata signora Karen Klomp che dirige l'asilo nido “Battery Park day Nursery”, a pochi passi dalle torri e le chiesi se qualcosa era cambiato anche per i piccoli. “La mattina dell'11 Settembre c'erano centoventuno iscritti alla nostra scuola. Oggi sono solo quarantasei. Molte famiglie che sono state evacuate dagli edifici pericolanti adesso vivono in abitazioni provvisorie, distanti dall'asilo. Abbiamo dovuto licenziare otto delle nostre insegnanti, e questo è stato molto triste. Anche i giochi sono mutati: i bimbi fanno i vigili del fuoco, o i poliziotti, e indossano gli elmetti, ma non ci sembra che siano traumatizzati. Nel mio ricordo è cominciato come un qualsiasi martedì. Quando il primo aereo ha colpito il bersaglio, erano le 8,45, e i piccoli che stavano giocando con le loro maestre in giardino sono rientrati velocemente, e quando anche il secondo ha colpito ci siamo resi conto della gravità della situazione. Abbiamo cercato i genitori chiedendo di venire a prendere i loro figli. Le insegnanti hanno continuato a cantare e a raccontare storie per tranquillizzarli. Quando è crollata la seconda torre è arrivata una nuvola di fumo, l'elettricità è saltata ed eravamo completamente al buio.

-Renzo Mazzetti- (Martedì 11 Settembre 2018 h.06,19)


EBREI E SPAGNA

(Meditazione su: l'Inquisizione di Spagna di Catalano Franco)

Nella seconda metà del 1400 vari erano gli elementi sociali che componevano il popolo spagnolo e varia era anche la loro forza economica. Vi erano i discendenti dai mussulmani, i cosiddetti “moriscos”, la cui influenza politica e sociale non era molto grande. Vi erano gli ebrei che rappresentavano, invece, con la loro attività, la vera potenza economica della Spagna e che, pertanto, avevano assunto una posizione di predominio nella vita del paese. Vi era, infine, la nascente borghesia spagnola, ansiosa di strappare a tutti gli altri elementi, che essa riteneva non nazionali, ogni influenza politica e sociale. E proprio nella seconda metà di quel secolo l'aspirazione di quest'ultima doveva essere sostenuta e difesa dalla monarchia, che, come era avvenuto anche in altri paesi d'Europa, aveva compreso la necessità di appoggiarsi alla borghesia per affermare stabilmente il suo potere. Così, i nuovi sovrani, Ferdinando d'Aragona e Isabella di Castiglia, che salirono al trono nel 1479, assecondarono gli sforzi e le intenzioni della borghesia, iniziando una lotta a fondo contro gli altri elementi che componevano il popolo spagnolo. Combatterono, infatti, fino a sconfiggerli definitivamente nel 1492, contro i mussulmani del regno di Granata; ma, contro gli ebrei la lotta non si presentava così semplice né così facile, tanto più che questi non erano concentrati in un solo centro, ma si erano mescolati a tutto il popolo. Si cercò, allora, con l'ipocrisia che spesso ha contraddistinto le azioni della borghesia, un modo con cui condurre questa lotta spietata, ma, nel tempo stesso, velarla sotto le apparenze della difesa di valori più alti, che non potevano essere altro, in quel periodo e nella Spagna, che i valori religiosi. In tal modo, vi erano tutte le condizioni favorevoli perché fosse stabilita l'Inquisizione in Spagna, condizioni soprattutto sociali nella lotta che la borghesia intendeva intraprendere contro l'influenza economica preponderante degli ebrei. L'espulsione di questi fu così, una vera e propria speculazione del sovrano e della borghesia che stava diventando potente politicamente. Pertanto il 1° Novembre del 1478, d'accordo con il papa Sisto IV, Ferdinando ed Isabella introdussero l'Inquisizione nella Spagna: si trattò, per così dire, di un vero e proprio “concordato”, che consentì alla Chiesa la difesa del cattolicesimo, ma permise al sovrano la lotta spietata contro gli elementi che voleva eliminare. A favorire l'accordo fra il papa e il sovrano concorse, in misura non lieve, il fatto che gli ebrei rappresentavano il nemico comune. Ma questo stesso fatto e l'interesse veramente predominante che aveva Ferdinando nell'azione della Inquisizione, per raggiungere i suoi fini politici, spiegano i contrasti con Roma, che avrebbe voluto, invece, che l'Inquisizione dipendesse interamente da essa. Eppure, sebbene si delineasse a più riprese, tale contrasto, esso non giunse mai al punto critico della rottura, ed i sovrani di Spagna continuarono a servirsi di quel potente strumento di persecuzione per i loro fini politici e sociali, mentre la Chiesa fornì i mezzi che consentirono a quello strumento di operare, rendendosi, pertanto, complice della oppressione e della reazione politica non meno utili per i suoi interessi di predominio e di usurpazione, di quanto non fossero per la monarchia. Come riferisce il Tamburrini, “dal 1478 al 1482 i tribunali creati in Castiglia (si badi: nella sola Castiglia, cioè in una sola regione della Spagna) per esaminare la fede dei nuovi convertiti, condannarono al fuoco duemila persone; altri accusati di miscredenza in assai più copioso numero perirono nelle prigioni; altri (e questi furono trattati con maggiore indulgenza) vennero segnati con una croce arroventata sul petto e sulle spalle, dichiarati infami e spogliati d'ogni loro avere”. La lotta contro gli ebrei fu violenta e senza pietà, tanto che circa ottocentomila persone furono scacciate dalla Spagna, senza contare tutte le altre migliaia di persone condannate e bruciate. L'accanimento della Inquisizione si estese, alcuni anni più tardi, anche contro quegli ebrei che, per sfuggire alle persecuzioni, si erano convertiti al cristianesimo, e che furono chiamati “marrani”. Il fanatismo religioso unito al violento odio della borghesia non poteva certo perdonare loro: venivano essi rintracciati, scoperti e condannati senz'altra accusa che quella di essere ebrei. Dai calcoli che sono stati fatti, risulta che il primo inquisitore generale, Tomaso Torquemada, fondatore e organizzatore dell'Inquisizione spagnola, passato ai posteri con la fama di una jena assetata di sangue, fama pienamente meritata per le atrocità di cui l'Inquisizione ha macchiato il nome dell'umanità, fece bruciare, nei diciotto anni della sua carica, 10.200 vittime, e condannare alla confisca dei beni, alla prigione perpetua ed alla esclusione dai pubblici impieghi 100.000 persone. I tormenti erano, in gran parte, quelli usati anche dalla Inquisizione medioevale, cioè la ruota, la carrucola, il graticcio infuocato su cui si faceva camminare l'imputato ma, naturalmente, questi tormenti erano raffinati e perfezionati da una crudeltà sempre più ricercata. Chi finiva tra gli artigli degli inquisitori era talmente sicuro di morire, che spesso preferiva por fine alla sua vita da sé, spaccandosi il cranio contro i muri delle celle tetre e fradicie in cui i prigionieri venivano gettati, privi d'aria e di luce. A questo proposito, il celebre storico dell'Inquisizione Lavallée scrive che se molti erano coloro che si uccidevano per sottrarsi alle torture innominabili che li attendevano, ben maggiore era il numero di quelli che, spinti dall'istinto di conservazione, preferivano andare incontro ai ferri dei carnefici sperando forse nella propria resistenza e nella umanità degli inquisitori. Speranza vana! In quelle diaboliche figure di domenicani e di francescani, che fungevano da inquisitori, e che gareggiavano in atrocità, non v'era nulla di umano: i loro ferri roventi affondavano senza scampo nelle carni delle vittime, finché ottenevano la confessione voluta. Poi veniva, liberatrice, la morte: ma anche per questa i carnefici ricorrevano ad una messa in scena di una malvagità senza pari: incolonnavano i condannati e li portavano sulle piazze ad offrire spettacolo della propria morte sul rogo orrendo monito al popolo oppresso. La vendetta degli inquisitori si estendeva anche ai morti, le cui ossa venivano dissepolte, qualora si fosse avuto il sospetto di una loro eresia, e bruciate. Tanto era, inoltre, il terrore che la Inquisizione esercitava sugli spiriti, da spingerli a negare non solo ogni assistenza, ma anche ogni relazione con i condannati; si infrangevano così anche i più dolci sentimenti di parentela sotto la spinta del terrore.

-Renzo Mazzetti- (Domenica 26 Agosto 2018 h.06,44)


SAGGEZZA E GIUSTIZIA

(Meditazione su: Massima di Marco Aurelio)

Se nelle tue azioni presenti segui la giusta via con solerzia, con energia, con calma, senza svagarti; se conservi il tuo spirito interiore incontaminato come se tu fossi in procinto di morire; se segui questo rigidamente, nulla sperando e nulla temendo, ma, al contrario, accontentandoti d'agire sempre secondo il tuo dovere naturale e d'affermare la verità sempre coraggiosamente in ogni tuo discorso, vivrai felicemente, perché nessuno potrà mai impedirti di comportarti così.

-Renzo Mazzetti- (Giovedì 16 Agosto 2018 h.06,00)


SORRISI E RISATE

(Meditazione su: Il compagno scomodo di Alessandro Curzi)

Pensierino dell'ultima riga, da giornalista alla “gente”. Ho visto che Lamberto Dini invita gli elettori, in particolare i giovani, al sorriso. E sorridente è l'immagine di Berlusconi stampata sui volantini, lui del sorriso è il maestro. A denti stretti sorride spesso anche Fini. Veltroni sorride e Prodi pure, perfino D'Alema ha imparato, per non parlare di Bertinotti che in tv è un campione. Insomma ci vogliono, vi vogliono sorridenti. A me tutto questo sorridere pare davvero strano. Io penso che sì, ci sia molto da ridere, nella vita e anche nella politica. Ma che molte cose, invece, siano serie e toste. Questa mezza misura del sorriso puzza di pubblicità, è qualcosa di artefatto. Con il sorriso non si trasmette solo cordialità ma anche fregature. Perciò, mia cara “gente”, ogni tanto fatti una risata. Come si diceva una volta “li seppellirà”, ma non farà loro del male, anzi li migliorerà. E se qualcuno ti sorride troppo, smontalo. Non è difficile. Basta chiedergli: “Perché?”.

-Renzo Mazzetti- (Domenica 5 Agosto 2018 h.06,06)


ASSIOMA

(Meditazione -riassunto- su: La cultura e la scienza per lo sviluppo economico di Aldo Tortorella, almanacco pci '78)

La lotta, che dura dal momento stesso in cui si è avviata l'esperienza del nuovo Stato fondato dalla battaglia antifascista, dalla Resistenza e dalla Costituzione, è pienamente aperta. Il movimento operaio, e in esso i comunisti, ha portato un suo decisivo contributo in questa battaglia volta ad applicare (ma applicare significa anche, e necessariamente, interpretare) il dettato costituzionale. Il primo grande impegno fu quello per far rispettare la disposizione della Costituzione che impone <almeno otto anni> di istruzione inferiore <obbligatoria e gratuita>. Al tempo stesso, fin da anni lontani, si lottò per modificare i contenuti del processo della istruzione pubblica. I risultati -tuttavia- non furono grandi per le sostanziali resistenze conservatrici in ogni campo ma anche -e soprattutto- per l'orientamento politico complessivo impresso al Paese che fu quello volto a ignorare, o a porre in disparte, gli aspetti innovativi della Costituzione. Non a caso l'articolo 9, sulla cultura, è iscritto tra i <principi fondamentali> che aprono la Carta costituzionale. Tra gli ostacoli posti all'eguaglianza, alla libertà, allo sviluppo della persona umana, alla piena partecipazione non è dubbio che sia determinante il difetto di istruzione, di conoscenze, di cultura cui sono state condannate, nei secoli, masse immense di popolo, senza dubbio la sterminata maggioranza del genere umano e, quindi, del nostro popolo. L'accusa più rilevante e bruciante che deve essere mossa al sistema capitalistico è che, sorgendo esso nel tempo e sulla base di un progresso scientifico-tecnico imparagonabile con le precedenti età, non ha saputo in alcun modo colmare questo difetto. Porre la cultura come valore primario significa, nel concreto, compiere uno sforzo eccezionale per bloccare e rovesciare il processo di degradazione che ha investito la scuola e l'università, rompere la tendenza a collocare le attività culturali ai margini dello sviluppo del Paese. Ponendo in questi termini la funzione della cultura per la trasformazione del Paese, emerge pienamente non soltanto il principio dell'autonomia della ricerca e della creazione artistica, ma la necessità che si creino le condizioni concrete per favorire il dispiegarsi di ogni energia intellettuale e posizione culturale. Non ci può essere una politica giusta senza il più ampio e fecondo respiro culturale. Ma, al tempo stesso, una cultura che rifiuti di misurarsi con il dramma del presente nega se medesima.

-Renzo Mazzetti- (Lunedì 30 Luglio 2018 h.06,02)


LE FELICITA'

(Meditazione su: Aria del dio della felicità di Bertolt Brecht e su La felicità di Trilussa).

Mi fai spuntar le lacrime, fratello, vedo che la tua vita non è allegra. Ecco una mela: io ne possiedo tre, perciò una la regalo a te. Non ci vedo niente di eccezionale: e l'uno e l'altro possiamo vivere. Solo i semi, promettimelo, avido non inghiottirli, sputali invece a terra prima che mi allontani. E se poi cresce un melo dentro il tuo campicello vieni a prenderti i frutti: è il tuo albero, quello. [Fine] C'è un'ape che si posa su un bottone di rosa: lo succhia e se ne va. Tutto sommato, la felicità è una piccola cosa.

-Renzo Mazzetti- (Domenica 22 Luglio 2018 h. 05,37)


F 35 E SPRECHI

(Meditazione su: 23 miliardi per fare la guerra: sintesi dal Manifesto tratta dal Rapporto 2012 sulla Spesa Pubblica di Sbilanciamoci)

Costi esagerati e sprechi. A cosa servono 180.000 uomini e donne militari, con i vertici che crescono e la truppa che viene tagliata? A cosa servono 2 portaerei, decine di fregate, 131 cacciabombardieri F35, 121 aerei di difesa, centinaia di elicotteri, centinaia di blindati? Per non dire del mezzo milione di euro della Festa delle Forze armate al Circo Massimo, delle 19 Maserati blindate appena arrivate, dei soldi per gestire per 4 anni 9 alloggi destinati a generali  dell’aereonautica… Nonostante la crisi finanziaria e la successiva recessione globale, le spese militari nel mondo continuano a crescere: nel 2010 infatti, secondo quanto registrato dal Sipri, il prestigioso Istituto Internazionale di Ricerche per la Pace di Stoccolma, la spesa militare ha raggiunto i 1.630 miliardi di dollari, con un incremento in termini reali dell’1,3% rispetto all’anno precedente. L’Italia anche quest’anno si conferma al decimo posto, secondo il Sipri, con 37 miliardi di dollari, un dato che è tuttavia “stimato”, vista l’impossibilità, anche per l’istituto di ricerca, di avere dati precisi. Il bilancio della Difesa è, per il 2012 (con l’approvazione del bilancio dello Stato lo scorso 12 novembre) a 19.962 milioni di euro. Per la funzione difesa, riferita alle tre armi: esercito, marina e aeronautica, sono stanziati 14.111 milioni di euro, a questi vanno aggiunti 5.850 milioni di euro per la funzione sicurezza del territorio (i Carabinieri). Ma si arriva facilmente a una spesa complessiva, verificata, di oltre 23 miliardi di euro se a tutto ciò si sommano i costi per le missioni all’estero e gli stanziamenti del ministero dello Sviluppo Economico per i sistemi d’arma. Vediamo i singoli aspetti. Il “personale”: l’organico 2012 delle Forze armate è previsto in poco più di 180.000 unità. È completamente fallito l’obiettivo fissato dalla riforma della leva del 2001 dal momento che abbiamo un numero di comandanti (graduati) superiore a quello dei comandati (truppa), un numero spropositato di 511 generali e ammiragli e un numero di marescialli più che doppio rispetto al necessario. Ne risulta un organico con una età anagrafica molto avanzata e quindi poco incline all’operatività. Il paradosso emerge dalle missioni all’estero, attività ormai principale delle nostre Forze armate, che impegnano 7.435 uomini e donne, con evidente difficoltà a rispondere positivamente all’ipotesi di altre missioni. Il settore “esercizio”: per il 2012 sono state allocati 1.512,4 milioni di euro, con un incremento rispetto all’anno precedente di 68,1 milioni di euro. Con questi fondi si provvede alla formazione e all’addestramento del personale, alla manutenzione e all’efficienza dei mezzi e alla sicurezza del personale; i tagli lineari fatti negli anni passati sono andati a finire sempre qui. Gli “investimenti”: è questo il delicato settore della ricerca, sviluppo, ammodernamento e rinnovamento dei nuovi sistemi d’arma: nel 2012 è prevista una spesa di 3.941 milioni di euro, con un incremento rispetto al 2011 pari a 471,4 milioni di euro: più del 10% in spesa per armi. Dunque, quasi 20 miliardi del bilancio della Difesa, ma si arriva velocemente a 23. Va considerato infatti che nello stato di previsione del ministero dell’Economia è presente il fondo per le missioni internazionali di pace, incrementato con 700 milioni di euro dalla Legge di stabilità, raddoppiati poi dalla manovra Monti. Lo stato di previsione del ministero dello Sviluppo Economico comprende poi 1.538,6 milioni di euro per interventi agevolativi per il settore aeronautico e 135 milioni di euro per lo sviluppo e l’acquisizione delle unità navali della classe Fremm. La Legge di Stabilità proroga al 31 dicembre 2012 l’utilizzo di personale delle Forze armate per le operazioni di controllo del territorio per una spesa complessiva di 72,8 milioni di euro.

Sperperi inutili: proseguono nel frattempo sovrapposizioni e sprechi: a cosa servono all’Italia 180.000 uomini e donne militari, con i vertici che crescono e la truppa che viene tagliata? A cosa servono 2 portaerei, decine di fregate, 131 cacciabombardieri d’attacco, 121 aerei di difesa, centinaia di elicotteri, centinaia di blindati? Perché comprare mezzi spesso sottoutilizzati e a volte addirittura non utilizzati (fortunatamente!)? Non parliamo poi degli sprechi che sono emersi in questi mesi: il mezzo milione di euro della Festa delle Forze armate al Circo Massimo, le 19 Maserati blindate appena arrivate per i vertici militari della Difesa, i costi esagerati per gestire per 4 anni 9 alloggi destinati a generali dell’aereonautica: 2 milioni e 280 mila euro. Aggiungiamo noi i 20 milioni di euro destinati alla Mini naja e gli oltre 7 milioni l’anno per l’operazione strade sicure, iniziative molto di facciata e poco di sostanza. Occorre fare di necessità virtù e approfittare della crisi per rivedere il nostro modello di difesa in base alle reali esigenze del Paese, creando uno strumento più snello e liberando risorse economiche da destinare a settori dove i soldi investiti garantiscano posti di lavoro e benessere per il Paese. Una recente ricerca dell’Università del Massachusetts ha calcolato che: se investiamo un miliardo di dollari nella difesa abbiamo 11.000 nuovi posti di lavoro; 17.000 se lo impegniamo nelle energie rinnovabili e 29.000 se andasse nel settore dell’educazione. Ecco la strada da seguire.

-Renzo Mazzetti- (Domenica 8 Luglio 2018 h.05,51)


FRAGRANTE

(Meditazione sul monologo: Il sogno di Marx di Gaber e Luporini).

Quando si è un po' filosofi non si sogna mai a caso. Ero una specie di Diogene, con una lampada da duemila Watt, una macchina fotografica, e cercavo in un posto che poteva essere Milano. Sento una voce nella nebbia che mi fa: "Così non fotograferai mai niente!" "Chi siete?" Lui: "Un tedesco di passaggio". Esce dalla nebbia un bel signore con la barba e si presenta: "Piacere, Carlo Marx". Oeh!... (stupore) "Vedi ragazzo..." Come ragazzo?... Mi chiamano tutti compagno, arriva questo... e cambia il vocabolario un'altra volta. "...non basta una macchina fotografica con un obiettivo giusto.. Tu sbagli i tempi, credimi. Io ho una certa esperienza della roba che si muove!" E questo è vero. "Dunque, come si muoveva il tutto ai miei tempi? Guarda, qui c'era il capitale, qui le classi, la borghesia eccetera eccetera". E io: flash! Simpatico Marx quando si scalda... Sembra un paparazzo! Però mi permetto di dirgli: "Anche noi, capitale, classi, borghesia... flash!" "Bravi!" "Grazie!" Ho capito dopo che bravi voleva dire coglioni... Affettuosamente, si intende. "Bravi, la borghesia... non c'è più. O meglio, non conta... Sbriciolata!" E no, qui mi incazzo... Non c'è più... Oh dio, non c'è più la borghesia!... Che detto da lui fa anche rabbia, perché uno dice: ci ha preso per il culo fino adesso. E io: "Ma i padroni, i capitalisti?" Lui guarda, bello, con quegli occhi che vedono tutto: "I padroni, i capitalisti... non li vedo... nel senso che... stanno diventando impersonali." "Puttana miseria! Ma io ho bisogno di aggrapparmi a qualcosa, ho bisogno di punti fermi!" "Allora dovevi parlare con Gesù!" "Già fatto grazie... Ma mi dica, maestro... la lotta di classe... la lotta di classe... lasciamo almeno la lotta di classe!" Lui, calmo: "La lotta di classe..." "Più svelto maestro!..." "La lotta di classe sarebbe ancora giusta..." "Ooh!..." "...se fossero chiare le classi!" "Come non son chiare le classi!?... Allora non sei marxista! Scusa se mi incazzo, Marx... ma mi sembri un po' spappolato. E l'imperialismo, l'imperialismo?" "Mah!..." Com'è calmo, Marx! "Dai, l'imperialismo?!..." "Mah... ne parlavo con Lenin. È lassù che lo guarda... lui ci è fissato! dice che ne ha un'immagine un po' sfuocata. Parla di pax... di pax americana... dice che la pace è peggio della guerra". "Sì, questo l'ha detto anche il matto dei certificati. E poi, e poi... non vedete più niente? Cosa guardi, ora, cosa guardi se non c'è più niente?" "Non è vero, la lotta c'è ancora. Anzi, i nemici ci sono più di prima. Ma si presentano in un altro modo. È tutto più... la vedi la produzione? era così... una bambina. Com'è cresciuta! Che salute! Me la ricordo, io... una bambina con i padri che... fai questo, fai quello!... roba da matti. Una donna, autonoma, va da sé, va da sé. Bisogna fare qualcosa... " tira fuori una Leika col soffietto... " ...bisogna fare qualcosa, flash! è tutto più... flash!... sì, certo.. flash! interessante... flash! ho capito... è tutto più..." E il vecchio se ne andò ancheggiando, lasciandomi nell'angoscia più assoluta. "Il rullino, rullino!... non andare via!... il rullino... spediscimelo! ". Maledetto testardo, fissato, anche con l'arteriosclerosi viene qui, vede che tutto si muove, scatta a un cinquecentesimo... è una mania, una mania! Ci avevo le idee chiare, precise... "Scrivimi! sì, scrivimi qualcosa!" Che se no, magari, tra una decina d'anni, uno si alza una mattina e, senza saperlo, si trova lì davvero senza borghesia, senza classi, senza padroni... ma nella merda più di prima!

-Renzo Mazzetti- (Venerdì 6 Luglio 2018 h.06,02)


TUNICA ROSSA

(Meditazione su: Garibaldi in America latina)

Rosas aggredisce l'Uruguay. Una piccola formazione al comando di Garibaldi tiene testa alla potente flotta argentina e dopo una violenta battaglia, gli italiani subiscono una pesante sconfitta. La guerra prosegue a terra. Il governo uruguaiano organizza tre legioni straniere: francese, spagnola italiana. La legione italiana, comandata da Garibaldi, ha per uniforme una tunica rossa, trasformata più tardi in camicia rossa. La legione italiana di cinquecento uomini, combatte con valore ma subisce grandi perdite. Le battaglie degli italiani in difesa dell'Uruguay hanno risonanza, e in Italia i patrioti aprono una sottoscrizione per offrire una spada d'onore a Garibaldi.

-Renzo Mazzetti- Mercoledì 4 Luglio 2018 h.05,38)


ESERCITO DI RISERVA

(Meditazione su: Capitalismo e disoccupazione).

Le statistiche sulla disoccupazione indicano uno degli aspetti più tragicamente negativi del sistema economico vigente, sistema che non è in grado in nessuna parte del mondo di assicurare lavoro a tutti. Prima della rivoluzione industriale e dell'avvento del capitalismo, il fenomeno della disoccupazione, nel senso attuale della parola, non esisteva. Certamente anche allora vi erano forze di lavoro non impiegate, ma la staticità del sistema, il lento se non addirittura stagnante ritmo della vita economica, il livello bassissimo delle forze produttive, facevano sì che non si verificassero squilibri notevoli. Con il sorgere del sistema capitalistico si rompe l'equilibrio precedente e si costituisce un nuovo sistema di produzione fondato sul lavoro salariato. Da un lato i capitalisti che posseggono i mezzi di produzione; dall'altra la forza-lavoro che viene venduta come una merce sul mercato. Il prezzo di questa merce particolare (cioè il salario), non diversamente da quanto avviene per le altre merci, tende a fissarsi al livello del suo valore (il quale, per la forza lavoro, corrisponde al valore dei mezzi di sussistenza che permettono al lavoratore di vivere e di mantenere, attraverso la riproduzione, la continuità della classe lavoratrice). Tale prezzo dipende a sua volta dai prezzi dei generi giornalmente consumati dai lavoratori e, se tende a fissarsi al livello del valore, registra tuttavia notevoli oscillazioni intorno ad esso. Aumenta, per esempio, sotto la spinta della forza organizzata dei lavoratori, e diminuisce quando la pressione della massa dei disoccupati diventa particolarmente gravosa. Un primo cenno alla possibilità di una disoccupazione duratura lo troviamo nell'economista inglese Davide Ricardo (1772-1823), quando egli afferma che se il prezzo del lavoro aumenta, cioè i salari crescono, al capitalista può convenire di introdurre nuove macchine provocando così disoccupazione tra i lavoratori. Questa disoccupazione tende poi ad essere riassorbita, perché il risparmio che ne consegue libera dei capitali che danno luogo a nuove produzioni, le quali immettono nuovamente nel ciclo produttivo la massa dei disoccupati. Va tuttavia osservato che il processo di riassorbimento si protrae per un periodo solitamente non breve, durante il quale un numero più o meno ingente di lavoratori è condannato all'inerzia e alla fame.

Partendo da queste considerazioni, Marx propose una soluzione del problema fondata sul concetto di esercito di riserva del lavoro. Tale esercito consiste nella massa dei lavoratori disoccupati che, attraverso la loro attiva concorrenza sul mercato del lavoro, mettono involontariamente in atto una continua pressione che determina un abbassamento del livello salariale. Durante i periodi di stagnazione economica, l'esercito di riserva costituisce un peso e una minaccia per l'esercito attivo del lavoro; durante i periodi di aumento della produzione esso frena la richiesta di aumenti di salario. Esso è quindi il perno attorno al quale funziona la legge della domanda e dell'offerta del lavoro, e restringe il campo dell'azione di questa legge entro i limiti convenienti al capitale. I profitti e i sovraprofitti monopolistici si ottengono infatti mantenendo una certa stazionarietà nella produzione e nei prezzi, e mantenendo al livello più basso possibile la massa dei lavoratori impiegati.

-Renzo Mazzetti- (Sabato 23 Giugno 2018 h.06,14)


ALICATA = UOMO GIUSTO

(Meditazione su: Mario Alicata)

Mario, diciannovenne, inizia a Roma nel 1937 dal giornale “Il piccolo”, poi, per antifascismo, è incarcerato a Regina Coeli. In quei tempi gli intellettuali non erano i damerini d'oggi con posizioni pecorine, né parlavano (metafora per intenderci) con quella erre-moscia simile al padrone demoncristiano (demone cristiano come diceva Tirella), senatore a vita, cavalier di non lavoro de' agnelli, il quale, al vecchio metalmeccanico è indelebile ricordo, ma soltanto moderni criminali politici dalla lingua biforcuta, traditori della classe operaia.

-Renzo Mazzetti- (Venerdì 15 Giugno 2018 h.06,15)


DAL POPOLO E PER IL POPOLO

( Meditazione su: Hegel, Epigramma, anno 1837, di Karl Marx, Scritti politici giovanili)

Il diciannovenne Marx scrisse un Epigramma intitolato ad Hegel. I = Poiché ho scoperto il sublime e ho colto meditando il profondo, /sono tronfio come un dio, mi ammanto nelle tenebre come lui. /A lungo ricercai e mi affaticai sul mare agitato del pensiero /ed ecco trovai il Verbo, cui mi tengo saldamente aggrappato. /II = Parole io insegno, ingranate in un meccanismo dannatamente confuso: /ognuno poi le ripensi come meglio gli pare. /Almeno non sarà più stretto da pastoie soffocanti, /poiché, come nel rombo di una cascata, che da un dirupo scroscia, /il poeta si finge parole e pensieri dell'amata, /e quanto egli stesso si finge gli appare reale, e ciò che sente ricrea, /così può chiunque succhiare il dolce nettare della sapienza. /In verità io tutto vi dico, poiché vi ho detto un bel nulla! /III = Kant e Fichte vagabondavano volentieri fra le nuvole: /cercavano lassù un paese lontano. /Io invece cerco soltanto di afferrare destramente /quanto ho trovato per la strada! /VI = Ci sian questi epigrammi perdonati, /se cantiamo di saggi fatali: /abbiamo studiato alla scuola di Hegel, /della sua estetica ancor non ci siamo... /purgati.

-Renzo Mazzetti- (Giovedì 14 Giugno 2018 h.06,12)


EUROPA DISTRUTTIVA

(Meditazione su: Dallo specchio della società in: Karl Marx, scritti politici giovanili)

E' nella natura della nostra società di generare molti suicidi, il che non avviene fra i Tartari. Dunque non tutte le società hanno gli stessi prodotti; questo è quanto dobbiamo dirci per lavorare alla riforma della nostra e farla salire ad un livello superiore. Per quanto riguarda il coraggio, se si passa per coraggioso allorché si affronta la morte in pieno giorno sul campo di battaglia sotto il dominio di tutte le eccitazioni riunite, nulla dimostra che si manchi di coraggio se ci si dà la morte di se stessi e in tenebrosa solitudine. Non si scioglie una simile questione insultando i morti. Tutto ciò che si è detto contro il suicidio si muove nella stessa cerchia di idee. Gli si contrappongono i decreti della provvidenza, ma l'esistenza stessa del suicidio è un'aperta protesta contro i decreti imperscrutabili. Si parla di nostri doveri verso questa società, senza indicare e realizzare d'altra parte i nostri diritti di fronte alla società; e infine si esalta il merito mille volte maggiore di sopportare il dolore anziché soccombervi: merito altrettanto malinconico della prospettiva da esso aperta. Insomma si fa del suicidio un atto di vigliaccheria, un delitto contro le leggi, la società, l'onore. Come mai, nonostante tanti anatemi, l'uomo si suicida? Perché nelle vene della gente disperata il sangue non scorre nello stesso modo del sangue degli esseri freddi, che si prendono lo svago di recitare tutti questi sterili discorsi. L'uomo è un mistero per gli uomini: lo sappiamo solo condannare e non lo conosciamo. Se si osserva con quanta leggerezza le istituzioni, che governano l'Europa, decidono della vita e della morte dei popoli, di che abbondante materiale di carceri, di punizioni, di strumenti di morte si circondi la giustizia civilizzata per sanzionare i suoi incerti decreti; se si osserva l'incredibile numero di classi, che da ogni lato vengono lasciate in miseria, e i paria sociali, su cui grava un brutale e pregiudiziale complesso, forse per dispensarsi dalla fatica di strapparli dal loro fango; se si osserva tutto questo, non si comprende a quale titolo si possa ordinare all'individuo di apprezzare per sé un'esistenza, che le nostre abitudini, i nostri pregiudizi, le nostre leggi e i nostri costumi calpestano in tutti i modi. Si è creduto di poter impedire i suicidi per mezzo delle punizioni oltraggiose e d'una specie di infamia, con cui si bolla a fuoco la memoria del colpevole. Che dire dell'indegnità di un marchio impresso su gente che non è più presente a perorare la propria causa? Del resto gli sventurati se ne rattristano ben poco; e se il suicidio incrimina qualcuno, si tratta anzitutto della gente che resta, perché in questa massa non uno merita che si continui a vivere per lui. Forse che i mezzi infantili e inumani, che si sono escogitati, hanno combattuto con successo contro l'insinuarsi della disperazione? Che importa all'essere che vuol fuggire dal mondo delle offese che il mondo infligge al suo cadavere? In questo si riscontra solo una vigliaccheria in più da parte dei viventi. In realtà, che specie di società è quella, dove si trova il più profondo isolamento in seno a più milioni di individui; dove si può essere sopraffatti da un'esigenza invincibile di uccidersi, senza che alcuno ci comprenda? Questa società non è una società; è piuttosto, come dice Rousseau, un deserto popolato da fiere selvagge.

-Renzo Mazzetti- (Martedì 29 Maggio 2018 h.’6,23)


RESISTENZA EUROPEA E THOMAS MANN

(Meditazione su: Prefazione di Thomas Mann a “Lettere di condannati a morte della Resistenza europea”, Einaudi).

Leggendo le lettere di condannati a morte, mi ritornava continuamente il ricordo del racconto “Divino e umano” di Tolstoj, di quando la lotta tra i rivoluzionari russi e il governo aveva raggiunto il suo culmine, e descrive gli ultimi giorni di uno studente universitario condannato a morte. Viviamo in un mondo di perfida regressione, in cui un odio superstizioso e avido di persecuzione si accoppia al terror panico; in un mondo alla cui insufficienza intellettuale e morale il destino ha affidato armi distruttive di raccapricciante violenza, accumulate con la folle minaccia - “se così dev'essere” - di trasformare la terra in un deserto avvolto da nebbie venefiche. L'abbassamento del livello intellettuale, la paralisi della cultura, la supina accettazione dei misfatti di una giustizia politicizzata, il gerarchismo, la cieca avidità di guadagno, la decadenza della lealtà e della fede, prodotti, o in ogni caso promossi da due guerre mondiali, sono una cattiva garanzia contro lo scoppio della terza, che significherebbe la fine della civiltà. Una costellazione fatale sovverte la democrazia e la spinge nelle braccia del fascismo, che essa ha abbattuto solo per aiutarlo, non appena a terra, a risollevarsi in piedi, per calpestare - dovunque li trovasse - i germi del meglio, e macchiarsi con ignobili alleanze. Sarebbe vana, dunque, superata e respinta dalla vita, la fede, la speranza, la volontà di sacrificio d'una gioventù europea, che, se ha assunto il bel nome di Résistance, della resistenza internazionale e concorde contro lo scempio dei propri paesi, contro l'onta di un'Europa hitleriana e l'orrore di un mondo hitleriano, non voleva semplicemente “resistere”, ma sentiva di essere l'avanguardia di una migliore società umana?

-Renzo Mazzetti- (Mercoledì 25 Aprile 2018 h.06,41)


PALESTINA

(Meditazione su: I drammi in Palestina, 1948).

Il lembo dell'estrema costa orientale mediterranea, che è la Palestina, costituì sempre una posizione strategica di primo piano. Tale la considerarono i romani, che vi soppiantarono la locale antichissima civiltà ebraica, e i mercanti medioevali che con le crociate pensarono di aprirvi una porta verso oriente. Tale la considerò sempre in epoca moderna l'Inghilterra che ne fece un baluardo militare a difesa dei suoi petroli del Medio Oriente e delle sue linee di comunicazione imperiali. I governi inglesi dimostrarono anzi di annettervi un'importanza così grande da abbandonare qualsiasi scrupolo pur di ottenerne e conservarne il dominio. Già parecchi anni prima della guerra mondiale 1914-18 Londra cominciò i suoi intrighi per strappare all'impero turco la Palestina e altri territori del Medio Oriente. La Palestina era in quel momento il centro di complesse aspirazioni nazionali: le popolazioni arabe, desiderose di sottrarsi al giogo dell'impero ottomano, volevano che essa facesse parte di uno stato arabo indipendente. Gli ebrei, sparsi per il mondo dove più volte avevano subìto persecuzioni di ogni genere, avevano dato inizio a un movimento per ricostituire in Palestina, terra dei loro padri, una loro patria. Gli inglesi promisero ad entrambi di soddisfare le loro contraddittorie richieste (lettera di Mac Millan (1915) agli arabi, e dichiarazioni di Balfour (1917)agli ebrei), e si fecero dare dalla Lega delle Nazioni il mandato sulla Palestina, col preciso compito di istituirvi una “home” nazionale ebraica. Si guardarono però dall'assolvere l'impegno preso. Gli ebrei cominciarono ad emigrare in Palestina, dove svolsero e svolgono una vasta attività civilizzatrice con la creazione di fattorie collettive, veri modelli di agricoltura nazionale, con opere di bonifica, con la nascita di numerose industrie. Da questa immigrazione nacquero i primi conflitti tra la popolazione araba e i nuovi venuti, conflitti che gli inglesi fecero di tutto per rendere più acuti, scontentando ora l'uno ora l'altro dei contendenti. Finché nel 1939 con un Libro Bianco dichiararono impossibile la formazione di uno stato ebraico indipendente e posero un limite alla immigrazione ebraica. Dopo la seconda guerra mondiale la situazione palestinese viene complicata dall'apparizione dell'imperialismo americano nel Medio Oriente. Gli Stati Uniti, che durante la guerra si erano impadroniti di molte concessioni petrolifere nei paesi arabi, vogliono partecipare al controllo della Palestina, la cui importanza economica (per gli oleodotti che l'attraversano) e strategica non sfugge loro. Comincia così, sotto l'apparente idillio, il conflitto fra i due imperialismi. Gli americani, per la pressione di una grande parte dell'opinione pubblica, decisero in un primo tempo di giocare la carta ebraica, sperando di fare del nuovo stato una pedina della loro politica nel Medio Oriente. Per questo appoggiarono l'immigrazione di centomila ebrei e più tardi all'ONU si batterono per la spartizione della Palestina in uno stato ebraico e in uno arabo. Il movimento sionista, sebbene fortemente controllato da alcuni gruppi imperialistici, contiene una grande forza di progresso nella stessa aspirazione nazionale che lo anima. I coloni ebraici che nelle loro fattorie hanno già attenuto alcune conquiste di tipo socialista costituiscono un fermento di democrazia nel Medio Oriente che può rappresentare un serio pericolo per gli imperialisti del petrolio. La politica americana che è riuscita ad aggiogare al suo carro alcuni stati arabi, è perciò rimasta sempre incerta e ha tentato, dopo un primo momento filosionista, di procurarsi appoggi in tutti e due i campi: in quello ebraico da usare come arma contro i rivali inglesi, in quello arabo da usare come arma contro le avanguardie progressive del movimento ebraico. Gli stati arabi, riuniti in una lega controllata dagli inglesi, hanno infatti una fisionomia reazionaria fra le più arretrate: si tratta di piccoli regni dispotici o retti da piccole caste la cui permanenza al potere dipende solo dall'appoggio di un imperialismo straniero. Per questa ragione l'Inghilterra ha deciso invece di giocare la carta araba.

Quando nel 1947 il governo di Londra capì che l'opinione pubblica mondiale gli era dichiaratamente ostile per i continui conflitti che la sua politica provocava in Palestina, l'Inghilterra ricorse ad un espediente propagandistico: fece il gesto di rimettere tutta la questione palestinese alle decisioni delle Nazioni Unite e contemporaneamente annunciava di rinunciare al mandato. Di nascosto si preparava però a restare nel paese sotto altra forma. L'ONU adottò l'unica soluzione equa possibile: la spartizione della Palestina in due stati: uno arabo, l'altro ebraico. L'Inghilterra aizzò gli stati arabi, quasi tutti controllati militarmente e politicamente da lei, perché non accettassero la soluzione e minacciassero la guerra qualora essa fosse stata attuata ugualmente. Lei stessa dichiarò più tardi di non potersi impegnare a rispettarla visto che gli stati arabi non erano d'accordo. Essa non volle neppure ritardare il ritiro delle sue truppe tanto da permettere all'ONU di intervenire per far rispettare la decisione presa. Il 15 Maggio, mentre ancora si discuteva al Consiglio di Sicurezza, Londra ritirò le sue truppe dalla Palestina e contemporaneamente muoveva gli eserciti arabi, da lei organizzati armati e comandati, perché iniziassero l'invasione della Palestina. L'Inghilterra usciva da una porta per rientrare dalla finestra. Molto più incerto è l'atteggiamento americano, per le ragioni già dette. Washington, dopo aver approvato la spartizione, si ritrattò e tentò di imporre alla Palestina un mandato fiduciario in cui gli Stati Uniti avrebbero avuto la parte del leone. La manovra non riuscì e il presidente Truman all'atto della creazione dello stato ebraico, proclamato solennemente il 15 Maggio, diede il suo riconoscimento alla nuova Israele. La mossa giunse improvvisa e costituì il terzo voltafaccia americano sul problema palestinese. Ma non doveva essere l'ultimo: quando il nuovo stato si trovò aggredito degli arabi, Washington si guardò bene dall'assumere un atteggiamento energico in sua difesa: gli Stati Uniti preferirono continuare il doppio gioco, forti della loro potenza economica di cui hanno bisogno sia gli arabi che gli ebrei. L'unica fra le grandi potenze che abbia mantenuto una posizione coerente su una questione tanto delicata, è l'Unione Sovietica: dopo aver appoggiato la spartizione, riconobbe lo stato d'Israele e si batté perché fossero adottate energiche sanzioni contro gli stati arabi aggressori. Proposta quest'ultima osteggiata apertamente dagli inglesi e subdolamente dagli americani. La guerra scoppiata il 15 Maggio 1948 continua così a causare vittime. Lo stato d'Israele ha finora respinto vittoriosamente tutti gli attacchi. La pace dipende soprattutto da Londra e da Washington.

-Renzo Mazzetti- (Lunedì 16 Aprile 2018 h.06,45)


GRANDE GIUSEPPE

(Meditazione su: Risparmio energetico e occupazione (commento a Privatizzazioni e risparmio energetico) di Giuseppe Novino, Assessore alle politiche ambientali del Comune di Montopoli in Val d'Arno, postato mercoledì 19 maggio 2010 alle 09:40).

Il contributo della Regione Toscana ottenuto dalle 37 concerie rappresenta un significativo riconoscimento all'operato della nostra zona. Attivarsi per il risparmio energetico è stato possibile anche perché nella nostra zona fin dagli anni 1980 il Centro di Telerilevamento dell'ARPAT opera con il metodo della prevenzione tramite la partecipazione attiva di tutte le parti sociali interessate. L'ARPAT di San Romano ha indicato e supportato i comuni e le aziende indicando le soluzioni tecniche adeguate alla nostra attività produttiva con il progetto che interessa tutto il comparto conciario con l'obiettivo primario di tutelare la salute dei cittadini salvaguardando l'ambiente. Questa è una delle tante motivazioni perché vogliamo che ci sia nella zona del cuoio il Centro regionale di prevenzione e telerilevamento per il controllo in continuo delle emissioni. Poiché i risparmi energetici sono considerevoli, tutto il comparto conciario deve attivarsi, come hanno fatto queste 37 concerie, avvalendosi delle forme di contributo finanziario e delle agevolazioni bancarie che le Associazioni di categoria possono sollecitare. Perché tutto ciò? Perché 10-15 milioni di euro che ogni anno sono garantiti, se tutto il settore attua le misure di risparmio energetico, rappresentano in termini di salvaguardia dell'occupazione ben 400-500 lavoratori e, oltretutto, le spese di investimento iniziali sono recuperate entro il periodo di un anno! Ritengo che è indispensabile proseguire su questa strada perché essa rappresenta un vero investimento produttivo utile anche per la tutela della salute e la prevenzione ambientale. Invito le concerie ad attivarsi per fare le domande necessarie alla Regione Toscana aderendo al Bando sul risparmio energetico che scade il prossimo 31 maggio.

-Renzo Mazzetti- (Venerdì 6 Aprile 2018 h.06,07)


CLIMA E TERRENO

(Meditazione su: L'evoluzione del territorio può portare alla trasformazione del clima).

Clima e evoluzione del terreno sono elementi strettamente dipendenti l'uno dall'altro; a seconda dei casi l'uno o l'altro può prevalere nel determinare la fertilità, ma la trasformazione dell'uno porta sempre alla trasformazione dell'altro. L'agricoltura non può provocare un processo di formazione del terreno diverso da quello naturale. Il terreno fertile presenta, più o meno, le stesse caratteristiche sia che abbia origine naturale, sia che abbia origine dal lavoro dell'uomo. L'uomo può però mutare profondamente la velocità e il senso dell'evoluzione del terreno, può rendere stabile la fase che gli interessa, bosco o prato per esempio, impedire la distruzione del terreno, aumentare fortemente la sua fertilità, così come può distruggere il terreno naturalmente fertile e trasformarlo in deserto. Lo scopo dell'uomo con la coltivazione del terreno è quello di ottenere una produzione elevata di piante utili. Questo scopo può essere raggiunto sia con una agricoltura di rapina, che non si preoccupi di mantenere la fertilità, portando alla formazione di veri e propri deserti, sia cercando anzi di accrescere continuamente con metodi opportuni la fertilità stessa. La scelta di una via piuttosto che di un'altra è dovuta, essenzialmente e ovviamente, alla situazione economica e sociale. Il sistema mercato e della concorrenza, del capitalismo liberista e imperialistico, arreca al suolo un grande danno perché, non si può, per esempio, chiedere a un piccolo e medio proprietario o affittuario, che lavora una terra spesso già scadente, e assillato da tasse e necessità immediate di vita, l'esecuzione di un piano a lunga scadenza per l'aumento della fertilità, che può richiedere, fra l'altro, la rinuncia a parte dei profitti immediati che può dargli uno sfruttamento senza riguardi del terreno. La conservazione e l'aumento della fertilità del terreno, è anch'esso uno dei problemi dell'umanità che richiedono per la loro soluzione che vengano prima risolte le fondamentali questioni sociali e politiche per una convivenza civile e di pace.

-Renzo Mazzetti- (Mercoledì 28 Marzo 2018 h.06,20)


MURO OECE

(Meditazione su: Lo zelo europeista danneggia la nostra economia di Giuseppe Regis tratto da Il Calendario del Popolo, 1953)

Il nuovo termine di liberalizzazione è stato coniato dagli esperti della OECE (organizzazione economica collaborazione europea) per indicare i provvedimenti da essi presi dalla metà degli anni 1949 in poi allo scopo di aumentare gli scambi commerciali reciproci attraverso la eliminazione di quell'ostacolo al commercio che è costituito dal sistema delle licenze [dazi]. I provvedimenti di liberalizzazione vengono prospettati come i principali mezzi attraverso i quali il nostro paese insieme a quelli capitalistici dell'Europa occidentale avrebbe contribuito a ridare libertà e ad intensificare il commercio. In realtà le liberalizzazioni, non sono state che un mezzo per consolidare sul terreno economico il blocco politico dei paesi capitalistici dell'Europa occidentale in funzione degli interessi egemonici degli Stati Uniti. Nell'attuazione di tale politica, e in particolare nella politica delle liberalizzazioni, il governo De Gasperi si è dimostrato il più zelante fra tutti i paesi dell'Europa occidentale. Il carattere politico delle liberalizzazioni risulta del tutto chiaro se appena si considera il fatto che esse sono state concordate proprio fra paesi, come quelli dell'Europa occidentale, le cui economie sono le meno complementari, mentre nessun passo del genere è stato fatto per includere nel sistema paesi ed economie più complementari. Anzi, verso un determinato gruppo di paesi ad economie altamente complementari come l'URSS e le Democrazie popolari si sono di giorno in giorno sempre più ristrette le liste di merci importabili senza licenza. Il prezzo che il nostro paese paga in tal modo alla solidarietà del blocco capitalistico occidentale, appare ancora più grave se si considera che l'Italia è, fra tutti i paesi dell'Europa occidentale, quello per il quale tale politica è meno conveniente.

-Renzo Mazzetti- Lunedì 19 Marzo 2018 h.06,24)


HERNANDEZ MIGUEL

(Meditazione su: Hernandez Miguel)

Hernandez Miguel e uno dei più grandi poeti della letteratura spagnola, fu pastore e contadino; allo scoppio della guerra civile, si schierò nel campo repubbl1cano e, dopo la v1ttoria franchista, fu gettato in carcere dove morì di tubercolosi.

-Renzo Mazzetti- (Mercoledì 7 Marzo 2018 h.06,54)


GIAIME PINTOR

(Meditazione su: Ricordo di Giaime Pintor di Luigi Pintor. Rinascita, Gen. Feb. 1947)

Sono passati due anni da quando, per la prima volta, ricercammo nella vallata di Castelnuovo al Volturno la salma di mio fratello Giaime, ucciso a 24 anni nella notte del 1° Dicembre 1943 da una mina tedesca, mentre tentava di passare il fronte e di raggiungere una banda partigiana da poco sorta nel Lazio. Ritrovammo allora la salma di Giaime sepolta nell'aperta campagna, al margine di una vigna incolta. Nel Gennaio scorso, a due armi di distanza, sono ritornato nel paese di Castelnuovo, ancora nelle stesse condizioni di rovina e di totale abbandono in cui la guerra lo ha lasciato, per esumare la salma di Giaime dal tumulo improvvisato e predisporne il trasporto a Roma. Per quell'occasione, l'intera popolazione contadina ha sospeso il lavoro, si è unita a noi ed è scesa con noi nella vallata. Sono stati i contadini a scavare la terra e a caricare la bara sulle spalle, e il silenzioso funerale di Giaime ha di nuovo traversato la campagna fino al cimitero del paese, anch'esso stravolto dalla guerra, seguito dalle famiglie contadine come se si fosse trattato di uno dei loro morti. Nelle ore di questa cerimonia, commovente per me e credo per chiunque altro vi si fosse trovato, ho ripensato istintivamente ai molti scritti di intellettuali e rappresentanti della cultura italiana in memoria di mio fratello, anch'egli intellettuale e uomo di cultura fra i più ricchi e i più capaci dei giovani intellettuali italiani. In questi scritti e altrove ho sentito ricordare Giaime Pintor come tale, come uomo, cioè, di eccezione. Ma questi in scritti e altrove ho visto lamentare, da parte di uomini simili a Giaime per tradizione, per origine e condizione culturale, questa sua partenza da Napoli -centro della “guerra psicologica”, come Giaime la definì-; ho visto cioè mostrare sorpresa di fronte alla sua azione cosi come è nata e si è svolta, perfino definirla vana, ed esprimere un dubbio sul diritto di un uomo di cultura ad abbandonare la sua attività normale e la sua vita così largamente affermata per scendere nella lotta accanto agli operai, alle masse popolari, ai soldati, ai quali invece spetta il combattimento e il sacrificio. Anche da parte di chi non è giunto a dire questo o a pensarlo, non ho però ricordato di avere udito pronunciare una parola cosi chiara e definitiva come Giaime stesso l'ha detta con la sua morte. Ho ricordato, al contrario, come una parte di questi uomini, eredi attuali della vecchia classe dirigente italiana, militi in schieramenti politici avversi a quello in cui Giaime ha militato. Ora scrivo per dire come invece abbia visto, convivendo coi contadini in quelle ore e in quella difficile occasione, questi contadini di Castelnuovo comprendere la vita di Giaime e farsene partecipi con noi. Essi erano lontani dal conoscere le sue opere e i suoi scritti; se li avessero conosciuti, non avrebbero probabilmente potuto comprenderli per quello ch'essi significavano in realtà. Eppure, privi di argomenti da avanzare, di ricordi o di affinità, hanno compreso come cosa loro, come loro esperienza quotidiana, i motivi e il significato rivoluzionario non solo del gesto di Giaime ma della sua figura complessa di intellettuale. Lo hanno infatti trovato uguale a loro e ai loro morti nella loro campagna, partecipe e vittima della loro stessa battaglia. In quei momenti la vita di Giaime ha raggiunto la sua completezza, e solo ad essi è rimasta ora la sua eredità di intellettuale italiano. Non è rimasta solo a Castelnuovo e ai contadini che l'hanno sepolto, questa eredità storica di Giaime, ma a tutti i lavoratori, a tutti gli operai italiani ai quali basta ora leggere queste parole per spiegarsi e far propria la figura di Giaime. Ritrovando a Castelnuovo i resti di mio fratello intellettuale comunista accanto alle tracce vive e raccapriccianti della guerra e della oppressione politica, mi sono tornate d'altra parte alla mente tutte quelle parole dietro cui l'arretratezza e lo spirito di regresso allignano nella nostra vita politica, le formule dei privilegi della cultura; le formule di non so quale dignità, civiltà e costume, delle distinzioni di classe che ne derivano, della preservazione dei diritti culturali. Cosa pensare? Niente vi è in tutto questo che abbia a che fare con la vita di Giaime. E niente vi è che abbia a che fare, in questo che pure resta ancora, il sostanziale atteggiamento di una corrente culturale italiana, con il significato nuovo che Giaime ha dato con la propria morte alla propria funzione di intellettuale. Tra i contadini di Castelnuovo ho visto che qualcosa di nuovo è avvenuto in Italia, qualcosa che è penetrato inevitabilmente nella storia del nostro paese, come patrimonio dei lavoratori e del popolo in lotta per la libertà, e per cui la storia italiana è storia dei lavoratori. Al di fuori, estraneo alla coscienza popolare e all'avanguardia della nazione, vi è una classe politica che era già condannata quando, nello stesso tempo in cui la vita di Giaime si spezzava in un fronte di lotta liberamente scelto al prezzo del proprio sacrificio, era incapace di comprendere quanto gli accadeva intorno, come tuttora se ne dimostra incapace. Forse è per questi motivi che mi è sembrata una cosa naturale e giusta quella di vedere il funerale di Giairne Pintor svolgersi in un paesetto contadino d'Italia quasi distrutto, e vedere deporre sopra la sua bara una corona di metallo con la dedica “ I Castelnovesi a Giaime Pintor”.

-Renzo Mazzetti- (Lunedì 26 Febbraio 2018 h.06,14)


18 FEBBRAIO: GIORNATA DEL PARTIGIANO E DEL SOLDATO

(Meditazione sull'origine della nostra libertà e della nostra democrazia)

Per la prima volta dopo venti anni, il 18 Febbraio 1945, il popolo e soldati salivano a Roma sull'Altare della Patria, non più irregimentati in una cerimonia ufficiale ma in uno slancio spontaneo di entusiasmo per la guerra di liberazione che è guerra di popolo. “E' la prima volta dopo la Liberazione”, disse in quell'occasione Mauro Scoccimarro, ministro, allora, per l'Italia occupata, “che il popolo, partigiani e soldati si riuniscono in una grande manifestazione di solidarietà nazionale. E' la prima volta che nel cielo d'Italia s'innalza la bandiera dei “volontari della libertà” Celebrando i partigiani e i soldati, gli eroi e i martiri della nostra guerra di liberazione, noi riaffermiamo che ad essi bisogna guardare per intendere lo spirito nuovo con cui l'ltalia risorge a nuova vita!”. “Lassù nel Nord”, continuò Scoccimarro, “torture massacri e impiccagioni sono una realtà di tutti i giorni. ll nemico è più feroce. Ma c'è pure chi vigile vendica i nostri morti. Ci sono i partigiani d'Italia”. Partigiani caduti nel Febbraio 1944 e 1945: Gaspare Pajetta, Eugenio Curiel, Angelo Conca, Ettore Arena, Filiberto Zoletto, Romolo Jacoponi, Carlo Merlo, Bixio Rossi, Franco Bitler, Ezio Malatesta, Guerrino Sbardella, Bruno Biondi-Badioli. Nel Febbraio 1945 fu conferita la medaglia d'oro al comandante Bulow (il tenente Arrigo Boldrini), che diresse le operazioni nel settore di Ravenna con meraviglioso coraggio e sgominò, con azioni repentine, più volte, un nemico molto più forte di lui.

-Renzo Mazzetti- (Domenica 18 Febbraio 2018 h.06,20)


LA CONSUNZIONE

(Meditazione su: Pierre Loti: Il Calendario del Popolo. Almanacco di cultura e varietà 1952. L. 120.)

A Pierre Lori la letteratura deve le pagine più manierate e melense sull'Oriente. In mille salse Egli ha condito la patetica storia della fanciulla indigena (turca come Aziadé, o cinese, o giapponese), tenera e sensibile, che si innamora dell'ufficiale europeo, bello, rude e civilizzatissimo, con dramma finale: partenza e oblio di lui, consunzione e morte per lei. Oltre che i romanzi di Loti, ci sono stati i grossi polpettoni di avventure a parlare dell'Oriente al pubblico occidentale: polpettoni a base di misteri della giungla, di sene di strangolatori, di pirati. Ma qui almeno c'era un gusto dell'avventura e un'Asia un po' più viva che non nel vuoto compiacersi di un esotismo da salotto. Contro questo esotismo da salone che giova a spandere nebbia sugli sfrenati appetiti coloniali insorge il poeta che con estrema veemenza mostra confà veramente l'Oriente, popolato di persone che vogliono spezzare le loro secolari catene.

-Renzo Mazzetti- (Sabato 3 Febbraio 2018 h.06,59)


PER I MARTIRI DI PIAZZALE LORETO

(Meditazione su: La poesia di Alfonso Gatto)

Alfonso Gatto vive la tragedia della guerra, iscritto dai 1942 al PCI clandestino. prende parte attiva alla Resistenza milanese, redige la rivista “Costruire” e un giornale “La Fabbrica”, ambedue voci dei PCI clandestino di Milano, divulgano senza indicarne Fautore la più famosa tra le poesie “resistenziali” di Gatto, quella che finirà coll'intitolarsi “Per i martiri di Piazzale Loreto” : i volantini che la diffondono a Milano e in altre città dell'Italia settentrionale riportano le fotografie dei partigiani trucidati.

-Renzo Mazzetti- (Lunedì 22 Gennaio 2018 h.13,12)

PER I MARTIRI DI PIAZZALE LORETO
Ed era l'alba, poi tutto fu fermo
lo città, il cielo, il fiato del giorno.
Rimasero i carnefici soltanto
vivi davanti ai morti.
Era silenzio l'urlo del mattino,
silenzio il cielo ferito:
un silenzio di case, di Milano.
Restarono bruttati anche di sole,
sporchi di luce e l'uno all'altro odiosi,
gli assassini venduti alla paura.
Ero l'alba e dove fu lavoro,
ove il Piazzale ero lo gioia acceso
della città migrante alle sue luci
da sera a sera, ove lo stesso strido
dei tram era saluto al giorno, al fresco
viso dei vivi, vollero il massacro
perché Milano avesse alla sua soglia
confusi tutti in uno stesso cuore
i suoi figli promessi e il vecchio cuore
forte e ridesto, stretto come un pugno.
Ebbi il mio cuore ed anche il vostro cuore,
il cuore di mio madre e dei miei figli
di tutti i vivi uccisi in un istante
per quei morti mostrati lungo il giorno
alla luce dell'estate, a un temporale
di nuvole roventi. Attesi il male
come un fuoco fulmineo, come l'acqua
Scrosciante di vittoria, udii il tuono
d'un popolo ridesto dalle tombe.
Io vidi il nuovo giorno che a Loreto
sopra la rossa barricata i morti
saliranno per primi, ancora in tuta
e col petto discinto, ancora vivi
di sangue e di ragioni. Ed ogni giorno,
ogni ora eterna brucia a questo fuoco,
ogni alba ha il petto offeso da quel piombo
degli innocenti fulminati al muro.
-Alfonso Gatto-


ARIANI MEDITERRANEI

(Meditazione su: CHE GLI INDIGENI NON DUBITINO DELLA NOSTRA SUPERIORE CIVILTA' di BENITO MUSSOLINI. (parte del discorso del 25 Ottobre 1938 al Consiglio nazionale del Partito Fascista)

Io ho parlato di razza ariana fin dal 1921, e sempre di razza. Una o due volte ho detto stirpe, naturalmente alludendo alla razza. E quindi ho respinto le parole schiatta, genere umano, ecc. e altre parole del genere troppo evanescenti. Per il Papa forse le anime non hanno colore, ma per noi i volti hanno un colore (applausi vibranti e prolungati). Ora pur avendo io parlato sempre di razza, la borghesia si e svegliata all'improvviso e ha detto: “Razza`?”. All'ora io mi sono domandato: “Per avventura non sarei come quel tale autore più citato che letto!”. Ora il problema razziale è di una importanza enorme e l'averlo introdotto nella storia d'Italia avrà conseguenze incalcolabili. L Romani antichi erano razzisti fino all'inverosimile. La grande lotta della Repubblica Romana fu appunto questa: di sapere se la razza romana poteva aggregarsi altre razze. Questo principio razzista introdotto per la prima volta nella storia del popolo italiano storna un altro di quelli che oggi si chiamano complessi di inferiorità. Anche qui ci eravamo convinti che non siamo un popolo ma un miscuglio di razze, per cui c'era motivo di dire negli Stati Uniti: “Ci sono due razze in Italia: quella della Valle del Po e quella meridionale”. E queste discriminazioni si facevano nei certificati, negli attestati ecc. (poi: un popolo di bastardi, e in tal senso la democraticissima America discriminava gli emigranti italiani a seconda dei paralleli). Ora noi non siamo Camiti, non siamo Semiti, non siamo \/iongoli. E allora se noi non apparteniarno a nessuna di queste razze, siamo evidentemente ariani e siamo venuti dalle Alpi, cioe dal Nord. Quindi siamo ariani di tipo mediterraneo: una delle poche razze pure esistenti in Europa. Le invasioni barbariche di dopo l'impero erano poca gente. I Longobardi non erano più di ottantamila e furono assorbiti; dopo cinquant'anni parlavano latino. Gli arabi di Sicilia non lasciarono tracce. Ora senza risalire alle origini, ai Liguri, e a cinque o seimila anni prima di Cristo, ci limitiamo a dire che da almeno millecinquecento anni le nostre genti si sono riprodotte fra di loro, ragione per cui la loro razza è pura soprattutto nella campagna. Naturalmente quando un popolo prende coscienza della propria razza la prende nel confronto di tutte le razze, non di una sola. Noi ne avevamo presa coscienza solamente nei confronti dei Camiti, cioè degli africani. La mancanza di una solida coscienza razziale, ha avuto conseguenze molto gravi. E” stata una delle cause della rivolta degli Amara. Gli Amara non avevano nessuna volontà di ribellarsi al dominio italiano, nessun interesse a farlo. Lo prova il fatto che durante l'impresa etiopica, cinquemila adunati accolsero il camerata Starace, quando egli scese dall'aeroplano, con manifestazioni di obbedienza e di entusiasmo. Ma quando hanno visto gli italiani che andavano più stracciati di loro, che vivevano nei tukul, che rapivano le loro donne, ecc. hanno detto: “Questa non è la razza che porta la civiltà”. E siccome gli Amara sono la razza più aristocratica dell'Etiopia, si sono ribellati. Queste cose probabilmente i cattolici non le sanno, ma noi le sappiamo. Ecco perché le leggi razziali dell'impero saranno rigorosamente osservate e tutti quelli che peccano contro di esse, saranno espulsi, puniti, imprigionati (applausi lunghissimi). Perché l'impero si conservi e si sviluppi nell'ordine bisogna che gli indigeni abbiano nettissimo, predominante e continuo, il concetto della nostra superiore civiltà. Vengo al problema ebraico. Bisogna reagire contro il pietismo del povero ebreo: Che colpa ha? Che cosa ha fatto di male? Sono qui da tre secoli, da cinque secoli, da dieci secoli... Con questi sistemi non si affronta mai un problema di carattere generale. Il problema di carattere generale lo si pone in queste linee: che l'ebreo è il popolo più razzista dell'universo. E' meraviglioso come si è conservato puro attraverso i secoli, poiché la religione coincide con la razza e la razza con la religione. Non si è mai lasciato assimilare. Perché, come si legge nel suo giornale italiano, “israel”, è una razza di profeti e una razza di sacerdoti (si ride), un popolo di sacerdoti... (si ride). Ora fra noi e loro ci sono delle differenze incolmabili. Se voi prendete il libro di Kadmi Cohen, troverete che vi e scritto: “E impossibile che fra noi semiti e gli ariani ci sia mai un punto di congiunzione e di comprensione, perché noi siamo gli uomini della sabbia, voi siete gli uomini della roccia; noi gli uomini della tenda, voi della città. Voi gli uomini dello Stato, noi non abbiamo nella nostra lingua una parola che significhi Stato. Siamo rimasti la tribù.. Ora non v'è dubbio che l'ebraismo mondiale e stato contro il fascismo, non v'è dubbio che durante le sanzioni tutte le manovre antiitaliane furono volute e organizzate dagli ebrei. Non v'è dubbio che nel 1924 i manifesti antifascisti erano costellati di nomi ebrei, non v'è dubbio che erano non quarantatremila, ma settantamila. E a tutti coloro che hanno il cuore dolce, troppo dolce e si commuovono occorre domandare: signori, quale sarebbe la sorte, quali spazi sarebbero riservati a settantamila cristiani in una tribù (poi: comunità) di quarantaquattro milioni di ebrei? (acclamazioni altissime e prolungate).

-Renzo Mazzetti- (Martedì 16 Gennaio 2018 h.05,59)


NOI FINISCIAMO

(Meditazione su: ll parlar bene in che consiste? di Giuseppe Petronio, Il Calendario del Popolo, 1952)

Parlar bene significa servirsi di espressioni adoperate da tutti coloro che parlano l'italiano e adatte sia alla persona con cui si parla, che al tono del discorso. E' la grammatica che ce lo insegna, prescrivendo quali espressioni adoperare, quali no. Ma, prima di procedere oltre, bisognerà chiarire ancora un punto. Quando noi parliamo di grammatica, intendiamo di solito un insieme di norme elaborate da particolari studiosi, i grammatici, ed esposte in particolari libri, le grammatiche, insegnate nelle scuole. E non riflettiamo che, accanto a questa grammatica, ve ne è un'altra, che può essere anche non scritta e non studiata, che si apprende solo dall'uso vivo del linguaggio, dal parlare con gli altri. Il bambino, sentendo dire io finisco, egli finisce, può un giorno inventarsi la forma scorretta noi finisciamo. Ma non la userà che una volta o due volte, perché subito qualcuno, sorridendo, lo avvertirà che non si dice cosi, ed egli docilmente si adeguerà all'uso corrente e dirà, come dicono tutti, noi finiamo.

-Renzo Mazzetti- (Giovedì 11 Gennaio 2018 h.08,23)


PRETI MARTIRI

(Meditazione su: I sacerdoti con Garibaldi)

Fra i sacerdoti che, per seguire Garibaldi o per aver aderito al movimento mazziniano trovarono morte gloriosa, vi sono nomi celebri nella storia del Risorgimento. Basterà citare fra i garibaldini Ugo Bassi e Stefano Ramorino, fucilati dagli austriaci nel 1849, poco dopo che dinanzi al plotone di esecuzione asburgico era caduto a Livorno un altro prete, G.B. Maggini. Anche il prete milanese Marino Lazzarini fu trucidato dalla soldataglia di Vienna durante le Cinque Giornate, mentre a Brescia, tra l'imperversare dell'eroica lotta popolana delle Dieci Giornate, fu bruciato senza pietà il vecchio sacerdote Faustino Mazza e furono fucilati i religiosi Attilio Pulusella e Andrea Gabetti. I borbonici cacciarono in galera molti ecclesiastici e tanti ne fecero ammazzare, come il Demetrio Chiodi. Numerosi furono i preti martiri della “Giovane Italia” e di luminosa grandezza gli impiccati di Belfiore: Giovanni Grioli, Bartolomeo Grazioli ed Enrico Tazzoli, che affrontarono la morte dal 1851 al 1853. Martiri, preti eroi che fanno onore a tutto il clero italiano, ma che costituiscono un pesante rimprovero alle gerarchie della Chiesa, le quali, invece di difenderli e di sorreggerli, tennero bordone ai carnefici.

-Renzo Mazzetti- (Lunedì 8 Gennaio 2018 h.10,16)


IL PRINCIPE TRADITORE

(Meditazione su: La Costituzione Albertina di Umberto Terracini, Marzo 1948)

Carlo Alberto segna nella storia della monarchia sabauda un momento di speciale importanza: quello del passaggio da una politica basata quasi esclusivamente sull'abile destreggiamento fra monarchie e governi stranieri per l'estensione degli stati ereditari ad una politica di non meno abile e spregiudicato manovrare fra le forze politiche e sociali interne del regno, risvegliate e poste in movimento durante il tempo napoleonico in ripercussione della Rivoluzione francese. Ancora giovane e senza validi titoli alla successione, il Principe ambizioso non esita, infatti, per ascendere al trono dal prendere contatti coi gruppi cospiratori della Carboneria, e cioè con la sorgente borghesia che aspira a modificare in senso liberale la struttura ed i metodi di governo del modesto Stato subalpino, contro il re in trono, il vecchio Carlo Felice, zelante custode del feudalesimo reinstaurato dopo il crollo di Napoleone. Ma, come è noto, non appena le sorti della cospirazione volgono al peggio, Carlo Alberto tradisce i cospiratori, abbandonandoli all'implacabile vendetta del monarca; e, tuttavia, egli si assicura ugualmente l'ascesa al trono, combattendo in Spagna in servizio della reazione e contro gli istituti liberali. Mirabile esempio di immoralità politica sul quale, per oltre un secolo, i regali successori si sforzeranno, poi, di modellare la propria azione. Carlo Alberto è il re dello Statuto; né vi è da meravigliarsi se i suoi eredi, buoni conoscitori, attraverso le memorie familiari, del valore opportunistico attribuito al documento dal principe fedifrago, non si siano mai sentiti vincolati alle sue pattuizioni e le abbiano metodicamente misconosciute, ogni qual volta lo richiedessero l'interesse della dinastia e dei gruppi privilegiati che l'attorniavano. Lo Statuto Albertino, d'altronde, non fu il frutto di una consultazione di popolo la l'escogitazione di una ristrettissima congrega di reali consiglieri intesi, più che a soddisfare i bisogni di libertà dei cittadini, ad offrire alla monarchia un nuovo bastione di difesa e salvezza. Esso era, perciò, del tutto inadatto ad assicurare un conseguente sviluppo dei nuovi rapporti politici generati dalla trasformazione della vecchia società, fondiaria-mobiliare nella nuova, borghese-capitalistica; e divenne, poi, assolutamente inconciliabile con le esigenze risolutamente democratiche del nostro paese dacché in questo le masse lavoratrici, cresciute in numero ed in coscienza politica, vollero esercitare il loro diritto di intervenire nella direzione degli affari nazionali. La partecipazione di Carlo Alberto alla prima guerra del Risorgimento nel 1848-49 porta in sé lo stesso marchio di egoistica preoccupazione dinastica. Spregiatrice di ogni piena e leale collaborazione con i popoli levantisi a riscossa e libertà, essa si propose null'altro che il vantaggio territoriale della “corona” e da questo pospose quegli accordi e quei riconoscimenti che avrebbero potuto potenziare la forza combattiva dell'esercito regio ed aprire la via della riscossa. L'abdicazione di Novara, sul campo sparso di cadaveri, e la fine oscura ad Oporto circondano forse di un alone romantico il nome di questo capostipite dell'ultimo ramo regnante dei Savoia. Ma l'espiazione, d'altronde tenue, dinnanzi all'enormità delle colpe, non ha cancellato la memoria di queste nella coscienza del popolo italiano.

-Renzo Mazzetti- (Venerdì 29 Dicembre 2017 h.06,47)


CAVALIERI E IDEALI

(Meditazione su: La Poesia di Manzoni e Mameli

Manzoni afferma che il poeta non è un creatore. La poesia non può essere frutto di pura fantasia. Egli si ribella al1'idea che la poesia possa essere la finzione isolata e arbitraria della persona che si rinchiude nel suo studio per fabbricarvi dei pezzetti di storia secondo il suo bisogno e il suo gusto. Quello che conta nella poesia è la Storia. Questa è rappresentata dal costume, dalle idee, dalle abitudini sociali. La fantasia più libera di poeta non può dimenticare le condizioni, storiche. Se le dimentica, non si ha vera poesia. Mameli, è uno fra le più nobili ed eroiche figure del Risorgimento, energico uomo d'azione e poeta combattente del popolo, per il quale auspica una nuova vita di libertà. Manzoni e Mameli, cavalieri e ideali, immortali.

-Renzo Mazzetti- (Martedì 28 Novembre 2017 h.06,55)


CARTA BIANCA

(Meditazione su: Ricordo della dimenticanza di Sant'Agostino)

Carta bianca, libertà d'azione nella legge della foresta e della dittatura finanziaria nella metafora della democrazia; fu data da Renzi il Rottamatore a Fassino il Vinto per ingaggiare più squadre possibili in vista del Torneo di Primavera Diciotto per l'assegnazione della Coppa nazionale. Ma, voltiamo la pagina storica e leggiamo quella filosofica, è molto meglio. Capitolo XVI: “Quando nomino la dimenticanza, so quello che intendo: ma donde lo saprei se non ne avessi il ricordo? Non dico il suono della parola, ma la natura della cosa significata; se avessi dimenticato il valore di quel suono, certo non potrei riconoscerlo. Quando dunque ricordo la memoria è la memoria stessa che risponde all'appello; quando ricordo la dimenticanza, sono presenti insieme memoria e dimenticanza: la prima per farmi ricordare, la seconda è l'oggetto del ricordo. Ma la dimenticanza non è forse privazione della memoria? Come può essere presente perché me ne ricordi, se la sua presenza impedisce di ricordare? Ma, se quello che ricordiamo lo riteniamo per mezzo della memoria, e se non ritenessimo nella memoria la dimenticanza, non potremmo mai, udendone pronunziare il nome, riconoscere la cosa significata: dunque la dimenticanza è conservata nella memoria; ed è lì presente per non lasciarci dimenticare ciò che quando è presente dimentichiamo”.

-Renzo Mazzetti- (Martedì 21 Novembre 2017 h.14,09)


PATRIA RESISTENZA BRUSCOLI

(Meditazione su: Lineetta su economico-morale)

Ci fu, nel tempo lontano ma inumanamente vicino, un misero governante che si arrogava di essere un vivente divino. Egli affermava: “Mai dire mai”. Invece c'era e c'è il Patriota chi innalzò e innalza “Mai” sull'Altare della Resistenza e della Patria. “Mai”, indubbio e sincero dei Chicchessia tutti grandi, innalzato dalla partecipazione di chi lotta e conta, indispensabile nel quotidiano, santificato dal futuro umano. Ma, il sistema, basato sui seggi d'oro, era ed è il suicidio economico-morale della Patria-Resistenza-Bruscoli. Quella lineetta alimenta la lotta incandescente, marxista della coscienza di classe, della riscossa.

-Renzo Mazzetti- (Giovedì 16 Novembre 2017 h.13,47)


MISTERIOSE DISTANZE

(Meditazione su: La distribuzione delle stelle di Ireneo Zavagna, Il Calendario del Popolo n° 64 anno 1950)

La stella a noi più vicina è il Sole, che si trova alla distanza di l50 milioni di chilometri. Le altre stelle sono tutte molto più lontane. Misurando la loro distanza in chilometri, si ottengono numeri che non si possono nemmeno immaginare. Perciò si assume come unità di misura la distanza solare Ciò equivale a misurare la distanza delle stelle indicando quante volte esse sono più distanti da noi del Sole. Come abbiamo detto, la distanza solare, che indicheremo con d.s., vale l50 milioni di chilometri. Anche misurando la distanza delle stelle in d.s. si ottengono numeri troppo grandi. Si è perciò ricorso ad un'altra unità di misura. Siccome la luce percorre in un secondo la distanza di300.000 chilometri, si è preso come unità di misura per le distanze stellari l'am1o-luce, che indicheremo con a.l., e che equivale alla distanza percorsa dalla luce in un anno. L' a.l. vale 63.300 d.s., cioè 9.460 miliardi di chilometri. La distanza del Sole in a.l. è di 500 secondi, perché questo è il tempo impiegato dalla luce per arrivare a noi dal Sole.

-Renzo Mazzetti- (Venerdì 3 Novembre 2017 h.06,37)


LA NUOVA ECONOMIA

(Meditazione su: Che cos'è il mercato?)

Per avere un paio di scarpe dobbiamo avere il denaro necessario, una parte di salario o stipendio avuto come risultato dalla vendita della nostra forza lavoro. Cioè, abbiamo venduto una merce (la forza lavoro) per avere denaro con il quale acquistare un'altra merce (le scarpe): insomma abbiamo venduto per poi comperare. Nulla di complicato poiché si tratta di atti che tutti noi compiamo quotidianamente. Retrocediamo nella storia fino a un ipotetico villaggio preistorico, dove la gente coltiva rozzamente la terra e va a caccia. Il prodotto, appena sufficiente e talvolta insufficiente al fabbisogno, viene distribuito direttamente fra i membri della piccola comunità, senza che vi sia scambio. Solo eccezionalmente la caccia o i campi danno più del necessario e l'eccedenza può quindi essere barattata con qualche altra tribù. Può essere, non è detto che lo sia: perché gli scambi divengano certi è necessario che trascorra ancora molto tempo, che la produzione aumenti grazie a nuove scoperte, che le comunicazioni divengano più facili e sicure, che si moltiplichino i mezzi di trasporto. Dunque quegli atti per noi oggi così elementari (vendere e comprare) furono un tempo cosa piuttosto complessa: per consolidarsi richiesero che l'uomo fosse in grado di produrre più di quanto era strettamente necessario per la sua esistenza. Orbene, se vogliamo indicare un aspetto di quel villaggio preistorico, possiamo dire che ad esso era sconosciuto il “mercato”. Gli storici e gli economisti usano infatti distinguere fra economia di consumo e economia di mercato per caratterizzare, con la prima espressione, una comunità nella quale si produce per consumare direttamente e, con la seconda, una comunità nella quale invece si produce per vendere. La massaia in compagnia dei familiari compie un atto che rientra nella definizione “economia di consumo”, mentre, quando si reca dal macellaio per provvedersi di carne, agisce nell'ambito dell'“economia di mercato”, effettua uno scambio. Nella storia dell'umanità, l'economia di consumo è andata via via restringendo la propria zona d'influenza a vantaggio del “mercato”, soprattutto nell'era moderna, quando le trasformazioni tecniche e il rivoluzionamento dei rapporti sociali impressero alla produzione e alla divisione sociale del lavoro uno sviluppo allora mai visto. A questo punto è ben chiaro che “mercato” nel linguaggio economico non indica un luogo o un edificio: esso vuol significare semplicemente che i prodotti del lavoro umano giungono in possesso dei singoli attraverso una serie di atti per cui merci vengono cedute contro denaro e denaro contro merci. Naturalmente il concetto implica anche quello di valore e di prezzo, nonché quello di moneta: in un'economia di mercato infatti le merci si scambiano e lo scambio avviene sulla base del valore che, espresso in termini di moneta, assume il nome di prezzo. Volendo riassumere le condizioni tipiche dell'economia di mercato, possiamo dire che è necessario: a) uno sviluppo tale delle forze produttive da permettere una certa divisione sociale del lavoro, ossia la esistenza di produttori specializzati: è evidente che se ciascuno produce tutto quello di cui egli abbisogna, lo scambio non ha ragione d'essere; b) la possibilità dei singoli produttori di entrare fra loro in contatto e di indicare il valore delle merci con un unico metro, la moneta. Ma è condizione essenziale per un'economia di mercato la esistenza del capitalismo? Quanto prima abbiamo detto presuppone una risposta senz'altro negativa: vi è stato infatti un mercato anche quando i rapporti sociali erano di tutt'altra natura di quelli che caratterizzano il capitalismo. Semmai si deve dire che il mercato raggiunge il suo massimo sviluppo solo nell'epoca del capitalismo. In un paese socialista invece la importanza del mercato diviene assai meno considerevole (basti solo pensare che non esiste più un mercato del lavoro), senza però che la produzione mercantile sparisca totalmente: alla nuova economia, lo scambio di merci serve ancora, in particolare nel settore della distribuzione dei beni di consumo e quindi nei rapporti fra città e campagna.

-Renzo Mazzetti- (Domenica 22 Ottobre 2017 h.07,06)


IL FASCISMO

(Meditazione su: Fascismo e Confindustria)

Il fascismo: dittatura spietata e feroce, che dominò l'Italia per oltre un ventennio e che portò il paese alla catastrofe; sorse a Milano nel Marzo 1919, con le roboanti prese di posizione anticapitalistiche, antimonarchiche, anticlericali e antiproletarie; espressione dello stato d'animo del ceto medio, respinto ai margini della vita democratica e non conquistato dal movimento organizzato degli operai e dei contadini impegnati in grandi lotte salariali. Il fascismo traboccava di ambiguità, falsità, avventurismo e cinismo. Difatti si definiva aristocratico e democratico, conservatore e progressista, reazionario e rivoluzionario, legalitario e illegalitario a seconda delle circostanze di tempo, di luogo e di ambiente. Demagogia e violenza sono il massimo di disegno politico che il fascismo riesce ad esprimere. Il fascismo è ancora limitato e quasi marginale sulla scena politica come dimostrano le elezioni politiche del 1919 e le amministrative del venti. Ma, dopo l'ottobre del 1920, il fascismo diventa lo strumento della reazione agraria, e comincia ad assumere nuove proporzioni mentre si mette sulla via non più della violenza sporadica, ma della violenza sistematica, delle squadracce, delle spedizioni punitive, delle azioni terroristiche brutali e inumane, degli assalti armati e teppistici alle associazioni democratiche, alle organizzazioni di classe politiche e sindacali, alle redazioni dei giornali avversi. Ma la violenza squadristica, cieca e feroce, non avrebbe permesso al fascismo di conquistare il potere statale, se al ceto medio e agli agrari non si fossero congiunti, i grandi industriali e i grandi finanzieri. Fu la Confindustria (con il suo strapotere economico, le sue relazioni e la sua influenza tra il personale di governo e dell'alta burocrazia) e l'appoggio della monarchia, a fornire i mezzi al fascismo per conquistare il potere.

-Renzo Mazzetti- (Sabato 21 Ottobre 2017 h.06,41)


CATALOGNA E DEMOCRAZIA

(Meditazione su: Dichiarazione d'indipendenza di Carles Puigdemon, Catalogna 10 Ottobre 2017. -libera traduzione-)

Ho chiesto pareri a varie persone che mi hanno aiutato a fare l'analisi del momento e del futuro e che voglio ringraziare. Quello che voglio esporre non è una decisione personale, sono soltanto i risultati del 1° Ottobre, la volontà del popolo catalano di cui sono presidente, del compromesso che aveva preso sul referendum dell'autodeterminazione, e ora è il momento di parlare dei risultati di questo referendum. Siamo qui perché Domenica 1° Ottobre la Catalogna ha svolto un referendum di autodeterminazione in condizioni molto difficili, delle condizioni estreme, per la prima volta nella storia dell'Europa che si svolge un referendum con gli attacchi della polizia contro le persone che andavano a votare. Dalle otto del mattino la polizia ha attaccato delle persone senza che queste potessero difendersi e hanno obbligato i servizi di emergenza a occuparsi di oltre 800 persone ferite. Sono state molte le persone aggredite e l'avete visto nelle immagini televisive. L'obiettivo della polizia non era solo impedire il voto ma di provocare delle violenze indiscriminate per evitare il voto. Tutto ciò invece ha provocato l'effetto contrario: più di due milioni e duecentomila persone hanno votato, hanno espresso il proprio voto, sono uscite da casa per andare a votare e non sappiamo quante hanno cercato di farlo senza successo perché sono state fermate in modo violento e forse ci sarebbero 700 mila persone in più che avrebbero potuto andare a votare ma sono state fermate, e quindi queste persone che hanno votato è perché l'hanno voluto e al collegio elettorale hanno trovato le schede, dei tavoli elettorali, e dunque hanno espresso il proprio dovere. La polizia non è riuscita ad impedire questo referendum, il re e il governo non sono riusciti ad impedire questo referendum con la persecuzione di persone e la chiusura di siti web non hanno impedito questo referendum. Ripeto che dopo tutti gli sforzi per impedire il voto, tutti i catalani hanno trovato schede e tavoli in cui votare. Voglio ringraziare tutti coloro che hanno reso possibile questo successo logistico e politico dei cittadini che hanno conservato le urne a casa, tutti quelli che hanno permesso di stampare le schede, tutti quelli che hanno servito come scrutatori. Voglio ringraziare chi ha votato “SI” e chi ha votato “NO”, tutte le persone anonime che hanno contribuito al successo del referendum. Sopratutto voglio esprimere la mia solidarietà a tutti i feriti a causa delle cariche della polizia, queste immagini saranno stampate nella nostra memoria per sempre, non le dimenticheremo mai. Denunciamo che lo Stato è riuscito a mettere la pressione sulla società catalana. Ci sono molte persone preoccupate, angosciate per quello che è avvenuto e per quello che potrebbe avvenire. Persone di qualsiasi tendenza. La violenza gratuita della polizia, la decisione di qualche impresa di trasferire le proprie sedi sociali sono una decisione che non ha nessuna conseguenza sulla nostra economia. Quello che ha effetto sulla nostra economia sono i nostri capitali che vengono trasferiti alla previdenza statale spagnola. A tutte queste persone che hanno paura, invio il messaggio di simpatia e di comprensione e invito alla tranquillità, alla serenità perché il governo catalano non devierà di un solo millimetro dal suo impegno politico di tolleranza e di dialogo e di negoziare. Come governo terrò conto di tutti i milioni di votanti di questo paese. Oggi molte persone ci guardano dall'estero, in tutto il mondo ci stanno ascoltando e quindi voglio spiegarvi il perché dalla morte di Franco, il dittatore Franco, la Catalogna ha contribuito in prima linea allo sviluppo della Spagna, è stata un motore dell'economia spagnola, ha contribuito alla stabilità della Spagna. La Catalogna ha creduto che la Costituzione del '78 fosse un buon punto di inizio per garantire l'autonomia della regione e il progresso materiale. La Catalogna si è impegnata a fondo. Abbiamo visto che la Costituzione non era più un punto d'inizio ma un punto di arrivo, il sistema non ha voluto come voleva la Catalogna. Nel 2005 una grande maggioranza, quasi il 90% di questo parlamento, con i procedimenti previsti dalla Costituzione, ha approvato una proposta per un nuovo Status di autonomia. Il governo di Madrid ha creato una situazione di vera fobia verso la Catalogna. Il testo che finalmente abbiamo messo al referendum è molto diverso da quello che era stato inviato dal parlamento catalano ed è stato comunque approvato dai catalani. La partecipazione è stata del 47% degli aventi diritto. Abbiamo quasi due milioni di voti. Il 2002 quattro anni dopo l'entrata in vigore dello Stato di Catalogna, un comitato selezionato dai più grandi partiti spagnoli ha deciso di accorciare e modificare lo Statuto che era stato già votato dal popolo con il referendum. Vorrei sottolineare che nonostante avessimo rispettato tutte le procedure previste dalla Costituzione, nonostante avessimo avuto l'88% dei parlamentari catalani a nostro favore, nonostante la legalità del referendum, l'azione combinata del congresso dei deputati e del tribunale costituzionale spagnolo hanno convertito la proposta catalana in un testo irriconoscibile. Questo testo irriconoscibile, non approvato dai catalani è la legge che dirige oggi la Catalogna. La Catalogna ha cercato di modificare lo Statuto per via costituzionale invece abbiamo subito una umiliazione. Dopo la sentenza del tribunale costituzionale contro lo Statuto votato dal popolo il sistema politico spagnolo, non soltanto ha cercato di fare marcia indietro, ha anche attivato un programma aggressivo sistematico di centralizzazione. Gli ultimi anni sono stati peggiori degli ultimi quaranta. Una riduzione delle competenze della regione. Tutto quello che vi dico ha avuto un grande impatto sulla società catalana. Molti cittadini hanno concluso che il solo modo per garantire e per riuscire a sopravvivere come società, è che la Catalogna sia costituita come Stato. I risultati delle ultime elezioni al parlamento della Catalogna sono evidenti e poi c'è stata una cosa più rilevante, assieme alla maggioranza assoluta al parlamento catalano c'è stato un consenso esplicito e trasversale sull'idea che il futuro della Catalogna doveva essere deciso dai catalani in maniera pacifica e dovevano farlo attraverso un referendum. L'istituzione catalana ha chiesto in tutte le forme possibili di aprire un dialogo per accordare il referendum come quello avvenuto nel 2014. Se questo è stato fatto in una delle democrazie più antiche d'Europa, il Regno Unito, perché questo non è potuto essere possibile in Spagna? C'è stata invece la persecuzione della polizia e della giustizia. Ci sono stati degli eletti posti nell'incapacità per aver prodotto un processo non vincolante. Non sono stati soltanto dichiarati inabili. Hanno dovuto anche delle sanzioni economiche da parte del tribunale costituzionale. Contro il presidente del parlamento ci sono delle denunce per impedire il nostro dibattito, la detenzione di alcuni dirigenti del governo catalano. I dirigenti che hanno organizzato le manifestazioni più grandi e pacifiche della storia sono accusati di reato di sedizione e possono rischiare fino a 15 anni di prigione. Tutto questo per delle manifestazioni organizzate in modo pacifico. Questa è stata la risposta del governo spagnolo alle richieste del governo catalano. Richieste che abbiamo sempre espresso e esprimeremo in modo pacifico attraverso la maggioranza uscita dalle urne. Il popolo catalano reclama da anni la libertà di decidere. E' molto semplice. Ma non abbiamo trovato interlocutori nel passato e nel presente. Non c'è una sola istituzione dello Stato spagnolo che abbia parlato alla maggioranza catalana. L'ultima speranza è che la monarchia eserciti un ruolo moderatore come quello che gli attribuisce la Costituzione, ma la settimana scorsa abbiamo visto la peggiore delle ipotesi e dunque voglio rivolgermi ai cittadini spagnoli che seguono quello che accade qui, voglio inviare un messaggio di volontà di dialogo, di accordo politico come quello che è stato sempre il nostro desiderio, la nostra priorità. Sono cosciente dell'informazione che la maggior parte dei media sta pubblicando ma voglio chiedervi uno sforzo per il bene di tutti, per riconoscere quello che ci ha portato fin qui, le ragioni che ci hanno spinto a tutto questo. Non sia dei delinquenti, non siamo dei golpisti. Siamo delle persone normali che chiedono di poter votare e che sono state sempre disposte al dialogo, a qualsiasi dialogo necessario per organizzare un referendum in modo negoziato. La legge del referendum stabilisce che due giorni dopo la proclamazione ufficiale dei risultati, se il numero dei voti del “SI” è superiore a quello del “NO”, il parlamento deve celebrare una sessione per prendere atto e fare una dichiarazione unilaterale di indipendenza. Arrivati a questo momento storico voglio presentare i risultati davanti a voi tutti, con il mandato del popolo chiedo che la Catalogna diventi Stato indipendente sotto forma di Repubblica. Con rispetto proponiamo al Parlamento di sospendere gli effetti della dichiarazione d'indipendenza in modo che nelle prossime settimane possiamo cominciare un dialogo per trovare una soluzione concordata. Noi crediamo che il momento richieda una volontà per avanzare, per andare avanti con le richieste del popolo catalano a partire dal risultato del 1° Ottobre, risultato del quale dobbiamo tener conto. Ci sono state delle mediazioni interne ed internazionali molto serie. Le grida di non violenza sono state ascoltate in tutto il paese. Tutte le dichiarazioni del segretario generale delle nazioni unite e di altre personalità di grande rilevanza internazionale, i primi ministri europei, dimostrano che c'è un segnale d'inizio di un dialogo. Queste richieste abbiamo ascoltato. Ci siamo dati un tempo per ascoltare il popolo spagnolo. Faccio appello alla responsabilità di tutto il mondo. Chiedo ai catalani di esprimersi come hanno fatto finora, in libertà e rispettando coloro che la pensano diversamente. Chiedo alle imprese e ai soggetti economici di continuare a creare la ricchezza in Catalogna e che cessino di utilizzare i propri poteri per far paura alla gente. Alle forze politiche chiedo di contribuire a ridurre le tensioni, chiedo questo ai media e ai mezzi di comunicazione, al governo spagnolo chiedo di ascoltarci e accettare la mediazione, e alla comunità internazionale, ai cittadini fuori dalla Spagna e al governo spagnolo chiedo di fermare la repressione, chiedo all'Unione Europea di impegnarsi a fondo e che vigili sui valori fondamentali dell'unione. Oggi il governo catalano fa un gesto di generosità, si apre verso il dialogo, sono convinto che nei prossimi giorni tutti agiranno secondo le proprie responsabilità e rispetteranno i propri impegni, il conflitto fra la Catalogna e lo Stato spagnolo può risolversi in modo sereno e concordato, rispettando la volontà dei cittadini. Noi siamo fedeli alla nostra storia, a tutti coloro che si sono sacrificati per lottare per un futuro degno per i nostri figli.

-Renzo Mazzetti- (Venerdì 13 Ottobre 2017 h.06,36)


VOLA E VA

(Meditazione su: Libertà mai regalata)

Va, vola e va, ti do' la libertà. Questa era una delle strofe di una canzone romantica cantata nel tempo futuro. Ma, nel passato, nessuno regalava la libertà. Dalla storia conosciuta, la memoria iniziava da Spartaco, lo schiavo ribelle, fino a giungere alle Repubbliche affogate nel sangue e sotto alle macerie di interi paesi e città. La martirizzata coscienza umana, orgogliosa e caparbia, ricanta la canzone: Va, vola e va, ti do' la libertà.

-Renzo Mazzetti- (Domenica 1 Ottobre 2017 h.08,38)


FALCE E MARTELLO

(Meditazione su: falce e martello (parte) di Roberto Gramiccia (scrittore e critico d'arte) in “essere comunisti” anno 1 numero, 4 Dicembre 2007 - Gennaio 2008)

Croce e Falce e Martello sono i due simboli che più di ogni altro hanno segnato la storia di una parte cospicua dell'umanità. Così come, del resto, hanno fatto i Vangeli e il Manifesto del Partito Comunista di Marx. Ma, oltre a questo, Falce e Martello, per chi è nato in Italia non molto tempo dopo la fine della guerra e ha vissuto in ambienti raggiunti dall'influenza del PCI, ha rappresentato qualche cosa di più intimo e familiare: la speranza e la fede in un futuro migliore per tutti, vissuta e agita giorno dopo giorno. Intendiamoci bene, non si può dire che chi portava nel cuore questo simbolo (più spesso la “vocazione” ti sorprendeva durante l'adolescenza oppure cresceva dentro di te lentamente sin dall'infanzia) lo facesse avendo necessariamente rinnegato la fede cattolica. In parrocchia, dove si andava a giocare a biliardino e a pallone, dopo la messa o il catechismo, c'erano croci dappertutto. Anche a scuola, in ogni classe ce n'era una attaccata al muro, dietro la cattedra. In molte case nella Roma delle borgate le vecchiette snocciolavano il rosario. E nessuno si sognava di mettere in discussione queste cose. Tanto meno i comunisti. Ricordo che, nel frattempo comunista ero diventato anch'io, non mi sorpresi più di tanto quando in assemblea qualcuno raccontò che due partigiani comunisti, prima di sposarsi e mentre infuriava la guerra antifascista, dormissero in clandestinità nello stesso letto ma con il crocefisso in mezzo, eretto come baluardo insuperabile di castità. Che è come dire che il giorno dopo, forse, avrebbero sparato sui fascisti e i tedeschi per liberare l'Italia, ma la croce non solo non la rinnegavano ma la utilizzavano -sia detto con rispetto- come un catenaccio per difendere la grazia. Che dio tremendo e vendicativo sarebbe stato quello che avesse condannato all'inferno due fidanzatini impauriti che, alla vigilia di una possibile e prematura fine, si fossero concessi il ristoro di qualche più intensa effusione... Questa cosa la pensai allora e la penso ancora. Ma, ugualmente, non mi sentii e non mi sento di censurare quei due coraggiosi. Alla fine, si poteva, comunque, essere comunisti combattenti e credere in dio e temerlo e uniformarsi alle sue regole, o meglio alle regole che la chiesa imponeva in suo nome. Del resto nel PCI questa cosa è sempre stata ritenuta normale. Concetto Marchesi, grande latinista comunista aveva un gran rispetto della religiosità solidale e compassionevole dei primi cristiani, la portava ad esempio. Dell'incontro con le masse cattoliche nel PCI si è fatto sempre un gran parlare dalla Resistenza, alla svolta di Salerno di Togliatti fino al Compromesso storico di Enrico Berlinguer. A distanza di decenni, della croce e del cattolicesimo, quello che mi è rimasto è il rispetto per coloro i quali, da cattolici, si sono battuti per la difesa della dignità degli ultimi. Don Ciotti, recentemente, ha affermato che la fede e la bontà non bastano. Ci vuole la giustizia. Se no i conti non tornano. A questi preti la Falce e il Martello non fa paura. Non fa paura perché la giustizia si ottiene solo liberando gli oppressi dallo sfruttamento e dal bisogno, che è esattamente ciò che i comunisti hanno sempre cercato di fare, al netto di errori e orrori. Del resto nessuno si sognerebbe di mettere in discussione la Croce perché la Chiesa condannò a morte Giordano Bruno o bruciò sul rogo decine di migliaia di presunte streghe, o perché benedisse, tre secoli dopo, le armi dei franchisti o i gagliardetti dei fascisti prima di andare in battaglia. O perché scomunicò i comunisti (ci volle Giovanni XXIII per togliere quell'anatema). Sulla Croce Gesù Cristo morì veramente. Si era azzardato a cacciare a scudisciate i mercanti dal Tempio e a predicare l'uguaglianza. E questo nessun cardinale Bellarmino lo poteva cancellare, nemmeno con la più atroce delle nefandezze. E guardate che quella di Giordano Bruno fu atroce davvero: far bruciare sul rogo una delle più sconfinate intelligenze che la storia dell'umanità abbia mai conosciuto, con la mordazza serrata sulla bocca sanguinante come un lucchetto... Succedeva agli albori di un secolo, il Seicento, decisivo per la Storia dell'Umanità, il secolo di Caravaggio e della rivoluzione scientifica. In una delle piazze più belle di Roma, l'unica su cui si affacci un chiesa, per gli smemorati la statua di Giordano Bruno lo ricorda ancora.

-Renzo Mazzetti- (Mercoledì 6 Settembre 2017 h.13,58)


SAN SEBASTIANO

(Meditazione su: Sebastiano Bonfiglio, siciliano mondiale)

Sebastiano Bonfiglio, ucciso nel 1920 per interesse e per incarico dei baroni siciliani; nato il 20 settembre 1879 da famiglia di contadini; fu un autodidatta che, con tenace studio, conseguì il diploma di scuola tecnica e la licenza magistrale; abbracciò il socialismo; lavorò da carpentiere, cementista, anche a Milano, a Brooklin, a Chicago; tornato in Patria si dedicò al movimento cooperativo. Quando fu assassinato era sindaco del comune di Monte San Giuliano (Erice).

-Renzo Mazzetti- (Lunedì 14 Agosto 2017 h.14,02)


LO SPIRITO GEOGRAFICO

(Meditazione su: La Geografia, Il nuovissimo Melzi dizionario italiano completo, munito della firma del Cavaliere Professore Gian Battista Melzi)

La Geografia è la scienza che studia la superficie attuale della Terra in se stessa e nei suoi rapporti con l'uomo e l'attività umana. Molte sono le scienze che studiano la Terra; la geografia se ne differenzia ed acquista una fisionomia distintiva, con proprio metodo, in quanto descrive specialmente la superficie attuale della Terra. E si distingue così da tutte le altre, anche dalla geologia, la quale ne studia la formazione, l'intera costituzione e la varia distribuzione di terre e di mari in tutte le epoche passate, prima della comparsa dell'uomo. La geografia ha dunque questo carattere particolare: essa considera la Terra come abitazione dell'uomo e quale campo dell'attività umana, alla quale si devono non poche trasformazioni del paesaggio attuale geografico. Lo studio della Geografia si divide in più branche, ed assume nomi ed aspetti diversi, a seconda: della Materia; dello Spazio; del Tempo. A seconda della Materia: considerandosi la Terra come astro, si ha la Geografia astronomica; come un corpo geometrico, la Geografia matematica; come un corpo fisico, la Geografia fisica; come sede della vita vegetale ed animale, la Geografia biologica; come abitazione e sede dell'uomo la Geografia antropica od antropogeografia; come campo di competizioni politiche e militari, la Geografia politica e la Geografia militare; come agone di lavoro, di produzione e di scambi, la Geografia economico-commerciale. A seconda dello Spazio: quando si studiano tutti o quasi tutti i fenomeni dell'intera superficie, si ha la Geografia generale; quando gli stessi fenomeni si studiano limitatamente ad un dato paese, la Geografia particolare. A seconda del Tempo: Geografia moderna è quella dei tempi nostri; Geografia storica è quella dei tempi scorsi, e può riguardare tutta la materia, sebbene di solito s'intende soltanto la Geografia politica delle epoche storiche precedenti l'attuale. Per i suoi fini la Geografia si serve dei resultati di moltissime altre scienze: sotto questo riguardo può considerarsi come l'anello di congiunzione fra le scienze fisico-naturali e le scienze storico-sociali: meglio, come il momento localizzatore di tutte le scienze, perché la caratteristica fondamentale della Geografia sta nel suo metodo. La Geografia è la scienza che localizza tutti i fenomeni sulla superficie della Terra, non in sé stanti, per puro scopo distributivo, ma per la ricerca delle loro mutue correlazioni. Questa sua essenza distributrice e correlatrice è sommamente formativa e crea quello spirito geografico che fa del geografo un cittadino di tutta la Terra, in continua ricerca di cause geografiche per ogni fatto, ed in continua indagine sulle correlazioni internazionali fra un fatto interno e gli affini che sono all'esterno di un determinato paese. Soprattutto la Geografia è scienza destinata a illuminare i popoli civili in tutte le loro relazioni di vita con gli altri popoli. Perciò l'importanza della Geografia va sempre più aumentando ed è l'indice del progresso delle nazioni presso le quali è più curata. I problemi del suo divenire preoccupano giustamente i pedagogisti ed i didatti. Ma la Geografia non deve essere intesa come un'arida e noiosa litania di nomi esotici e di numeri senza collegamento. L'insegnamento della Geografia deve sapere contribuire a sviscerare le ragioni di tutte le relazioni passate, presenti e future dei popoli fra loro. Per noi italiani lo studio della Geografia deve essere il primo dovere di cittadini, perché dobbiamo conoscere tutto ciò che l'Italia può darci con il lavoro razionale e coordinato, e tutto ciò che non possiamo pretenderne, in quanto dobbiamo averlo da altre parti. La Geografia dei prodotti primi, dei prodotti lavorati, degli scambi e di quanto è utile all'uomo, cioè la Geografia utilitaria, quale fu divinata da Giuseppe Dalla Vedova nel 1919, deve essere largamente studiata e fatta studiare nelle scuole e in tutte le istituzioni sussidiarie della scuola. L'avvenire è dei popoli che sapranno vivere, insieme con la Geografia del loro paese, quella di tutta la Terra.

-Renzo Mazzetti- (Martedì 8 Agosto 2017 h.09,18)


RICORDANDO CON NOSTALGIA

(Meditazione su: “Due pillole di saggezza”, in “cose in Comune” di Alberto Cioni)

Nelle tante, appassionate discussioni su come intervenire sui gravi problemi ambientali che emersero in questa zona negli anni '80, accanto a quanti si sforzavano di guardare avanti, provando a pensare a soluzioni diverse da quelle che apparivano più immediate, non mancava mai chi, senza sosta, continuava a ripetere: “che non si può ragionare con la fantasia, bisogna essere realisti, occorre tener i piedi ben piantati in terra, ecc.”, tantè, ad un certo punto, uno dei Sindaci presenti non ce la fece più e sbottò: “ma vi rendete conto che se l'umanità avesse tenuto sempre i piedi per terra, non sarebbero state inventate nemmeno le palafitte!”.

In un'altra occasione, lo stesso Sindaco, di fronte a uno che aveva infarcito il proprio intervento di non so quante volte della parola “legge” e di frasi tipo “perché secondo la legge”, ecc. ecc., alla fine proruppe dicendo: “la mia nonna, che non aveva mai messo piede in una scuola e meno che mai in un tribunale, non si stancava mai di ripetere: ricordati nini che nel mondo esistono molti più casi che leggi! Non te lo scordare mai...”.

-Renzo Mazzetti- (Venerdì 28 Luglio 2017 h.06,59)


LA BORSA

(Meditazione su: La borsa, Libro III, Il capitale di Karl Marx)

La Borsa rappresentava un elemento secondario nel sistema capitalistico; era il luogo dove i capitalisti si sottraevano l'uno all'altro i capitali accumulati, ed interessava direttamente gli operai soltanto come nuova dimostrazione dell'universale azione corruttrice dell'economia capitalistica, dove la predestinazione, il caso, decideva della salvezza e della dannazione, della ricchezza, del piacere e della potenza, della povertà, della privazione e della servitù. Difatti: Gioco in Borsa. Poi, l'accumulazione si è sviluppata e non poteva essere totalmente impiegata nell'allargamento dell'impresa e tanto meno in investimenti di pubblico interesse e di progresso sociale. Le industrie, l'agricoltura e le attività commerciali si trasformarono in imprese azionarie. Iniziò il divertimento ad occupare dei posti poco faticosi di direttori o di membri del consiglio d'amministrazione di società. Difatti: Boiardi, perciò si costituisce una aristocrazia finanziaria, una nuova categoria di parassiti nella forma di escogitatori di progetti, di fondatori e di direttori che sono tali semplicemente di nome; tutto un sistema di frodi e di imbrogli che ha per oggetto la fondazione di società, l'emissione e il commercio di azioni. E' produzione privata senza il controllo della proprietà privata. Facendo astrazione dalle società per azioni - che sono l'annullamento dell'industria privata capitalistica sulla base del sistema capitalistico stesso, e distruggono l'industria privata a misura che esse si ingrandiscono e invadono nuove sfere di produzione - , il credito permette al singolo capitalista o a colui che è tenuto in conto di capitalista, di disporre completamente, entro certi limiti, del capitale e delle proprietà altrui, e per conseguenza del lavoro altrui. Questi faccendieri si appropriano della proprietà sociale e il credito attribuisce loro sempre più il carattere di cavalieri di ventura. Il sistema creditizio affretta lo sviluppo delle forze produttive e la formazione del mercato mondiale, che il sistema capitalistico di produzione ha il compito storico di costituire, fino a un certo grado, come fondamento materiale della nuova forma di produzione. Il credito affretta al tempo stesso le eruzioni violente di questa contraddizione, ossia le crisi e quindi gli elementi di disfacimento del vecchio sistema di produzione. Ecco i due caratteri immanenti al credito: da un lato esso sviluppa la molla della produzione capitalistica, cioè l'arricchimento mediante lo sfruttamento del lavoro altrui, fino a farla diventare il più colossale sistema di gioco e d'imbroglio, limitando sempre più il numero di quei pochi che sfruttano la ricchezza sociale; dall'altro lato esso costituisce la forma di transizione verso un nuovo sistema di produzione.

-Renzo Mazzetti- (Lunedì 10 Luglio 2017 h.06,41)


DESCRIZIONE VITALE

(Meditazione su “Catturare la realtà” in La poesia salva la vita di Donatella Bisutti)

Una poesia di Palazzeschi racconta di due persone, verosimilmente un signore e una signora, che escono a fare una passeggiata in città e descrive quello che vedono semplicemente trascrivendo le insegne dei negozi, il contenuto dei cartelli, i numeri dei portoni. Ma nessun'altra descrizione potrebbe essere più divertente. Una scritta pubblicitaria è dunque poesia? Perché no? Allo stesso modo la pensa il poeta americano Frank O'Hara. Anche lui sa che il banale può acquistare un'incredibile vitalità.

-Renzo Mazzetti- (Mercoledì 21 Giugno 2017 h.07,43)


ENTUSIASMO E TRISTEZZA

(Meditazione su: Curzio Malaparte: Maledetto amico da “Poesia come pane” di Davide Lajolo)

L'ultimo racconto affascinante era stato quello del minatore cieco del Perù che s'ostinava a dichiararsi comunista anche quando sapeva di rischiare la vita. “Ho visto tutto il mondo, mi manca la Cina, voglio vedere coloro che sono riusciti a ripetere il miracolo di una rivoluzione proletaria in un paese dove i protagonisti si contano a centinaia di milioni”. Malaparte ricordava con orgoglio le sue corrispondenze dall'URSS durante l'ultima guerra sul Corriere della Sera perché avevano fatto capire la verità a chi sapeva leggerle attentamente. Quando tutti davano già Hitler come padrone dell'URSS lui sosteneva abbastanza chiaramente che i russi avrebbero vinto e avrebbero fatto mordere la polvere ai nazisti. E questo prima dell'assedio di Stalingrado. Così ricordava con orgoglio le corrispondenze che aveva scritto sull'Unità nei primi mesi della guerra civile con altra firma dopo avere concordato la collaborazione con Togliatti. Quando al mio ritorno dalla Cina gli telefonai che avevo preparato il suo viaggio e il visto gli sarebbe giunto in settimana, perse la parola; mi arrivava soltanto il suo fiato lungo poi un suo grazie a voce commossa. Partì felice per la Cina nonostante gli facesse già compagnia un febbre costante. Mi scriveva ogni giorno lettere trepidanti, con quei suoi scoppi di entusiasmo caratteristici come lo erano state all'opposto, in Kaputt e La pelle, le battute feroci e i sadismi sepolcrali. Prima di partire mi aveva dedicato l'unica copia che aveva del suo primo libro scritto nelle trincee della guerra 1914-'18 La rivolta dei santi maledetti, e credo che pochi libri siano riusciti a fare odiare tanto la guerra come questo. Poi le sue lettere da Canton, da Pechino si diradarono, le altre poche e brevi grondavano di una invincibile tristezza. Si capiva che faceva uno sforzo per reagire ma non vi riusciva. “Sono malato, qualcosa mi rosicchia dentro. Ho sempre avuto paura del cancro. Forse lo stramaledetto mi ha ghermito. Ma i cinesi guariscono tutto. Mi faranno l'agopuntura. Se mi liberano dal male starò qui a lavorare per loro tutta la vita. Tu perdonami se non tornerò a riabbracciarti”. Tornò invece dalla Cina e soltanto per volontà riuscì a reggersi in piedi sulla scaletta dell'aereo fino alla macchina che lo doveva portare in clinica. Si appoggiava a me: era debole, pallidissimo. Mi ripeteva, alternandole, due frasi come una cantilena: “I cinesi sono buoni. Il cancro mi distruggerà”. La malattia durò lunghissimi giorni. Partivo da Milano per andargli a tenere compagnia. I visitatori erano sempre molti ma amici veri non ne aveva troppi anche perché non li aveva meritati. Quando c'erano altri fingeva di non conoscere la natura del suo male. Quand'era solo mi diceva: “Riesco a evitare la sorveglianza dell'infermiera e vado a pesarmi ogni notte. Calo un chilo al giorno. La marcia di avvicinamento alla morte è regolare”. Mi guardava con una fissità negli occhi disperante. Lui narciso talvolta fino al disgusto, mi mostrava la carne flaccida delle sue braccia. Pagò tutto, giorno per giorno, notte per notte, in una sofferenza così nitida, così terribile con la precisa coscienza che tutto era ormai ineluttabile. Un giorno mi fece chinare sul letto: “Non puoi dirmi di no. E' l'ultimo favore che ti chiedo: accompagna qui Togliatti. Debbo parlargli: dieci minuti”. Andai da Togliatti. Stranamente questi accettò subito al primo accenno. L'indomani venne in clinica da Malaparte e stettero soli per un'ora. Quando Togliatti uscì dalla stanza era visibilmente colpito: “Ha voluto la tessera del partito -mi disse- e io gliel'ho data, anche se tu mi avevi detto di no”. Con me, al capezzale di Malaparte stava sempre anche padre Rotondi, il confessore di Pio XII. Malaparte diceva, indicandoci agli altri, quando riusciva a essere lui: “Il diavolo e l'acqua santa; ma il diavolo ha gli occhi di un cagnone buono”. Padre Rotondi lo battezzò, confessò, comunicò due giorni prima che morisse. Qualcuno allora scrisse, con il solito buon gusto dei cinici, che andavamo a gara per contendercelo. Per quanto mi riguardava, io ero là soltanto perché sentivo affetto per quell'uomo così disarmato e così solo, non certo per ragioni di partito. All'ultimo giorno, già sotto la tenda a ossigeno, Malaparte riuscì ancora a dirmi: “Non sgridarmi, l'ho fatto sperando di guarire”. Anche in quella conversione era stato Malaparte, fino alla fine.

-Renzo Mazzetti- (Sabato 27 Maggio 2017 h.10,39)


UNA SANTA

(Meditazione su: Rachele e la Palestina oppressa)

L'esercito è arrivato al punto di distruggere con le ruspe la strada per Gaza, ed entrambi i checkpoint principali sono chiusi. Significa che se un palestinese vuole andare ad iscriversi all'università per il prossimo quadrimestre non può farlo. La gente non può andare al lavoro, mentre chi è rimasto intrappolato dall'altra parte non può tornare a casa; e gli internazionali, che domani dovrebbero essere ad una riunione delle loro organizzazioni in Cisgiordania, non potranno arrivarci in tempo. Probabilmente ce la faremmo a passare se facessimo davvero pesare il nostro privilegio di internazionali dalla pelle bianca, ma correremmo comunque un certo rischio di essere arrestati e deportati, anche se nessuno di noi ha fatto niente di illegale. La striscia di Gaza è ora divisa in tre parti. C'è chi parla della rioccupazione di Gaza, non ci credo... ma dobbiamo aspettarci piuttosto un aumento delle piccole incursioni al di sotto del livello di attenzione dell'opinione pubblica internazionale e forse un trasferimento di popolazione eliminando lentamente ma inesorabilmente ogni vera possibilità di autodeterminazione palestinese. La gattina smette di leggere “Miao!”, scrolla una lacrima e bisbiglia: ”Povera Rachele, era bella e giovane... una santa”.

-Renzo Mazzetti- (Venerdì 26 Maggio 2017 h.10,00)


PUGNO TESO

(Meditazione su: Milano, 22-1-1948 di Luigi Dalla Francesca)

Quelli sulla piazza si agitavano ogni volta che n'arrivava ancora. Piccole folle arrivavano di tra la nebbia ad ingrossar le file, e nelle file ci si stringeva ogni volta di più; poi la piazza fu una sola folla, fu una turba immensa. Qualcuno parlò nella nebbia fredda che si era fatta più spessa, così spessa che si potevano contare in fila non più di sei o sette teste e parlato che ebbe si alzò un brusio immenso. Allora la folla ondeggiò e s'agitò e s'ingrandì il brusio di ognuno si fece appresso a quelli coi quali era partito alla mattina ed in breve dalla piazza sfociò nella via un corteo grandioso. Era una valanga immensa, una valanga di carne, muta e triste che fermò ogni traffico: avanzava lenta ma inesorabile nella nebbia, come un fiume che ha rotto l'argine. C'erano donne e uomini, e ragazzi e ragazze, a cento, a mille e mille; figli col loro padre e mamme con in braccio i piccoli, e abiti sdruciti, scarpe scalcagnate. C'erano teste bianche e creature mutilate c'erano, e tante e tante facce smunte, gialle, sofferenti e gli occhi tristi... Un'altra folla sostò a guardare, quella dei marciapiedi, e taceva e guardava sapendo chi s'era e perché s'andava per le vie così. E la turba andava, andava sempre e sempre triste, sempre più muta... Sfilò lenta sotto le finestre ampie di palazzi lucidi fatti di marmo e dietro le finestre c'erano visi a guardare senza aver vergogna, sfilò lenta sotto le mura monche delle case della povera gente che squarciò la guerra e che nessuno ancora ha rifatto!, passò cupa in faccia alle banche illuminate dentro e oltrepassò umile le grandi chiese pensando a Cristo... S'andò per ore ed una ragazza mi disse: “Io son qui perché ho la madre a letto ed i fratelli piccoli”. “Ed il padre?”. “Il babbo è morto”, disse. Ed al mio fianco un uomo con una gamba storpia pianse, poi rotolò bolsendo una sigaretta di tabacco nero che puzzava in bocca e nel naso dei vicini. Nei caffè e dentro i bar c'era gente che allungava il collo di dietro alle vetrate, ma i più restavano oziosamente immoti attorno ai tavolini con le loro pance grasse, ed i loro visi lustri e ben pasciuti si piegavano in un sorriso... ch'era beffa ed era scherno per quei cagnacci che andavano così per via in gregge. Ed il gregge vedeva ma andava avanti con negli occhi lampi d'odio e tristezza nera. Quanti giorni gli armenti di quel gregge han visto quei visi lustri e tutto quel che v'è dentro a quei locali... Vi passano davanti ogni giorno coi loro passi stanchi, con la barba lunga e con le scarpe rotte... e con loro anch'io, lento, triste e stanco. Ogni giorno... vanno e senza meta, col capo basso e coi vestiti stinti. Qualcuno si ferma a volte dinanzi alla vetrina... e guarda... ed ha gli occhi lucidi... e chissà a cosa pensa... Va così per ore, forse fino a sera, come faccio anch'io, ch'è più triste e doloroso restar di giorno in casa! Tutto quanto potevasi tentare, io e loro, l'abbiamo tentato... tutto, perfino la frontiera, io. Ogni giorno ne trovo e ne sorpasso tanti, ed a volte vado per un pezzo dove vanno loro, come loro anch'io lento, triste e stanco. Ogni giorno e da molto e chissà per quanto ancora... In una piazza la turba si fermò, e tanta gente e tante macchine furono chiuse in mezzo a quel mare silenzioso che puzzava forte odor di povertà; e la turba vide che quello sulle macchine avevano sgomento sulla faccia perché bruciava loro veder quel gregge proprio in muso ed i suoi visi smunti ed i suoi occhi tetri e pensavano forse a come uscir di là. Ma nessuno li toccò, nessuno. Uno solo disse: “Tutti boie”. Poi s'andò ancora... Una donna, ma aveva la borsa della spesa, ci batté le mani... ed un uomo rude, fermo col suo camion, salutò col pugno teso. Negli occhi della folla passò un lampo, ma era di bontà. In una via c'erano macchine in fila di poliziotti armati... e la folla passò di fianco guardando anche a loro in faccia... e più donne dissero: “Han da avere la madre anche loro!”. Più avanti invece essi ci fermarono... ma fu per poco, la turba era un mare... e quel mare li travolse... e sopra al mare c'era Iddio... ed i cartelli rozzi di quella folla dov'era scritto quel che quella turba aveva in cuore e sulla bocca... “Lavoro... lavoro... e pane”.

-Renzo Mazzetti- (Domenica 21 Maggio 2017 h.15,16)


EREZ ISRAEL

(Meditazione su: Saluto del Partito operaio unificato d'Israele (MAPAM) al XVI Congresso del PCI, 1983)

Noi seguiamo con grande interesse la lotta del PCI e di tutta la sinistra italiana per un'alternativa democratica nella società e nello Stato, per scongiurare la crisi economica, sociale e morale in cui si trova il vostro Paese e per incamminarsi sulla strada della costruzione di una società socialista. Noi vi auguriamo di tutto cuore un successo in questa vostra lotta. Noi sionisti e socialisti di sinistra, che nel nostro paese conduciamo una difficile lotta per una soluzione di pace e di compromesso del conflitto tra Israele e mondo arabo, prendiamo nota con soddisfazione del passaggio nelle vostre tesi che si riferiscono al Medio Oriente. Come rappresentanti del Movimento di liberazione nazionale del popolo ebreo, un popolo che ha visto mettere in dubbio il suo diritto all'autodeterminazione e a cui è stato negato dagli arabi il diritto ad uno Stato indipendente, vediamo in Erez Israel la patria in comune del popolo ebreo che trova nel suo paese antico, e del popolo arabo che vi risiede. Perciò noi comprendiamo il desiderio dei palestinesi per l'autodeterminazione nazionale e appoggiamo una soluzione di pace fra i due popoli attraverso un dialogo e attraverso una trattativa politica. Noi chiamiamo al riconoscimento reciproco e simultaneo delle due parti coinvolte nel conflitto e ad una cessazione del terrore e di atti ostili, per dar luogo ad una trattativa diretta fra la Giordania e i palestinesi da una parte, ed Israele dall'altra, per una soluzione del lungo conflitto con dei mezzi pacifici. La sinistra europea può dare un contributo importante per una soluzione del conflitto nel Medio Oriente, sia con un atteggiamento equilibrato ed imparziale, sia coinvolgendo tutte le parti a scegliere una soluzione politica, riconoscendo il diritto reciproco all'esistenza ed alla sicurezza tendendo ad una pace duratura nel Medio Oriente. La sinistra europea deve continuare una lotta senza compromessi contro il razzismo e l'antisemitismo che sono residui del fascismo; e respingere ogni intenzione di mettere sullo stesso piano sionismo e nazismo, un paragone che contrasta la verità e danneggia la lotta contro il rinascere del fascismo in Europa.

-Renzo Mazzetti- (Lunedì 3 Aprile 2017 h.08,17)


OPINIONISTA PROFESSIONALE

(Meditazione su: “Accadde domani” di Giorgio Galli, Panorama, 26 Ottobre 1976)

Può essere noioso citare il deputato comunista Giorgio Amendola quando tutti lo citano e lo intervistano. Posso solo sperare che la mia citazione abbia un senso diverso da quello delle altre. Dunque: due anni fa, quando la sinistra detta extraparlamentare criticava il P.C.I. per non aver sufficientemente utilizzato la spinta innovatrice del 1945-'48, Amendola replicò che i comunisti non sono i piagnoni delle occasioni perdute. Mi chiedo se oggi, dopo aver rinunciato a utilizzare i voti del 20 giugno per tentare di attuare quel governo di unità nazionale che secondo la sua proposta (accettata dagli elettori) può farci superare la crisi; dopo aver rinunciato a guidare la spontanea reazione dei lavoratori ai provvedimenti dell'8 ottobre, che bloccano l'inflazione aumentando i prezzi e rilanciano l'industria riducendo i consumi; continuando a permettere l'incontrastato dominio della Democrazia Cristiana (D.C.) sull'economia detta pubblica; mi chiedo se, dopo tutto questo, la sinistra non stia perdendo una storica occasione. Questo dubbio è legittimo, tanto più che è in corso il tentativo di presentare una deformata realtà secondo la quale non solo la D.C. ha vinto in Italia, ma la destra sta vincendo in tutto il mondo. Infatti una coalizione cristiana in un paese a forte tradizione cattolica quale la Svezia ha sconfitto Olof Palme e la socialdemocrazia svedese è morta e sepolta. La Democrazia Cristiana tedesca ha sconfitto il partito di Brandt e il cancelliere Schmidt è al tappeto. Negli Stati Uniti la campagna elettorale si svolge tra la generale indifferenza. E che cos'è l'indifferenza se non qualunquismo? E che cos'è il qualunquismo se non la destra? Quindi, chiunque vinca le elezioni presidenziali degli Stati Uniti, sarà la destra ad avere vinto e la sinistra italiana non potrà non tenerne conto. Né le cose vanno meglio nel campo comunista. Anche in Cina i radicali sono stati sconfitti; hanno vinto i moderati, e nessuno può mettere in dubbio che Hua Kuo-feng è semplicemente la versione orientale di Flaminio Piccoli. Quanto all'URSS, Andrej Amalrik ci ha spiegato alla TV che essa è il paese più conservatore e più reazionario del mondo. Quindi anche là è la destra che comanda. E allora? Se la destra comanda in tutto il mondo e ovunque celebra il suo trionfo, si può solo essere grati allo stellone d'Italia e all'accortezza della nostra sinistra se da noi abbiamo un governo presieduto non già da Pino Rauti, ma da Giulio Andreotti. Che cosa può fare la sinistra, col suo misero 46,7% dei voti del 20 giugno (tra i quali sono però compresi i radicali che, secondo il deputato del P.C.I. Antonello Trombadori, sono estremisti di destra), contro il 38,7% della D.C., che l'aiuto della destra mondiale trasforma in 387% ?

-Renzo Mazzetti- (Lunedì 20 Marzo 2017 h.15,26)


EVVIVA IL SINDACO DI NAPOLI

(Meditazione su: “Undici sonetti napoletani” di Luigi Compagnone, Almanacco P.C.I. '78).

Pasolini scrisse una volta di preferire “la povertà dei napoletani al benessere della Repubblica italiana”, posso essere d'accordo con Pasolini se per “povertà” intendeva non già una coazione della storia ma un modo di vivere che rinnegasse quel falso e fraudolento benessere degli anni passati; però, a Napoli, la povertà è tutt'altra cosa che una libera scelta: è miseria e fame e condanna e sopruso dei pochi che hanno tutto sui molti che non hanno niente; inoltre, uno può rifiutare sia l'ignoranza dei napoletani sia le scuole della Repubblica italiana, perché fra le due negatività si può respingere tranquillamente, anzi con disperazione, sia l'una sia l'altra. E poi l'ignoranza, al contrario di un certo tipo di analfabetismo innocente, è sempre la figlia imputtanita di tragici imbrogli sociali.

-Renzo Mazzetti- (Domenica 12 Marzo 2017 h.09,48)


DALLA SARDEGNA

(Meditazione su: Partitocrazia figlia della politica malata - Il pensatore sardo oltre 70 anni fa anticipò temi ancora attuali - di Gianni Fresu, L'unione sarda, 7 Luglio 2009)

La crisi della politica ha monopolizzato anche recentemente le pagine dei giornali interessando le stesse riflessioni del Presidente della Repubblica. Il volume 16 in uscita domani riproduce i Quaderni 14, 16 e 17 nei quali questo argomento è ampiamente svolto a partire dalle considerazioni sul partito politico, lo strumento attraverso il quale il rapporto di rappresentanza dovrebbe superare la sua condizione di delega passiva. In realtà esso ha finito per convertirsi in luogo di occupazione e gestione oligarchica dei centri di potere e di perpetuazione esclusiva delle sue funzioni dirigenti. Non a caso è sorta ed è diventata di uso comune l'espressione partitocrazia. Il problema della degenerazione del partito politico riguarda anzitutto le relazioni che sussistono tra le sue parti costitutive - direzione nazionale, quadri intermedi, base di massa - e i suoi meccanismi di selezione e formazione dei gruppi dirigenti. Il rapporto tra questi elementi deve presupporre insieme disciplina e partecipazione; un rapporto organico tra governanti e governati tendente a generare una volontà collettiva, non l'accoglimento passivo e meccanico di ordini da eseguire senza discutere. Se concepita in questo modo, la disciplina non annulla la personalità e la libertà, ma diviene consapevole assimilazione di un indirizzo da realizzare. Il problema non è la disciplina in quanto tale ma la fonte da cui proviene quell'indirizzo: se questa è democratica, non un arbitrio o un'imposizione esteriore, allora la disciplina diviene un elemento necessario. Per Gramsci il rapporto governanti governati è conseguente alla divisione del lavoro, alla distinzione tra funzioni intellettuali e manuali: “ogni uomo è un filosofo”, è l'organizzazione tecnica a farne un diretto e non un dirigente, pertanto se lo scopo principale di un partito consiste nel formare dirigenti il suo dato di partenza deve risiedere nel non ritenere naturale e immodificabile quella distinzione. Il problema dell'assenza di un rapporto organico di rappresentanza in politica non riguardava solo i partiti di élite della tradizione liberale, dove la funzione di direzione era esercitata unilateralmente da uomini di cultura, ma anche i cosiddetti partiti di massa del movimento operaio. Se le masse in un partito non hanno altra funzione al di là della fedeltà militare verso i gruppi dirigenti il rapporto dualistico è esattamente lo stesso: “la massa è semplicemente di manovra e viene occupata con prediche morali, con pungoli messianici di attesa di età favolose in cui tutte le contraddizioni e miserie presenti saranno automaticamente risolte e sanate”. Un partito serio, non l'espressione arbitraria di individualismi, deve essere portatore di qualcosa di simile allo spirito statale, un sentimento di appartenenza che lega il presente e il futuro con la tradizione e rende i suoi cittadini solidali con l'azione storica delle forze spirituali e materiali nazionali. Allo stesso modo deve esistere uno spirito di partito, un senso di responsabilità generale, da non confondere con la “boria di partito”.

-Renzo Mazzetti- (Mercoledì 22 Febbraio 2017 h.09,19)


IL SALUTO ROMANO

(Meditazione su: Orrori del fascismo nei secoli)

Ricordo Spartaco, gladiatore trace, sconfitto da Crasso nel 71 avanti Cristo, i suoi 600 compagni schiavi ribelli, diventati esseri umani nella lotta, inchiodati sulle croci. Ricordo la crocefissione di Gesù, ricordo i martiri, cristiani e di altre fedi religiose e politiche, perseguitati, torturati, massacrati. Il saluto romano ne fu la figurata causa, il fascismo, in ogni sua forma, replica e causa d'ogni onta. Ricordo la lettera del 1941 del Dr. Pokorny: “... mi sento in dovere, nella mia qualità di Commissario del Reich per la razza tedesca, di esporvi ... l'idea che i tre milioni di bolscevichi attualmente prigionieri in Germania potrebbero sterilizzarsi in modo tale da utilizzarli come lavoratori senza che essi possano riprodursi, apre delle vaste prospettive”. Ricordiamo sempre la causa fondamentale degli orrori. Chi, osannato dal popolo con il festante saluto romano, la guerra proclamò?

-Renzo Mazzetti- (Sabato 11 Febbraio 2017 h.17,26)


RINCOGLIONIMENTO ROMANO

(Meditazione su: Due, tre cose che so su di lui di Piero Sansonetti nella prefazione su WALTER EGO)

Ho conosciuto bene Walter quando è venuto all'Unità. Io allora ero vicedirettore, il direttore era Renzo Foa (un altro finito alla corte di Berlusconi). Io ero contrario all'arrivo di Walter, per tante ragioni, prima di tutto per la battaglia che avevamo fatto in quegli anni per l'autonomia del giornale, alla quale credevamo molto, e che ci sembrava ricevesse un colpo mortale dalla nomina alla direzione di un giovanotto spedito dal partito e che non aveva mai fatto il giornalista in vita sua. Facemmo una lotta vera contro Veltroni, a viso aperto, per la prima volta nella storia dell'Unità, e naturalmente perdemmo, fummo travolti. Io però, nell'assemblea del gradimento, parlai contro e annunciai il no. Allora all'Unità godevo di un certo consenso, per sei o sette anni di seguito ero stato caporedattore e vicedirettore, e il giornale aveva avuto successi importanti. Credevo di essere uno che conta. Veltroni prese più del 70 per cento dei voti, noi del vecchio gruppo dirigente uscimmo pesantemente sconfitti. Eravamo parecchio depressi. Walter però mi chiese di restare a lavorare con lui e di fare il condirettore, cioè mi promosse. Accettai. Dal giorno dopo capii che comunque non contavo più niente e che Walter non mi avrebbe consentito di prendere neanche una decisione su come si faceva il giornale, e che tutti i collaboratori coi quali avevamo lavorato in quegli anni dovevano andarsene. Noi – dai tempi di Chiaromonte e D'Alema – avevamo fatto il giornale con politologi, filosofi, studiosi non solo di area comunista. Walter preferiva alleggerire. I professori scomparvero, comparvero molti attori, qualche cantante, sceneggiatori, uomini di spettacolo. Anche molto bravi. L'operazione Walter era chiarissima e tutt'altro che fessa: fare dell'Unità un giornale politicamente leggero, poco impegnato -anzi per niente- nel campo dell'idee e dell'elaborazione del pensiero, forte nell'intrattenimento, nel ringiovanimento, nel rapporto con la cultura intesa nel suo lato spettacolare. Fu così che nacque lo straordinario successo delle figurine dei calciatori (alla cui ideazione, devo ammetterlo partecipai...) e poi delle videocassette e altre iniziative editoriali analoghe, brillantissime e leggere. Per L'Unità forse si prospettava un grande futuro (qualche anno dopo, infatti, chiuse) ma un giornale fatto in quel modo fu utilissimo per Veltroni per farsi una immagine molto diversa da quella del ragazzetto sveglio figlio dell'apparato comunista. Si presentò come un uomo più vicino a Paolo Villaggio (che aveva una rubrica fissa sul giornale) che ad Enrico Berlinguer. Firmò la sua trasformazione e il suo riscatto. Poco dopo passò alla “politica superiore” entrò nel governo e poi diventò segretario dei DS, quando il suo rivale D'Alema lasciò il partito per Palazzo Chigi. Sulla vicenda Veltroni al partito parliamone poco perché fu disastrosa. In neanche due anni portò i DS ai minimi storici e poi li abbandonò, all'improvviso, per tentare l'avventura romana.

-Renzo Mazzetti- (Mercoledì 8 Febbraio 2017 h.15,36)


IL COMPAGNO COMMERCIANTE

(Meditazione su: Arturo Cappettini)

Arturo Cappettini (Giuseppe) aveva 43 anni. Comunista, costretto ad espatriare in Svizzera e Francia, dopo l'8 settembre 1943 rientra in Italia. Si unisce alla Brigata Garibaldi, GAP. Fa del suo negozio un deposito di stampa clandestina e di materiale bellico. Viene catturato mentre porta i rifornimenti ai partigiani. Torturato dalle SS è fucilato alla fine di dicembre dello stesso anno con Gaetano Andreoli e Cesare Poli. Nell'ultima lettera alla madre raccomanda che i suoi figli siano istruiti finché siano buoni patrioti e che facciano di tutto per vendicarlo.

-Renzo Mazzetti- (Martedì 31 Gennaio 2017 h.12,16)


LE BELLE ESPRESSIONI

(Meditazione su: Intervista con la storia, intervista a Giorgio Amendola di Oriana Fallaci)

Io ero antifascista liberale, un gobettiano. Infatti appartenevo all'Unione Goliardica della Libertà, una specie di Movimento Studentesco che riuniva i socialisti, i popolari, i repubblicani come Ugo La Malfa, Sergio Fenaltea, Basso. E volevo combattere il fascismo. Soprattutto dopo la morte di mio padre, non sapevo che farmene delle parole e basta. Ma quasi tutti i vecchi liberali erano emigrati all'estero, e quelli rimasti in Italia non volevano affrontare l'attività illegale. Croce mi diceva: “Sciocchezze, sciocchezze! Studiare, studiare! E' necessario formare i dirigenti di domani, non c'è altro da fare!”. E non capiva che non mi bastava, non ci bastava, studiare. I comunisti erano i soli a combattere. Ogni giorno comunisti arrestati, comunisti processati, comunisti al confino: mentre l'antifascismo liberale restava tagliato fuori. Così, nel 1928, con la scusa di recarmi a traslare la salma di mio padre, andai a Parigi. A Parigi abitava Treves: per noi giovani, l'antifascista liberale più serio. Gli portai un memorandum che chiedeva di creare un centro estero per sostenere la nostra lotta in Italia ed evitare che i comunisti avessero il monopolio dell'opposizione. Treves lesse il memorandum e poi scoppiò a piangere. Piangendo mi disse: “ Non contate su di noi. Noi siamo dei vinti. Trovatevi una strada per conto vostro”. Ne rimasi turbato, gli chiesi da chi dovevo andare. E lui: “Non andare da nessuno, questo è un ambiente pieno di spie. Fai da solo”. Io tornai in Italia, mi fermai a Torino dove vidi Garosci, a Roma dove vidi La Malfa, ma combinai poco perché c'era stato l'attentato contro il re e la polizia aveva operato molti arresti. Rientrai dunque a Napoli dove mi trovai scollato da tutti e mi misi a meditare. A Napoli c'era Sereni. Sereni era già comunista. Parlando con lui cominciai a capire che solo la forza operaia poteva fare la lotta. Non diventai subito comunista. Mi iscrissi il 7 novembre 1929. Sì, mi ci iscrissi proprio in base alla funzione che il Partito Comunista aveva nell'antifascismo e anche per l'incapacità di avere altri contatti. E va da sé che m'ero già letto il primo volume del Capitale, va da sé che ero molto influenzato dall'esempio dell'Unione Sovietica... ad esempio dal fatto che nell'Unione Sovietica si parlasse di piani quinquennali mentre il capitalismo occidentale affogava nella crisi economica. La politica per me è cultura. Anzi, una delle espressioni più belle della cultura. E' conoscenza storica, è riflessione. Guai se in politica rinunci alla riflessione, allo studio.

-Renzo Mazzetti- (Martedì 24 Gennaio 2017 h.09,36)


LA GRANDE CADUTA

(Meditazione sul saggio del 1976: “La caduta finale” di Todd Emmanuel)

Il sistema è odioso e instabile, le sue tensioni interne si stanno avvicinando a un punto di rottura, sta diventando un paese sempre più sottosviluppato, le statistiche sono truccate, le leggi esistono spesso sulla carta, a cominciare dalla Costituzione che, teoricamente, garantisce tutte le libertà civili, l'unica incertezza è se la caduta sarà improvvisa o di un più o meno rapido sgretolamento. Lo studio dell'Unione Sovietica va condotto con i metodi della ricerca storica, come se fosse un fenomeno del Medio-evo, perciò, se si è riusciti a scrivere la storia delle comunità contadine medievali, non c'è ragione di rinunciare a descrivere la situazione sovietica su cui, dopotutto, abbiamo più elementi che su quei contadini. Il metodo efficace è quello definito della “Storiografia totale”, esso consiste nel fotografare una società in tutti i suoi aspetti interpretando il maggior numero di dati disponibili fino a raggiungere un'immagine coerente e globale. Alcuni segnali di allarme sono stati scoperti nelle statistiche pubblicate nel dopoguerra per classi di età dove si constata che mancano alcune decine di milioni di cittadini, un buco che coincide con gli anni della repressione staliniana; nella seria e approfondita analisi della stagnazione, della crescita zero, della struttura del commercio con l'estero, nell'agricoltura simile al IX secolo, nell'aumento della mortalità infantile, negli sprechi immensi dovuti all'inefficienza delle strutture, nei fenomeni evidenti di sottosviluppo culturale dove l'informazione di regime descrive un mondo inesistente e la gente lo sa, nel regresso generale cui si accompagna un senso di sfiducia nell'avvenire. Un paese che regredisce dopo aver coltivato per decenni il mito trionfante della propria superiorità ha ragione di sentirsi ansioso e depresso, tanto più che per invertire la tendenza il regime dovrebbe cambiare, ma la classe al potere è decisa a restarvi, e quindi non permetterà cambiamenti, fino alla grande caduta.

-Renzo Mazzetti- (Giovedì 8 Dicembre 2016 h.15,52)


EDGAR ANDRE'

(Meditazione su: Il generoso ed intrepido comunista Edgar André)

“Voi sapete che le accuse che mi vengono mosse sono destituite d'ogni fondamento. Ditelo pure a chi si tratta, ditelo apertamente che mi volete liquidare perché mi sono battuto per la causa dei lavoratori, perché io mi confesso aderente al Partito Comunista finché in me ci sarà ancora una goccia di sangue!”. Queste parole ebbe a pronunziare il generoso ed intrepido comunista Edgar (originariamente Etkar) André davanti al Tribunale provinciale anseatico di Amburgo nel 1936. Già da tempo contro l'animoso leader operaio antifascista si era concentrato l'odio della reazione. Caduto nelle grinfie degli aguzzini, André fu processato sotto l'accusa nientemeno di essere autore e promotore dei sanguinosi scontri fra lavoratori rivoluzionari ed i criminali nazisti.

-Renzo Mazzetti- (Domenica 4 Dicembre 20126 h.14,22)


RISO A CREPAPELLE

(Meditazione su: Il bene e il male da l'Antiduhring di Friedrich Engels)

Da popolo a popolo, da epoca ad epoca, le idee di bene e di male si sono cambiate in tal misura da essere arrivate spesso addirittura a contraddirsi. Ma, qualcuno obietterà, pure il bene non è male ed il male non è bene; se male e bene vengono confusi insieme, cessa ogni moralità e ciascuno può fare e non fare ciò che vuole. Ma, tuttavia, la cosa non si sbriga così facilmente. Se la cosa fosse così semplice non ci sarebbe davvero nessuna disputa sul bene e sul male, ciascuno saprebbe che cosa è il bene e che cosa è il male. Ma come stanno oggi le cose? Quale morale ci si predica oggi? C'è anzitutto la morale cristiano-feudale, tramandata dai tempi passati dalla fede, che, a sua volta, si divide in cattolica e protestante, e non ci mancano ancora altre suddivisioni, dalla gesuitica cattolica e dalla ortodossa protestante sino a una duttile morale illuminata. Accanto ci figura la morale borghese moderna e a sua volta, accanto a questa, la morale proletaria dell'avvenire, cosicché passato, presente e futuro, solo nei paesi più progrediti dell'Europa, offrono tre grandi gruppi di teorie morali che vivono contemporaneamente e l'una accanto all'altra. Ora, quale è la vera? Nel senso che abbia assoluta validità, nessuna singolarmente presa; ma certo sarà in possesso del maggior numero di elementi che promettono di essere duraturi, quella morale che, nel presente, rappresenta il rovesciamento del presente, e quindi la morale proletaria. Ma ora, se noi vediamo che le tre classi della società moderna, l'aristocrazia feudale, la borghesia e il proletariato hanno ciascuno la propria morale particolare, possiamo trarne la conclusione che gli uomini, consapevolmente o inconsapevolmente, in ultima analisi traggono le loro concezioni morali dai rapporti pratici sui quali è fondata la loro condizione di classe. Ma nelle tre teorie morali sopracitate c'è pure qualche cosa di comune a tutte e tre: non sarebbe questo almeno un elemento di quella morale fissata una volta e per sempre? Quelle teorie morali rappresentano tre diversi gradi dello stesso sviluppo storico, hanno quindi uno sfondo storico comune e, già per questo necessariamente, hanno molto in comune. Ma c'è di più: dati dei gradi di sviluppo economico eguali o approssimativamente eguali, le loro teorie morali necessariamente debbono più o meno concordare tra loro. A partire dal momento in cui si sviluppò la proprietà privata di beni mobili, a tutte le società in cui vigeva questa proprietà privata dovette essere comune il comandamento morale: non rubare. Questo comandamento diventa perciò una legge morale eterna? Niente affatto. In una società in cui i motivi per rubare sono eliminati, in cui a lungo andare soltanto i pazzi potrebbero rubare, quanto si riderebbe del predicatore di morale che proclamasse solennemente: non rubare!

-Renzo Mazzetti- (Giovedì 24 Novembre 2016 h.10,39)


LA STUPEFAZIONE

(Meditazione su: “Gli stupefacenti. La decadenza fisica, morale e sociale e la morte abbietta sono in agguato” di A. Ferrara Gossay, il Calendario del Popolo, novembre 1948).

Tutti sanno che certi prodotti presi in dosi deboli e misurate possono agire beneficamente sul nostro organismo: da tale constatazione traggono la loro origine la maggior parte dei nostri medicinali. Ma essi hanno rivelato a degli irresponsabili, a degli imprudenti una nuova forma di ebbrezza. Cessata la cura, scomparso il male, certi malati hanno conservato l'uso della droga; l'hanno anche diffuso ignorando o fingendo di ignorare che tale ebbrezza non rappresenta che il primo sintomo di una intossicazione graduale che deve sfociare nella stupefazione, nella decadenza fisica, morale, sociale e nella morte abbietta. Senza soffermarci sull'alcool, che merita un'apposita trattazione, vogliamo occuparci degli stupefacenti propriamente detti, e cioè l'oppio e i suoi derivati, la cocaina e l'haschisch, veri agenti di decadenza umana e di morte vile. Oppio: tutti, più o meno, abbiamo letto delle irruzioni fatte dalla polizia nei locali ove si fuma l'oppio, le famose fumeries. Questi ambienti si trovano specialmente nelle grandi città marittime. L'oppio che viene fumato in tali case è il succo di un papavero (papaver somneferum) coltivato sopratutto nell'Estremo Oriente. Esso contiene una ventina di di alcaloidi molto velenosi, come la morfina, la codeina, la narceina, la narcotina, ecc. Gli oppiomani assorbono l'oppio mangiandolo e, più ancora, fumandolo. Una dose troppo forte procura una intossicazione acuta, caratterizzata dal sonno che può condurre al coma mortale. L'oppio fumato non causa mai accidenti immediati letali. Il commercio dell'oppio da fumare - sciandu, come viene chiamato in Oriente - è estesissimo, specialmente nella Malesia, India, Cina e Giappone. Il fumatore, coricato sopra un divano, presso un tavolo basso su cui arde una piccola lampada ad olio di oliva, malassa e tosta una pallottolina di oppio sul fornello di una lunga pipa speciale e ne assorbe i vapori in una sola aspirazione. I primi effetti della droga sono costituiti da una sensazione di benessere, di leggerezza (si ha l'impressione di librarsi in aria, di levitazione), di lucidità strana, alla quale subentrano, dopo alcune pipate, l'abbrutimento e il sonno. L'abitudine al veleno è tale che non se ne può più fare a meno e si fuma un numero sempre maggiore di pipe. Si contrae in tale modo uno stato di intossicazione cronica che è identica, benché meno intensa, a quello prodotto dalla morfina. La morfina rappresenta il principale alcaloide estratto dall'oppio e i suoi sali, disciolti nell'acqua, vengono impiegati per iniezioni sottocutanee. E' un rimedio meraviglioso per mezzo del quale il dolore è immediatamente sedato. Così, in generale, i morfinomani sono stati, in un primo tempo, ammalati ai quali si è per un periodo più o meno lungo somministrato la morfina nell'intento di arrecar loro sollievo alla sofferenza, e che, una volta guariti, non hanno saputo disfarsi dell'abitudine contratta. Fra i morfinomani si annoverano anche dei semplici curiosi e dei deboli, iniziati al veleno da amici o da parenti abituati al vizio. Lo schiavo della morfina ne subisce la tirannia sempre più imperiosa: le sensazioni provate all'inizio, ch'egli cerca ancora, non si producono più, ma il bisogno ne è ancora più assillante. La morfina gli procura una lucidità, una eccitazione momentanea senza di che egli non è più capace di agire né di pensare. Allorché il bisogno si fa sentire egli è inquieto, agitato, tremante, demoralizzato. I morfinomani quando sono privi del veleno si precipitano dai medici, piangendo e singhiozzando come bambini per ottenere una ricetta. Se viene loro rifiutata arrivano alla falsificazione delle ricette e anche al furto della droga, quando possono. Il morfinomane manca, in genere, di dignità personale. I disordini causati nell'organismo del morfinomane sono considerevoli e desolanti: i disgraziati manifestano il rallentamento di tutte le funzioni vitali; essi sono anestesici, vanno soggetti a irregolarità e arresti del cuore, soffrono di allucinazioni della vista, dell'udito, dell'odorato. Una malattia trascurabile per qualunque altro, si complica spaventosamente per il morfinomane. Scompare l'appetito, le piaghe si infettano e vanno in cancrena. Il morale è intaccato quanto il fisico: più nessuna volontà, più niente sensibilità, fiacchezza e incertezza in tutto e la vita finisce in cachessia, in mezzo a turbamenti mentali che confinano con la pazzia. La cocaina si presenta come una polvere bianca. È il principio attivo dell'erythroxylon coca, arbusto che cresce nelle Ande fra i 700 e i 2000 metri, specialmente nella Bolivia, nel Perù, ma anche nel Brasile e in Argentina. Da tempo immemorabile gli indigeni dell'America del Sud apprezzavano la coca di cui masticavano le foglie per resistere alla fatica, al sonno ed anche agli stimoli della fame. Gli Incas avevano divinizzato la coca e ne adoperavano le foglie come moneta. Tali foglie contengono parecchi alcaloidi, tra i quali la cocaina. È negli ultimi trentanni che i cercatori di sensazioni nuove pensarono di chiederne a questa droga. Essi furono senza dubbio avvertiti delle delizie (paradisi artificiali) di essa dai preparati farmaceutici che ne contengono. I cocainomani annusano ora la polverina bianca la cui vendita è proibita e che sotto il nome di neve o di bigornette i venditori clandestini vendono a ben alto prezzo e sovente anche truffando, cioè vendendo un prodotto alterato. Essa procura una leggera ebbrezza, una eccitazione fisica e intellettuale incontestabile. Ma la cocaina è il veleno specifico del sistema nervoso, dei tronchi nervosi delle terminazioni nervose. Il cocainomane è battagliero, irritabile, insonne, senza appetito, con tutti i sintomi della mania di persecuzione, delle allucinazioni, delle idee deliranti; la famosa sensazione delle bestioline sotto la pelle. Povero cencio umano che si anemizza; esso è capace di uccidere in un momento di ebbrezza e deve essere isolato come pericoloso. L'haschisch viene estratto dalla canapa indiana (cannabis india). La sua composizione chimica non è ancora ben conosciuta. Fra gli stupefacenti è il meno noto. E' molto usato fra gli Orientali, in Turchia, Egitto e India. Per ora ha pochi adoratori in Europa, all'infuori di qualche intellettuale dal cervello sconvolto (les détraqués). Si usa sotto forma di confettura, in tavolette di color verde, si beve, ma soprattutto si fuma misto col tabacco. Esso produce sogni inquietanti anche, e soprattutto, allo stato di veglia, arreca sensazioni così violente e inquietudini così profonde che l'esperienza non può essere ripetuta con frequenza. Sembra tuttavia che alcuni soggetti abbiano fatto una certa abitudine al veleno (cannabismo) e che siano poi finiti nei manicomi in preda ad un delirio tranquillo. Si vuole che l'etimologia del nostro vocabolo assassino derivi da haschisch, cioè mangiatore di haschisch.

-Renzo Mazzetti- (Giovedì 20 Ottobre 2016 h.05,38)


IL FIORINO

(Meditazione su: La storia d'Italia di Giulio Trevisani)

Cacciaguida, il capostipite di quella pianta di cui Dante è l'ultima fronda, nel canto XV del paradiso parla dei bei tempi: “Fiorenza dentro da la cerchia antica, si stava in pace, sobria e pudica. Non avea catenella, non corona, non gonne contigiate, non cintura che fosse a veder più che la persona”. Ma questo è un idillio utopistico, il quale sta solo a provare che le nuove classi (la nobiltà cittadina e la borghesia mercantile) sono in periodo di formazione, e, quindi, non ancora sono delineati gli antagonismi; né ancora il commercio ha creato la nuova ricchezza nobiliare che alimenterà l'arte, cioè l'industria della lana, il commercio all'ingrosso, lo scambio internazionale, il cambio e la banca. Nel 1252 Firenze sarà il primo comune italiano che conierà il fiorino d'oro, dando così una grande solidità al suo commercio con una moneta che, come il ducato d'oro di Venezia, avrà la fiducia del mercato internazionale. Comincia il capitalismo bancario che inizia operazioni finanziarie su larga base; si potranno sovvenzionare il papa, dei re, dei comuni, delle grandi imprese, controllare porti e dogane.

-Renzo Mazzetti- (Mercoledì 27 Luglio 2016 h.09,28)


IMMAGINAZIONE

(Meditazione su: Prefazione alla prima edizione, Il capitale di Karl Marx)

Nel campo dell'economia politica la libera ricerca scientifica non incontra soltanto gli stessi nemici che incontra in tutti gli altri campi. La natura peculiare del materiale che tratta chiama a battaglia contro di essa le passioni più ardenti, più meschine e più odiose del cuore umano, le furie dell'interesse privato. Per esempio, la Chiesa alta anglicana perdona piuttosto l'attacco a trentotto dei suoi trentanove articoli di fede, che l'attacco a un trentanovesimo delle sue entrate in denaro. Oggi perfino l'ateismo è culpa levis, in confronto alla critica dei rapporti tradizionali di proprietà. Tuttavia non si può misconoscere che qui c'è un progresso. Rimando, per esempio, al libro azzurro pubblicato nelle settimane passate: Correspondence with Her Majesty's Missions abroad, regarding Industrial Questions and Trades Unions. I rappresentanti esteri della corona inglese vi esprimono chiaro e tondo l'opinione che in Germania, in Francia, in breve in tutti gli Stati inciviliti del continente europeo una trasformazione dei rapporti esistenti fra capitale e lavoro è altrettanto sensibile e altrettanto inevitabile che in Inghilterra. Contemporaneamente, al di là dell'Oceano Atlantico il signor Wade, vicepresidente degli Stati Uniti dell'America del Nord, ha dichiarato in pubblici meetings che, compiuta l'abolizione della schiavitù, si presenta all'ordine del giorno la trasformazione dei rapporti del capitale e della proprietà fondiaria! Questi sono segni dei tempi, che non possono essere nascosti sotto manti purpurei o sotto tonache nere. Non significano che domani accadranno miracoli. Indicano che anche nelle classi dominanti albeggia il presentimento che la società odierna non è un solido cristallo, ma un organismo capace di trasformarsi e in costante processo di trasformazione. Il secondo volume di questo scritto tratterà il processo di circolazione del capitale (Libro II), e le formazioni del processo complessivo (Libro III); il volume terzo, conclusivo (Libro IV) tratterà la storia della teoria. Sarà per me benvenuto ogni giudizio di critica scientifica. Per quanto riguarda i pregiudizi della cosiddetta opinione pubblica, alla quale non ho fatto mai concessioni, per me vale sempre il motto del grande fiorentino: Segui il tuo corso, e lascia dir le genti!

-Renzo Mazzetti- (Lunedì 20 Giugno 2016 h.10,00)


MILANO 29 LUGLIO 1883

(Meditazione su: “Chi siamo e cosa vogliamo” articolo scritto dalla Direzione de “Il Fascio Operaio” voce dei figli del lavoro. Milano, 29 luglio 1883).

Siamo operai nel più ristretto senso della parola, cioè operai manuali. Siamo i figli di quell'immensa moltitudine a cui la vita non è concessa che a patto di una perenne, indefinita, interminabile produzione. Siamo i figli di quella classe che lavora e soffre, senza adeguati compensi, senza eque retribuzioni, sempre e dappertutto calunniata e derisa perché sempre e dappertutto tenuta ignorante e oppressa. Il frutto delle nostre fatiche passa quasi per intero ad aumentare continuamente le ricchezze dei capitalisti i quali, facendo un immorale monopolio dei doni della natura, e dei portati della scienza, ne corrispondono in guisa che, sia per la sfrenata concorrenza delle macchine, per malattia, per semplici questioni personali o per molteplici altre cause noi, i veri produttori, siamo messi in condizioni tanto precarie da non poter sfuggire alle odiose strette della più squallida miseria. Ed allora? Allora i patimenti fisici assorbono tutte le nostre facoltà e s'impongono ai sentimenti più nobili e più morali; allora la fame che più non ragiona rabbiosamente ne incalza sul triplice pendio dell'ospedale, del carcere o del suicidio. La coscienza pertanto delle nostre misere condizioni, il timore che possa un giorno mancare il pane ai nostri figli ed il pesante fardello di quotidiane fatiche ne ha stretto in Lega allo scopo di difendere, mediante l'unione delle forze operaie i nostri diritti e per ottenere quei miglioramenti che ci spettano come lavoratori, come cittadini, come uomini. La dura scuola del passato ne convinse sino all'evidenza che egoistici interessi contrari ai nostri fomentarono sempre divisioni, guerre, discordie nel campo dei lavoratori, ed oggi è d'uopo persuadersi che i politicanti di qualunque colore (sapendoci fortissimi riuniti) non hanno mai avuto altro intento che frazionare e paralizzare le forze operaie in inutili attriti, con dannose apparenze, per incerti ideali onde mantenerci più o meno schiavi degli eterni privilegiati. Noi crediamo che gli operai possono e debbano fare da sé e da sé soli sostenere e proteggere i loro interessi confermando col fatto questa grande verità: L'emancipazione dei lavoratori non sarà compiuta che per opera da lavoratori stessi. Ad ogni passo la storia ne insegna che l'affidare agli altri quello che non può essere fatto che da noi, è rinunciare al proprio miglioramento, disconoscere i propri bisogni, sottoscrivere infine volontariamente la miseria e l'abbrutimento comune. Il Fascio Operaio adunque, promosso da figli del lavoro, s'ispirerà ai criteri fondamentali della scienza economica moderna e sosterrà con tutte le sue forze il principio dell'organizzazione e della difesa del lavoro. La disoccupazione, le leghe della resistenza, le associazioni di mutuo soccorso, le cooperative di credito, produzione e consumo, le tariffe, i salari, gli scioperi, il lavoro carcerario, la riduzione dei fitti, le case operaie, i congressi operai, l'intervento dei lavoratori nelle Amministrazioni Comunali e nei Parlamenti ecc. ecc. ecco quanto tratterrà in prima linea Il Fascio Operaio. Propugnerà inoltre: l'emancipazione completa della donna, senza la quale non è possibile né vera educazione né vera eguaglianza, il miglioramento economico-intellettuale dei fratelli contadini, l'abolizione degli eserciti permanenti, l'igiene del lavoro, ecc. Si occuperà infine di tutte quelle questioni che, dal lato umanitario, educativo o degli interessi possano arrecare un vantaggio alla classe lavoratrice. Queste ardenti aspirazioni, questi insoddisfatti bisogni, sono gli anelli di congiunzione fra gli operai di qualunque partito. L'interesse che abbiamo di sostenerci reciprocamente nella lotta economica è la base più vera, più solida su cui si fondano e si collegano i vantaggi d'ognuno; potremo avere, politicamente parlando, personali divergenze d'apprezzamento ma il nostro malessere economico resta e resterà fino a che non siano sparite le cause che lo alimentano. Oggi ferve nell'Italia operaia un lavoro sordo, continuo e progressivo, interrotto soltanto a brevi intervalli da frequenti scioperi o dall'affermazione di comizi popolari: sono lampi di luce subito spenti ma che rischiarano a tutto l'esercito del lavoro per parecchi passi la via. Però dai movimenti che si accentuano sull'orizzonte operaio, chiaramente apparisce il bisogno, profondamente sentito, di riunire i vari elementi operai in una Lega Operaia Italiana, la quale avrà a sua volta per scopi supremi: La completa emancipazione dell'operaio dall'oppressione del capitale e la Federazione Universale fra tutti i lavoratori del mondo. L'unione fa la forza! Questa semplice quanto grande verità diede vita ed estensione a fortissime Associazioni Operaie d'altri paesi, noi pertanto, che arriviamo ultimi nella lotta per la difesa del lavoro, facciamo adunque tesoro degl'insegnamenti di coloro che ci hanno preceduto e seguiamone arditamente il cammino. Lontani dalle idee impraticabili delle chiesuole di partito, egualmente che da mezzi sconsigliati, i quali non servono che a ritardare l'emancipazione dei lavoratori, noi procederemo per la via pratica, larga, che ne addita il buon senso, lo studio, l'esperienza nostra ed i consigli dei compagni di lavoro. Compagni operai! Il Fascio Operaio sarà in ogni causa il porta-bandiera ed il difensore dei nostri diritti; sostenete coi vostri sforzi questa voce che sorge, questa sentinella del lavoro che si avanza, ed aiutateci.

-Renzo Mazzetti- (Mercoledì 25 Maggio 20126 h.09,32)


POLITICI ESEMPLARI

(Meditazione sul discorso pronunciato, al Senato nella seduta del 14 luglio 1948, da Sandro Pertini)

L’atto criminoso che è stato consumato stamane sulla soglia del Parlamento ha ferito profondamente il cuore di tutti noi di questo settore, ha sdegnato l’anima della classe operaia, ha offeso la coscienza di quanti credono veramente nelle libertà democratiche, perché l’attentato è stato consumato contro un uomo, contro Palmiro Togliatti, alfiere da tanti anni della lotta per il riscatto della classe operaia e per il rinnovamento democratico dell’Italia. A Palmiro Togliatti vada il nostro saluto e la nostra solidarietà. Oggi più che mai, noi lo sentiamo nostro compagno di lotta, questo uomo, che da anni si sta battendo per il bene della classe operaia e per le libertà democratiche. Quando molti di coloro che seggono su questi scranni erano stretti intorno al carro del trionfatore, questo uomo era costretto ad andare randagio per il mondo, ed è stato sempre presente con la sua persona dove ci si batteva e si moriva per la libertà. Ritornato in Italia, il suo primo impulso è stato quello di sospingere il suo partito nella lotta per l’indipendenza della Patria, per la nostra indipendenza. Questo uomo che veramente era preoccupato ed è preoccupato delle sorti del nostro Paese non ha voluto ripetere gli errori che qualcuno dei nostri commise nel 1920. Non volle chiudersi nel suo partito, pensare solo alle istanze della classe operaia; ebbe invece fin dal primo momento una visione più ampia per salvare il nostro Paese dalla rovina morale e materiale in cui era stato gettato dal fascismo, e fu precisamente lui che subito affermò la necessità di un governo di cui facessero parte tutti i partiti. Fu lui a sostenere col suo partito la necessità dei Comitati di liberazione. Quest’uomo che è stato e viene indicato dalle gazzette neofasciste e dalle gazzette cosiddette indipendenti come assetato di vendetta, ha messo la sua firma ad un atto di clemenza per portare la pacificazione in seno al popolo italiano. La nostra solidarietà va ai compagni comunisti. Qualcuno ha denigrato noi, ci ha insultati perché di recente a Genova abbiamo riaffermata la necessità del patto che da tempo ci unisce col Partito Comunista. I fatti hanno dato ragione a noi prima di quel che noi pensassimo. Sappiate che se voi intendete mettere fuori legge questo partito, dovete apprestarvi a mettere fuori legge anche noi. Noi combatteremo al fianco di costoro come abbiamo combattuto dal 1922 al 1945. La nostra solidarietà al Partito Comunista che per venti anni si è battuto contro il fascismo e per le libertà democratiche! Noi quando siamo stati in carcere e al confino non abbiamo incontrato uomini di quel settore (indica la destra), ma centinaia di uomini che sono qui nel settore di sinistra e che oggi rappresentano l’antifascismo e la lotta della resistenza. La nostra solidarietà a questo partito, che è stato all’avanguardia del secondo Risorgimento. Questa pagina gloriosa è stata scritta soprattutto col sangue di centinaia di comunisti e se non fosse stata scritta, oggi voi e noi ci troveremmo nella situazione di servitù umiliante in cui si trova la Germania. Ecco perché ci sentiamo più che mai solidali coi compagni comunisti. Perché è facile essere solidali coi partiti che sono al governo e che trionfano; noi, invece, nella nostra tormentata vita, abbiamo sempre preferito metterci a fianco delle vittime e dei perseguitati. Anche per questa ragione noi, compagni comunisti, saremo sempre al vostro fianco. Questo partito che ha tanto ben meritato della Patria è stato messo al bando. Abbiamo sentito alcuni uomini di quel settore (indica la destra) nei comizi elettorali per il 18 aprile, affermare che il Partito Comunista deve essere messo fuori legge. Tutte le gazzette indipendenti, tutte le gazzette che sostengono il governo democristiano, hanno sempre detto che il Partito Comunista deve essere posto fuori legge, perché è un partito antinazionale. Ieri, sul giornale di un vice presidente del Consiglio, sull’Umanità, un criminale, perché altra parola non può essere detta nei suoi confronti, ha scritto un articolo di cui dovrebbero vergognarsi anche i suoi compagni di partito. Mi si dice che domani verrà la sconfessione di questo articolo. Troppo tardi e troppo comodo! Sono lacrime di coccodrillo che noi respingiamo sdegnosamente; la sconfessione dovevate farla stamani. Non dimentichiamo che a questo uomo, vice segretario del partito, è stata data la direzione dell’Umanità solo quando egli scrisse su quel giornale un articolo in cui esortava il governo democristiano ad aderire immediatamente al blocco del Benelux per fare una crociata antisovietica: quindi non è da oggi che costui manifesta le sue criminose intenzioni. Proprio ieri egli scriveva che Togliatti deve essere considerato un nemico della nazione; che il Partito Comunista è fuori legge e che Togliatti e i comunisti debbono essere messi al muro. Questo è stato scritto sul giornale del vice presidente onorevole Saragat. Quindi la responsabilità ricade anche su di voi (indica il settore dei secessionisti). Appare chiaro così, onorevole presidente, quale è il clima che si è creato intorno ai comunisti ed intorno a noi. Un clima di odio e di rancore. Abbiamo letto sui giornali neo-fascisti articoli contro di noi, contro gli uomini della resistenza, che sono sempre stati definiti da costoro dei delinquenti, dei criminali. Pensate al discorso di un sacerdote, padre Lombardi, che ha detto: “La vendetta dovrà raggiungere coloro che hanno fatto la insurrezione d’aprile!”. Questa deve essere considerata una vera istigazione a delinquere. Di recente, nell’aula del Tribunale di Roma, ove si celebra il processo contro Kappler, una donna indegna di indossare la toga d’avvocato, più degna invece di indossare la divisa delle ausiliarie delle SS. tedesche, si è scagliata contro noi partigiani. Io chiedo perché non è venuta una protesta da parte dell’autorità competente; perché il governo non ha protestato e non ha cercato di arrestare questa campagna denigratoria! Sappiamo quello che è avvenuto durante la campagna elettorale. Voi ci avete sempre definiti dei fuori legge. Ed allora, onorevole Porzio, contro i fuori legge tutto è lecito! Ed allora ecco che ci sono dei fanatici, dei criminali, degli esaltati che pensano di ben meritare se colpiscono i fuori legge. Onorevole Porzio, io mi rivolgo alla vostra competenza di uomo di legge. Riflettete, dove e come è stato consumato questo delitto? E’ stato consumato in piena Roma, sotto gli occhi della polizia. Chi così ha consumato era consapevole di compiere un atto di cui non avrebbe ricevuto punizione, ma forse il plauso. Comunque, onorevole vice presidente, non ci interessa costui: egli non è che un esecutore materiale del delitto. La responsabilità morale di questo delitto ricade, per noi, sul governo! Onorevole Porzio, io credo, e ve lo dico con sincerità, al vostro intimo sdegno. Voi siete un galantuomo e siete come Daniele non nella tana dei leoni, poiché i vostri colleghi di governo leoni non sono, ma nella tana dei lupi. Io credo al vostro sdegno, ma voi dovete ricordare quello che è avvenuto nel 1921-1922. Anche allora, se vi ricordate, qualcuno diceva: “Questi attentati si debbono imputare a dei delinquenti comuni; sono delle ragazzate!”. Ma, o signori, sono stati questi attentati che hanno aperta la strada al fascismo. Allora si è commesso l’errore di rimanere passivi di fronte a questa avanzata della reazione. Noi non intendiamo ripetere quello errore. Cento volte abbiamo rischiato la nostra vita, l’abbiamo rischiata prima contro i fascisti e poi contro i nazisti, perché eravamo e siamo persuasi che la vita per sé stessa nulla conta, ma conta l’idea che l’illumina. Eccoci qui pronti a rischiare ancora una volta la nostra libertà fisica e la nostra vita, per sbarrare il cammino alla reazione, per difendere, costi quel che costi, la classe operaia, per far trionfare veramente le libertà democratiche e la giustizia sociale.

-Renzo Mazzetti- (Domenica 24 Aprile 2016 h.16,22)


PENNA A MANO

(Meditazione su Umberto Eco in “Incontro al Duemila” collana documenti unità, dicembre 1986)

Nel Duemila avrò sessantotto anni. Quando ero bambino e pensavo a questa eventualità ritenevo che non avrei visto il Duemila. Sessantotto anni, negli anni trenta e quaranta, era un'età astronomica, o almeno lo era per un bambino (in ogni caso credo fosse per una società dove la lunghezza media della vita era inferiore a quella attuale). Oggi mi pare che sessantotto anni sia un'età ragionevole. Naturalmente potrei morire domani, e mio padre è morto a sessantacinque anni, ma mia madre è morta a settantanni, e dunque è impensabile vivere sino al duemila. La mia idea è che, prima del Duemila, dobbiamo occuparci del presente. Chernobil e Chernobale sono oggi, non nel Duemila. Prego, non facciamo troppa fantascienza, posso chiedere ai comunisti di occuparsi della realtà? Nel Duemila probabilmente i computer saranno arrivati a dominare gran parte della nostra vita, più di oggi. Si potrà odiarli e tuttavia accettarli, come molti scrittori virtuosissimi che odiano l'industria culturale e si ingrassano per i canali dell'industria culturale. Quindi, i computer saranno una realtà importante del Duemila come lo sono oggi, o forse no, perché avranno inventato qualcosa di diverso rispetto a cui i computer appariranno come la penna d'oca, ma il problema non è di odiare o no, il problema è di scegliere il proprio posto. Penso che in un'epoca di computer, se così sarà, avremo molto bisogno di eremiti che scrivono con la biro, vivendo in fattorie modello coltivate idroponicamente. In altri termini, io sono molto favorevole ai computer per tutto quello che ci consentono, compreso il fatto di scrivere queste righe che state leggendo senza preoccuparmi degli errori di ortografia, che correggerò in un secondo tempo, ma il problema sarà sempre che cosa si dice usando i computer, o non usandoli. Penso che se nel Duemila ci saranno molti computer questa sarà una buona ragione perché molti, che magari usano i computer in certi momenti della loro vita, scrivano a mano e leggano libri. La televisione ha aumentato il numero di coloro che leggono i giornali e i computer trionfanti aumenteranno il numero di coloro che leggono manoscritti. Quindi per prepararsi al Duemila occorre imparare la calligrafia, e a scrivere con la penna d'oca. In quel periodo qualsiasi imbecille saprà scrivere con i computer, e colui che saprà scrivere con la penna d'oca avrà il potere, perché potrà prendere decisioni anche durante i black-outs.

-Renzo Mazzetti- (Lunedì 4 Aprile 2016 h.14,55)


MANIFESTO ANTECEDENTE

(Meditazione su il manifesto del ”Gruppo Clarté” e Henri Barbusse)

Nessuno deve, nella tragedia dei giorni presenti, disinteressarsi della vita sociale, della cosa pubblica. Ognuno deve portare il suo sforzo a tutti, per onestà di spirito e di cuore, e per interesse personale e farlo con uno spirito ordito e puro, insaziabile e volontario. Ecco la società attuale, col suo meccanismo e con le sue figure: ecco ciò che ha fatto, ciò che farà, se la si lascia fare: ecco ciò che ha ucciso e ciò che ucciderà, ed ecco perché essa ha sempre agito ed agirà sempre così. Noi facciamo appello agli uomini di pensiero perché lavorino alla vittoria del pensiero. Scrittori, professori, istitutori, studenti, artisti, sapienti, tecnici, voi avete un potere che vi carica di una grave responsabilità in quest'epoca formidabile in cui viviamo, alla fine di questo cammino ingombro e pieno di rottami e alla fine del campo di battaglia della storia, allorché la vita gigante del mondo comincia finalmente a ribellarsi contro la morte, a rigenerarsi con la collera e con la volontà. Il disinteressamento di molti letterati di fronte alla causa politica degli uomini significa anarchia paradossale o impotenza. Chi ha per mestiere quello di mostrare la verità nelle proprie opere, può essere cieco al male che esiste, e al rimedio che esiste ugualmente? Il letterato che si tiene sistematicamente fuori dalle grandi idee sociali e politiche, atrofizza la sua missione di scrittore e disonora la sua missione d'uomo, perché l'orrore universale può cambiare solo con misure d'ordine politico. Noi facciamo appello, per la nostra opera intellettuale, ai lavoratori manuali come agli intellettuali. Essi sono tutti, sotto lo stesso titolo, qualunque sia la loro origine, qualunque sia il loro mestiere, sia che lavorino con le mani o che lavorino col cervello costituiscono la stessa specie di intellettuali se hanno la stessa luce interiore e se servono la stessa credenza di ragione. E' la veridicità delle idee, e non l'insieme delle conoscenze, o il dono di esprimersi, che misura la qualità individuale. Non vi è che un'aristocrazia umana, ed è composta di quelli che capiscono. Gli onori e la celebrità, od anche l'ingegno, non impediscono ai nemici della ragione e ai negatori del progresso di far parte della massa sprezzabile e stupida: la loro intellettualità serve solo a fare della loro ignoranza un vizio. Vi è meno sapere acquisito, ma vi è più, intelligenza, in una riunione popolare dalle facce aperte e avide, dagli sguardi franchi e invocanti, che in questo o in quel conclave dell'Accademia Francese. Coloro che si commuovono, come noi, al dramma presente e avvenire, questi sono i nostri soli simili, come sono i nostri soli parenti. Ha esistito, per troppo tempo, tra gli intellettuali e gli operai, una diffidenza reciproca, mantenuta dalla propaganda aristocratica, dall'ostilità limitata di alcuni proletari, dalla mediocrità di spirito di molti intellettuali. Rinnoviamo qui, come in tutte le cose, gli accordi. I manuali e gli intellettuali della stessa credenza, dello stesso livello morale, devono cercarsi ed elevarsi alla saggezza della fraternità. D'altronde, gli interessi di tutti i lavoratori, in quanto tali, sono simili e si armonizzano. I produttori della letteratura e dell'arte fanno parte dello stesso proletariato come gli altri. Certamente il sontuoso destino eccezionale degli artisti e la loro santa ambizione porterà sempre con sé un rischio terribile. Comunque: gli artisti non hanno nulla da perdere e hanno tutto da guadagnare nell'ordine di giustizia che restituisce la sovranità alla sola produzione. Noi ci rivolgiamo a tutti, a tutti; a coloro che appartengono a quella grande massa sconosciuta, informe e deserta in cui delle voci osano timidamente, piano: “Sarebbe così bello se tutto il mondo fosse d'accordo!”, e metteremo di fronte, gli uni agli altri, tutte le migliaia, tutti i milioni d'uomini che dicono questo e che sarebbero d'accordo: faremo scomparire la sterilità di questi innumerevoli isolamenti, la differenza di follia che vi è tra ciascuno e fra tutti. Sta a voi scegliere tra la legge semplice la quale dice che la guerra delle classi verrà soppressa con l'unificazione delle classi e quella dei popoli con l'unificazione dei popoli (per quanto altamente irrealizzata sia ancora) e la condizione sociale disordinata, fatta di ineguaglianza e di idolatria, che significa: lotta del lusso contro la vita, guerra civile e guerra straniera. Voi potete tutto perché siete gli uomini, e perché sempre e ovunque, dalla prima soglia della storia, siete voi che avete fatto tutto. Voi stessi siete i vostri salvatori. Il mondo sarà ciò che vorrete che sia.

-Renzo Mazzetti-. (Lunedì 14 Marzo 2016 h.10,41)


VECCHIO PRINCIPE

(Meditazione su: Vecchi e nuovi non principi)

La profonda contaminazione culturale del Nulla inseminò il Niente che generò un cattivo arnese dal nome di Neutro. La nuova ignoranza, superiore a quella naturale degli umani, fu il fondamento nella dominazione del “Vecchio Principe” succeduta al “Governo della Ciarla”, a quella del “Passo del Gambero” e la “Estinzione dei Gufi”. Le vecchie categorie politiche, sociali ed economiche denominate: Capitalismo, Comunismo; quelle più recenti: Destra, Sinistra, le usanze morali e dell'onore pubblico, più non esistevano. Antesignano fu il rogo delle “Primarie”: su Piazza Affari ridusse in cenere l'insegnamento di Gramsci, dissolse nel vento lo spirito de “Il nuovo principe”, strappò l'anima all'unità.

-Renzo Mazzetti- (Mercoledì 9 Marzo 2016 h.16,26)


UN PARTITO DI TIPO NUOVO

(Meditazione tratta dalla lettura del libro: Il Partito Comunista Italiano di Palmiro Togliatti)

L'affermazione che il partito comunista sia stato creato, in Italia, unicamente per imitare un modello proveniente da un altro paese o, con volgarità anche più evidente, per seguire un ordine straniero (l'”ordine di Mosca”), deve essere giudicata alla stregua delle sciocchezze e banalità su cui tenta di reggersi l'agitazione anticomunista. La respinge chiunque intenda seriamente occuparsi della storia dei partiti politici. Carlo Morandi, nel respingerla, collega l'origine del nostro partito alla “crisi europea dei vecchi partiti socialisti, che non avevano saputo impedire la guerra, né esercitare una efficace influenza per una impostazione veramente democratica della pace, e che nel caos generale post-bellico non osavano mettersi per una via decisamente rivoluzionaria”. Si tratta, però, di una considerazione parziale e di una spiegazione indiretta, che non sottolineano il momento decisivo, il quale deve essere ricercato, nel nostro paese, in quella profondissima crisi di tutta la sua vita economica e politica, che dopo la prima guerra mondiale venne alla luce in modo drammatico. Tutti sanno che da questa crisi uscì, per il popolo italiano, una catastrofe, il regime fascista; in generale manca, però, la consapevolezza che le premesse, tanto di quella catastrofe quanto dello sconvolgimento da cui essa doveva scaturire, sono da ricercarsi non solo nelle immediate vicende degli anni precedenti, ma nella struttura stessa del paese, com'era uscita dal processo di formazione dello Stato unitario e dai primi cinquant'anni della sua esistenza. Il movimento socialista era stato incapace di affrontare la situazione con una lotta per riforme radicali, volte a rompere la catena dei privilegi economici e scuotere il dominio politico borghese. Aveva sempre con calore espresso una combattiva solidarietà con le popolazioni meridionali vittime delle violenze governative, ma ignorato il problema del Mezzogiorno come problema che doveva stare al centro di una lotta efficace e radicale contro il capitalismo italiano. Lo sviluppo dal capitalismo all'imperialismo si compì anche in Italia, perché industria e capitale finanziario si erano rafforzati e alimentavano nuove tendenze alla espansione e alle conquiste coloniali, cui corrispondevano, nel campo delle idee, le correnti nazionalistiche, antidemocratiche e antisocialiste. Non si deve dimenticare che questo avveniva in un paese dove del socialismo si conosceva solo il nome e una vera vita democratica mai si era avuta; dove non erano ancora stati realizzati i compiti di trasformazione economica, soprattutto nelle campagne, che sono propri delle rivoluzioni borghesi, dove in intiere zone, di campagna e di città, i lavoratori vivevano in condizioni non molto superiori a quelle di una popolazione coloniale. Proprio nel momento in cui l'Italia si lanciava in una guerra coloniale, i contrasti di classe e politici tendevano quindi alla esasperazione. L'impresa di Libia fu vivacemente avversata dalle masse popolari avanzate, si moltiplicarono i conflitti con la forza pubblica, si giunse a quel confuso tentativo insurrezionale, diretto dai socialisti, repubblicani e anarchici, che fu la “settimana rossa” (giugno 1914). Il partito socialista, sotto la direzione di Mussolini, si spostava su posizioni estremiste, a cui però non corrispondeva alcun orientamento politico che fosse rivoluzionario in senso positivo e non soltanto nelle parole e nei gesti. L'estremismo socialista rivelava l'esistenza di una frattura sempre più profonda di tutto il corpo sociale e contribuiva ad approfondirla, era però incapace di fare altro. I problemi reali dell'economia e del potere, le questioni della terra, del livello di esistenza dei lavoratori, dei loro diritti e della loro posizione nello Stato emergono in modo drammatico. Alla pressione sempre più forte che parte dal basso si oppone però una resistenza altrettanto tenace del vecchio ceto privilegiato. Se è vero che gli estremisti di sinistra, i “massimalisti” di allora, non facevano e non sapevano fare altro che gesti e parole, altrettanto è vero che i capi riformisti si dilettavano di un messianismo alla rovescia. Il caos nel quale l'Italia stava sprofondando era per essi l'”espiazione”, cui la società borghese era condannata per il crimine commesso da chi aveva voluto la guerra e a cui era inutile sottrarsi. Dall'una e dall'altra parte non vi era che incapacità e impotenza. E infine, anche ammessa una capacità di politica costruttiva nei socialisti riformisti, con chi avrebbero mai potuto collaborare, quando i vecchi uomini politici erano tutti orientati, a cominciare da Giolitti, a sostenere l'attacco fascista alle organizzazioni operaie, e il partito cattolico dei popolari si presentava anch'esso, prima di ogni altra cosa, come strumento di lotta contro il movimento socialista? Non è però del tutto giusto affermare che il compito dei comunisti consistette soltanto di trarre le somme di una situazione quasi disperata allo scadere di essa: poiché il movimento delle masse era stato ricacciato indietro o sconfitto essendogli mancata la necessaria guida rivoluzionaria, creare, pensando ad un avvenire più o meno lontano, questa guida, cioè un partito di tipo nuovo.

-Renzo Mazzetti- (Venerdì 4 Marzo 2016 h.16,21)


INGENUITA'

(Meditazione su: “Diciamolo subito” IL CALENDARIO DEL POPOLO, Gennaio 1953)

Quando, grazie alla lotta condotta dalla parte migliore del popolo, il regime che aveva dominato per vent'anni l'Italia cadde e fu da tutti condannato come “l'infausto regime”, alcuni dissero di non essersi resi conto, vent'anni prima, del modo in cui s'era arrivati alla dittatura. Molti, fra questi, erano in perfetta buonafede. Avevano creduto alle parole di molti “benpensanti”, non avevano capito quando, per esempio, fu presentata la proposta della legge elettorale Acerbo, che quella era la strada della dittatura. Ci fu che preferì, anche allora, non discutere di “politica”. Poi, quando la dittatura si fu veramente affermata, chi poteva più fare discussioni di politica? C'erano persino i cartelli negli uffici, per proibirle. Oggi discutere di politica è ancora possibile, sia pure con qualche rischio, con qualche disagio. Per esempio, un uomo di cultura, uno scrittore, un artista, che esprimano il proprio dissenso dal progetto di riforma elettorale presentato dal governo, rischiano di far cosa sgradita agli ambienti governativi, a qualche grosso editore. Ma è questa una buona ragione per tacere? Perché uno scrittore, un artista, un professore, un magistrato, eccetera, dovrebbero mostrarsi meno informati, meno preoccupati della sorte della libertà di quanto lo siano gli operai, gli impiegati, i contadini, le madri di famiglia, i giovani, i partigiani, che fra loro discutono in questi giorni di politica, giudicano il progetto di riforma elettorale, fanno arrivare la loro voce al Parlamento? Se siamo d'accordo col progetto di legge che ha lo scopo di dare nuovamente in mano ad una fazione tutte le leve di comando del paese, diciamolo. Non c'è ragione di tacere. Ma se non siamo d'accordo, se crediamo invece che questo progetto di legge apra nuovamente la strada alla dittatura, non aspettiamo vent'anni per dire che non avevamo capito. Diciamo subito ciò che pensiamo. Questa legge è stata riesumata apposta perché, dopo, non si possa dirlo più.

-Renzo Mazzetti- (Venerdì 12 Febbraio 2016 h.12,04)


OBLIOSA FELICITA'

(Meditazione su:Supersfruttamento in“LA LINEA GOTICA”di Ottieri Ottiero)

Il supersfruttamento è un meccanismo che riproduce se stesso, si accumula a valanga, se non si interrompe con un'azione (il pensiero non basta). Supersfruttando qualcuno, lo si umilia e lo si indebolisce, in modo che egli si presta sempre di più ad essere supersfruttato, piuttosto che ribellarsi. Il padrone o il capo sono i grandi maestri del supersfruttamento, aiutati dalle leggi economiche dell'azienda e dall'attaccamento del lavoratore ad esse. Il supersfruttatore è proteiforme. Usa due armi: la forza e il metodo defatigatorio. Con il lavoratore isolato il metodo defatigatorio consiste in atteggiamenti di comprensione, astuzia, violenza. Promettere e non mantenere, ripromettere e non mantenere. Il dipendente si culla nella speranza, la speranza continuamente delusa si cambia in rancore, in ira, alla fine in disperazione. La disperazione crea la rottura, la “rivoluzione” sul terreno pratico, lo stesso in cui il capo riporta le sue vittorie, e non sul terreno platonico, morale. Il supersfruttamento non nasce da un capriccio crudele: è costruito è imposto da tempi difficili, tempi di accumulazione del capitale e di crisi in cui lo sforzo deve essere pagato e uno lo paga più di un altro, godendo del cumulo delle cariche, correndo in perpetuo inseguimento di rivali e di records. Bisogna lavorare di più, assumere di meno, licenziare. Chi resta, lavora per due o per tre. Il capo eccita l'amor proprio del dipendente, mettendolo alla frusta come un puledro prezioso: quello ci crede e corre, corre come un cane dietro alla lepre di legno e vuole persino superare i suoi cani compagni. Sarebbe sbagliato credere che i supersfruttati vivano in una perpetua angoscia. La corsa li galvanizza, li estroverte e annulla nel lavoro, in una sorta di obliosa felicità. La sera, si ritrovano con le mosche in mano, quando è troppo tardi e il meccanismo è già scattato, ha già spremuto il succo.

-Renzo Mazzetti- (Sabato 30 Gennaio 2016 h.15,44)


IL VALORE

(Meditazione su: Sabato Martelli Castaldi)

Sabato è generale di brigata aerea a 36 anni; decorato con medaglia d'argento e tre di bronzo; fornisce al fronte clandestino di Roma e ai partigiani: dinamite, mine, detonatori, armi; esegue e trasmette rilievi di zone ed installazioni militari; prepara un campo di fortuna per aerei nei dintorni di Roma; compie missioni militari; è catturato dal generale Kappler; carcerato viene torturato per 67 giorni; è trucidato il 24 marzo 1944 alle Fosse Ardeatine. Sabato Martelli Castaldi è Medaglia d'oro al Valore Militare.

-Renzo Mazzetti- (Mercoledì 27 Gennaio 2016 h.15,19)


LA VIOLENZA

(Meditazione su: Giuseppe di via S. Andrea in Pisa)

La persecuzione politica e razziale non stroncò l'unità della nostra comunità. Costituimmo gruppi di resistenza e di assistenza che non riuscirono a salvare la vita di molti. La violenza dell'occupante tedesco e della Repubblica di Salò portarono tanti nei campi di sterminio, altrettanti furono trucidati direttamente nella propria abitazione. In via S. Andrea, luogo come migliaia di altri, la scritta: Accolti a fraterna difesa, in questa casa ospitale di Giuseppe, cittadino stimato e in tempi non tristi pro sindaco di Pisa, il 1 agosto del 1944 insieme assassinati: Dario, Teofilo, Ida, Cesare, Ernesto, Cesira in qualità di ebrei e Giovanna, Alice, Silvia, Emilia, Dante in qualità di cristiani. Inciso sul marmo il ricordo, il monito, l'auspicio di umana fraternità.

-Renzo Mazzetti- (Lunedì 25 Gennaio 2016 h.15,33)


IL CANTO DELLE CREATURE

(Meditazione su: Cantico delle creature di San Francesco d’Assisi)

Altissimu, onnipotente, bon Signore, tue so’ laude, la gloria e l’honore et onne benedictione. Ad te solo, Altissimo, se Konfano, et nullu homo è ne dignu te mentovare. Laudato sie, mi’ Signore, cum tucte le tue creature, spetialmente messor lo frate sole, lo qual è iorno, et allumini noi per lui. Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore: de te, Altissimo, porta significatione. Laudato si’, mi’ Signore, per sora luna e le stelle: in celu l’ài formate clarite et pretiose et belle. Laudato si’, mi’ Signore, per frate vento et per aere et nubilo et sereno et onne tempo, per lo quale a le tue creature dài sustentamento. Laudato si’, mi’ Signore, per sor’aqua, la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta. Laudato si’, mi’ Signore, per frate focu, per lo quale ennallumini la nocte: ed ello è bello et iocundo et robustoso et forte. Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre terra, la quale ne sustenta et governa, et produce diversi fructi con coloriti flori et herba. Laudato si’, mi’ Signore, per quelli ke perdonano per lo tuo amore et sostengo infirmitate et tribulatione. Beati quelli ke ‘l sosterranno in pace, ka da te, Altissimo, sirano incoronati. Laudato si’, mi Signore, per sore nostra morte corporale, da la quale nullu homo vivente po’ skappare: guai a quelli ke morranno ne le peccata mortali; beati quelli ke trovarà ne le tue canctissime voluntati, ka la morte secunda no ‘l farrà male. Laudate e benedicete mi’ Signore et rengratiate e serviateli cum grande humilitate.

-Renzo Mazzetti- (Martedì 15 Dicembre 2015 h.10,44)


RADIO LONDRA

(Meditazione su: Mezzetti e Volterra antifascista)

Durante il ventennio fascista Volterra è stata una città dove la malvagità della canaglia squadrista, la repressione, l'aggressione, la caccia agli antifascisti non si esaurì con l'avvento del fascismo al potere e l'emanazione delle Leggi eccezionali. I motivi erano da cercare nelle tradizioni antifasciste della maggioranza del popolo, in modo particolare degli alabastrai, i quali, malgrado le feroci e barbare azioni compiute contro di loro dai fascisti locali e di altri paesi, non furono mai conquistati nella loro stragrande maggioranza al fascismo. Se dovessimo elencare la lunga schiera di coloro che non solo negli anni peggiori della bufera fascista furono perseguitati con metodica continuità, di tutti coloro che continuamente venivano percossi, dovremmo fare un elenco molto lungo perché non si trattava di poche decine, ma di centinaia di onesti lavoratori che pagarono duramente la loro avversità al regime. Non vi era manifestazione, ricorrenza celebrativa od altro che non si concludesse senza un'aggressione contro singoli, o gruppi di lavoratori schedati come avversari del regime. Malgrado tale brutale metodo, la resistenza al fascismo fu diffusa e decisa, lo dimostra il largo numero di giovani che dette la sua adesione alla ricostruzione del partito comunista. I denunciati al tribunale speciale furono circa settanta, una quarantina i condannati, ma questi erano solo una parte di quelli che avevano aderito al movimento, un numero maggiore di quelli denunciati non fu individuato, o meglio, ci furono dei gerarchi che affermarono che per sminuire la vastità del movimento era necessario limitare gli arresti, affidando al manganello il compito di togliere dalla testa gli ideali antifascisti di coloro che non venivano incarcerati. Né le percosse, né gli anni di carcere dati dal tribunale speciale riuscirono a spezzare la resistenza contro il regime. Il 21 aprile del 1937, data che il fascismo aveva dedicato alla festa del lavoro togliendo dal calendario il Primo Maggio, ero seduto ad un tavolo insieme a Mezzetti e altri quattro amici quando nella trattoria entrarono una ventina di canaglie. Uno esclamò: eccoli qua i comunisti. Come tante belve si scagliarono contro di noi colpendoci con brutale malvagità. Compiuta l'aggressione, mentre noi grondavamo sangue, se ne andarono cantando i loro inni. Tra tutti gli aggrediti ero il più malconcio e fui costretto ad essere accompagnato all'ospedale. Uscito dell'ospedale trovai i miei fratelli, mio padre, tre miei cugini ed altri con i quali decidemmo di far capire ai fascisti che non eravamo più disposti a subire altre aggressioni. Sull'angolo della piazza dei Priori incontrammo uno di essi, il quale, fiutata la nostra intenzione, estrasse di tasca la rivoltella, e nello stesso tempo cominciò a gridare “fascisti a noi!”. In poco tempo un nugolo di fascisti giunse in suo aiuto e iniziò una furibonda rissa durata più di un'ora. Quando i carabinieri riuscirono a dividerci e a rinchiuderci separatamente in caserma, diversi fascisti avevano ricevuto la meritata lezione. Nel frattempo una grande massa di fascisti si era riunita e gridava che ci gettassero dalle finestre. Alle tre circa del mattino fummo rilasciati ed accompagnati a casa dai carabinieri. Fummo denunciati per rissa. Il processo si svolse al tribunale di Pisa dopo circa tre anni. Il loro comportamento davanti ai giudici fu uno dei più meschini: ciascuno addossava agli altri la colpa di aver partecipato alla vile aggressione nella trattoria. Della successiva rissa ebbe a parlare anche Radio Londra in una delle sue trasmissioni serali in lingua italiana presentando l'episodio come un atto di ribellione al regime fascista.

-Renzo Mazzetti- (Venerdì 11 Dicembre 2015 h.11,04)


COW-BOY

(Meditazione su: Rapporto tra politica ecologica e politica delle riforme di Viviani,Tassinari, Casule. Frattocchie, novembre 1971)

Il problema ecologico, apparso sovente come denuncia degli inquinamenti degli ambienti lavorativi, dei corsi d'acqua, del mare, dell'aria ha in seguito investito un ambito più vasto, il cosiddetto “ambiente”, portando all'attenzione dell'opinione pubblica altri aspetti quali la tutela delle risorse naturali, l'assetto idrogeologico, la difesa del suolo, la conservazione del patrimonio florofaunistico e culturale, le caratteristiche di sviluppo degli insediamenti urbani. Si sono messi sotto accusa il tipo di uso del territorio, il metodo consumistico che è alla base del fenomeno urbano, le caratteristiche dello sviluppo tecnologico ed infine le stesse scelte sociali ed economiche che sono le cause prime dell'inquinamento, intese nel senso più lato. Il capitalismo è conciliabile con la stessa possibilità di sopravvivenza della vita sul pianeta, ovvero il capitalismo sviluppandosi distrugge intorno a sé tutto, prima le risorse umane e poi quelle naturali? D'altra parte si afferma che non è possibile andare indietro, pena la ricaduta nel buio dei tempi preindustriali (e qui si opera un palese ricatto sull'opinione pubblica): lo sviluppo tecnico-scientifico è inarrestabile nelle attuali linee di tendenza, e determina situazioni “obiettivamente” inquinanti. La fabbrica sarà “pulita” nella misura in cui non contrasti con la logica della produzione capitalistica. Lo stesso dicasi della riforma urbanistica: non vogliamo una città migliore, ma una città diversa; così la difesa del suolo passa necessariamente per la riforma agraria e per la sistemazione della montagna: presupposto anche della tutela del patrimonio culturale, degli abitati minori, della viabilità secondaria, condizione necessaria per il riassetto idrogeologico. La lotta per un nuovo assetto territoriale, per la salute, per la difesa della campagna, per il riequilibrio nazionale e all'interno delle singole aree, sono momenti essenziali della lotta di classe in quanto tendono ad un nuovo assetto sociale e quindi ad una diversa distribuzione del reddito, ad un diverso modo di produzione (sopprimendo quindi lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo), ad un'assistenza sanitaria diversa, ad una città diversa. Il modello di assetto territoriale italiano si è formato all'insegna della devastazione delle risorse naturali, culturali e umane; effetto, questo, più grave in Italia che in altri paesi proprio per la presenza di un patrimonio di risorse che discende da un ricco e caratterizzante processo storico. L'ambiente italiano è un'area culturale, nella quale anche i caratteri fisici, sono, certamente più che altrove, denotati in maniera decisiva dal segno storico. Pertanto, anche una risorsa naturale come quella idrica ha l'aspetto e la struttura di un bene culturale. Nella società attuale tutto è organizzato in modo tale che è sempre l'uomo costretto ad adattarsi al mondo che lo circonda. Il bambino dovrà accettare una serie di condizionamenti nell'habitat familiare, scolastico, esterno, non rivolti al suo più alto sviluppo umano, intellettuale e sociale ma indirizzati a farne un futuro produttore e consumatore di “merci”. La società non gli consentirà di giocare secondo il proprio istinto (e cioè per analizzare, smontare per conoscere e per impadronirsi in fasi successive di tutti i “segreti” di cui la natura lo circonda). Al contrario gli negherà già nella casa dove è nato e poi all'esterno, le condizioni per cui possa realizzare la propria istintiva personalità. Se quindi già alla casa ci si dovrà adattare, non si capirebbe perché, essendo il profitto il centro dell'interesse sociale, non si dovrà adattare al resto dell'ambiente che sarà coerente con il “mito”. Cosi la speculazione edilizia “cancellerà” le aree verdi, il verde attrezzato, ed il suolo per la scuola verrà scelto tra i rimasugli o per usare il linguaggio dei venditori di merci, tra gli “scampoli”. Questi “ritagli” di suolo per servizi che dovrebbero avere priorità assoluta nella lottizzazione di una città a misura dell'uomo, saranno al contrario relegati ed insufficienti, come insufficiente è già la casa e tutte le strutture destinate ai servizi sociali. Se insufficiente è la camera ed il soggiorno dove di “regola” si vive in carenza d'aria e di luce, assolutamente insufficiente sarà l'aula, la palestra (quando c'è), il giardino, ecc. Una inchiesta condotta nelle scuole del comune di Roma ha permesso di stabilire che 6 bambini su 10 “diventano” miopi a causa della scarsa luminosità dell'aula, o per errata disposizione di lavagne e strutture varie: che molti alunni si ammalano di scoliosi per la forma e l'insufficienza dei banchi e quindi per la posizione che debbono assumere quando scrivono. Che ancora molti bambini subiscono gravi danni allo scheletro a causa del peso dei libri durante il trasferimento da casa a scuola, usufruendo di mezzi insufficienti o inesistenti. Del resto la carenza di mezzi pubblici di trasporto non spinge forse i genitori a “consumare” più mezzi privati per accompagnare i figli a scuola, e non si è rilevato che specialmente nei pressi delle scuole nelle ore di punta l'aria è fortemente inquinata da ossido di carbonio, da piombo, da vapori nitrosi, tutti veleni potenti per il sangue, ed in modo particolare nei riguardi dell'infanzia? Non a caso Marx aveva notato che il capitalista poteva reggere il sistema solo alla condizione di disporre di quella che oggi è stata definita l'economia “aperta”, o molto più pittorescamente l'economia del cow-boy. Con un modo di produzione fondato sul massimo sfruttamento e quindi sulla massima incidenza di malattie professionali ed infortuni invalidanti; la condizione perché il sistema si possa reggere è che la disponibilità di forza-lavoro sia infinita, che cioè l'economia sia “aperta”. Così apparve ed ebbe grande successo la teoria secondo cui più che di società dei “consumi” (in quanto in natura come è ben noto, niente si “consuma” ma tutto si “trasforma” si doveva parlare di società di rifiuti.

-Renzo Mazzetti- (Giovedì 12 Novembre 2015 h.18,06)


LA MARMELLATA

(Meditazione su: Che differenza c'è fra una massaia e un'operaia? “Donna e serva” di Armanda Guiducci)

La marmellata superba che una donna produce a casa sua, ha perso la qualità di andare sul mercato, conserva una sola faccia: è un valore d'uso. Prodotta per essere consumata dai figli o dai nipotini, per pochi, rimane chiusa nella credenza di famiglia. Gli economisti sono tutti d'accordo, su questo punto: tutto quanto una donna produce in casa – eccettuato, beninteso, i prodotti, che interessano altamente le industrie, del “lavoro nero”, è un puro valore d'uso. L'operaia della fabbrica: in quel mondo della produzione tanto agli antipodi con lo squalificato mondo della casa (vedete come il “fare” femminile abbia perso di qualità), durante una giornata di otto ore lavorative, più breve e squadrata della giornata naturale che lungo tutto l'arco la massaia è costretta a seguire, quell'operaia ha prodotto, invece, merce che vale denaro – vale più di quanto al proprietario dello stabilimento e delle macchine è effettivamente costata. Su questa differenza è nato e si è fondato il capitalismo. Perché mai vale più di quanto è costata? La forza-lavoro ha la qualità singolare di rendere di più di quanto costa. E' un'esperienza che all'uomo occidentale viene dall'impiego intensivo di schiavi nelle piantagioni. I proprietari di schiavi erano proprietari, in definitiva, di manodopera, di forza-lavoro. Usando con violenza, anzi abusando di questa capacità umana, essi ne traevano disumani profitti. Il calcolo di un minimo di sussistenza sperimentato sulla pelle degli schiavi trapassò poi nell'esperienza dei proprietari delle prime manifatture e fabbriche. Le tensioni [scoppiate in guerra civile] fra Nord e Sud coprivano problemi di questo tipo: adibire alle macchine gli schiavi o affittare la forza lavoro di uomini liberi? Il nord dimostrò che quest'ultima soluzione era la più conveniente. Fino al tempo di Marx il salario – cioè il denaro dato a un operaio in cambio della sua forza-lavoro – assicurava a lui il minimo della sussistenza: quanto gli occorreva di vitto e alloggio miserabili perché, mangiando e dormendo, potesse riprodurre, per il giorno seguente, quelle energie che il lavoro in fabbrica del giorno prima gli aveva consumato. Fu appunto per la necessità che ogni giorno la forza-lavoro di un operaio potesse efficientemente riprodursi al fine di poter essere di nuovo da lui affittata e consumata in cambio di denaro, che emerse in una nuova luce il contributo morale ed economico che il lavoro domestico della donna rappresentava per l'operaio. Sull'uso, sottopagato, della forza-lavoro femminile nelle fabbriche, Marx ne “Il Capitale” scrisse testualmente: “Il lavoro forzato per il capitale usurpa il posto del lavoro libero per il mantenimento della famiglia; ed il sostegno economico del morale della famiglia era appunto questo lavoro domestico”.

-Renzo Mazzetti- (Mercoledì 21 Ottobre 2015 h.16,47)


IL CULTO DEL BELLO

(Meditazione sulla prefazione di Cesare Bragaglia al poema “Boris Godunof”)

La lingua era impura, affettata, pedantesca e corrotta, il pensiero stanco, lento, inceppato e schiavo. Il poeta fece rifiorire la lingua: la tolse dall'abbandono sprezzante in cui era lasciata e sotto la sua penna feconda le fece percorrere con una meravigliosa facilità tutta la gamma delle idee nuove. Ora la elevò sin nelle regioni alte della poesia, ora la fece scendere fino ai gradini più umili della prosa: talvolta le donò gli accenti disperatamente infuocati di passioni selvagge, talaltra il fischio motteggiatore e pungente dell'epigramma: in un momento l'adornò del linguaggio abbondante e facondo dell'eloquenza, in un altro l'armò del frizzo rapido ed acuto della satira. Quell'idioma ricco, sonoro, accentuato, capace di esprimere tutte le sfumature più delicate e sottili colla sua ricca e splendida famiglia di verbi pittoreschi mostrò, nelle sue mani, quanti e quali fossero i suoi immensi tesori. Egli gli tolse quell'aria di antichità, che lo faceva apparire men bello, quella scoria di vecchiaia, che gli deformava un pochino il volto bellissimo, lo rinnovò, lo rinfrescò anche cogli idiotismi. In questo modo esso fu capace di soddisfare sia alle gravi esigenze epiche della storia, sia alle facilità familiari del romanzo, sia agli slanci impetuosi della lirica, sia all'andatura solenne dell'epopea. Colla lingua egli rinnovò anche il pensiero. Alessandro Puskin è morto, ma il suo nome rimarrà vivo fin che nel mondo non morrà il culto del bello.

-Renzo Mazzetti- (Venerdì 25 Settembre 2015 h.09,37)


RADIO MOSCA

(Meditazione su: I compagni resistenti di quella che diventò la ricca zona del cuoio e calzature)

I compagni di Santa Croce, Ponte a Egola, Fucecchio, Empoli, San Miniato erano sottoposti al provvedimento di polizia della libertà vigilata. Nonostante questo confino domiciliare, si trovarono ad assolvere all'importante funzione di orientamento. La seconda guerra mondiale era già in corso e, dal giugno del 1941, l'aggressione nazi-fascista contro l'Unione Sovietica. I compagni avevano salda la fiducia che proveniva dalla convinzione che il popolo che aveva fatto la rivoluzione d'Ottobre e combatteva dalla parte della ragione, con la solidarietà dei lavoratori di tutto il mondo, non poteva essere e non sarebbe stato sconfitto. Nel gennaio del 1943 si giunse alla battaglia di Stalingrado. Ogni giorno i bollettini di guerra fascisti davano per scontata la occupazione di Stalingrado, ma la resistenza si prolungava e i bollettini avevano bisogno di far giri di parole per tenere alto il morale dei fascisti. Radio Mosca, pur ammettendo la difficoltà della situazione, continuava ad insistere che gli eserciti nazi-fascisti sarebbero stati sterminati. I compagni e gli antifascisti avvertivano che a Stalingrado si stava combattendo una battaglia decisiva per le sorti della guerra e di tutta l'umanità. Il 2 febbraio 1943, radio Mosca annunciò la vittoria di Stalingrado, la resa di trecentomila soldati, del generale Von Paulus e del suo Stato Maggiore. Cadde il mito dell'esercito nazista invincibile.

-Renzo Mazzetti- (Venerdì 18 Settembre 2015 h.15,55)


NOBILE POLITICO

(Meditazione su Umberto Nobile politico).

Nobile non si era mai interessato di politica ma sui problemi sociali, economici e morali, aveva idee chiare che si erano andate sviluppando negli anni trascorsi in Russia e in America. In Russia era rimasto affascinato dall'atmosfera vibrante di passione, dal grande rimescolio di uomini e d'idee, dagli spiriti tesi verso la costruzione di una nuova società umana basata sugli ideali della rivoluzione d'ottobre; vedeva anche i gravi difetti di un sistema economico tutto concentrato nelle mani dello Stato e ogni iniziativa privata completamente soppressa anche dove non era necessario con la conseguenza di privare la popolazione di una quantità di beni di consumo che altrove abbondavano e la mancanza di libertà di parola e di stampa, con il divieto di comunicare con il resto del mondo, a lungo andare, non poteva non avere effetti rovinosi. Ma, in compenso, quale grande risultato aver aperto davanti ai giovani tutte le strade, in qualunque condizione o ambiente sociale fossero nati, formando così un enorme vivaio di forze nuove, di fresche energie, al quale il paese poteva attingere largamente per progredire in tutti i campi della scienza, dell'arte, della tecnica, dello sport. E quale grande vantaggio per la salute morale dei giovani che in quella società non vi fosse posto per chi volesse arricchirsi speculando in pubblicazioni oscene, spettacoli teatrali scurrili, film corruttori, come avveniva nel resto del mondo. Mancando la possibilità di sfruttare certi vizi, questi stessi vizi sembravano scomparsi: nelle grandi città non esistevano, come in quelle occidentali, quartieri malfamati dove si concentravano i bassifondi sociali, la prostituzione e la delinquenza. Esisteva il paradosso tra la Russia che, professando fede di materialismo, esaltava e imponeva dei valori spirituali, e la società americana che, pur religiosa, nella pratica valutava un individuo sulla base non del suo grado di cultura, ma della quantità di denaro che possedeva, e non importava in che modo lo avesse guadagnato. In America erano libere perfino le forze del vizio. L'America, sviluppatasi nella libera concorrenza, aveva raggiunto un livello medio di benessere economico di gran lunga superiore a quello di qualsiasi altro paese del mondo. Con l'esperienza acquisita durante il soggiorno nei due paesi posti agli antipodi del mondo economico e politico di allora, su certe questioni era molto più a destra dei liberali, in altre molto più a sinistra dei comunisti. Con tali tendenze era cosa assurda pensare che Nobile si adattasse alla disciplina di un partito e a nessun costo avrebbe rinunciato a pensare e parlare liberamente. Togliatti espresse l'orgoglio di poter avere nelle liste il nome di un uomo che aveva illustrato il Paese con il suo ingegno e coraggio. Nobile, eletto come indipendente nelle liste comuniste, lavorò assiduamente per redigere la Costituzione repubblicana.

-Renzo Mazzetti- (Venerdì 28 Agosto 2015 h.10,58)


GABRIEL PERI

(Meditazione su: parte della lettera di Gabriel Peri, anni 39, fucilato dai tedeschi nel dicembre 1941 al Mont-Valérien)

I miei amici sappiano che sono rimasto fedele all'ideale della mia vita: i miei compatrioti sappiano che morirò perché viva la Francia. Faccio un' ultima volta i1 mio esame di coscienza. E' positivo. Prenderei la stessa strada se dovessi ricominciare la mia vita. Credo sempre, questa notte, che i1 mio caro amico Paul Vaillant-Couturier aveva ragione di dire che “il Comunismo è la giovinezza del mondo” e che “prepara dei domani che cantano”.

-Renzo Mazzetti- (Giovedì 27 Agosto 2015 h.15,14)


FIABESCO E FANTASTICO

(Meditazione su: I bambini di Majacovskij)

Che cosa potrei scrivere se tutte le fiabe e le poesie sono ormai state scritte, pubblicate e lette ai bambini? Che cosa non è stato detto che non sappiano già questi piccini curiosi? Pare sappiano tutto perché hanno letto tutti i più bei libri per l'infanzia. Che cosa ho da dire io ai bambini e come? Ecco dove sta il problema: con quale tecnica. Il poeta pensava: con la tecnica nuova, futurista, a cui stava educandosi il gusto del pubblico degli adulti oppure con quella tradizionale, con le rime lisce e dolci che piacciono alle autorità? In questo modo dovrei abbandonare, dopo quattro anni che le uso, le nuove forme, le rime e i metri poetici mai prima visti e sentiti. Dovrei darmi per vinto, arrendermi, perché i miei versi siano chiari e comprensibili ai bambini, educati alla letteratura classica. No. Neanche per sogno voglio venire meno alla poesia nuova che apre ampie possibilità all'ulteriore sviluppo di tutta la poesia, compresa quella per i bambini. Il poeta, dopo tanto pensare, decise: con i bambini non si deve biascicare ma parlar loro come se fossero adulti; quello che gli devi dire deve essere serio come per gli adulti. Ma il modo per comunicarglielo dovrebbe essere diverso, cioè “fiabesco e fantastico”. Una forma simile al loro linguaggio, che si adatta al loro modo di ragionare e di esprimere i pensieri, di vedere i fatti, le cose e le persone. Scrivere come se tu, poeta, avessi 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10 anni. Bisogna dunque che tu ti trasformi in bambino e il successo verrà, perché ti applaudiranno i più riconoscenti dei lettori: i bambini.

-Renzo Mazzetti- (Venerdì 5 Giugno 2015 h.15,53)


GIOVANI E MENO GIOVANI

(Meditazione su: Sirio Ungherelli partigiano GIANNI, commissario politico della “Brigata Senigaglia”)

Nell'ora di politica, che si chiamava così perché durava un'ora, si cercava di spiegare ai giovani la situazione generale dell'Italia e dell'Europa, si cercava di trasmettere gli ideali del comunismo e si discuteva con loro su come si avrebbe voluto vedere il nostro paese dopo la guerra. Si cercava anche di far capire che bisognava condividere certi valori di fratellanza e rispetto reciproco all'interno delle formazioni. Dicevamo noi commissari: siamo qui per difendere l'Italia, questi contadini che ci aiutano e la loro terra che è anche la nostra terra. I giovani, e anche i meno giovani, partecipavano molto a queste discussioni, sentivano proprio la necessità di partecipare visto che per venti anni erano stati zitti.

-Renzo Mazzetti- (Lunedì 27 Aprile 2015 h.13,22)


LA COSTRIZIONE

(Meditazione sui privilegi di Emanuel-Joseph Sieyès)

Risalendo nella storia, vediamo i privilegiati prendere e attribuirsi tutto ciò che a loro convenisse. La violenza e la rapina, sicure dell'impunità, potevano indubbiamente fare a meno di elemosinare; e infatti la questua dei privilegiati è iniziata soltanto con il primo manifestarsi dell'ordine pubblico, mostrando la sua grande differenza dalla mendicità del popolo. Questa appare con la progressiva involuzione del governo, quella con il suo miglioramento. E' vero che il governo può far cessare con ulteriori progressi questi due mali sociali, ma certo non alimentandoli, né nobilitando il meno giustificabile dei due. Bisogna convenire che vi è un'abilità prodigiosa nel rubare alla compassione ciò che non si può strappare alla debolezza, mettendo così a profitto sia la temerarietà dell'oppressore che la sensibilità dell'oppresso. A questo riguardo, la classe privilegiata ha saputo distinguersi in entrambi: non riuscendo più ad estorcere con la forza, ha subito imparato a raccomandarsi ad ogni occasione alla liberalità del re a della nazione. Le petizioni degli antichi Stati generali e delle antiche assemblee di notabili abbondano di richieste a favore della povera classe privilegiata.

-Renzo Mazzetti- (Mercoledì 22 Aprile 2015 h.15,35)


GRAZIA E MISERICORDIA

(Meditazione su: “Moralità e potere”)

La società sta insieme e si sviluppa non soltanto per la presenza di leggi con le relative sanzioni, ma per l’esistenza di leggi morali, per la persuasione intima, abbarbicata nelle singole persone, che agire in un certo modo è bene e nel senso inverso è male. Pertanto l’approvazione o no per il nostro agire non viene soltanto dagli altri, ma da noi stessi. Dovremmo avere una voce interiore -la voce della coscienza- che ci conforta o ci rimprovera, che sollecita l’esigenza morale di distinguere tra il bene e il male e di rivolgersi verso il bene evitando il male al di la di quanto viene comunemente inteso. Per dirla con Kant: Agisci come vorresti che agissero tutti nelle stesse circostanze. Oggetto della morale non può essere che il bene comune in cui si fondono l’interesse privato e quello generale, e, proseguendo, Helvetius poneva uno stretto legame tra morale, politica e legislazione. Un po’ come: Ama il prossimo tuo come te stesso? Oppure la meditazione sulla misericordia che è la bontà per cui Dio tutto perdona ai peccatori? O l’affetto che muove l’animo nostro ad aver compassione delle altrui miserie e a sovvertirle? O la grazia data a coloro che si potrebbero punire? O la confraternita della misericordia che va a portare i feriti al pronto soccorso e i deceduti al camposanto?

-Renzo Mazzetti- (Sabato, 21 Marzo 2015)


ABBIETTO MATERIALISMO

(Meditazione su: “Dibattiti sulla legge contro i furti di legna”, Gazzetta renana, 25 ottobre 1842)

L’interesse privato si considera come il fine dl mondo. E pertanto, se il diritto non raggiunge questo fine, è un diritto sconveniente. Un diritto dannoso all’interesse privato è dunque un diritto che ha conseguenze dannose. L’interesse non pensa, calcola. I motivi sono i suoi numeri. Il motivo è un movente per avanzare cavilli giuridici; e chi può mettere in dubbio che l’interesse privato ne abbia molti a disposizione? Passando per l’era del diritto pubblico, siamo pervenuti all’era del diritto padronale raddoppiato e potenziato. I possidenti sfruttano il procedere del tempo, che è la confutazione delle loro pretese, per usurpare ad un tempo la pena privata della concezione barbarica e la pena pubblica della concezione moderna. La legna rimane legna tanto in Siberia come in Francia; il proprietario forestale rimane proprietario in Camciatca come in Renania. Quindi, allorché la legna e il proprietario di legna come tali fanno le leggi, queste leggi non si distingueranno per altro che per la posizione geografica e la lingua in cui vengono formulate. Questo abbietto materialismo, questo peccato contro lo spirito santo dei popoli e dell’umanità è una conseguenza immediata della dottrina predicata al legislatore dalla “Gazzetta di Stato” prussiana, che nel caso di una legge forestale invita a tenere esclusivamente conto della legna e del bosco e a non risolvere i singoli problemi concreti politicamente, ossia all’universale ragione e morale dello Stato. I selvaggi di Cuba ritenevano che l’oro fosse per gli Spagnuoli un feticcio: lo festeggiarono con cerimonie e canti, quindi lo gettarono in mare. Se i selvaggi di Cuba avessero assistito a una seduta degli ordini provinciali renani, non avrebbero pensato che il legno fosse il feticcio dei Renani? Ma una successiva seduta avrebbe loro insegnato che al feticismo si collega il culto degli animali, e i selvaggi di Cuba avrebbero gettato in mare le lepri per salvare gli uomini. 

-Renzo Mazzetti- (Lunedì 2 Marzo 2015)


IMPARARE A LOTTARE

(Meditazione su: “Tu vuole imparare a combattere e impara a star seduto” di Bertolt Brecht)

Tu venne da Me-ti e disse: Io voglio partecipare alla lotta delle classi. Ammaestrami. Me-ti disse: Siediti. Tu si sedette e chiese: Come devo combattere? Me-ti rise e disse: Stai seduto bene? Non so, disse Tu stupito, in che altro modo dovrei sedermi? Me-ti glielo spiegò. Ma, disse Tu impazientemente, io non sono venuto per imparare a star seduto. Lo so, vuoi imparare a combattere, disse Me-ti pazientemente, ma per far questo devi star seduto bene, perché adesso per l’appunto stiamo seduti e vogliamo studiare seduti. Tu disse: Se si aspira sempre ad assumere la posizione migliore e a tirar fuori il meglio da quel che c’è, insomma, se si aspira al godimento, come si fa allora a combattere? Me-ti disse: Se non si aspira al godimento, non si vuole tirar fuori il meglio da quel che c’è e non si vuole assumere la posizione migliore, perché allora si dovrebbe combattere?

-Renzo Mazzetti- (Giovedì 12 Febbraio 2015)


 IL MERCATO DEI PRIVILEGI

(Meditazione su: “Saggio sui privilegi” di Emanuel-Joseph Sieyès)

Quando viene conferito a un cittadino un privilegio, si fa strada nel suo animo un interesse particolare che lo rende sordo alle sollecitazioni dell’interesse comune. L’idea di Patria si restringe nei limiti angusti della casta di cui egli entra a fare parte, e tutti i suoi sforzi, prima posti fruttuosamente a servizio della cosa pubblica, si orientano man mano nella direzione opposta. Lo si voleva incoraggiare a fare meglio, e si è finiti col renderlo peggiore. 

-Renzo Mazzetti- (Domenica, 21 Dicembre 2014)


GIOIA E FIEREZZA

(Tratto da: “LA DEPORTATION” di Maurice Choquet - Bibliothéque de Travail, Cannes)

L’entusiasmo fra i giovani era grande. Anch’io, con gioia e fierezza, partecipai alle operazioni per il rifornimento di benzina e di vettovaglie, feci la guardia all’ufficio postale o a una delle tante barricate istituite per controllare l’accesso all’altopiano del Giura. Le truppe naziste incendiano parecchie case, rastrellano i giovani e ne fucilano ventidue. La popolazione viene radunata con la forza nella piazza, gli uomini più giovani vengono separati dagli altri e condotti sotto un muro. Pensiamo che la nostra ora sia arrivata. Invece ci fanno salire su alcuni autocarri e l’autocolonna riparte. Ovunque paesi incendiati e uomini fucilati. La gente nel vederci passare piange. In maglietta e mutande saliamo sui vagoni bestiame. A Neuengamme restiamo molte ore sotto un sole rovente, nel piazzale del campo di concentramento, dove ci contano e ci ricontano. Di corsa, tra grida e colpi di bastone, ci conducono alle docce. Ricevo una piastrina metallica da portare al collo, ormai sono diventato un numero di matricola. Nel campo vi sono tedeschi, austriaci, francesi, italiani, belgi, olandesi, lussemburghesi, danesi, norvegesi, polacchi, russi, ungheresi, rumeni, jugoslavi, greci, turchi, repubblicani spagnoli, ebrei e persino un aviatore canadese. Il triangolo rosso identifica i detenuti politici; quello verde i detenuti comuni; quello violetto gli zingari, gli asociali, gli obiettori di coscienza; la stella gli ebrei. Una domenica d’ottobre del 1944 tutti i detenuti furono radunati sul piazzale. Uno dei nostri compagni belgi, accusato di sabotaggio, era condannato all’impiccagione, ci guardò per l’ultima volta e gridò: “Addio, compagni! Viva il comunismo!”.

-Renzo Mazzetti- (Giovedì, 4 Dicembre 2014)


UNA PENNA MAESTRA

(Meditazione su: “Riassumi in poche righe la tua biografia: fatta da noi sarebbe noiosa”, pagina sedicesima, MARIO MELLONI in: “La galleria di Fortebraccio”, L’Unità – Editori Riuniti, edizione fuori commercio riservata agli abbonati per l’anno 1986)

 Tutti raccontano la loro biografia. E’ diventata una moda. Io invece (se le forze mi reggeranno) mi propongo di scrivere insieme con Carlo Ricchini, nostro caporedattore e mio carissimo amico, venti vite di comunisti sconosciuti. Ma sconosciuti davvero. Compagni che non siano stati nemmeno consiglieri comunali né abbiano ricoperto cariche di partito. Ne abbiamo già in mente due o tre, altri li andremo a cercare o ce li faremo indicare. Quanto alla mia storia, voi dite giustamente che sarebbe noioso raccontarla, figuratevi per me che l’ho anche vissuta. Ma se volete proprio che la riassuma, come mi chiedete, in poche righe, lo farò addirittura ripetendo ciò che Gozzano ha scritto in sette parole di Totò Merumeni: “Un giorno è nato – un giorno morirà”. 

-Renzo Mazzetti- (Martedì 2 Dicembre 2014)


IL SUO PRIMO GRIDO

(Meditazione su: Mario Alicata, 1 giugno 1943, lettera dal carcere “Regina Coeli”)

Giuliana cara, riprendo a sera questa lettera dopo un intervallo un po’ triste d’un interrogatorio molto lungo e faticoso. Sono molto stanco e ho un gran mal di capo. Mi metto subito a letto per cercare di riposare un poco. Ti scrivo tutto ciò per la nostra consuetudine di dirci tutto ciò che abbiamo nell’animo mentre ci scriviamo: ma non ti preoccupare: quando leggerai questa lettera, anche questo sarà passato. Credo che sia la prima nota un po’ malinconica e depressa che entra in questa corrispondenza, ma è stato più forte di me. Ma ti ripeto non preoccuparti. Mi rimetterò subito. Tu sta’ sempre di buon animo. Che fa il piccolo Paolo? Ieri scorrendo il calendario (ho anche un calendario) pensavo che presto avrà sei mesi: mezzo anno! E’ tanto non è vero? Eppure mi sembra d’aver appena ieri sentito il suo primo grido. Bacialo per me. Abbraccia papà e mamma e tutti gli altri. Saluta affettuosamente i tuoi genitori. E tu voglimi bene come ti voglio bene io. Tuo Mario. 

-Renzo Mazzetti- (Giovedì 20 Novembre 2014)


I BUONGUSTAI DELLA ROVINA

(Ricerca sulle origini del Fascismo in Italia. Meditazione su:“Amiamo la guerra” di Giovanni Papini, 1914)

Finalmente è arrivato il giorno dell’ira dopo i lunghi crepuscoli della paura. Finalmente stanno pagando la decima dell’anime per la ripulitura della terra. Ci voleva, alla fine, un caldo bagno di sangue nero dopo tanti umidicci e tiepidumi di latte materno e di lacrime fraterne. Ci voleva una bella innaffiatura di sangue per l’arsura dell’agosto; e una rossa svinatura per le vendemmie di settembre; e una muraglia di svampate per i freschi di settembre. E’ finita la siesta della vigliaccheria, della diplomazia, dell’ipocrisia e della pacioseria. I fratelli son sempre buoni ad ammazzare i fratelli; i civili son pronti a tornar selvaggi; gli uomini non rinnegano le madri belve. Non si contentano più dell’omicidio al minuto. Siamo troppi: La guerra è un’operazione malthusiana. C’è un di troppo di qua e un di troppo di là che si premono. La guerra rimette in pari le partite. Fa il vuoto perché si respiri meglio. Lascia meno bocche intorno alla stessa tavola. E leva di torno un’infinità di uomini che vivevano perché erano nati; che mangiavano per vivere, che lavoravano per mangiare e maledicevano il lavoro senza il coraggio di rifiutar la vita. Fra le tante famiglie di carogne abbracciate alla morte e non più diverse che nel colore dei panni, quanti saranno, non dico da piangere, ma da rammentare? Ci metterei la testa che non arrivano ai diti delle mani e dei piedi messi insieme. E codesta perdita, se non fosse anche un guadagno per la memoria, sarebbe a mille doppi compensata da tante centinaia di migliaia di antipatici, farabutti, idioti, odiosi, sfruttatori, disutili, bestioni e disgraziati che si son levati dal mondo in maniera spiccia, nobile, eroica e forse, per chi resta, vantaggiosa. Non si rinfaccino, a uso di perorazione, le lacrime delle mamme. A cosa possono servire le madri, dopo una certa età, se non a piangere? E quando furono ingravidate non piansero: bisogna pagare anche il piacere. E chissà che qualcuna di quelle madri lacrimose non abbia maltrattato e maledetto il figliolo prima che i manifesti lo chiamassero al campo. Lasciamole piangere: dopo aver pianto si sta meglio. Chi odia l’umanità -e come si può non odiarla anche compiangendola?- si trova in questi tempi nel suo centro di felicità. La guerra, colla sua ferocia, nello stesso tempo giustifica l’odio e lo consola. “Avevo ragione di non stimare gli uomini, e perciò son contento che ne spariscano parecchi”. La guerra, infine, giova all’agricoltura e alla modernità. I campi di battaglia rendono, per molti anni, assai più di prima senz’altra spesa di concio. Che bei cavoli mangeranno i francesi dove s’ammucchiarono i fanti tedeschi e che grasse patate si caveranno in Galizia quest’altro anno! E il fuoco degli scorridori e il dirutamento dei mortai fanno piazza pulita fra le vecchie case e le vecchie cose. Quei villaggi sudici che i soldatacci incendiarono saranno rifatti più belli e più igienici. E rimarranno anche troppe cattedrali gotiche e troppe chiese e troppe biblioteche e troppi castelli per gli abbrutimenti e i rapimenti dei viaggiatori e dei professori. Dopo il passo dei barbari nasce un’arte nuova fra le rovine e ogni guerra di sterminio mette capo a una moda diversa. Ci sarà sempre da fare per tutti se la voglia di creare verrà, come sempre, eccitata e ringagliardita dalla distruzione. Amiamo la guerra ed assaporiamola da buongustai finché dura. La guerra è spaventosa, e appunto perché spaventosa e tremenda e terribile e distruttrice dobbiamo amarla con tutto il nostro cuore di maschi. 

-Renzo Mazzetti- (Venerdì 14 Novembre 2014)


DANZE E ODORI

(Meditazione su: “linguaggio umano e animale” – parte - di Barbiero e Astaldi, EMME EDIZIONI, 1979)

Suoni, canti, movimenti, danze e odori raccontano in mille e mille modi diversi la vita degli uomini e delle altre specie animali. Solo l’uomo però sa combinare a suo piacimento suoni, canti, movimenti, danze e odori per esprimere, quando vuole e come vuole, tutto quello che vuole perché: l’uomo pensa. C’è la mano del vigile urbano che dirige il traffico e c’è il pensiero del vigile urbano che dirige la mano. Ci sono gli odori del droghiere, dell’operaio, del fornaio, del contadino, dell’imbianchino, del dottore e… del fannullone. Ma quanti pensieri per ognuno di questi mestieri! Ci sono musiche e danze per varie emozioni, pensieri diversi per le diverse occasioni. Ci sono tele di ragni e di tessitori, celle di api e palazzi di architetti… “Il ragno compie operazioni che somigliano a quelle del tessitore, l’ape fa vergognare molti architetti con la costruzione delle sue cellette di cera. Ma ciò che fin dal principio distingue il peggiore architetto dall’ape migliore è il fatto che egli ha costruito le cellette nella sua testa prima di costruirle di cera”. Per dirla con Carlo Marx, noi costruiamo nella nostra testa, prima che con le nostre mani, tutto quello che vogliamo fare perché noi pensiamo. Il pensiero ci aiuta a fare ciò che vogliamo fare, ad esprimere ciò che vogliamo esprimere, ci permette di ricordare cosa passate e di prevedere cose future, di immaginare cose possibili ed impossibili. La differenza tra il linguaggio animale e il nostro sta nel fatto che solo l’uomo pensa. Con il pensiero possiamo tornare bambini e vederci già grandi. Quando noi pensiamo, possiamo fare, per così dire, discorsi muti, tanto che si usa dire “pensare fra sé e sé – parlare con se stessi”. Questo è il linguaggio interno. Quando comunichiamo con gli altri traduciamo il nostro pensiero in gesti, suoni, danze e… parole. 

-Renzo Mazzetti- (Domenica 9 Novembre 2014)


CONSIGLIO NAZIONALE DEL LAVORO

(Meditazione su: “I comunisti e la nuova Costituzione. Diritto di associazione e ordinamento sindacale” relazione presentata dal compagno Giuseppe Di Vittorio alla terza sottocommissione dell’assemblea costituente per l’elaborazione della nuova Costituzione italiana)

Il cittadino capitalista, basandosi sulla propria potenza economica, può lottare
e prevalere anche da solo, in determinate competizioni di carattere economico. Il cittadino lavoratore, invece, da solo, non può ragionevolmente nemmeno pensare a partecipare a tali competizioni. Ne
consegue che per il cittadino lavoratore, la sola possibilità che esista -perché possa partecipare a date competizioni economiche, senza esserne schiacciato in partenza- è quella di associarsi con
altri lavoratori, aventi gli stessi diritti e scopi comuni, per controbilanciare col numero, con l’associazione e con l’unità d’intenti e d’azione degli associati, la potenza economica del
singolo capitalista o d’una associazione di capitalisti. Il sindacato, perciò, è lo strumento più valido, per i lavoratori, per l’affermazione del diritto alla vita e del diritto al lavoro, che dovranno essere sanciti dalla nostra Costituzione. Per i datori di lavoro, invece, l’associazione sindacale è bensì uno strumento importante, ma solamente ausiliario. Esistono fra questi due poli altri strati di lavoratori, comunemente indicati col nome di “ceti medi”: Contadini, artigiani, piccoli e medi commercianti, liberi professionisti, artisti, eccetera. Anche per questi strati di lavoratori (che nel nostro Paese sono molto numerosi e costituiscono un elemento vitale dell’economia nazionale) il diritto di associazione ha una portata diversa e ben maggiore di quella che possa avere per gli strati economicamente superiori della società. Anche per questi lavoratori, la sola possibilità di resistere e di sopravvivere alla pressione del grande capitale e dei trust -che tendono inesorabilmente ad assorbirli- consiste appunto nella libertà di associarsi e di appoggiarsi agli altri strati di lavoratori, solo mezzo perché anch’essi costituiscano una forza capace di partecipare alle inevitabili competizioni d’interessi che sono connaturali al tipo di società in cui viviamo. I consigli di gestione, infatti, realizzano la sintesi degli interessi dei produttori e dei consumatori; sintesi che costituisce obiettivamente una delle più serie garanzie per la società nazionale contro possibili tentativi di monopoli economici, diretti a mantenere artatamente elevati i prezzi di determinati prodotti. Il fatto di sancire nella Costituzione il diritto di organizzazione dei lavoratori anche all’interno delle aziende d’una certa importanza ed il diritto della loro partecipazione alla gestione delle aziende stesse, dimostrerà che l’Assemblea Costituente avrà saputo esprimere la volontà del popolo italiano di democratizzare profondamente la vita del Paese, in tutti i suoi gangli vitali, fra i quali bisogna annoverare le grandi aziende di ogni genere. Giuseppe Di Vittorio elenca gli articoli proposti [riporto in sintesi]: Uno – il diritto di associazione è riconosciuto a tutti i cittadini d’ambo i sessi, ed agli stranieri residenti legalmente sul territorio nazionale, senza distinzione di razza. Due: -il lavoro è la base fondamentale della vita e dello sviluppo della società nazionale. Lo Stato dovrà garantire per legge una efficace protezione sociale dei lavoratori, manuali ed intellettuali. Tre: -ai sindacati professionali dei lavoratori e dei datori di lavoro che ne facciano richiesta, è riconosciuta la personalità giuridica. Quattro: -la Repubblica garantisce le libertà sindacali ed il diritto di sciopero di tutti i lavoratori. Cinque: -ai sindacati è riconosciuto il diritto di contribuire direttamente alla elaborazione d’una legislazione sociale adeguata ai bisogni dei lavoratori ed a controllarne l’applicazione mediante la costituzione d’un Consiglio Nazionale del Lavoro. Sei: -ai lavoratori di aziende d’ogni genere aventi almeno 50 dipendenti, è riconosciuto il diritto di partecipare alla gestione della azienda. 

-Renzo Mazzetti- (Venerdì 17 Ottobre 2014)


MOLTO INTELLIGENTE

 (Meditazione su: Drancy, 8 febbraio 1943 -Louise Jacobson- (Dal liceo ad Auschwitz)

A partire da questo momento non potrete più mandarmi pacchi. Ne sono contenta. Sono stata pazza a prenderli quando voi avevate da pensare alla mamma e a Gilbert. Mi ero lasciata influenzare. Solo che non potrò nemmeno più ricevere lettere. Adesso tutto funziona diversamente, tutti i fogli devono essere timbrati. Ma non vi preoccupate, penso di potervi scrivere ugualmente e così vedrete che vi scriverò più di voi. Tutto questo grazie alla mia amica. Non vi sto a parlare molto di lei, ma non certo perché di lei non abbia niente da dire. Anzi, mi piace moltissimo. Polacca, bella anche senza trucco e pettinata alla meno peggio, una volontà di ferro. Adora il marito che si chiama Bruno, anche lui simpatico e divertente, ed è dimagrita di otto chili perché il suo mangiare lo dà tutto a lui. E’ una donna straordinaria. E’ molto, molto intelligente, ha un forte senso della giustizia (è lei la vice-capo camera) e io mi sento davvero lusingata dalla sua amicizia. 

-Renzo Mazzetti- (Giovedì 6 Marzo 2014)


FUORILEGGE

(Meditazione su: “Se questo è un uomo” di Primo Levi)

L’anno scorso a quest’ora io ero un uomo libero: fuorilegge ma libero, avevo un nome e una famiglia, possedevo una mente avida e inquieta e un corpo agile e sano. Pensavo a molte lontanissime cose: al mio lavoro, alla fine della guerra, al bene e al male, alla natura delle cose e alle leggi che governano l’agire umano; e inoltre alle montagne, a cantare, all’amore, alla musica, alla poesia. Avevo una enorme, radicata sciocca fiducia nella benevolenza del destino, e uccidere e morire mi parevano cose estranee e letterarie. I miei giorni erano lieti e tristi, ma tutti li rimpiangevo, tutti erano densi e positivi; l’avvenire mi stava davanti come una grande ricchezza. Della mia vita di allora non mi resta oggi che quanto basta per soffrire la fame e il freddo; non sono più abbastanza vivo per sapermi sopprimere. 

-Renzo Mazzetti- (Giovedì 20 Febbraio 2014)


UN VERO UOMO

(Meditazione sulle Sue lettere dal carcere in Regina Coeli Luglio 1943. / – Rinascita 17 Dicembre 1966 – / ).

Per capire capire il mio punto di vista, bisogna che tu comprenda chiaramente che per me non esiste l’uomo astratto, ma l’uomo sociale, storico. Le categorie della verità non sono eterne e statiche, ma storiche, vive, concrete. Quando tu dici per esempio – in forma di interrogazione – che l’uomo può diventare un “vero” uomo svolgendo con fede ed umanità il suo mestiere “esterno”, tu appunto usi ancora un concetto astratto (non storico) e individualistico della moralità. E’ invece giusto l’opposto, che solo essendo un “vero” uomo, si può diventare “veri” anche nell’esercizio d’un mestiere. “Primum vivere, deinde philosophari”: è dalla vita che scaturisce la filosofia, la poesia, l’arte: ma anche tutti gli altri “mestieri” tecnici e scientifici è così. Un “vero” scienziato è prima di tutto un “uomo”, al servizio della sua verità storica. Ciò ti aiuterà anche a capire il mio punto di vista rispetto alle capacità particolari d’un individuo. Certo, io credo alla “specializzazione”, dico solo che deve essere una “specializzazione” della propria “umanità vera”, strettamente in funzione di essa. (In modo concreto: non bisogna lasciarsi gabellare dai “galantuomini” che ti dicono: io sono un uomo onesto, faccio il mio dovere, e così sia.) In quanto alla vocazione, è un altro discorso. Io credo che esistano vocazioni innate, attitudini di natura, eccetera. L’umanità d’un uomo è frutto della società da cui nasce (e che gli dà solo una “vocazione” etica, sentimentale, psicologica) e dell’educazione che dà all’uomo i mezzi tecnici per “specializzare” la propria umanità. La vocazione è un a posteriori, non è un a priori: è la coscienza storica della propria esperienza. Tutto ciò meriterebbe un lungo discorso che è impossibile a farsi. Quanto alla medicina, io condivido l’entusiasmo per lei: ma sono convinto ch’essa non è più “utile” in sé e per sé della chimica o dell’astronomia, o della paletnologia e dell’etnologia o perfino dell’archeologia e della filologia. Le “scienze” non esistono: esiste una solo “scienza” ed è quella “dell’uomo”: è l’umanità (concreta, storica), che si fonda nella medicina, nella filologia o nell’astrologia, che le fa tutte inutili o utili. Perciò io amo con lo stesso entusiasmo tutte le “scienze”, perché amo l’umanità, la vita, e credo nella gioia di vivere: se fossi “morto” invece di essere “vivo” non potrei entusiasmarmi per niente e per nessuno. -Mario Alicata- 

-Renzo Mazzetti- (Giovedì 6 Febbraio 2014)


RADIO SCARPA

(Meditazione su: Ricordo da un racconto di Vasco)

Eravamo arrivati alla Pie’ Vecchia, quando un violento temporale ci rovesciò addosso acqua a catinelle annegando la nostra euforia. Decidemmo di ripararci entrando in una casa. Potente, con buone maniere, convinse i proprietari che, per il bene della patria, il men che potessero fare era di ospitarci, ma nello stesso tempo li avvertì che non avremmo tollerato “tiri mancini”. Riposammo tutta la notte. All’imbrunire del giorno dopo ci rimettemmo in cammino verso la Consuma. Fummo di nuovo sorpresi dal temporale perciò ci riparammo in due baracche diroccate. La mattina mandammo due staffette in esplorazione. Al ritorno riferirono che eravamo vicini al Gualdo. L’accoglienza degli abitanti fu calorosa e fraterna. Finalmente ci riposammo all’asciutto e fu possibile mangiare al caldo qualcosa di cucinato. Mandammo le staffette per verificare la situazione in Pratomagno ma, prima del loro rientro, “Radio scarpa” ci portò brutte notizie. Diceva che la nostra base era stata attaccata di sorpresa e aveva subito gravi perdite. Quando rientrarono le staffette portarono notizie meno drammatiche. Avevano accertato che la nostra base era stata attaccata ma le perdite non erano state gravi. Poi ci spostammo in una zona nascosta in attesa del segnale. Passammo delle giornate inattive ma piene di fame perché le provviste erano finite. Finalmente la marcia riprese. Attraversammo la Consuma seguiti dagli sguardi degli abitanti che ci salutavano tutti sorpresi nel vedere marciare così tanti partigiani. Dopo qualche tempo ci riferirono che si raccontava di mille e più partigiani bene armati e con i mezzi corazzati che erano transitati verso Pratomagno. Era solo una leggenda popolare che però ci rendeva più temuti agli occhi dei tedeschi e dei fascisti.

-Renzo Mazzetti- (Giovedì 30 Gennaio 2014)


CASTELLO DI SAN GIORGIO

(Meditazione su: Carlo  Poma, Martire di Belfiore, anno 1852, Patriota del Risorgimento Italiano)

Lunedì, 5 dicembre di sera. Ecco le ultime linee della mia vita… Domani il mio nome comincerà a perdersi fra gli innumerevoli che sono già dimenticati… Vivrò nell’affetto de’ miei cari, ma tutto viene ad un termine, né però mi sconforto. Sì, qualche cosa di noi dura oltre il sepolcro e durerà quindi anche l’amore… La (mia vita) fu un misto di male e di bene, e se quello fé traboccare la bilancia, la fermezza della mia anima in questi sei mesi la tornò all’equilibrio; non la fermezza di questi ultimi istanti, dico, perché non è gran virtù il disprezzare la morte… Io penso che se non v’è un’altra vita, anche la morte non ha scusa. In tal caso morte non significherebbe che ultimo dolore fisico, appunto perché tale egli suppone la vita. Se poi l’anima è immortale, come sento nel mio cuore essere difatti, la morte ha nulla di terribile, perché sulla terra vi sono più affanni che gioie e in Cielo non ci deve essere che gioia, perché là solo si potrà possedere la scienza e l’amore.

Gran Dio, nel tetro carcere
Dove l’affanno è vita.
Conforta tu quest’anima
A’ cari suoi rapita,
Ch’erge la prece a Te.
-Carlo  Poma-
(Martire di Belfiore, anno 1852, Patriota del Risorgimento Italiano)

-Renzo Mazzetti- (Giovedì 21 Novembre 2013)


BERNARDO

(Meditazione su: Bernardo de Canal da Venezia)

 Nel secondo giorno del Confortatorio, Bernardo scrisse alla madre, al padre, ai fratelli, ed allo zio affettuose lettere, nelle quali, sforzandosi di confortare i congiunti, riaffermava la saldezza dei propri ideali politici e il fervore dei sentimenti religiosi. Sulle pareti del carcere scrisse alcuni versi d’ispirazione manzoniana, e il proprio epitaffio, così concepito: ” Viva l’Italia! ” -Bernardo de Canal da Venezia di anni 28 condannato a morte per causa politica nel dicembre 1852.

-Renzo Mazzetti- (Giovedì 17 Ottobre 2013)


RICONOSCENZA

(Meditazione su: Luigi Martini)

Luigi Martini: ”Mi permetta di baciare la mano che ha scritto i Promessi sposi”. Alessandro Manzoni: ”No, Monsignore, sono io che devo baciare la mano che ha benedetto i Martiri dell’indipendenza nostra”.

Il giusto, il ver,
la libertà sospiro.
-Il  confortatorio  di  Mantova-

-Renzo Mazzetti- (Giovedì 5 Settembre 2023)


PATIBOLI

(Meditazione su: Condannati a morte)

Prima dell’esecuzione, i patrioti condannati a morte erano visitati nelle loro celle dai sacerdoti. L’arciprete della cattedrale, don Luigi Martini raccontò nel ”Confortatorio di Mantova” i suoi colloqui con i condannati negli anni 1851-1853. Significativo è il racconto relativo al patriota don Enrico Tazzoli che fu informato prima di essere impiccato di essere sottoposto anche alla degradazione ecclesiastica da parte del papa. Don Martini lo invitò a sopportare la tragica ulteriore persecuzione ricordandogli l’esempio di Cristo; don Tazzoli rispose che Cristo fu messo in croce dai Giudei, da nemici accaniti ed iniqui; io non posso compararmi all’agnello; nessuno può permettere la violenza dell’oppressore assassino.

PER    LE    STRAGI    DI    PERUGIA
Non più di frodi la codarda rabbia
Pasce Roma nefanda in suo bordello;
Sangue sitisce, e con enfiate labbia
A’ cattolici lupi apre il cancello;
E gli sfrena su i popoli, e la sabbia
Intinge di lascivia e di macello:
E perché il mondo più temenza n’abbia,
Capitano dà Cristo al reo drappello;
Cristo di libertade insegnatore;
Cristo che a Pietro fe’ ripor la spada,
Che uccidere non vuol, perdona e muore.
Fulmina, Dio, la micidial masnada;
E l’adultera antica e il peccatore
Ne l’inferno onde uscì per sempre cada.
-Giosue  Carducci- (anno 1859) 

-Renzo Mazzetti- (Giovedì 20 Giugno 2013)


GUERRINO

(Meditazione su: Sbardella Guerrino, anni 28, operaio tipografo, partigiano delle bande di ”Bandiera Rossa”, fucilato nel febbraio 1944 a Roma)

Angelo, bacia per me mia madre mio padre i miei fratelli anche Evelina e Adalgisa. Di’ a miei amici che si ricordino di me e dei miei figli salutami Walter. -Sbardella Guerrino-

-Renzo Mazzetti- (Giovedì 6 Giugno 2013)


SEMPRE FELICE

(Meditazione su: Mario Alicata: Lettera dal carcere alla moglie, 26 marzo 1943).

L’uomo giusto è sempre felice, e non c’è che una giustizia su questa terra che gli uomini hanno costruito e continueranno a costruire: l’amore e la fede nella ”vita”. Per questo io fino ad oggi sono stato sempre ”felice” e spero e credo che lo sarò sempre. Questo è il mio misticismo: non ti lasciare ingannare se ti vogliono dire che questi sono bei sogni ”di gioventù, ma che la vita, ecc. ecc.”. Io meglio degli altri sono convinto che questa mia ”filosofia” è una filosofia di ”gioventù”. Ma sono anche convinto che proprio la ”gioventù” è la stagione nella quale l’uomo è più vicino alla giustizia e alla felicità (cioè alla ”verità”), perché è quella in cui gli è più facile restare fedele alla sua ”forza vitale”. E che l’uomo è perduto proprio quando non sa più essere ”giovane”, e comincia a disprezzare la verità chiamandola un sogno di gioventù. Gli antichi dicevano che muore giovane chi è caro agli dei: ma sottintendendo che si può morire giovani anche a novant’anni e vecchi a venti. Il mito di Ulisse, di questo vecchio panciuto con l’alito olezzante di cipolle ma con gli occhi furbeschi e ammiccanti il sorriso della gioventù (cioè della verità, della vita), è il mito più santo che l’umanità possegga ed io spero solo questo, che esso sia sempre il mio ”mito”, che io mi conservi sempre così ”giovane” – che anch’io, a cinquant’anni, conservi intatto il mio sogno ”di gioventù”, ”di felicità”. Ecco tutto: credo di averti detto il succo dei miei pensieri, il perché della mia serenità e della mia fiducia. (Mario Alicata: Lettera dal carcere alla moglie, 26 marzo 1943).

-Renzo Mazzetti- (Mercoledì 24 aprile 2013)


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