MEDICI DI BASE E LA RIFORMA
MEDICI DI BASE E LA RIFORMA
(Meditazione su: Atti del seminario su: La riforma sanitaria. Cascina 10 Febbraio 1979 – Scuola regionale “Emilio Sereni”. Partito Comunista Italiano (P. C. I.) Federazione provinciale di Pisa)
L’entrata in vigore della riforma sanitaria pone ai medici problemi di ordine istituzionale e problemi di nuova qualità del lavoro.
L’istituzione del servizio sanitario nazionale infatti implica un processo di socializzazione e di riconversione della medicina di tale portata da mettere in discussione e in prospettiva, da superare rapporti di lavoro, mentalità, abitudini, metodologie, livelli di reddito conquistati e sedimentati in una categoria che finora ha teso, nella sua maggioranza, a difendere il proprio “particulare”, a costituirsi e mantenersi cioè in corporazione.
Non è a questo proposito superfluo ricordare alcuni dati. “La medicina ufficiale si è storicamente organizzata e rafforzata soprattutto contro le assicurazioni sociali che hanno determinato progressivamente un condizionamento della natura privatistica del rapporto fiduciario medico – malato e si è strenuamente battuta in difesa del mito della libera professione. Nel 1919 sorse un sindacato autonomo dei medici liberi professionisti contro la legge riguardante l’assicurazione contro le malattie, colpevole di tendere all’impiegatizzazione del medico.
Nel 1931 il sindacato nazionale fascista dei medici prese posizione contro la diffusione delle mutue viste come “fenomeno sociale che può intaccare la stessa vita morale e materiale dei medici”.
Nei primi anni del dopoguerra, i convegni in difesa della libera professione medica rappresentavano la corporazione come San Giorgio che uccide il drago (la mutualità); in essi si predicava che “la medicina socializzata distruggerebbe la vitale relazione che esiste tra medico e ammalato” e che “la distruzione della libera iniziativa diventerà una tragedia per tutta l’umanità”.
In anni più recenti questi temi non si sono esauriti, anche se si sono tradotti in linguaggi meno rozzi e mascherati dietro affermazioni di principio dirette in altro senso.
Tutto sommato il rapporto fiduciario di natura privatistica, sebbene meno credibile e meno creduto di prima, ha continuato ad essere la base della struttura sanitaria in Italia.
Ed anche se i medici si sono sentiti oppressi dalla burocrazia delle mutue, non per questo sono divenuti operatori sociali.
Tutto questo per dire che la costruzione di un effettivo sistema di sicurezza sociale non può prescindere e deve fare i conti con questi orientamenti stratificati; così come deve fare i conti con gli orientamenti politici prevalentemente indirizzati verso i partiti di centro – destra (cfr. per es. i deputati: su 27 deputati medici, 17 sono D. C. (Democrazia Cristiana), 7 P. C. I. (Partito Comunista Italiano), 2 P. R. I. (Partito Repubblicano Italiano), 1 M. S. I. (Movimento Sociale Italiano); così come deve fare i conti con il fatto che l’origine sociale degli studenti di medicina, nonostante la liberalizzazione degli accessi universitari, vede tuttora una percentuale inferiore al 10 per cento di figli di operai o lavoratori manuali dipendenti.
Tenuto conto di questi elementi non si può che dare un giudizio positivo sui punti cardine della Convenzione Nazionale Unica per la disciplina normativa e per il trattamento economico dei medici generici e pediatri, siglata il 31 Maggio 1978 e recepita nell’art. 48 della riforma.
Infatti la Convenzione, pur disciplinando ancora un rapporto di lavoro tra strutture pubbliche e liberi professionisti, pone alcuni seri limiti ad un esercizio indiscriminato della libera professione.
Intanto l’introduzione di un rapporto ottimale medico / utenti e di un rapporto massimale (anche se quest’ultimo è molto più consistente del primo) può avere lo scopo di operare una redistribuzione territoriale del numero dei medici ed una conseguente riduzione dell’iperconsumismo sanitario, direttamente proporzionale in questi anni all’addensamento dei medici.
Inoltre il rapporto ottimale dovrebbe porre su basi più serie il rapporto di fiducia del medico – paziente e dovrebbe consentire, insieme alle norme sull’aggiornamento obbligatorio, un processo di riqualificazione professionale finora impedito dall’attivismo frenetico del medico che in media faceva dalle 40 alle 70 visite al giorno.
Un altro elemento molto importante è il passaggio al sistema di pagamento a quota capitaria: l’esser riusciti a imporre ai sindacati medici la rinuncia al sistema di pagamento a notula, responsabile della superricettazione che si tramutava in guadagni direttamente proporzionali al numero di prescrizioni, è senz’altro un fatto molto positivo che tende a un contenimento dei livelli di reddito che sfioravano il privilegio.
Non per nulla molti medici hanno cominciato una campagna di disinformazione dell’opinione pubblica, lamentandosi con i pazienti perché per assisterli essi sono ricompensati con la misera cifra di 20.000 lire annue. Naturalmente questi “professionisti” si guardano bene dal comunicare a questi stessi pazienti che le misere 20.000 lire annue vanno moltiplicate per il numero di 1.500 assistiti o in certi casi (viste le deroghe in vigore fino al 31 Dicembre 1980) 2.300 assistiti, risultano rispettivamente 30 milioni 0 46 milioni annui, cifre tutt’altro che disprezzabili.
C’è da aggiungere che il passaggio al sistema a quota capitaria comporta effetti positivi anche in campo fiscale: infatti questo sistema si fonda su un controllo alla fonte del reddito dei medici e quindi determinerà una forte riduzione dell’area di evasione fiscale proliferata durante il sistema precedente a tal punto che da alcune statistiche risulta che la maggioranza dei medici denuncia guadagni inferiori ai 12 milioni di lire annui e una percentuale considerevole denuncia addirittura guadagni inferiori a 2 milioni di lire annui.
Altro elemento positivo da registrare sono le incompatibilità assolute o parziali tra attività medico generica ed altri rapporti di lavoro, a tempo pieno o definito, svolti presso Ospedali, Università ed altri Enti pubblici. Una volta applicato (e non è detto che ciò avvenga in maniera scontata) determineranno un inizio di moralizzazione in questo settore, dove il doppio e triplo lavoro sono stati finora una norma per molti.
Inoltre le incompatibilità potranno aprire margini di occupazione per i giovani medici, una questione che non è più da trascurare in quanto la difficoltà a trovare un impiego, di cui si erano già avuti i primi segni negli anni scorsi, è stata evidenziata drammaticamente dalla convenzione a causa delle graduatorie a numero chiuso.
Di questo disagio che c’è tra i giovani medici si è avuta una risonanza pubblica nella nostra provincia quando è stato attuato lo sciopero della guardia medica per protesta contro la delibera regionale che, pur giustificata dal tetto di fondi disponibili, sanciva una riduzione delle unità di guardia e determinava la sicura disoccupazione per centinaia di giovani medici.
Questa iniziativa ha dimostrato l’urgenza per il Partito di affrontare il problema dell’occupazione giovanile anche in questo campo: infatti questa massa di giovani (si calcola che siano il 30 per cento dei circa 40.000 medici italiani), destinata ad accrescersi nei prossimi anni, ha oggettivamente interessi che stanno diventando inconciliabili con quelli dei medici con un grosso numero di assistiti, ma è tuttora soggetta alle istanze corporative e può diventare una massa di manovra utilizzabile per giochi politici contro la sinistra, anche se non sono state molte, tuttavia nelle assemblee all’Ordine dei Medici si sono registrate alcune voci contro la Regione identificata nel “nuovo padrone”, contro i partiti di sinistra ritenuti responsabili della liberalizzazione degli accessi universitari e quindi delle difficoltà occupazionali odierne.
Poiché questi giovani non sono ancora caduti del tutto sotto l’egemonia corporativa dell’Ordine (ricordiamo del resto un dato: alle elezioni universitarie del 2975 e 1976 la lista di sinistra ottenne il 70 per cento dei voti fra gli studenti di medicina), molto degli orientamenti futuri può dipendere dalle risposte che la Regione darà ad es. sul numero di posti di guardia medica, sull’applicazione integrale delle incompatibilità.
Questo argomento si connette al secondo ordine di problemi citato all’inizio, quello cioè di un rinnovamento qualitativo della professione.
Infatti uno dei punti che lascia perplessi è l’art. 43 della Convenzione laddove stabilisce che siano affidati ai medici iscritti negli elenchi i seguenti servizi: di maternità, infanzia, ed età evolutiva; di prevenzione connessa ai rischi dell’ambiente di lavoro; di assistenza agli anziani; di medicina sportiva; di educazione sanitaria.
La perplessità nasce dal fatto che questi servizi corrispondono alle esigenze di un nuovo approccio alla medicina, che privilegi l’aspetto preventivo – sociale dell’atto medico rispetto allo aspetto curativo – individuale.
Siamo sicuri che sia pienamente riconvertibile il mutualista abituato da sempre a una certa metodologia e a una certa pratica, che magari vede nell’attività in questi servizi soprattutto la possibilità di un arrotondamento di guadagno; oppure non è preferibile puntare già da adesso su medici non sclerotizzati e quindi più plasmabili e più disposti a un contatto e un lavoro insieme a gruppi di utenti, a forze sociali, a Enti locali?
Su questo terreno si gioca anche il destino del rapporto di lavoro a convenzione.
Nl 1973 nella nostra proposta di legge di riforma sanitaria si proponeva di istituire il ruolo unico regionale del personale del Servizio Sanitario Nazionale (S. S. N.) e si prevedeva in una fase transitoria la possibilità di istituire convenzioni con sanitari esterni, finché il Servizio Sanitario Nazionale (S. S. N.) non fosse stato in grado di assolvere integralmente ai propri compiti con proprio personale.
Nel testo di riforma approvato, l’elemento di transitorietà è andato perso, tanto che vengono delineati due tipi di rapporto di lavoro: un rapporto di dipendenza diretta che coinvolge i funzionari delle disciolte mutue e gli attuali dipendenti degli Enti Locali (EE. LL.) ; e un rapporto di convenzione che interessa la stragrande maggioranza dei medici ex mutualisti.
Ciò rischia di codificare una dicotomia tra medicina pubblica e medicina semi – pubblica, tra medici addetti alla prevenzione e alla medicina di gruppo e medici addetti alla cura e alla medicina individuale, laddove uno dei compiti che noi abbiamo sempre ritenuto che la riforma dovesse assolvere è quello della ricomposizione unitaria dell’attività medica in un quadro di lavoro di èquipe e di mobilità del personale.
Il compagno Scarpa, in un seminario sul distretto sanitario svolto as Arezzo sabato scorso, sosteneva in risposta all’obiezione che il Partito si occuperebbe in questa fase principalmente del contenitore istituzionale della riforma, che ciò è determinato dall’accavallarsi di scadenze legislative e amministrative e che, comunque, un buon contenitore può condizionare positivamente il contenuto.
Se questo è vero, bisogna però anche dire che il terreno del contenuto della riforma non può essere rinviato totalmente alla fase in cui le scadenze amministrative più importanti siano state superate.
E’ necessario infatti che si eviti il pericolo di far diffondere tra i cittadini l’idea che al di là del passaggio dell’assistenza alle Regioni e delle code fatte per scegliere il medico non cambi niente. Bisogna che il Partito tutto e in particolare le Sezioni territoriali sviluppino iniziative, organizzino dibattiti, contribuiscano al rinascere di una funzione ideale di rinnovamento un po’ appannatosi dopo gli anni 1968 – ‘71.
Il destino vero della riforma si gioca infatti nella costruzione del distretto sanitario di base: a questo livello si misurerà infatti l’intreccio tra organizzazione gestionale, erogazione di un servizio diverso, partecipazione dei cittadini.
Compagni, la riforma sanitaria è una delle prime “riforme di struttura” conquistate dal movimento operaio in decenni di lotte.
Dal modo come si attua, specialmente nelle Regioni governate dalle sinistre, può venire un contributo all’approfondimento delle questioni che sostanziano il dibattito sulla “terza via” di avanzata verso il socialismo.
-Renzo Mazzetti- (Giovedì 30 Novembre 2023 h.14,14)
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-Renzo Mazzetti Bambino- (Giovedì 30 Novembre 2023)
categoria: fantascienza, filosofia, ironia, poesia, dimenticanze tra le righe.
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