BERLINGUER POETA
BERLINGUER
POETA
Enrico
Berlinguer cinque anni dopo la sua morte: c'erano molti modi
possibili per ricordarlo. Potevamo rievocare la commozione e il
dolore con cui una grande parte del popolo italiano si strinse
intorno a lui nei giorni dell'agonia; l'indimenticabile fiume di
donne e di uomini che lo accompagnò per l'ultima volta per le strade
di Roma. Abbiamo fatto una scelta diversa. Una scelta che si rivolge,
in primo luogo, a una generazione nuova che non fu partecipe, se non
marginalmente, di quella emozione, né della lunga stagione politica
di cui Berlinguer fu protagonista. Questa generazione si affaccia
oggi sulla scena della vita politica e civile dell'Italia con i
tratti di una identità nuova. Gli anni della egemonia
neoconservatrice hanno lasciato certo il segno, ma i giovani appaiono
i più pronti a captare gli elementi di novità. L'aspirazione alla
pace e al disarmo, a nuove relazioni umane, la difesa dell'ambiente
naturale come condizione per una vita migliore, un forte senso di
solidarietà che non sopprime la dimensione dell'individuo e delle
sue libertà. Tutto ciò tende ad una visione diversa della politica,
appare come una sfida culturale a vecchie concezioni, al modo di
essere dei partiti e delle istituzioni. Che cosa può dire oggi
Berlinguer a questa generazione? E' sempre molto difficile pretendere
di separare ciò che è vivo e ciò che è superato nella
elaborazione politica e intellettuale di un leader dalla personalità
così forte come è stato Enrico Berlinguer. Tanto più nel momento
in cui il PCI è impegnato nella ricerca di un nuovo corso politico e
culturale che segna una discontinuità anche rispetto alla visione e
alla esperienza politica di Berlinguer. Non c'è dubbio che su
questioni essenziali la elaborazione e la proposta dei comunisti
italiani si è spinta ormai oltre Berlinguer. La mia opinione è che
la questione oggi cruciale di un rinnovamento del sistema politico
italiano imperniato sulle regole e sulle condizioni per una
democrazia dell'alternanza sia al di là non solo, come è ovvio,
della idea berlingueriana del compromesso storico, ma anche del modo
in cui egli avanzò la proposta dell'alternativa democratica. Come
pure lungo il cammino che egli aprì di un più forte radicamento del
PCI nel movimento operaio dell'Europa occidentale, la nostra politica
si muove oggi oltre la ricerca di una terza via e guarda alla
prospettiva del confluire dei comunisti italiani in una rinnovata
sinistra europea. Nulla è dunque più lontano dallo spirito del
nuovo corso della pretesa di
limitare la ricerca e la proposta del PCI entro i confini della
elaborazione di Berlinguer. Eppure non sarebbe neppure pensabile un
nuovo PCI senza Berlinguer, senza la sua lezione umana e
intellettuale, il coraggio e il rigore che egli impresse al
rinnovamento delle nostre idee, le direttrici nuove di ricerca e di
azione che egli seppe aprire. Quando, con una di quelle affermazioni
icastiche, aspre, enigmatiche che tanto facevano discutere,
Berlinguer parlò del PCI come di una forza conservatrice e
rivoluzionaria, egli ci offrì una chiave di interpretazione
anzitutto della sua personalità. Della tensione e del travaglio di
un uomo che non smarrì mai il legame con la tradizione comunista,
con un insieme di valori, con un modo di concepire e di vivere la
politica che erano propri di quella tradizione. Ma anche nello stesso
tempo seppe intuire e prospettare con grandissimo coraggio e onestà
intellettuale i cambiamenti che erano necessari , le rotture, i salti
di qualità. Solo così si può intendere il carattere di un uomo
che, vincendo il pudore, confessava con sincera semplicità il suo
orgoglio per essere rimasto fedele ai suoi ideali di
gioventù; un uomo che parlando
delle scelte della sua vita diceva io non ho fatto la
scelta della politica; ma quella della lotta per la realizzazione
degli ideali comunisti.
Quest'uomo seppe, al tempo stesso, vedere e denunciare, con spirito
di verità e fermezza, la crisi del movimento comunista, l'esaurirsi
della forza propulsiva [di rinnovamento]
di tutta una fase storica della esperienza del movimento operaio e
rivoluzionario. Certo ciò disvela il senso degli ideali comunisti
dai quali Enrico Berlinguer si sentì animato nella sua vita e nelle
sue battaglie. Esso non coincideva certo con il carattere sistemico e
dogmatico dei canoni del cosiddetto comunismo scientifico; quanto
invece con una idea della libertà come liberazione umana da ogni
forma di oppressione e di sfruttamento, come bisogno di giustizia e
di eguaglianza, come arricchimento morale e intellettuale. In
Berlinguer questa idea del comunismo non derivava soltanto dalla
tradizione italiana, dalla lezione di Gramsci, pure decisiva per
comprendere la sua ispirazione, ma insieme da una sua personale
lettura di Marx, dall'influenza che su di lui avevano esercitato,
come egli stesso rivelò, gli scritti giovanili di Marx, con la loro
impronta individualistica e libertaria. Credo che questo aiuti a
comprendere il fascino e la modernità del comunismo di Enrico
Berlinguer; la forza di attrazione di un ideale di liberazione umana
capace di proiettarsi nel futuro oltre la pietrificazione e la crisi
delle forme storiche in cui l'esperienza comunista si è realizzata.
Questo è il Berlinguer che può parlare alla nuova generazione di
oggi. L'uomo che seppe riconoscere un bisogno di comunismo nel
movimento di liberazione delle donne e nella rivolta dei giovani. Il
leader che non attese Gorbaciov né gli studenti della Tian An Men
per proclamare la necessità di una riforma democratica del
socialismo reale e che
nel grigiore della Mosca di Breznev affermò il valore universale
della democrazia. Il primo importante dirigente politico
dell'Occidente che contro una cultura industrialista e contro il
determinismo tecnologico ha dichiarato la crisi di un modello di
sviluppo e posto il problema di una crescita compatibile con le
ragioni dell'uomo e dell'ambiente naturale. Questi scritti che oggi
l'Unità pubblica ripropongono alcuni passaggi cruciali di questa
battaglia. Sono scritti, interventi, interviste nei quali si può
leggere anche il travaglio, la fatica delle scelte innovative, il
bisogno di coerenza, il fastidio per le mode, il rifiuto di facili
trasformismi. Anche in ciò si racchiude la moralità di Berlinguer
che rimane un tratto profondissimo della sua lezione. La trasparenza
di un uomo che ha saputo umanizzare la politica proprio perché l'ha
vissuta e l'ha mostrata come passione, sofferenza, fermezza di
convinzioni, dubbio, travaglio personale. Mai come tecnica,
manipolazione delle coscienze, scienza del potere. Qualche tempo fa
Roberto Benigni ad Enzo Biagi, che gli chiedeva perché avesse voluto
bene a Berlinguer, lui che di regola prende in giro i politici, ha
risposto: Berlinguer non era un politico, era un poeta.
Certo questo paradosso illumina solo una parte della verità; ma una
parte importante. Quando Berlinguer morì si affermavano negli altri
partiti altri protagonisti, che hanno poi tenuto la scena in questi
anni. Questi uomini hanno impersonato la grande rivincita della
tecnica sulla umanità della politica; la rivincita dell'astuzia
sulla intelligenza; dell'arroganza del potere sulla fermezza di chi
lotta per i propri ideali. Forse sarò ottimista, ma penso che
l'epoca di questi uomini volga ormai al tramonto. Comunque quanti
vorranno impegnarsi perché sia così, possono trovare nelle parole
di Enrico Berlinguer, se non una risposta a tutti i problemi di oggi,
certamente lo stimolo a lottare e a pensare in modo nuovo.
(Meditazione su:
“Il comunismo di Enrico
Berlinguer”. Introduzione di Massimo D'Alema in attualità e
futuro, supplemento all'Unità, anno
1989).
L'IDEALE
Il numero degli anni non determina
il superamento dell'Ideale.
E' l'Ideale che scandisce anche il tempo
e il tempo è continuamente vecchio e superato.
-Renzo Mazzetti-
("Verso Levante" Poesie del mio autunno caldo. Impresso in Bologna nel 2009).
categoria: fantascienza, filosofia, ironia, poesia, dimenticanze tra le righe.
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Marx e Engels: “La nostra teoria non è un dogma, ma una guida per l'azione”.
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