OLOF PALME (IL TESTAMENTO)

 

venerdì, 3 gennaio 2020







OLOF PALME (IL TESTAMENTO)

Le teorie dei cicli politici hanno riscosso notevole popolarità presso numerosi storici. L’eminente storico americano, nonché mio caro amico, Arthur M. Schlesinger è in procinto di pubblicare un libro sull’argomento. Ho letto parte del manoscritto e sono certo che stimolerà un ulteriore dibattito.

Schlesinger cita suo padre il quale affermava di essere in grado di distinguere tra periodi conserva- tori e radicali o “tra periodi in cui prevale l’interesse per i diritti dei pochi e periodi in cui prevale l’interesse per le ingiustizie a danno dei più”. La tesi che vorrei qui esporre è che potremmo presto uscire da un periodo dominato dall’ ”interesse per i diritti dei pochi” per entrare in una fase di “interesse per le ingiustizie dei più”. In trent’anni di attività politica di queste svolte ne ho viste più d’una.

Quando, nei tardi anni 40, cominciai a interessarmi di politica, la sinistra europea era forte, e i tradizionali rapporti di potere venivano fortemente messi in discussione. Dopo la seconda Guerra mondiale la gente voleva farla finita con la miseria e votava per i partiti che si battevano per la piena occupazione e l’assistenza sociale. Perfino Winston Churchill dovette imparare la lezione, quando i reduci gli votarono contro costringendolo ad abbandonare l’incarico. Tuttavia negli anni 50 seguì una brusca sterzata a destra. Fra le cause vi fu probabilmente un certo senso di stanchezza. Dopo gli enormi sforzi della ricostruzione nel dopoguerra, molti cominciavano a desiderare vantaggi personali dalla migliorata situazione economica. Volevano insomma che gli effetti della ricostruzione si riflettessero anche sui loro portafogli e sui loro consumi individuali. Gli anni della guerra e dell’immediato dopoguerra avevano creato un’immensa domanda inevasa di consumo che ora voleva essere soddisfatta. I negozi erano pieni di nuovi articoli di consumo, dai frigoriferi alle lavatrici, dalle automobili alle calze di nylon.

Il clima era dunque favorevole a quei politici che dicevano all’opinione pubblica: vi renderemo liberi. Pagherete meno tesse e avrete più beni di consumo. E che aggiungevano: la vita è migliore con i conservatori. Fu così che un’ondata conservatrice, sia pure morbida, attraversò numerosi paesi del mondo industrializzato. Figure come Eisenhower, Menzies e Macmillan ne furono i simboli. I nuovi sistemi di assistenza sociale non vennero smantellati, né la meta della piena occupazione messa in discussione. Ma le priorità slittarono dal bene collettivo al perseguimento dell’interesse privato individuale. Negli anni 60 le priorità cambiarono ancora. La scena politica fu dominata dall’attenzione ai problemi di pubblico interesse, la guerra e la pace, una maggiore eguaglianza e partecipazione nelle decisioni e nell’attivismo politico. I sistemi assistenziali e i più elevati consumi individuali non bastavano più a risolvere i problemi e a soddisfare i desideri dei lavoratori dell’industria. Durante un periodo di rapida crescita si creò il settore pubblico e il moderno Stato sociale venne migliorato in molti nostri paesi. Perfino negli Stati Uniti, Kennedy e Johnson lanciarono una “guerra contro la miseria” e proclamarono l’era della “Grande Società”. Negli anni 70 la marea conservatrice ci ha sommerso. In parte a causa delle frustrazioni provocate dagli eccessi dell’ultrasinistra negli anni 60, ma soprattutto a causa delle crisi economiche seguite al boom dei prezzi petriliferi. L’ideologia neoconservatrice attribuiva ogni colpa dei problemi economici al Keynesismo e all’economia mista. Ricordo la spavalda affermazione di un certo professor Engels durante una conferenza a Melbourne nel ‘76: ”Keynes è morto”, proclamò. Lo Stato sociale era accusato di aver impoverito il settore privato, le politiche distributive egualitarie erano accusate di aver disinnescato la molla del profitto, vera forza trainante del capitalismo. I sindacati forti erano definiti come “imperfezioni del mercato” che avevano amputato la libertà delle imprese.

La conclusione dei neoconservatori era che bisognava restaurare un’economia di mercato libera e competitiva che lo Stato sociale andava in larga parte smantellato. L’ideologia conservatrice si esprimeva in questa fase in modo molto più aggressivo e progettuale rispetto agli anni 50, e i risultati di quest’ondata conservatrice li vediamo nelle statistiche sulla disoccupazione europea.

E’ ovvio che ricercare delle spiegazioni generali per svolte politiche come quelle descritte sia un’affascinante sfida intellettuale. Un paio di anni fa ho letto il libro “Shifting Involvements” di Albert Hirschman. Questi sostiene di aver scoperto un’alternanza fra la ricerca della felicità collettiva e individuale. Hirschman costruisce un ciclo “pubblico-privato” nel quale la società oscilla tra stagioni tutte volte all’azione collettiva e al pubblico interesse e stagioni volte invece al perseguimento privato di interessi materiali individuali.

Nell’ipotesi di Hirschman, a svolgere un ruolo importante sarebbe una presunta base ciclica della psicologia umana. Gli esseri umani sono creature caratterizzate da insoddisfazioni intrinseche e inestinguibili. I bisogni sono indeterminati e dunque mai totalmente in grado di essere soddisfatti. Hirschman cita l’osservazione di Kant: “Date a un uomo tutto ciò che egli desidera e in quel preciso momento avvertirà che questo tutto non è tutto”.

La delusione è la malattia universale dell’umanità. Quindi è anche la malattia universale della politica e, secondo Hirschman, una molla fondamentale del cambiamento politico. In democrazia, la politica è in ultima analisi la ricerca dei rimedi. In una nazione in cui i cittadini scelgono i propri dirigenti, questi dovono giustificare il proprio ruolo affrontando, vincendo i problemi del loro tempo. “La politica, in ultima analisi”, dice Schlesinger “è l’arte di risolvere i problemi”.

E’ questo, secondo Hirschman, a provocare i cicli politici. Ogni era politica, dominata o dall’interesse pubblico e da quello privato, arriva prima o poi a scontrarsi con problemi che non è in grado di risolvere e con ciò, inevitabilmente, genera disillusione inducendo un forte desiderio di novità.

Ciascuna fase crea le proprie contraddizioni. L’azione collettiva nella sua ricerca di una società egualitaria, di solito acumula numerosi cambiamenti in rapida successione. Dopo un po’ di tempo, il pubblico sente il bisogno di digerire. Un’azione collettiva con andamento sostenuto è logorante dal punto di vista emotivo.

La capacità di una nazione di immergersi in un impegno politico di grande tensione è limitata, affermano Schlesinger e Hirschman. La natura impone delle pause. La gente non vuole più saperne di costringersi a sforzi eroici; preferisce disinteressarsi degli affari pubblici; immergersi nel privato. Stanca dell’incessante impegno nel paese, delusa dai risultati, cerca un intervallo di riposo e recupero.

Così l’azione collettiva, la passione, l’idealismo, il rinnovamento regrediscono. I problemi pubblici vengono consegnati alla mano invisibile del mercato. Entriamo in un periodo di “privitizzazione”, di accumulazione, di materialismo, edonismo, cinismo, ma spesso anche di religiosità. E sono anche periodi di preparazione a una nuova svolta politica in avanti.

Per citare Schlesinger: “Ogni epoca di predominio dell’interesse privato è caratterizzata da correnti sotterranee che acquistano forza gradualmente, correnti di insoddisfazione, critica, fermento, protesta. Segmenti della popolazione restano indietro nella corsa all’accumulazione. Gli intellettuali si estraniano. Problemi rimossi diventano acuti nel regno dell’interesse privato, minacciano di diventare incontrollabili, esigono rimedi. La gente si stanca dei motivi e dei punti di vista egocentrici, delle aspirazioni in doppiopetto, delle finalità materiali della vita. Vuole che le siano date proposte e significati più ampi. Comincia a chiedere non ciò che il suo paese può fare per essa, ma ciò che essa può fare per il proprio paese. La vacanza dalle pubbliche responsabilità ricarica l’energia nazionale e le sue batterie. La gente è pronta per un nuovo appello. Un problema esplosivo, che cresce minaccioso al di là delle possibilità di soluzione del mercato e delle sua mani invisibili, conduce infine a una rottura e all’inizio di una nuova era politica”.

Vorrei fare due osservazioni su questa ipotesi. In primo luogo, credo che i popoli europei comincino ad essere “pronti per un nuovo appello”. Il “problema esplosivo” è chiaro quale sia: la disoccupazione di massa e i disagi sociali da essa provocati.

I primi sintomi del prossimo passaggio a una nuova era politica di azione collettiva sono chiaramente visibili. Vediamo un crescente numero di persone mettere in discussione la politica e l’economia di un sistema che ha creato venti milioni di disoccupati nel nostro continente. Vediamo diffondersi la protesta contro il razzismo e la xenofobia provocati dalla disoccupazione. Il movimento antirazzista “Touche pas à mon pote” sta diventando un movimento di massa. E nelle recenti elezioni politiche in Westfalia, in Grecia, in Italia, in Norvegia, in Danimarca e in Svezia abbiamo potuto assistere a successi dellla sinistra e ad arretramenti della destra.

La seconda osservazione è questa. L’ipotesi ciclica non è necessariamente un’ipotesi di rotazione intorno a una posizione di equilibrio. Al contrario, io vedo un chiaro indirizzo sotteso allo sviluppo storico dei nostri paesi. Naturalmente sono periodi di azione collettiva ad aver scandito il ritmo, ad aver aperto nuove frontiere. I periodi di azione privatistica sono stati in generale delle semplici pause o fasi di riposo. A volte le innovazioni del periodo precedente sono state messe in discussione come negli anni 70, ma più spesso si è trattato di periodi di consolidamento nei quali assorbire e legittimare i progressi acquisiti prima.

L’esperienza dimostra anche che è molto difficile rinunciare ai progressi ottenuti nei periodi più radicali. Negli Stati Uniti l’amministrazione repubblicana sembra fallire nel suo tentativo di ridimensionare il sistema ssistenziale, e anche il governo “tory” in Gran Bretagna sembra aver fallito nel suo progetto di taglio della spesa pubblica.

Anche qui in Svezia, l’attacco neoconservatore allo Stato assistenziale è stato respinto nelle ultime elezioni, quando i conservatori hanno dovuto mettere le carte in tavola e spiegare, al di là della retorica, la loro reale politica. E’ stata una grande vittoria, non soltanto per il movimento laburista svedese ma anche, io credo, per tutte le forze progressiste in Europa.

Forse non dovremmo dare troppa importanza a questa ipotesi storica, e in un certo senso piuttosto speculativa, dei cicli politici. Soprattutto, non dobbiamo darla per scontata e attendere passivamente gli sviluppi. Tuttavia, è sorprendente come essa calzi bene all’attuale scenario europeo. (Meditazione su: La svolta che prevedo per l’Europa di Olof Palme, Gennaio 1986, International Center of the Swedish labor movement).

EUROPA CHA-CHA-CHA (CANZONE) - parte tratta da ELDORADO D'EUROPA -

La procedura-la procedura, la procedura

Europa-Europa, Europa che ne fa?

Europa-Europa, Europa cha-cha-cha,

Europa-Europa, Europa cha-cha-cha.

A noi conviene, a noi conviene

andar via di qua, andar via di qua?

Europa-Europa, Europa cha-cha-cha, …


Vedi:

NILDE JOTTI A PERTINI




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