NILDE JOTTI A PERTINI
venerdì, 13 dicembre 2019
NILDE JOTTI A PERTINI
La vita, l’opera tutta di Sandro Pertini – di cui abbiamo
appena festeggiato i 90 anni – hanno una ispirazione costante: il legame
indissolubile tra libertà e giustizia sociale, tra i diritti fondamentali e
inalienabili degli uomini e le conquiste di emancipazione e progresso che fanno
più giusta ed equa la società. In questo nesso, vissuto da Sandro Pertini
sempre con grande consapevolezza e passione, vi è anche un retaggio
fondamentale della tradizione socialista italiana che animò le prime grandi
lotte sociali di fine secolo e che ispirerà l’opposizione al fascismo giungendo
fino alla nuova Costituzione repubblicana. La convinzione che le grandi
questioni di libertà camminano e avanzano insieme a quelle della giustizia e
della eguaglianza costituisce poi una premessa teorica e politica della
concezione di democrazia che, certo gradualmente e con difficoltà non lievi da
superare, si è affermata proprio negli anni della resistenza al fascismo e ha
costituito l’elemento unitario di fondo, direi non corrodibile, delle forze
politiche della sinistra del nostro paese. Una concezione della democrazia che
ha al centro l’uomo nella sua dimensione storica e reale, una concezione che
esprime una forma alta di “umanesimo” – mi si consenta questa parola -, un
umanesimo in cui la “ragion politica”, anche la più nobile, non si sovrappone
mai, non cancella mai le esigenze, le attese, le aspirazioni degli uomini in
carne ed ossa, cioè nella condizione reale del loro sviluppo politico e
sociale. Di questa forma di umanesimo Pertini è stato sempre un propugnatore
tenace e un maestro. In questo, credo sia giusto dirlo, c’è stato un
insegnamento importante in tutti questi anni anche per noi. Un insegnamento
accolto e rivissuto in una lotta politica reale che ha consentito di sentire
sempre Sandro come un combattente che, con la sua inalterata fedeltà ideale e
politica, sta da questa parte della barricata, dalla parte dei lavoratori e
delle battaglie democratiche. Se ripercorriamo gli anni che vanno dal suo primo
arresto (1925) e processo, alla coraggiosa vicenda dell’espatrio di Turati –
che Pertini accompagna in Francia -, all’esilio e poi al ritorno in patria
(1929) con il carcere e il confino fino all’eroica partecipazione alla lotta di
Liberazione, riconosciamo in lui una nozione salda di democrazia che guida la
sua azione e sostiene la sua battaglia e i suoi sacrifici. Una democrazia che
non è un modello astratto ma si costruisce nelle esperienze reali di milioni di
uomini e di donne, che è fatta di ideali e di sentimenti, di regole e principi
irrinunciabili e di attenzione al nuovo, a quello che cambia e matura nella
coscienza di ognuno e soprattutto nell’animo dei giovani. Un bisogno quindi di
stare con la gente, vivendone situazioni, problemi e speranze. Per questo
nell’esilio Pertini non farà solo lavoro politico ma farà anche – lui, un
intellettuale, un avvocato destinato a una brillante carriera – il pulitore di
macchine e l’imbianchino; per questo – da un certo punto in poi – vivrà lo
stesso esilio come un limite troppo grande, un distacco troppo forte (dirà al
limite dell’inutilità) con il suo paese, con quello che sta provocando il
fascismo nella coscienza nazionale. Questo punto di partenza credo abbia anche
dato sostanza alla particolare sensibilità di Sandro Pertini per il grande tema
delle relazioni internazionali, della pace e del disarmo, del diritto di ogni
popolo alla sua indipendenza e al suo sviluppo. Per questo, i suoi gesti e le
sue parole, soprattutto come presidente della Repubblica, nelle varie occasioni
e sedi anche internazionali, sono giustamente apparse ai cittadini e ai governi
come autentico impegno, volontà effettiva del nostro paese e dei suoi dirigenti
di operare in un modo nuovo e senza preconcetti per rapporti di amicizia e di
pace tra i popoli.
Per combattere le battaglie di democrazia e di progresso, per cambiare le condizioni della nostra società e del paese Pertini avverte sin dalla giovinezza che è necessario stare dentro un’organizzazione collettiva. Lì l’elaborazione e il confronto delle idee, quando diventano un patrimonio comune, hanno la forza di incidere nella realtà. Lì il contributo del singolo cessa di essere una spinta individuale, pure nobile e importante, e diviene, arricchita e moltiplicata, una forza collettiva. In Pertini c’è – ci sarà sempre – l’orgoglio di essere socialista. Una scelta fatta in anni lontanissimi e che non potrebbe mutare se non al prezzo più grave: il tradimento di se stesso e, per dirla con una parola a lui cara, della sua fede. Qui voglio ricordare un episodio, pur noto, che travagliò nel profondo il suo animo e che ci testimonia la sua straordinaria vicenda politica e morale. Quando era nelle durissime carceri fasciste, in gravi condizioni di salute, la madre – verso cui Sandro ha avuto sempre un profondissimo affetto – inoltrò una domanda di grazia. Ecco allora la sua lettera al presidente del Tribunale speciale per rifiutare questa iniziativa:”Sento che macchierei la mia fede politica che più di ogni cosa, della mia stessa vita, mi preme”. E poi un’altra lettera alla madre in cui, con grande sofferenza personale, Sandro spiega come quel gesto colpirebbe tutta la sua vita: “Come si può pensare che io, pur di tornare libero, sarei pronto a rinnegare la mia fede? E privo della mia fede, cosa può importarmene della libertà?”. Ecco, questo è Pertini: con il suo attaccamento agli ideali politici, al suo partito. E proprio questo suo rigore intellettuale e morale gli ha consentito di rimanere sempre profondamente libero e coerente – qui sta il suo insegnamento – anche di fronte al proprio partito, alla cui vita e iniziativa ha portato un contributo ricco e autonomo che non ha significato mai appiattimento o conformismo. E’ aperto da tempo un dibattito sui partiti, sul loro ruolo e sul rapporto che essi stabiliscono con la società: ci sono critiche e denunce, molto spesso motivate, di caduta di tensione ideale, di capacità di indicare progetti. Trovo che un punto fondamentale sia anche e proprio nel carattere della militanza politica, cioè nella capacità del singolo di non trasformarsi in rotella di un apparato burocratico e di difendere una propria autonomia di giudizio e di valutazione. Questo non significa individualismo, piuttosto consapevolezza che dire quel che si pensa, confrontarlo con gli altri, e lottare per affermarlo, finisce per essere un bene prezioso per la stessa vita dell’organizzazione collettiva.
In questi giorni di festa in cui il paese si è raccolto intorno a Pertini per festeggiarlo, dobbiamo esprimergli un altro motivo di gratitudine: per gli anni della sua presidenza della Repubblica. Può esser valido discutere atti isolati della sua presidenza. Ma resta fermo che egli ha esercitato il suo mandato in modo attivo e combattivo, obbedendo ai grandi principi che stanno a fondamento della Costituzione e che ne pervadono lo spirito. Sandro Pertini è stato sempre profondamente consapevole dell’autonomia delle istituzioni, della loro funzione di rappresentanza generale che non consente spazi ad interessi di gruppi o di parti. Eppure, perché le istituzioni svolgano fino in fondo il loro ruolo, debbono saper parlare al paese e al tempo stesso ascoltare la gente, viverne i sentimenti, i bisogni. Il cittadino deve così sentirsi parte viva e costitutiva dello Stato e delle sue istituzioni, e in esse trovare un punto di riferimento che trascende la sua vicenda individuale e lo lega, in rapporto di solidarietà e di rispetto dei reciproci diritti, agli altri cittadini. Ora, Sandro Pertini è stato, dobbiamo dirlo, il punto più alto di raccordo e di sintonia tra paese ed istituzioni in tutti questi anni di vita repubblicana. Lo è stato – e questo non lo potremo mai dimenticare – in un momento dei più drammatici, quello del lungo attacco terrorista alla stessa convivenza civile del nostro paese. Non voglio – sarebbe cosa contro la storia – sminuire il ruolo che altri soggetti individuali e collettivi hanno avuto perché si resistesse al terrorismo ed esso fosse sostanzialmente battuto. Eppure la tensione morale, l’angoscia umana e politica che però mai cedeva alla rassegnazione, l’intransigenza sua nella lotta (intesa anche come “no” a qualsiasi cedimento), la solidarietà umana ai tanti colpiti da tragedie terribili ed inspiegabili, sono state il suo messaggio più alto alla nazione, l’aiuto più forte a credere nella democrazia, a difenderla – tutti – con la tenacia, con il coraggio, con la fermezza di chi sa di stare dalla parte della civiltà e della ragione. Per questo diciamo ancora grazie a Pertini. Per questo i giovani – che spesso avvertono con maggiore immediatezza l’importanza dei valori fondamentali – si sono stretti e si stringono intorno a lui come ad un amico e ad un maestro. (Meditazione sui novant’anni di Pertini: “Caro Sandro ancora grazie” di Nilde Jotti. Ottobre 1986).
NILDE JOTTIOrgogliosa
combattente dignitoso esempiocoraggiosa
patriota madre della Patria liberataonore riscatto
italiano della Repubblica campionessa
politica compagna
gentile fermo presidio democratico.
Lo spirito Suo
sapiente sostiene questo cervelloqueste membra
ormai vecchie ancora muovepalpitante grande
cuore fratelli nostri ammiratutti rispetta e
da tutti impara e stima e non scorda.Non dimentica
Liebknecht e Luxemburg assassinatiricorda Julius e
Ethel Rosenberg perseguitati e uccisidi Togliatti e
Jotti le grandi gesta e le gloriose spoglie
dal vigliacco
vendicativo nero odio tuttora insidiate.-Renzo Mazzetti-
(12 Dicembre 2019).
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