PALESTINA
lunedì, 16 aprile 2018
PALESTINA
Il lembo dell’estrema costa orientale mediterranea, che è la
Palestina, costituì sempre una posizione strategica di primo piano. Tale la
considerarono i romani, che vi soppiantarono la locale antichissima civiltà
ebraica, e i mercanti medioevali che con le crociate pensarono di aprirvi una
porta verso oriente. Tale la considerò sempre in epoca moderna l’Inghilterra
che ne fece un baluardo militare a difesa dei suoi petroli del Medio Oriente e
delle sue linee di comunicazione imperiali. I governi inglesi dimostrarono anzi
di annettervi un’importanza così grande da abbandonare qualsiasi scrupolo pur
di ottenerne e conservarne il dominio. Già parecchi anni prima della guerra
mondiale 1914-18 Londra cominciò i suoi intrighi per strappare all’impero turco
la Palestina e altri territori del Medio Oriente. La Palestina era in quel
momento il centro di complesse aspirazioni nazionali: le popolazioni arabe,
desiderose di sottrarsi al giogo dell’impero ottomano, volevano che essa
facesse parte di uno stato arabo indipendente. Gli ebrei, sparsi per il mondo
dove più volte avevano subìto persecuzioni di ogni genere, avevano dato inizio
a un movimento per ricostituire in Palestina, terra dei loro padri, una loro
patria. Gli inglesi promisero ad entrambi di soddisfare le loro contraddittorie
richieste (lettera di Mac Millan (1915) agli arabi, e dichiarazioni di Balfour
(1917)agli ebrei), e si fecero dare dalla Lega delle Nazioni il mandato sulla
Palestina, col preciso compito di istituirvi una “home” nazionale ebraica. Si
guardarono però dall’assolvere l’impegno preso. Gli ebrei cominciarono ad
emigrare in Palestina, dove svolsero e svolgono una vasta attività
civilizzatrice con la creazione di fattorie collettive, veri modelli di
agricoltura nazionale, con opere di bonifica, con la nascita di numerose
industrie. Da questa immigrazione nacquero i primi conflitti tra la popolazione
araba e i nuovi venuti, conflitti che gli inglesi fecero di tutto per rendere
più acuti, scontentando ora l’uno ora l’altro dei contendenti. Finché nel 1939
con un Libro Bianco dichiararono impossibile la formazione di uno stato ebraico
indipendente e posero un limite alla immigrazione ebraica. Dopo la seconda
guerra mondiale la situazione palestinese viene complicata dall’apparizione
dell’imperialismo americano nel Medio Oriente. Gli Stati Uniti, che durante la
guerra si erano impadroniti di molte concessioni petrolifere nei paesi arabi,
vogliono partecipare al controllo della Palestina, la cui importanza economica
(per gli oleodotti che l’attraversano) e strategica non sfugge loro. Comincia
così, sotto l’apparente idillio, il conflitto fra i due imperialismi. Gli
americani, per la pressione di una grande parte dell’opinione pubblica,
decisero in un primo tempo di giocare la carta ebraica, sperando di fare del
nuovo stato una pedina della loro politica nel Medio Oriente. Per questo appoggiarono
l’immigrazione di centomila ebrei e più tardi all’ONU si batterono per la
spartizione della Palestina in uno stato ebraico e in uno arabo. Il movimento
sionista, sebbene fortemente controllato da alcuni gruppi imperialistici,
contiene una grande forza di progresso nella stessa aspirazione nazionale che
lo anima. I coloni ebraici che nelle loro fattorie hanno già attenuto alcune
conquiste di tipo socialista costituiscono un fermento di democrazia nel Medio
Oriente che può rappresentare un serio pericolo per gli imperialisti del
petrolio. La politica americana che è riuscita ad aggiogare al suo carro alcuni
stati arabi, è perciò rimasta sempre incerta e ha tentato, dopo un primo
momento filosionista, di procurarsi appoggi in tutti e due i campi: in quello
ebraico da usare come arma contro i rivali inglesi, in quello arabo da usare
come arma contro le avanguardie progressive del movimento ebraico. Gli stati
arabi, riuniti in una lega controllata dagli inglesi, hanno infatti una
fisionomia reazionaria fra le più arretrate: si tratta di piccoli regni
dispotici o retti da piccole caste la cui permanenza al potere dipende solo
dall’appoggio di un imperialismo straniero. Per questa ragione l’Inghilterra ha
deciso invece di giocare la carta araba.
Quando nel 1947 il governo di Londra capì che l’opinione pubblica mondiale gli era dichiaratamente ostile per i continui conflitti che la sua politica provocava in Palestina, l’Inghilterra ricorse ad un espediente propagandistico: fece il gesto di rimettere tutta la questione palestinese alle decisioni delle Nazioni Unite e contemporaneamente annunciava di rinunciare al mandato. Di nascosto si preparava però a restare nel paese sotto altra forma. L’ONU adottò l’unica soluzione equa possibile: la spartizione della Palestina in due stati: uno arabo, l’altro ebraico. L’Inghilterra aizzò gli stati arabi, quasi tutti controllati militarmente e politicamente da lei, perché non accettassero la soluzione e minacciassero la guerra qualora essa fosse stata attuata ugualmente. Lei stessa dichiarò più tardi di non potersi impegnare a rispettarla visto che gli stati arabi non erano d’accordo. Essa non volle neppure ritardare il ritiro delle sue truppe tanto da permettere all’ONU di intervenire per far rispettare la decisione presa. Il 15 Maggio, mentre ancora si discuteva al Consiglio di Sicurezza, Londra ritirò le sue truppe dalla Palestina e contemporaneamente muoveva gli eserciti arabi, da lei organizzati armati e comandati, perché iniziassero l’invasione della Palestina. L’Inghilterra usciva da una porta per rientrare dalla finestra. Molto più incerto è l’atteggiamento americano, per le ragioni già dette. Washington, dopo aver approvato la spartizione, si ritrattò e tentò di imporre alla Palestina un mandato fiduciario in cui gli Stati Uniti avrebbero avuto la parte del leone. La manovra non riuscì e il presidente Truman all’atto della creazione dello stato ebraico, proclamato solennemente il 15 Maggio, diede il suo riconoscimento alla nuova Israele. La mossa giunse improvvisa e costituì il terzo voltafaccia americano sul problema palestinese. Ma non doveva essere l’ultimo: quando il nuovo stato si trovò aggredito degli arabi, Washington si guardò bene dall’assumere un atteggiamento energico in sua difesa: gli Stati Uniti preferirono continuare il doppio gioco, forti della loro potenza economica di cui hanno bisogno sia gli arabi che gli ebrei. L’unica fra le grandi potenze che abbia mantenuto una posizione coerente su una questione tanto delicata, è l’Unione Sovietica: dopo aver appoggiato la spartizione, riconobbe lo stato d’Israele e si batté perché fossero adottate energiche sanzioni contro gli stati arabi aggressori. Proposta quest’ultima osteggiata apertamente dagli inglesi e subdolamente dagli americani. La guerra scoppiata il 15 Maggio 1948 continua così a causare vittime. Lo stato d’Israele ha finora respinto vittoriosamente tutti gli attacchi. La pace dipende soprattutto da Londra e da Washington.(Meditazione su: I drammi in Palestina, 1948).
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