GIAIME PINTOR
lunedì, 26 febbraio 2018
GIAIME PINTOR
Sono passati due anni da quando, per la prima volta,
ricercammo nella vallata di Castelnuovo al Volturno la salma di mio fratello
Giaime, ucciso a 24 anni nella notte del 1° Dicembre 1943 da una mina tedesca,
mentre tentava di passare il fronte e di raggiungere una banda partigiana da
poco sorta nel Lazio. Ritrovammo allora la salma di Giaime sepolta nell’aperta
campagna, al margine di una vigna incolta. Nel Gennaio scorso, a due anni di
distanza, sono ritornato nel paese di Castelnuovo, ancora nelle stesse
condizioni di rovina e di totale abbandono in cui la guerra lo ha lasciato, per
esumare la salma di Giaime dal tumulo improvvisato e predisporne il trasporto a
Roma. Per quell’occasione, l’intera popolazione contadina ha sospeso il lavoro,
si è unita a noi ed è scesa con noi nella vallata. Sono stati i contadini a
scavare la terra e a caricare la bara sulle spalle, e il silenzioso funerale di
Giaime ha di nuovo traversato la campagna fino al cimitero del paese, anch’esso
stravolto dalla guerra, seguito dalle famiglie contadine come se si fosse
trattato di uno dei loro morti. Nelle ore di questa cerimonia, commovente per
me e credo per chiunque altro vi si fosse trovato, ho ripensato istintivamente
ai molti scritti di intellettuali e rappresentanti della cultura italiana in
memoria di mio fratello, anch’egli intellettuale e uomo di cultura fra i più
ricchi e i più capaci dei giovani intellettuali italiani. In questi scritti e
altrove ho sentito ricordare Giaime Pintor come tale, come uomo, cioè, di
eccezione. Ma questi in scritti e altrove ho visto lamentare, da parte di
uomini simili a Giaime per tradizione, per origine e condizione culturale,
questa sua partenza da Napoli -centro della “guerra psicologica”, come Giaime
la definì-; ho visto cioè mostrare sorpresa di fronte alla sua azione così come
è nata e si è svolta, perfini definirla vana, ed esprimere un dubbio sul
diritto di un uomo di cultura ad abbandonare la sua attività normale e la sua
vita così largamente affermata per scendere nella lotta accanto agli operai,
alle masse popolari, ai soldati, ai quali invece spetta il combattimento e il
sacrificio. Anche da parte di chi non è giunto a dire questo o a pensarlo, non
ho però ricordato di avere udito pronunciare una parola così chiara e
definitiva come Giaime stesso l’ha detta con la sua morte. Ho ricordato, al
contrario, come una parte di questi uomini, eredi attuali della vecchia classe
dirigente italiana, militi in schieramenti politici avversi a quello in cui
Giaime ha militato. Ora scrivo per dire come invece abbia visto, convivendo coi
contadini in quelle ore e in quella difficile occasione, questi contadini di
Castelnuovo comprendere la vita di Giaime e farsene partecipi con noi. Essi
erano lontani dal conoscere le sue opere e i suoi scritti; se li avessero
conosciuti, non avrebbero probabilmente potuto comprenderli per quello ch’essi
significavano in realtà. Eppure, privi di argomenti da avanzare, di ricordi o
di affinità, hanno compreso come cosa loro, come loro esperienza quotidiana, i
motivi e il significato rivoluzionario non solo del gesto di Giaime ma della
sua figura complessa di intellettuale. Lo hanno infatti trovato uguale a loro e
ai loro morti nella loro campagna, partecipe e vittima della loro stessa
battaglia. In quei momenti la vita di Giaime ha raggiunto la sua completezza, e
solo ad essi è rimasta ora la sua eredità di intellettuale italiano. Non è
rimasta solo a Castelnuovo e ai contadini che l’hanno sepolto, questa eredità
storica di Giaime, ma a tutti i lavoratori, a tutti gli operai italiani ai
quali basta ora leggere queste parole per spiegarsi e far propria la figura di
Giaime. Ritrovando a Castelnuovo i resti di mio fratello intellettuale
comunista accanto alle tracce vive e raccapriccianti della guerra e della
oppressione politica, mi sono tornate d’altra parte alla mente tutte quelle
parole dietro cui l’arretratezza e lo spirito di regresso allignano nella
nostra vita politica, le formule dei privilegi della cultura; le formule di non
so quale dignità, civiltà e costume, delle distinzioni di classe che ne
derivano, della preservazione dei diritti culturali. Cosa pensare? Niente vi è
in tutto questo che abbia a che fare con la vita di Giaime. E niente vi è che
abbia a che fare, in questo che pure resta ancora, il sostanziale atteggiamento
di una corrente culturale italiana, con il significato nuovo che Giaime ha dato
con la propria morte alla propria funzione di intellettuale. Tra i contadini di
Castelnuovo ho visto che qualcosa di nuovo è avvenuto in Italia, qualcosa che è
penetrato inevitabilmente nella storia del nostro paese, come patrimonio dei
lavoratori e del popolo in lotta per la libertà, e per cui la storia italiana è
storia dei lavoratori. Al di fuori, estraneo alla coscienza popolare e
all’avanguardia della nazione, vi è una classe politica che era già condannata
quando, nello stesso tempo in cui la vita di Giaime si spezzava in un fronte di
lotta liberamente scelto al prezzo del proprio sacrificio, era incapace di
comprendere quanto gli accadeva intorno, come tuttora se ne dimostra incapace.
Forse è per questi motivi che mi è sembrata una cosa naturale e giusta quella
di vedere il funerale di Giaime Pintor svolgersi in un paesetto contadino
d’Italia quasi distrutto, e vedere deporre sopra la sua bara una corona di
metallo con la dedica “ I Castelnovesi a Giaime Pintor”. (Meditazione su:
Ricordo di Giaime Pintor di Luigi Pintor. Rinascita, Gen. Feb. 1947).
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