FALCE E MARTELLO
mercoledì, 6 settembre 2017
FALCE E MARTELLO
Croce e Falce e Martello sono i due simboli che più di ogni
altro hanno segnato la storia di una parte cospicua dell’umanità. Così come,
del resto, hanno fatto i Vangeli e il Manifesto del Partito Comunista di Marx.
Ma, oltre a questo, Falce e Martello, per chi è nato in Italia non molto tempo
dopo la fine della guerra e ha vissuto in ambienti raggiunti dall’influenza del
PCI, ha rappresentato qualche cosa di più intimo e familiare: la speranza e la
fede in un futuro migliore per tutti, vissuta e agita giorno dopo giorno.
Intendiamoci bene, non si può dire che chi portava nel cuore questo simbolo
(più spesso la “vocazione” ti sorprendeva durante l’adolescenza oppure cresceva
dentro di te lentamente sin dall’infanzia) lo facesse avendo necessariamente
rinnegato la fede cattolica. In parrocchia, dove si andava a giocare a
biliardino e a pallone, dopo la messa o il catechismo, c’erano croci
dappertutto. Anche a scuola, in ogni classe ce n’era una attaccata al muro,
dietro la cattedra. In molte case nella Roma delle borgate le vecchiette
snocciolavano il rosario. E nessuno si sognava di mettere in discussione queste
cose. Tanto meno i comunisti. Ricordo che, nel frattempo comunista ero
diventato anch’io, non mi sorpresi più di tanto quando in assemblea qualcuno
raccontò che due partigiani comunisti, prima di sposarsi e mentre infuriava la
guerra antifascista, dormissero in clandestinità nello stesso letto ma con il
crocefisso in mezzo, eretto come baluardo insuperabile di castità. Che è come
dire che il giorno dopo, forse, avrebbero sparato sui fascisti e i tedeschi per
liberare l’Italia, ma la croce non solo non la rinnegavano ma la utilizzavano
-sia detto con rispetto- come un catenaccio per difendere la grazia. Che dio
tremendo e vendicativo sarebbe stato quello che avesse condannato all’inferno
due fidanzatini impauriti che, alla vigilia di una possibile e prematura fine,
si fossero concessi il ristoro di qualche più intensa effusione… Questa cosa la
pensai allora e la penso ancora. Ma, ugualmente, non mi sentii e non mi sento
di censurare quei due coraggiosi. Alla fine, si poteva, comunque, essere
comunisti combattenti e credere in dio e temerlo e uniformarsi alle sue regole,
o meglio alle regole che la chiesa imponeva in suo nome. Del resto nel PCI
questa cosa è sempre stata ritenuta normale. Concetto Marchesi, grande
latinista comunista aveva un gran rispetto della religiosità solidale e
compassionevole dei primi cristiani, la portava ad esempio. Dell’incontro con
le masse cattoliche nel PCI si è fatto sempre un gran parlare dalla Resistenza,
alla svolta di Salerno di Togliatti fino al Compromesso storico di Enrico
Berlinguer. A distanza di decenni, della croce e del cattolicesimo, quello che
mi è rimasto è il rispetto per coloro i quali, da cattolici, si sono battuti
per la difesa della dignità degli ultimi. Don Ciotti, recentemente, ha
affermato che la fede e la bontà non bastano. Ci vuole la giustizia. Se no i
conti non tornano. A questi preti la Falce e il Martello non fa paura. Non fa
paura perché la giustizia si ottiene solo liberando gli oppressi dallo
sfruttamento e dal bisogno, che è esattamente ciò che i comunisti hanno sempre
cercato di fare, al netto di errori e orrori. Del resto nessuno si sognerebbe
di mettere in discussione la Croce perché la Chiesa condannò a morte Giordano
Bruno o bruciò sul rogo decine di migliaia di presunte streghe, o perché
benedisse, tre secoli dopo, le armi dei franchisti o i gagliardetti dei
fascisti prima di andare in battaglia. O perché scomunicò i comunisti (ci volle
Giovanni XXIII per togliere quell’anatema). Sulla Croce Gesù Cristo morì
veramente. Si era azzardato a cacciare a scudisciate i mercanti dal Tempio e a
predicare l’uguaglianza. E questo nessun cardinale Bellarmino lo poteva
cancellare, nemmeno con la più atroce delle nefandezze. E guardate che quella
di Giordano Bruno fu atroce davvero: far bruciare sul rogo una delle più
sconfinate intelligenze che la storia dell’umanità abbia mai conosciuto, con la
mordazza serrata sulla bocca sanguinante come un lucchetto… Succedeva agli
albori di un secolo, il Seicento, decisivo per la Storia dell’Umanità, il
secolo di Caravaggio e della rivoluzione scientifica. In una delle piazze più
belle di Roma, l’unica su cui si affacci un chiesa, per gli smemorati la statua
di Giordano runo lo ricorda ancora. (Meditazione su: falce e martello (parte)
di Roberto Gramiccia (scrittore e critico d’arte) in “essere comunisti” anno 1
numero, 4 Dicembre 2007 – Gennaio 2008).
LO SPIRITO GEOGRAFICO (8 Agosto 2017)
Commenti
Posta un commento