LA CONCORRENZA
lunedì, 28 novembre 2016
POESIA DI MAO -parte-
LA CONCORRENZA
Albertino inforca gli occhiali e inizia a leggere: La concorrenza è un mezzo per assicurare il lavoro? Che cos’è la concorrenza per i lavoratori? È il lavoro messo all’incanto. Un impresario ha bisogno di un operaio: tre si presentano. Quanto volete per il vostro lavoro? Tre franchi: ho moglie e dei bambini. Bene, e voi? Due franchi e mezzo: non ho figli, ma ho moglie. E voi? Due franchi mi basteranno: sono solo. A te dunque la precedenza. È fatto: il mercato è concluso. Che accadrà dei due proletari esclusi? Si lasceranno morire di fame, bisogna sperarlo. Ma se diventassero ladri? Non temete: abbiamo dei gendarmi. E assassini? abbiamo il carnefice. Quanto al più fortunato dei tre, il suo trionfo non è che provvisorio. Se arriva un quarto lavoratore, così robusto da digiunare una volta ogni due giorni, la china del ribasso raggiungerà il fondo: nuovo paria, nuova recluta per la galera, forse! Si dirà che questi orribili risultati sono esagerati; che sono possibili, in ogni caso, soltanto quando i posti non sono sufficienti per tutte le braccia che vogliono essere occupate? Domanderò, a mia volta, se la concorrenza porta per caso in sé di che impedire questa sproporzione omicida. Compagno! -interrompe Eligio- è la stessa cosa del trattato di libero scambio con gli Usa? Certo! -risponde Albertino- le nostre regole per la tutela della salute dovranno abbassarsi a livelli pericolosi e saremo invasi da merci di basso prezzo ma di poco valore; riprende a leggere: La concorrenza per il popolo è un sistema di sterminio, essa non è dunque che un procedimento industriale per mezzo del quale i proletari sono costretti a sterminarsi a vicenda; poi, -guarda l’orologio e chiude il libro- per mercoledì studiate: Organizzazione del lavoro a pagina 311 di Blanch e fate la prosa della poesia a pagina 489 degli scritti politici giovanili di Marx. Buonanotte. (Ricordo da un racconto di nonna Teresina).
I – Poiché ho scoperto il sublime e ho colto meditando il profondo,
sono tronfio come un dio, mi ammanto nelle tenebre come lui.
A lungo ricercai e mi affaticai sul mare agitato del pensiero
ed ecco trovai il Verbo, cui mi tengo saldamente aggrappato.
II – Parole io insegno, ingranate in un meccanismo dannatamente confuso:
ognuno poi le ripensi come meglio gli pare.
Almeno non sarà più stretto da pastoie soffocanti,
poiché, come nel rombo di una cascata, che da un dirupo scroscia,
il poeta si finge parole e pensieri dell’amata,
e quanto egli stesso si finge gli appare reale, e ciò che sente ricrea,
così può chiunque succhiare il dolce nettare della sapienza.
In verità io tutto vi dico, poiché vi ho detto un bel nulla!
III – Kant e Fichte vagabondavano volentieri fra le nuvole:
cercavano lassù un paese lontano.
Io invece cerco soltanto di afferrare destramente
quanto ho trovato per la strada!
IV – Ci sian questi epigrammi perdonati,
se cantiamo di saggi fatali:
abbiamo studiato alla scuola di Hegel,
della sua estetica ancor non ci siamo…
purgati.
-Karl Marx-
Vedi: CAVALIERE DEL LAVORO (15 novembre 2016)
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