FANNY E CLARA

 lunedì, 7 marzo 2016

FANNY E CLARA

Fanny Wrigh, di origine scozzese, aperta assertrice della lotta di classe contro gli oppressori, predicava con fervore e spirito rivoluzionario, prima tra gli schiavi negri, poi tra i lavoratori bianchi. Fanny, la rossa, era una nobile ed affascinante figura di donna, bella nella forma del corpo e nei doni dell’anima. Erano i tempi delle lotte dei lavoratori e del grande statista Andrew Jackson, Presidente degli USA per due volte consecutive, dal 1828 al 1836. Punto fondamentale del programma operaio era la lotta per le dieci ore, che poi si arricchiva nelle richieste per l’abolizione della condanna alla galera per debiti, della revisione del sistema tributario, della concessione dell’insegnamento pubblico e gratuito, della completa separazione fra Stato e Chiesa. In questa spinta di vero liberalismo e cambiamento in senso democratico della vita pubblica, i lavoratori si incontrarono con Jackson che affermava di prendere ispirazione dagli interessi degli umili della società. Un padrone diceva ai suoi dipendenti: “Eleggete Jackson e l’erba crescerà sulle vostre strade, i gufi faranno nido nelle officine e le volpi scaveranno la tana nelle strade maestre”. Ma i lavoratori andarono in massa alle urne cantando: Artigiani, carrettieri, manovali devono formare una stretta unione e mostrare ai ricchi aristocratici il loro potere a questa elezione … Yankee Doodle, cacciateli via questi orgogliosi gruppi di banchieri, solo tipi come Hartford Feds combattono i poveri e Jackson.

Clara Zetkin in un comizio del 1896 a Berlino: … La donna che appartiene ad una categoria privilegiata è, in un certo senso, libera perché possiede un borsellino ben provveduto con il quale può scapricciarsi quanto vuole. Se lo Stato le nega l’istruzione, essa può andare alla scuola dei professori più celebri o recarsi all’estero dove vi siano Università che ammettono le donne. Giuridicamente però quella donna è nella famiglia soggetta all’uomo. Una famiglia costruita sopra la dote e la cupidigia di denaro è già moralmente sgretolata. La donna non viene sposata per le sue qualità personali ma per il denaro che essa possiede. Perciò, spesso, presso questi ceti, la vita di famiglia viene meno: il marito ha la concubina; la moglie tiene l’amico di casa. Nel migliore dei casi essa è nulla più che una bambola di lusso. Gli interessi di questa esigua minoranza delle donne, sono identici a quelli della borghesia: queste donne di solito si guardano bene dall’aspirare all’uguaglianza dei diritti politici con gli uomini. … Le donne appartenenti alla media e piccola borghesia soffrono della concorrenza annientatrice del grande capitale, le condizioni economiche si fanno sempre più difficili e aumenta il numero delle famiglie nelle quali lo stipendio dell’uomo è insufficiente ai bisogni della casa. Ecco perché queste donne desiderano anzitutto libertà di accesso a tutti gli impieghi come l’uomo. Queste rivendicazioni incontrano tante negazioni che impediscono l’ingresso nella vita sociale e nella vita pubblica, si ricorre perfino alle fandonie pseudoscientifiche di coloro che parlano di una sostanziale inferiorità intellettuale della donna e di una loro vocazione naturale che dovrebbe confinarle in cucina o in Chiesa. … Le donne lavoratrici sono la parte più importante del movimento femminile. Queste donne vedono come la famiglia operaia sia oppressa dallo sfruttamento capitalistico; esse stesse diventano delle disgraziate concorrenti dell’uomo: il loro lavoro viene venduto a vilissime condizioni. Esse acquistano la stessa indipendenza economica dell’uomo, ma cadono nella schiavitù dello sfruttamento. … Lo scopo della loro lotta non è la libera concorrenza tra l’uomo e donna nel campo economico, ma l’avvento del socialismo liberatore e dell’uomo e della donna proletari.

Il movimento di emancipazione della donna è nato dal movimento operaio femminile. Oltre mezzo secolo di lotta dura e costante è occorso per arrivare, in Italia, alla Costituzione repubblicana che afferma l’eguaglianza fra i due sessi e il diritto di voto anche per le donne.

Il compagno Albertino chiude il blocco dei suoi appunti, prende un libro e detta “Lettera dal carcere” di Hikmet. Bene, per il prossimo mercoledì, fate la prosa di questa poesia. A me sembra scritta oggi. Compagne e compagni, buonanotte. (Ricordo da un racconto di nonna Teresina).

 L E T T E R A   D A L   C A R C E R E
 Mia sola al mondo
 mi dici nell’ultima lettera:
 La mia testa mi scoppia, il mio cuore si ferma,
 se t’impiccano
 se ti perdo
 morirò.
 Vivrai, moglie mia,
 il mio ricordo come un fumo nero
 si disperderà nel vento.
 Vivrai, sorella dai rossi capelli del mio cuore,
 i morti non occupano più di un anno
 la gente del ventesimo secolo.
 La morte
 un morto che dondola appeso a una corda,
 è a quella morte
 che il mio cuore non può rassegnarsi.
 Ma
 rassicurati, amore mio,
 se la mano nera e pelosa di un povero zingaro
 (In Turchia non c’era il boia di professione e per le impiccagioni pagavano un vagabondo o uno zingaro di passaggio)
 finirà col mettermi la corda attorno al collo
 guarderanno invano
 negli occhi azzurri di Nazim
 per scorgervi la paura.
 Nel crepuscolo del mio ultimo mattino
 vedrò i miei amici e te
 e porterò sottoterra soltanto
 il rammarico di un canto interrotto.
 Donna mia
 ape mia dal cuore d’oro
 ape mia dagli occhi più dolci del miele
 perché mai t’ho scritto della mia condanna a morte.
 C’è un altro processo
 non si strappa così la testa di un uomo
 come se fosse un ravanello.
 Su, non te la prendere,
 sono possibilità remote.
 Se hai del denaro
 comprami delle mutande di lana
 ho ancora la sciatica alla gamba.
 E la moglie di un prigioniero, ricordati,
 non deve avere in testa immagini nere.
 -NAZIM HIKMET- (1938)

Vedi: VIA DEL GAMBERO (29 febbraio 2016)




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