LIVELLATORI

 

sabato, 14 luglio 2012

LIVELLATORI

 

 Io non ho peccati da confessare a Dio ma offese da rinfacciare ai potenti della terra. Tutti quanti, servi del Re e nemici del Re, mercenari della chiesa e avversari della chiesa, uomini della legge e uomini della spada, signori dei castelli e briachi di taverne, mi perseguitarono in mille modi. La mia vita fu un’odissea di supplizi, come quelli di Paolo. Il mio delitto capitale, agli occhi dei persecutori invidi o stolti, era quello di voler ristabilire tra gli uomini l’assoluta eguaglianza voluta da Dio. Gli uomini eran tutti figli di un solo Padre, discendevan tutti da un solo antenato, avevan tutti una sola e unica patria: la terra. Eguali le forme della persona e i bisogni dell’anima; unica la divina legge alla quale avrebbero dovuto obbedire; eguale, alla fine, il loro destino. Perché, dunque, tutte quelle divisioni e distinzioni che per la malizia dei prevaricatori avevano franta l’unità del genere umano? Perché v’erano uomini che comandavano e uomini che dovevano obbedire? Uomini che potevano uccidere e uomini obbligati a farsi uccidere? Perché uomini che pretendevano essere interpreti e delegati di Dio e uomini che dovevano a loro inchinarsi e sottomettersi? Perché uomini che sguazzavano nel troppo e uomini che mancavano anche del necessario? Perché uomini che consumavano la vita nell’ozio e altri che la distruggevano nella fatica? Perché glorificati quelli che rubano una provincia e impiccati quelli che rubano uno scudo? Io volevo che fosse restaurata l’eguaglianza assoluta nelle società umane e perciò fui chiamato il capo dei livellatori. Le differenze naturali, pensavo, non contano dinanzi all’ideale della comune felicità. Chi aveva più genio avrebbe dovuto spenderlo per rendere i suoi fratelli meno mediocri; chi più aveva ricevuto e più doveva dare. Non soltanto alle ricchezze bisognava rinunziare se il Cristianesimo doveva effettualmente esser fondato sulla terra. Ma tutte le rivoluzioni antiche e moderne religiose e politiche non furono che ipocrite commedie recitate nel sangue. Mai si pensò al vero popolo, ai minimi, agli infimi, agli ultimi, a quelli che ingiustamente son calpestati e spogliati. Furon sempre moti di minoranze per impadronirsi del potere, non altro. Io solo volevo eguaglianza e felicità per tutti. Questo sogno fu il mio delitto e per questo delitto fui condannato dai giudici del Re, dai giudici dell’esercito, dai giudici del parlamento, dai giudici del popolo, dai giudici del Dittatore. Fui trascinato, in pochi anni, in tutti i tribunali dell’Inghilterra; fui rinchiuso in tutte le prigioni, conobbi le vie dell’esilio. Fui messo alla berlina, frustato sulle piazze, ferito dagli sbirri, sputacchiato dalla plebaglia, incatenato a somiglianza di un malfattore. Ora che tutti gli uomini son finalmente livellati per volontà divina dalla morte e dalla resurrezione io non chiedo premio per il mio martirio: chiedo soltanto che l’ultima verità sia svelata ai più riluttanti e che i miei persecutori sian capiti dalla giustizia di Dio. (Meditazione su Lilburne nel capitolo Ribelli in Giudizio Universale di Giovanni Papini).

 

A’    L  I  V  E  L  L  A

 

………………………………………………..

 

……………….., stavo per uscire

 

buttando un occhio a qualche sepoltura.

 

“Qui dorme in pace il nobile marchese

 

signore di Rovigo e di Belluno

 

ardimentoso eroe di mille imprese

 

morto l’11 maggio del ‘31.”

 

‘O stemma cu ‘a curona ‘ncoppa a tutto…

 

… sotto ‘na croce fatta ‘e lampadine;

 

tre mazze ‘e rose cu ‘na lista ‘e lutto:

 

cannele, cannelotte e sei lumine.

 

Proprio azzeccata ‘a tomba ‘e stu signore

 

nce steva n’ata tomba piccerella

 

abbandunata, senza manco un fiore;

 

pe’ segno, solamente ‘na crucella.

 

E ncoppa ‘a croce appena si liggeva:

 

“ Esposito Gennaro netturbino”.

 

Guardannola, che ppena me faceva

 

stu muorto senza manco nu lumino!

 

…………………………………………………..

 

Ma chi te cridi d’essere (dice il netturbino al marchese)

 

….. Muorto si’ tu e muorto so’ pur’ io;

 

ognuno comme a ‘n’ato è tale e qquale.”

 

“Lurido porco! … Paragonarti a me ch’ebbi natali

 

illustri, nobilissimi e perfetti

 

da fare invidia a Principi Reali?”

 

(il netturbino risponde)……….T’ ‘o vvuo’ mettere ‘ncapo…’int’ ‘a cervella

 

che sataje malato ancora ‘e fantasia?…

 

‘a morte ‘o ssaje ched’ e’…. e una livella.

 

Percio, stamme a ssenti….. nun fa’ ‘o restivo,

 

suppuorteme vicino – che te ‘mporta?

 

Sti ppagliacciate ‘e ffanno sulo ‘e vive:

 

nuje simmo serie….appartenimmo a’ morte!”

 

-T o t ò -

 

 

 

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