LINGUA
martedì, 30 agosto 2011
LINGUA
lingua di gatto. Niuna lingua fu mai formata sopra un piano
precedente, ma tutte nacquero o da un istinto non regolato o da un accozzamento
fortuito. Quindi sarebbe una vanità il credere che le denominazioni, le
metafore, le maniere, le costruzioni d’una lingua qualunque siasi, abbiano,
specialmente rapporto ai primi tempi, un pregio intrinseco che le renda
costantemente migliori di quelle che possono appresso introdurvisi, in guisa
che l’alterarle o poco o molto sia un deteriorare la lingua e renderla
scorretta e barbara. Niuna lingua fu mai formata per privata o pubblica autorità,
ma per libero e non espresso consenso del maggior numero. Quindi niuna autorità
d’un individuo o d’un corpo può mai nemmeno in progresso arrestare o
circoscrivere la libertà della nazione in fatto di lingua; quindi la nazione
stessa, ossia il maggior numero dei parlanti, avrà sempre la facilità di
modificare, accrescere e configurar la lingua a suo senno, senza che possa mai
dirsi esser questa una lingua diversa finché non giunge a perdere la sua
struttura caratteristica. Quindi è ridicolo il credere, come si crede e si
afferma che la lingua latina, per esempio, fosse men latina nel secolo detto di
bronzo che in quel dell’oro, benché forse potesse dirsi men pura, poiché
nell’uno e nell’altro era essa la lingua della nazione medesima, sempre libera di
adottar nuovi termini e nuove fogge d’esprimersi. Ove gioverà osservare che il
libero consenso del maggior numero presuppone in ciaschedun individuo la
libertà di servirsi di quel termine o di quella frase che gli sembra più
acconcia, onde ciascuno possa paragonarla con altre, e quindi sceglierla o
rigettarla, cosicché il giudice della sua legittimità non può mai esser un
particolare che decida ex cathedra sopra canoni arbitrari, e nieghi a quel
termine la cittadinanza, ma bensì la maggior parte della nazione che
coll’usarlo, o rigettarlo, o negligerlo ne mostri l’approvazione o il dissenso.
E siccome nella lingua parlata (giacché ora non si favella se non di questa) il
maggior numero dei parlanti è quello che autorizza un vocabolo, così nella
scritta una voce o una frase nuova non può essere condannata a priori sulle
leggi arbitrarie e convenzionali dei grammatici, ma sull’accoglienza che vien
fatta ad esse in capo a qualche tempo dal maggior numero degli scrittori,
intendendo sempre quelli che hanno orecchio, sentimento e giudizio proprio, non
di quello che sono inceppati dalle prevenzioni d’una illegittima autorità.
Niuna lingua è perfetta: come non lo è verun’altra delle istituzioni umane. I
pregi delle lingue si escludono reciprocamente. Una collezione di termini
propri e distinti per ogni idea affogherebbe la memoria e toglierebbe alla
lingua equivoci. La costruzione logica degl’italiani e francesi rende la lingua
più precisa e meno animata, le inversioni dei latini interessano il sentimento,
ma turbano l’intelligenza. Se però niuna lingua è perfetta, ognuna non per
tanto può migliorarsi, come si vedrà. Niuna lingua è ricca abbastanza, né può
assegnarsi alcun tempo in cui ella non abbia bisogno di nuove ricchezze. Le
arti, le scienze, il commercio presentano ad ogni momento oggetti nuovi, che
domandano d’esser fissati con nuovi termini. Lo spirito reso più sagace e più
riflessivo raggira le sue idee sotto mille aspetti diversi, le suddivide, ne
forma nuove classi, nuovi generi, ed aumenta l’erario intellettuale. Come
lavorarci sopra senza vocaboli aggiustati che si prestino alle operazioni
dell’intelletto? Allora solo la lingua potrà cessar d’arricchirsi, quando lo
spirito non avrà più nulla da scoprire né da riflettere. E’ dunque un operar
direttamente contro l’oggetto e ‘l fine della lingua il pretender di toglierle
con un rigor mussulmano il germe della sua intrinseca fecondità. Niuna lingua è
inalterabile. Le cause dell’alterazione sono inevitabili e necessarie. Ma la
lingua si altera in due modi: dal popolo e dagli scrittori. La prima
alterazione cadendo sulla pronunzia, sulle desinenze, sulla sintassi, tende
lentamente a discioglierla o agevola una rivoluzione violenta: quella degli
scrittori cade piuttosto sullo stile che sulla lingua: di cui se altera i
colori, ne conserva però la forma, fors’anche a perpetuità. Niuna lingua è
parlata uniformemente dalla nazione. Non solo qualunque differenza di clima
suddivide la lingua in vari dialetti, ma nella stessa città regna talora una
sensibile diversità di pronunzia e di modi. Le diverse classi degli artefici si
formano il loro gergo: i colti, i nobili hanno anche senza volerlo un dialetto
diverso da quello del volgo. Tra i vari dialetti uno diviene il predominante e
questo predominio è dovuto ora all’autorità d’una provincia sopra le altre ed
ora al merito degli scrittori. Il secondo titolo potrebbe rispettarsi come
valido, ma quello dell’altro è talora mal fondato e illegittimo. (meditazione
su parte del: saggio sulla filosofia delle lingue di Melchiorre Cesarotti).
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