MAFFI MEDICO SOCIALISTA

MAFFI MEDICO SOCIALISTA

In Italia è stato sempre duro, difficile essere con i poveri e starci non certo per dir loro parole di consolazione. Essere per i poveri contro i ricchi è stato difficile sempre, così ad ogni svolta della vita e della storia è avvenuto che più d'uno se ne staccasse. L'impazienza di essere ministro, per poter operare, o l'abitudine che può prendere di un mondo diverso o di dover ritornare alle faccende private o anche soltanto l'impressione di aver già fatto la propria parte e di poter aspettare tempi migliori e più opportuni. Nel 1888 l'Università di Pavia allora la sola università lombarda, vedeva scontrarsi conservatori e figli di nobili e di proprietari con i radicali, con i “garibaldini” e, forse senza che i più se ne accorgessero, già vi si manifestavano i primi fermenti socialisti. Fabrizio Maffi studente, poi giovane medico condotto, in quegli anni quando sotto l'esempio di Bertani, di Costa e degli altri democratici e socialisti poteva parere quasi una moda denunciare le devastazioni della pellegra e correre fra i colerosi, fu socialista come lo furono altri studenti, altri medici. Era quello un modo che può parere adesso quasi ingenuo, primitivo; ma era il solo modo di essere socialista davvero, in quei tempi primitivi e a quei primi passi del movimento operaio nel nostro paese. Maffi lavorava nel Vercellese, nei paesi della risaia, e le mondine di quei paesi hanno sentito raccontare, ed è già una storia che si tramanda da tre, da quattro generazioni, che l'onorevole era un dottore, di quelli che vanno da tutti e girava in bicicletta a curare i malati e poi la domenica andava in bicicletta per i paesi, a fare il comizio e gli succedeva di arrivare con un rotolo di manifesti e di doverli incollare da sé. Erano tempi che in certi paesi non c'era proprio nessuno che volesse attaccare al muro manifesti socialisti, per paura del prete, per paura del maresciallo dei carabinieri e del padrone. Nel 1889 un processo, poi ancora le miserie della persecuzione minuta fino al gran colpo del 1898, con la condanna, l'espatrio e l'esperienza dell'esilio che pareva colorire di romanticismo risorgimentale le lotte socialiste. Nel 1913 Fabrizio Maffi è deputato socialista del Vercellese diventato oramai tutto rosso ed è ancora deputato nel 1919, nel 1921. Oramai i manifesti glieli attaccano gli altri, ai comizi van tutti, son costretti a salutarlo anche i carabinieri di servizio e nei paesi di risaia non si trova nessuno disposto a suonare campanacci e disturbare per conto del parroco. Ma forse anche i parroci, all'onorevole Maffi, un affronto così non lo avrebbero voluto più fare neanche se lo avessero ancora potuto. L'onorevole non andava più in bicicletta, lo portavano in automobile, teneva comizi per tutta l'Italia, aveva il permanente in prima classe, aveva girato l'Europa; lodato, applaudito, come altri deputati socialisti. Ma in una cosa era diverso dagli altri: aveva ancora l'entusiasmo di quando andava per le risaie, parlava come allora, non gli passava per la testa che mondine e trapiantini e, in giro per l'Italia, operai e contadini avessero torto a voler fare come in Russia, a credere alla Rivoluzione sul serio. Poi vennero altri anni duri; la violenza fascista, il pericolo della vita, le percosse, ancora il carcere, il confino. Maffi restò fermo, anzi si mosse con quelli che resistettero e combatterono. Quando crollò il fascismo, nessuno pensò che fosse stato liberato, parve naturale di vederlo sereno, vivace, attivo fra i liberatori. Ed eran passati cinquantasette anni dal giorno in cui aveva cominciato, trentadue anni da quando i lavoratori di San Zenone lo avevano mandato per la prima volta a Montecitorio. Ancora i comizi, l'applauso, i manifesti che gridano il suo nome e la commozione a sentire dai nipoti, dalle mondine giovanissime, che in tutti quegli anni qualcuno c'era stato sempre a raccontare dell'onorevole Maffi, di quando andava in bicicletta, di quella volta che era scappato in Svizzera, di come i fascisti lo cercavano, lo picchiarono e di lui che gliele disse sempre, perché non era uomo da aver paura. Ma una vita eroica è fatta anche del suo estremo tramonto. Questi ultimi furono anni che potevano essere tristi, quasi cupi. Le forze non bastavano più a Maffi, nemmeno per essere trasportato in automobile; Roma, il Parlamento, persino le assemblee più solenni del partito, erano irraggiungibili. Sui manifesti non c'era più il suo nome, la sua voce pareva essersi spenta, gli occhi non lo aiutavano più. Ma Maffi era vivo, vivissimo sempre. “Il cuore non invecchia” gli dicevano; “invecchia, invecchia” rispondeva. Ma bastava un dibattito acceso, un discorso in Parlamento, che arrivava una sua cartolina, con un frizzo, un sarcasmo, un incitamento e tanti saluti per vecchi e per giovani compagni, e allora eravamo sicuri di avere ragione noi. Certi cuori non invecchiano: Se cessano di battere, lasciano qualche cosa che continua a battere in tanti altri cuori.

INDOVINA L'INDOVINELLO: CHI E' L'AUTORE?

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PUGNO CHIUSO A SAN REMO

Pugno chiuso
dei lavoratori saluto.
Traditi
sfruttati.
Abbandonati
isolati dispersi.
Non alibi né buonafede
nessun ipocrito pensiero.
Scusante?
Aver perso ma vinto.
Considerazione?
Combattuto sempre.
Sempre e contro
unica parola d'ordine.
Perdente o vincente?
Dipende.
Perdente o vincente?
La lotta vince sempre.
Rosso colore
pugno chiuso ovunque.
Rosso colore
pugno chiuso ovunque.
Sul palco di San Remo
pugno chiuso ciao ciao.
Ciao ciao pugno chiuso
dei lavoratori saluto.
Rosso colore
pugno chiuso ovunque.
Pugno chiuso ovunque
pugno chiuso ovunque.

-Renzo Mazzetti- (Martedì 8 Febbraio 2022).

categoria: fantascienza, filosofia, ironia, poesia, dimenticanze tra le righe.

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MAO UNICO (Giovedì 9 Settembre 2021 h. 09,15).





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