CINA COMUNISTI AVVENIRE (FORZA GIUSEPPE)
MARTEDÌ, 19 MAGGIO 2020
CINA COMUNISTI AVVENIRE (FORZA GIUSEPPE)
Albertino apre il collegamento, verifica la presenza con
saluti a tutti e parte citando Antonio Gramsci: “per i proletari è un dovere
non essere ignoranti e che per essi il problema di educazione è problema di
libertà… fa una pausa e dopo recita, più o meno, così: C’era una volta un ricco
che non mandò suo figlio all’università perché, diceva, sono stato bene e ho
fatto tanti soldi e mi godo la vita, e non mando all’università mio figlio
perché non ce affatto bisogno di sapere tante cose che sono per me tanto
inutili quanto tanto dannose. Io non ho studiato e faccio una vita da nababbo…
Poi inizia la lezione: Ai primi anni del 1950, l’Italia era entrata nel campo
di una congiuntura economica favorevole, ciò era dovuto dall’aumento della
domanda interna e dal processo di rinnovamento del capitale fisso. Per
aumentare competitività sul mercato europeo i monopoli italiani, utilizzando i
crediti e le agevolazioni fiscali dello Stato, nonché l’afflusso di capitale
straniero, iniziarono così l’ammodernamento dell’apparato produttivo portandolo
ad un livello tecnico e scientifico con l’automazione, l’elettronica, le
materie sintetiche. L’introduzione di nuovi metodi di organizzazione della
produzione diede a capitalisti e monopoli la possibilità di sviluppare lo sfruttamento
dei lavoratori e operai sottoposti. Grazie all’aumento della produttività del
lavoro con il mantenimento di bassi salari fu raggiunto un alto grado di
accumulazione del profitto capitalistico. Dal 1948 al 1958 il capitale nominale
dei dieci maggiori monopoli era passato da 40 a 1.216 miliardi di lire.
Influirono grandemente sullo sviluppo economico del Paese anche i processi di
integrazione nel mondo capitalistico. L’entrata dell’Italia nella Comunità
europea del Carbone e dell’acciaio (1952), e poi nel mercato comune (1958),
intensificò gli scambi con l’Europa occidentale. Tra il 1950 e il 1960 il
commercio estero dell’Italia aumentò di oltre tre volte. L’influenza del
mercato comune sull’Italia ebbe un carattere contraddittorio. Da una parte questo
mercato rallentò i ritmi di sviluppo dell’agricoltura, delle industrie
minerarie e di quelle leggere, mentre dall’altra favorì il rapido sviluppo di
nuovi settori industriali, come quelli dell’elettronica, della petrolchimica.
All’inizio degli anni ‘50 la produzione industriale partecipava al reddito
nazionale complessivo con il 45% e nel 1960 con il 48%. Ai primi posti c’erano
la costruzione di macchine e l’industria automobilistica e chimica. Nel corso
degli anni ‘50 i ritmi di accrescimento della produzione industriale furono più
che considerevoli. Fece eccezione solo il 1958, allorché il ritmo rallentò per
la necessità di adeguarsi al mercato comune, in quella che fu chiamata una
“pausa ad alto livello”. Ma già nel 1959 l’Italia era entrata in un periodo di
boom industriale. In questo periodo di “miracolo economico”, durato quattro
anni, i ritmi medi di accrescimento della produzione industriale superarono
l’11%. Il punto culminante fu raggiunto nel 1960 con il 15%. Le città si
svilupparono impetuosamente. Nuovi centri industriali sorsero anche nell’Italia
meridionale, modificando sensibilmente la struttura sociale della popolazione
delle arretrate province del Sud, un tempo esclusivamente agricole. Venne
creato anche qui un grande reparto di proletariato industriale, forte di circa
700 mila persone. La riforma agraria attuata tra il 1950 e il 1955, nonostante
il suo carattere limitato, fece fare grandi passi in avanti di carattere
economico e sociale. Essa aprì una breccia considerevole nel sistema della
grande proprietà fondiaria e portò alla liquidazione del latifondo nel
meridionale e Sicilia. Con la riforma 100 mila contadini poterono riscattare
760 mila ettari di terra, mentre altrettanta veniva acquistata dagli agrari,
grazie ai crediti governativi. Ma, nonostante tutto, il Mezzogiorno soffriva il
suo ritardo nei confronti dello sviluppo dell’Italia settentrionale. Intanto la
Fiat concentrava nelle proprie mani l’80% della produzione automobilistica del
paese. Nel campo della chimica la posizione di monopolio era detenuta dal
gruppo Montecatini, mentre l’Edison e l’Olivetti detenevano i monopoli
dell’energetica e dell’elettronica. Il capitalismo monopolistico di Stato si
sviluppava a ritmi rapidissimi. Le società statali-private determinavano lo sviluppo
dei settori dell’industria metallurgica, petrolifera, petrolchimica, del gas,
dei materiali da costruzione. Il gruppo statale Iri controllava nel 1957 l’88%
della produzione della ghisa e il 51% dell’acciaio. Il gruppo statale dell’Eni,
costituito nel 1953, aveva il controllo di tutti i giacimenti di petrolio e di
gas trovati nel paese e della loro lavorazione. Sotto la direzione dell’Eni
furono costruiti moderni impianti per la lavorazione del metano e le produzione
di gomma sintetica. Il settore statale occupava un posto importante
nell’economia nazionale, tanto che nel 1958 per dirigerlo fu creato un apposito
ministero. Nel 1950 cominciò la programmazione a lungo termine di singoli
settori economici. Per lo sviluppo delle regioni arretrate del Sud fu creata la
Cassa del Mezzogiorno. Nel primo decennio di attività della Cassa gli
investimenti governativi furono indirizzati soprattutto non già alla creazione
di stabilimenti industriali, come richiesto dai comunisti, ma alla costruzione
di infrastrutture. La creazione delle infrastrutture e la riforma agraria
avevano fatto affluire al Sud capitale privato e avevano esteso il mercato
interno, lo sviluppo di rapporti capitalistici. Alla fine degli anni Cinquanta
l’economia italiana aveva assunto nel suo complesso un carattere più
indipendente che negli anni in cui aveva operato il “Piano Marshall”. I
monopoli italiani avevano consolidato le loro posizioni nel mondo. L’Italia era
al terzo posto per disponibilità di riserve auree e valutarie. Si era anche sviluppata
l’esportazione di capitali all’estero, in Asia, in Africa, nell’America Latina.
Negli anni Cinquanta si produssero anche notevoli cambiamenti nella struttura
sociale della società italiana. Dal 1951 al 1961 la classe operaia aumentò di 1
milione 800 mila unità, raggiungendo i 7 milioni 600 mila, cioè il 38 per cento
della popolazione attiva. Il numero degli addetti all’agricoltura era purtroppo
sceso dagli 8 milioni e 66 mila agli 6 milioni e 200 mila. L’enorme massa degli
emigranti dall’agricoltura fu inserita nella produzione industriale e nei
servizi, servizi che passarono da 5 milioni e 200 mila a 6 milioni e 500 mila.
Una parte dei contadini trasferitisi in città andarono a ingrossare il
contingente dei ceti medi urbani. Il problema dell’occupazione continuava a
essere estremamente acuto. Dal 1951 al 1961 almeno 2 milioni e mezzo di
cittadini lasciarono l’Italia e, pur tenendo conto degli immigrati, il saldo
passivo ammontava a circa 1 milione 800 mila di persone. Nonostante tutto però
la disoccupazione rimaneva cronica, una delle maggiori del mondo. ll ministero
del Lavoro: anno 1951 i disoccupati sono 1 milione 900 mila e nel 1954-1956
salgono a 2 milioni 200 mila. La grande riserva di mano d’opera consentiva agli
imprenditori di mantenere bassi i salari. Nel 1959 nei principali settori
dell’industria i salari operai erano dal 15 al 30% inferiori a quelli degli
altri Paesi della comunità europea, e costituivano solo la quarta parte dei
salari annui degli USA. I notevoli passi in avanti fatti nell’economia e
l’inasprirsi delle contraddizioni sociali ed economiche portarono a una certa
redistribuzione delle forze all’interno della classe dirigente. L’offensiva
economica dei monopoli ebbe come conseguenza la perdita, in misura notevole,
dell’indipendenza delle piccole e medie imprese, cadute sotto il giogo delle
grandi società … Albertino si tace per un momento e guarda l’orologio eppoi
prosegue: continuate lo studio dell’IRI ma, acquisita la conoscenza del
capitalismo di Stato italiano, e considerato che ciò sarebbe una ricerca e uno
studio semplice e troppo facile, per noi, altri comunisti d’avvenire… Albertino
apre il saggio Marshall, scartabella, dà un’occhiata, e, con gli occhi che
sembrano non guardanti, declama: “I successori di Mao trasformarono la Lunga
Marcia nel socialismo alla cinese con un controllo del partito comunista
sull’economia capitalista”. Per compito scritto a casa da inviare,
singolarmente o redatto in collettività, entro Mercoledì 27 di questo mese,
rispondete a uno, oppure, a vostra scelta a più di uno, o, addirittura a tutti
i seguenti problemi inerenti la Repubblica popolare cinese: In Cina domina il
socialismo alla cinese, il comunismo alla Marx, il capitalismo all’ideologia
liberista, il capitalismo di Stato, l’ideologia della concorrenza e del
mercato, la dittatura economica del profitto, la dittatura politica e militare?
Compagne e compagni buonanotte. W Giuseppe. Ciao a tutti. (Ricordo da un
racconto di nonna Teresina).
UNA DOMANDA AI GOVERNANTI
La dittatura finanziaria
distrugge l’attività produttiva;
la concorrenza nel sistema mercato
stermina il popolo.
Le classi governative sono complici
della criminale economia virtuale,
del gioco d’azzardo in generale,
di quello in Borsa in particolare.
Quando avrete massacrato tutta la Terra,
tutti i contadini e tutti gli operai,
vi nutrirete con i Titoli e le Azioni
e con la Carta Moneta?
(31.01.2014)
SPARA CIUFFO GRANDE SPARA
Hollywood gira cappelloni
Lunghi coltelli stragian nativi
Rapinano lor territori
Corrono all’oro impazziti
Due atomiche esplodono su Levante
Napalm su villaggi risaie foreste
Cavalleria suona la carica distrugge
Continenti travolge rapina
Sanguinosi diffusi colpi di stato
Metropoli Babele terrorismi terrore
America violata brutalmente attaccata
Grattacieli distrutti morti innocenti vivi disperati
Contrattacca nel Golfo guerra e guerra
E guerre e guerre e armi e armi sanzioni
Ciuffo Grande al microscopio
Scruta il virus e prende la mira
Spara Ciuffo Grande spara.
-Renzo Mazzetti Bicefalo- (26 Marzo 2020)
categoria: fantascienza, filosofia, ironia, poesia.
Vedi:
VIRUS E NERA IGNORANZA (FORZA GIUSEPPE)
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