ANTICO MODERNO

 

mercoledì, 4 maggio 2016

ANTICO MODERNO

Nella coltura del frumento il contadino fa la semina, l’aratura, la sarchiatura, la raccolta, il trasporto sull’aia, la trebbiatura, e poi riceve soltanto una quarta parte del raccolto. Di questa quarta parte poi il Contadino deve passare al Padrone: la semina, il terrazzuolo, il diritto di sfrido, il diritto di cuccia od il maccherone, il diritto del galletto ed altre simili angherie. Ma il governo non fece mai nulla, non seppe nemmeno proporre una legge per limitare gli arbitrii del padrone. Nell’inverno il contadino, cui non serve la sua piccola parte di frumento, è costretto a ricorrere alle arpie del paesello, per aver i soldi in prestito e, quando viene il raccolto, deve pagare con il frumento, computandolo ad un prezzo prestabilito che è inferiore al corrente. Così il contadino resta sempre in debito, mentre i giornalieri, e i braccianti privi di lavoro quando piove e costretti a lavorare mezza giornata in estate guadagnano da venti a trenta soldi per un lavoro medio di dodici ore. Di regola sono pagati, in grande parte, con cattivo pane e pessimo vino e quando il lavoro manca chiedono ai padroni un prestito di frumento, che viene computato ad un prezzo esorbitante, il quale si accresce del 25% ogni sei mesi. Questo è un esempio fra i tanti, per dimostrare le condizioni dolorose dei siciliani, per spiegare quali entusiasmi dovevano destare i fasci, che tendevano ad un’immediata e radicale trasformazione. I maggiorenti dal canto loro si accorsero subito che i fasci sarebbero entrati presto nei comuni, ne avrebbero cacciato le consorterie, le camorre dispotiche, e s’impaurirono. In Sicilia più che altrove molte persone vivono per l’influenza che hanno nelle Amministrazioni locali; Sindaci o Assessori sono interessati agli appalti delle strade, delle illuminazioni, del dazio consumo, delle esattorie e tesorerie comunali; nei bilanci creano posti ed erogano sussidi per i loro parenti e così si forma una fitta rete di loschi interessi, che a guisa di piovra immane, succhia le risorse dei Comuni, delle Provincie, delle Opere pie. Le prepotenze e le sopraffazioni sistematiche, inaudite, infinite; ne accenno alcuna: Ruoli di contribuenti fatti arbitrariamente, proprietari che protetti dai municipi (di cui sono padroni) mandano i loro animali a pascolare fuori del comune, sottraendoli al censimento e all’imposta, sindaci, assessori, consiglieri comunali, aiutati dall’autorità tutoria governativa nell’arbitrio, nei soprusi, purché al momento elettorale servano ai voleri del sottoprefetto, del prefetto, del governo. In quasi tutta l’isola l’autorità tutoria esercita il controllo, solo per stare in pace con le clientele prevalenti, secondo che dominano le une o le altre. In un comune un pretore, che rifiutò di piegarsi alle esigenze di un pezzo grosso, si trovò costretto ad invocare il proprio trasferimento, se non voleva morire di fame, perché gli esercenti intimoriti dai feudatari, gli negavano il necessario per vivere. In un altro i consiglieri comunali, una ventina, dovendo deliberare una tassa per costituire un corpo di 21 guardie campestri, si guardarono in faccia, valutarono l’entità dei possedimenti propri e dei loro aderenti, poi stabilirono la vera tassa progressiva… al rovescio. Le guardie campestri sarebbero state scelte, come è l’uso in Sicilia, fra tutti i clienti e i legati ai clienti dominanti ed avrebbero vegliato all’applicazione della nuova tassa. Il deputato è stato ed è l’intermediario in ogni interesse fra le clientele dominanti delle quali egli ha bisogno, ed il governo che ha bisogno di lui (recita la gazzetta del 1893). Per questo gli arbitri, gli eccessi amministrativi, le turpitudini non hanno mai trovato il controllo delle autorità governative; per questo i fratelli, i cugini, i nipoti dei sindaci, degli assessori., dei consiglieri possono distribuire in famiglia gli uffici di segretari comunali, di medici, di maestri, di maestre, di guardie campestri. I posti si creano non per i bisogni, ma per le persone amiche. (Ricordo da un racconto di Tirella).

 NOVE MAGGIO (parte)
 E nei giorni della lotta
 rosso era il mio colore.
 -Della Mea-

 

Vedi: LA LIBERTA’ DI STAMPA (17 marzo 2016)


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