GRAN NERBO

 

martedì, 9 giugno 2015

GRAN NERBO

FILOSOFALE

FILOSOFALE

 

Grande nerbo? Finalmente un po’ di sesso, dice Rivo. Zitto, gli risponde Albertino, e prosegue: è di Gramsci l’idea che ogni civiltà deve allevare anche degli studiosi di “gran nerbo”. Zitta, non parlo di omofobia. La lezione è sullo studio del latino e del greco. Premetto: studiare è faticoso, più difficile e pesante di quello di un operaio che vuole acquisire una qualifica professionale. Lo studio del latino e del greco, delle lingue, con lo studio delle letterature e delle storie politiche rispettive, era alla base dell’educazione. Il carattere di educatività era dato dal fatto che queste nozioni non venivano apprese per uno scopo immediato pratico-professionale: lo scopo c’era, ma era la formazione culturale dell’uomo, e non si può negare che esso sia un interesse. Ma lo studio in se apparisce disinteressato. Non si impara il latino e il greco per parlare queste lingue, per fare i camerieri o gli interpreti o che so io. Si imparano per conoscere la civiltà dei due popoli, la cui vita si pone come base della cultura mondiale. La lingua latina o greca si impara secondo grammatica, un po’ meccanicamente: ma c’è molta esagerazione nell’accusa di meccanicità e di aridità. Si ha che fare con dei ragazzetti, ai quali occorre far contrarre certe abitudini di diligenza, di esattezza, di compostezza fisica, di concentrazione psichica in determinati oggetti. Uno studioso di trenta-quarant’anni sarebbe capace di stare a tavolino sedici ore filate, se da bambino non avesse coattivamente, per coercizione meccanica assunto le abitudini psicofisiche conformi? Se si vogliono allevare anche degli studiosi, occorre incominciare di lì e occorre premere su tutti per avere quelle migliaia, o centinaia, o anche solo dozzine di studiosi di gran nerbo, di cui ogni civiltà ha bisogno. Si potrà migliorare molto, indubbiamente, ma su questa base. Si impara il latino, lo si analizza nei suoi membretti… Zitti!

 

Dicevo che lo si analizza nei suoi… E L E M E N T I elementi più elementari, si analizza come una cosa morta, è vero, ma ogni analisi fatta da un bambino non può essere che su una cosa morta; d’altronde non bisogna dimenticare che dove questo studio avviene, in queste forme, la vita dei romani è un mito che in una certa misura ha già interessato il bambino o lo interessa ora. La lingua è morta, è anatomizzata come un cadavere, è vero, ma il cadavere rivive continuamente negli esempi, nelle narrazioni. Si potrebbe fare lo stesso con l’italiano? Impossibile. Nessuna lingua viva potrebbe essere studiata come il latino: sarebbe o sembrerebbe assurdo. Nessuno dei ragazzi conosce il latino quando ne inizia lo studio con quel tal metodo analitico. Il latino e il greco si presentano alla fantasia come un mito, anche per l’insegnante. Il latino non si studia per imparare il latino, si studia per abituare i ragazzi a studiare, ad analizzare un corpo storico che si può trattare come un cadavere ma che continuamente si ricompone in vita. Io non credo che il latino e il greco abbiano delle qualità taumaturgiche intrinseche: dico che in un dato ambiente, in una data cultura, con una data tradizione, lo studio così graduato dava quei determinati effetti. Si può sostituire il latino e il greco e li si sostituirà utilmente, ma occorrerà sapere disporre didatticamente la nuova materia o la nuova serie di materie, in modo da ottenere risultati equivalenti di educazione generale dell’uomo, partendo dal ragazzetto fino all’età della scelta professionale. In questo periodo lo studio o la parte maggiore dello studio deve essere disinteressato, cioè non avere scopi pratici immediati o troppo immediatamente mediati: deve essere formativo, anche se istruttivo, cioè ricco di nozioni concrete. Il compito da fare a casa è: Il principio educativo nella scuola elementare e media, Quaderno Quattro punto Tredici. Compagne e compagni, ci rivediamo il prossimo mercoledì, Buonanotte. (Ricordo da un racconto di Bicefalo).

 

VEVE    HODIE

 

( parte )

 

Dammi retta,

 

non è da saggi dire “vivrò”:

 

domani è troppo tardi,

 

vivi oggi.

 

-Marco  Valerio  Marziale-

 

Libro Uno punto Quindici.

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