RELATIVO
sabato, 17 marzo 2012
RELATIVO
Tra le molte libertà concesse ai poeti c’è anche quella di
scegliersi a loro capriccio il mondo che vogliono rappresentare, in modo che
esso coincida con la realtà a noi consueta oppure se ne discosti per un verso o
per l’altro. In ogni caso, noi li seguiamo. Il mondo della fiaba, per esempio,
ha abbandonato fin da principio il terreno della realtà, professando
apertamente le proprie convinzioni animistiche. Appagamenti di desideri, forze
occulte, onnipotenza dei pensieri, animazione di ciò che è inanimato, tutte
cose assolutamente consuete nelle fiabe, non possono produrre in esse alcun
effetto perturbante, perché al fine della nascita del sentimento perturbante è
necessario un dilemma relativo alla possibilità che le convinzioni superate e
ormai ritenute indegne di fede si rivelino, nonostante tutto, rispondenti alla
realtà; e questo è un problema che le premesse proprie del mondo della fiaba
spazzano via interamente. Così la fiaba, che ha fornito la maggioranza degli
esempi che contraddicono la nostra ipotesi relativa al perturbante, convalida
la prima parte della nostra tesi: quella secondo cui nel regno della finzione
letteraria non hanno effetto perturbante molte cose che certamente l’avrebbero
se accadessero nella vita. Il poeta può crearsi un mondo che, meno fantastico
di quello delle fiabe, si differenzia tuttavia dal mondo reale perché include
esseri spirituali superiori, dèmoni o spiriti di defunti. Quando il poeta si
pone sulla realtà consueta fa proprie le condizioniche nell’esperienza reale
sono all’origine del sentimento perturbante, e quindi tutto ciò che ha effetto
perturbante nella vita ce l’ha anche nella poesia. Il poeta può tenere nascoste
le premesse che ha scelto per il mondo in cui si svolge la vicenda, o
nell’evitare fino alla fine, con arte e malizia, ogni chiarimento decisivo in
proposito. La finzione crea nuove possibilità di sentimenti perturbanti che non
hanno riscontro nella vita vissuta. (Meditazione su Il perturbante di Sigmund
Freud).
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L’ A Q
U I L A
L’ommini so’ le bestie più ambizziose,
-disse l’aquila all’omo- e tu lo sai:
ma vièttene per aria e poi vedrai
come s’impiccolìscheno le cose.
Le ville, li palazzi e li castelli
da lassù sai che so’? So’ giocarelli.
L’ommini stessi, o principi o scopini,
da lassù sai che so’? Tanti puntini!
Da qel’artezza nun distingui mica
er pezzo grosso che se dà importanza:
pureun Sovrano, visto in lontananza,
diventa ciuco come una formica.
Vedi quela gran folla aridunata
davanti a quer tribbuno che se sfiata?
E’ un comizzio, lo so: ma da lontano
so’ quattro gatti intorno a un ciarlatano.
-Trilussa-
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