VAUDEVILLE
domenica, 12 febbraio 2012
VAUDEVILLE
Gli apologisti del
governo rappresentativo hanno fondato i loro elogi soprattutto sul fatto che
tale sistema consacrava la separazione dei tre poteri, legislativo, giudiziario
ed esecutivo. Essi non avevano formule amministrative a sufficienza per questo
meraviglioso equilibrio, che aveva risolto il problema, indagato per tanto
tempo, dell’accordo dell’ordine con la libertà, del movimento con la stabilità.
Ebbene! Si ha alla fine che è proprio il sistema rappresentativo, quale viene
applicato dagli apologisti, a concentrare i tre poteri nelle mani di un piccolo
numero di privilegiati uniti dai medesimi interessi. Non si tratta forse qui di
una confusione, che costituisce la più mostruosa delle tirannide, per la stessa
confessione degli apologisti? A che cosa si è giunti in tal modo? Il proletario
è restato estraneo a tutto. Le Camere, elette dagli accaparratori di potere, imperturbabilmente
persistono nella loro fabbricazione di leggi fiscali, penali, amministrative,
tutte indirizzate verso il medesimo scopo di rapina. Che il popolo ora,
gridando per la fame, vada pure a domandare ai privilegiati di abbandonare i
loro privilegi, ai monopolisti di rinunciare ai loro monopoli, a tutti di
rinnegare la loro scioperatezza: essi gli rideranno sul naso. Che avrebbero
fatto, nel 1789, i nobili, se li si fosse supplicati umilmente di rinunciare ai
loro diritti feudali? Avrebbero castigato l’insolenza… Ci si comportò in altro
modo. In quest’aristocrazia senza cuore, i più avili comprendono tutto ciò che
v’è di minaccioso per essi nella disperazione di una moltitudine privata del
pane, propongono di alleviarne un po’ la miseria, non per umanità, a Dio non
piaccia! Bensì per salvarsi dal pericolo. Quanto ai diritti politici, non
bisogna parlarne, non si tratta che di gettare ai proletari un osso da
rosicchiare. Altri uomini, con migliori intenzioni, pretendono che il popolo
sia stanco di libertà e non chieda che di vivere. Io non so qual velleità di
dispotismo li spinga ad esaltare l’esempio di Napoleone, che seppe adunare le
masse concedendo loro il pane in cambio della libertà. E’ vero che questo
despota livellatore si sostenne per qualche tempo soprattutto lusingando la
passione dell’uguaglianza, perché egli faceva fucilare i fornitori ladri, che
oggi con ogni probabilità sarebbero deputati. Egli tuttavia non fallì per aver
ucciso la libertà. Questa lezione dovrebbe essere di profitto per coloro che si
dichiarano suoi eredi. Non è permesso, udendo il grido d’angoscia d’una
popolazione affamata, ripetere le parole insolenti della Roma imperiale: panem
et circenses! Che si sappia bene che il popolo non mendica più. Non si tratta
più di lasciar cadere da una tavola splendida alcune briciole di pane per
dividerlo; il popolo non ha bisogno d’elemosine: intende ottenere il proprio
benessere con i propri mezzi. Esso vuol elaborare ed elaborerà le leggi che lo
governeranno: queste leggi, allora, non gli saranno più nemiche. Non
riconosciamo ad alcuno il diritto di concedere chi sa quali liberalità, che
possono in egual modo venir revocate da un capriccio contrario. Noi chiediamo
che i trenta milioni di francesi scelgano la forma del loro governo e, attraverso
il suffragio universale, nominino i rappresentanti che avranno la missione di
promulgare la legge. Compiuta questa riforma, le imposte che depredano il
povero a profitto del ricco saranno prontamente soppresse e sostituite da
altre, che poggeranno su basi opposte. Invece di prendere ai proletari
laboriosi per regalare ai ricchi, l’imposta dovrà impossessarsi del superfluo
degli oziosi per dividerlo fra questa massa di esseri indigenti, condannata
all’inazione dalla mancanza di denaro; colpire i consumatori improduttivi per
fecondare le fonti della produzione; facilitare sempre più la soppressione del
credito pubblico, questa piaga purulenta del paese; infine sostituire ai
funesti imbrogli della borsa un sistema di banche nazionali, presso le quali
individui attivi potranno trovare elementi di fortuna. Allora, ma soltanto
allora, le imposte costituiranno un beneficio. (Meditazione sui nemici della
libertà e della felicità anno 1832 di Auguste Blanqui).
L A V
O R O
Un tempo
la mia vita era facile. La terra
mi dava fiori frutta in abbondanza.
Or dissodo un terreno secco e duro.
La vanga
urta in pietre, in sterpaglia. Scavar devo
profondo, come chi cerca un tesoro.
-Umberto Saba-
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