BENIGNO
mercoledì, 14 settembre 2011
BENIGNO
Non consumare pensando ai fatti altrui, quella parte di vita che ti resta; a meno che non sia per qualche comune vantaggio. E intendo: occuparsi di ciò che fa il tale, per qual motivo; preoccuparsi di quanto dice, dei suoi desideri, dei suoi preparativi e via dicendo; tutte cose che fanno deviare dalla cura dovuta alla tua parte sovrana. Insomma nel continuo intessersi del pensiero, conviene evitare tutto ciò che è ozioso e che è vano, ma soprattutto la curiosità e la malignità; conviene abituarsi a pensare unicamente a cose che, se qualcuno ti domandasse improvvisamente: Che pensi?, potresti subito dire con piena sincerità: Si tratta di questo o di questo. Così sull’istante si vedrà chiaramente che in te tutto è semplicità e benignità, che in te vi sono pensieri di natura socievole, che non sei preoccupato di piaceri o di immagini di godimento, rivalità, invidia, sospetto, simili altre cose, che dovrebbero far arrossire, quanto si fosse dimostrato che appunto questa è meta del tuo pensiero. Indubbiamente, un uomo che non esita a porre se stesso nel novero di chi è perfetto, è come sacerdote e ministro degli Dei; sa valersi anche di colui che è signore della sua anima, per opera del quale l’uomo non può essere toccato dal piacere, non può essere vulnerato da nessun dolore, né colpito da nessuna violenza; insensibile a ogni malvagità, atleta nella gara più sublime, invulnerabile da passione, sommerso interamente in lavacro di giustizia; pronto ad accogliere amoroso, con l’anima tutta quanta, quello che accade e quello che gli viene assegnato, tutto; quest’uomo raramente e soltanto per comune bisogno del prossimo si preoccupa di ciò che dice un altro, di ciò che un altro fa o pensa. Quest’uomo sa che in suo potere è unicamente la propria interiorità e pensa senza interruzione alle cose proprie, quelle che l’universale connessione degli eventi gli arreca; e la prima cerca di rendere bella; nutre fede, invece, che le seconde siano buone. In realtà il destino a ciascuno attribuito vien portato a eguale meta del destino universale, e parimenti a eguale destino procede. Tiene ancora presente nel ricordo che quanto possiede razionalità gode di natura profondamente affine; che è proprio dell’uomo prendersi cura d’ogni uomo; che d’altra parte non si deve badare all’opinione di tutta la gente, bensì di quegli uomini che vivono secondo natura. Invece, ricorda benissimo che razza siano nella loro vita domestica, nella vita sociale, e di notte e di giorno, e con che razza vengano trafficando quelli che non vivono a questo modo. Conseguenza: non tiene nessun conto neppure della lode che può provenire da simile gente, che nemmeno a se stessa è capace d’esser gradita. (meditazione su: Come dev’essere l’uomo di Marco Aurelio).
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