BANCHETTI
martedì, 13 settembre 2011
BANCHETTI
La lettera delle leggi e i costumi in generale si andavano
corrompendo ad un punto tale che io, pur inizialmente tutto pieno dal desiderio
di occuparmi della vita pubblica, guardando a ciò e vedendo come tutto si
trascinava sbandando per ogni dove, finii col rimanerne sconcertato. Continuai
però ad osservare la situazione, caso mai si verificassero dei miglioramenti,
sia in generale, sia sopratutto nel governo, ed aspettando sempre l’occasione
buona per entrare in azione. Compresi, infine, che tutte quante le città di
allora si trovavano ad essere malamente governate (il loro sistema di leggi era
pressoché impraticabile, senza una preparazione quasi eccezionale, unita a
buona fortuna), e fui costretto a limitarmi a fare gli elogi della retta
filosofia, come quella da cui sola può venire la capacità di scorgere ciò che è
giusto nella vita pubblica e in quella privata; mai le generazioni degli uomini
avrebbero potuto liberarsi dai mali, fino a che o non fossero giunti ai vertici
del potere politico i filosofi veri e schietti, o i governanti delle città non
diventassero, per un destino divino, filosofi. Ecco quel che pensavo quando
venni in Italia e in Sicilia per la prima volta. Come giunsi, però, non mi
piacque affatto la vita che qui si diceva felice, tutta impegnata nei famosi
banchetti italioti e siracusani, nel riempirsi il ventre di cibo due volte al
giorno, e la notte non dormire mai da soli, e tutto ciò, insomma, che è solito
accompagnarsi a un tal genere di vita. Nessun uomo di quanti ne vivono sotto la
volta del cielo può diventare saggio, se si avvezza fin dall’età più tenera ad
abitudini così (sarebbe straordinaria, del resto, una mescolanza naturale del
genere), né esiste alcuno che possa anche solo provare, ad arrivare in questo
modo alla temperanza; e per qualunque altra virtù, il discorso potrebbe essere
analogo. Non vi è nessuna città, per buone che siano le sue leggi, che possa
viversene tranquilla, se i suoi cittadini ritengono giusto scialacquare negli
eccessi, e l’ozio quasi un dovere, interrotto solo per mangiare, bere, e
dedicarsi alle cure d’amore. E’ una pura e semplice necessità che in città così
non si finisca mai di assistere all’avvicendarsi di tirannidi, oligarchie,
democrazie, ed è ugualmente inevitabile che chi in esse detiene il potere sia
insofferente persino del nome di una costituzione giusta ed equa. (meditazione
della lettera VII di Platone).
I L C O C O N A N O
In una bella pentola metto:
un po’ di sale grosso,
cinque spicchi d’aglio rosso,
sette foglie di salvia,
nove bacche di pepe nero,
mezzo chilo di Coco Nano,
abbondante acqua piovana,
un breve fil d’olio extravergine toscano
e accendo, basso-basso, il fornello;
poi, a cinque salsicce nostrane
prima di bollirle strappo la pelle.
Del pane
a lievitazione naturale
a legna cotto
ne taglio fette sottili
cospargendo così la tovaglia multicolore.
Con il fitto colino
pesco il Coco Nano
e togliendo il pepe
ne conto fino a nove;
dono una salsiccia a bocca
con la simpatica presenza
per lungo nel mezzo tagliata;
il tutto abbondante condisco
con l’extravergine crudo
offrendo gioioso al tracanno
il rosso di Certaldo.
-Renzo Mazzetti-
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