AFFRATELLAMENTO

 

VENERDÌ, 23 SETTEMBRE 2011

AFFRATELLAMENTO

 

L’arte è una forma di altissimo contagio: non c’è arte se il lettore, lo spettatore, l’ascoltatore, non viene influenzato dai sentimenti dell’autore; e a questa opera di diretta trasmissione nuocciono tanto il preziosismo formale fine a se stesso, quanto lo sforzo volgarmente volontaristico di farsi capire a tutti i costi. A seconda, poi, del contenuto dei sentimenti che può diffondere, l’arte (la vera arte) si può classificare come morale o immorale, buona o cattiva: l’arte vera e insieme buona è quella veramente popolare, quella cioè, che non divide gli uomini (arte di classe), ma tende a unirli, fungendo da superiore veicolo di affratellamento e di emancipazione. Ma non è certo in queste formulazioni teoriche (condotte sul filo di un precario equilibrio tra artisticità e moralità, e intransigenti fino al paradosso: il rifiuto globale di Shakespeare, l’esaltazione dell’autrice della Capanna dello zio Tom…) che va cercata la chiave della ”nuova arte” , la quale, in sostanza, non fa che estremizzare e rendere più oggettivi temi, spunti e tensioni che già prima costituivano lo sfondo implicito della scrittura tolstojana. Quella scrittura tende ad inquadrare conflitti sempre più esclusivi, contrasti sempre più radicali, che non lasciano alcuna possibilità di sfuggire alla scelta drasticamente proposta. Esempio massimo di tale tendenza sarà un racconto come Padrone e bracciante, dove l’antinomia sotterranea che attraversa tutta l’opera è elevata, già nel titolo, a tema esclusivo, a simbolo di un aut-aut che non lascia spazio a soluzioni parziali o a compromessi. Il parallelismo compositivo, strumento primordiale dell’arte, diventa categoria morale; l’innocua congiunzione assume il senso e la funzione di un’implacabile avversativa. L’azzeramento di ogni possibile mediazione implica una contrazione formale, una rinuncia ai più accattivanti artefici del realismo psicologico a favore di una sobrietà concentrata e austera. (meditazione sulla introduzione di Serena Vitale a Anna Karenina di Lev Nikolaevic Tolstoj).

 

 

 

V A L L E     D I     L A C R I M E

 

E’ notte. Acuto sibila

 

tra le fessure il vento.

 

Ne l’abbaino son due povere anime.

 

Pallido è il loro aspetto e macilento.

 

Ed una, lieve, mormora:

 

Stringimi forte, dice in un sospiro.

 

Con le tue braccia cingimi…

 

Scaldami, amore, con il tuo respiro…

 

E risponde l’altra anima:

 

Se la tua sorte alla mia sorte è unita

 

fame e freddo spariscono

 

e la miseria della triste vita.

 

E molto si baciarono.

 

E piansero, abbracciati, ancor di più.

 

E risero. E cantarono.

 

Poi ad un tratto un gran silenzio fu.

 

All’indomani venne il Commissario

 

e il medico legale era con esso,

 

che d’entrambi i cadaveri

 

constatava il decesso.

 

Certamente l’inedia,

 

diss’egli, e questa rigida stagione

 

la morte accelerarono

 

se proprio non ne furon la ragione.

 

D’inverno è consigliabile

 

-egli disse- l’usar vesti di lana;

 

ed è raccomandabile

 

un’abbondante nutrizione sana.

 

-HEINE-

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