PARIA
VENERDÌ, 22 LUGLIO 2011
PARIA
C’è una specie di
uomini che io chiamo dentro di me paria. Sono stata contenta quando ho trovato
questo nome per loro, mi riusciva più facile riconoscerli e ragionare tra me,
adesso che avevo trovato una parola che li definiva bene. C’è molte specie di
uomini, naturalmente. Dividere gli uomini in due sole specie, agnelli e tigri,
prepotenti e deboli, si capisce che sarebbe poco. Quelli che io chiamo dentro
di me i paria, sono gli uomini che crescono alla vita con l’intima persuasione
di non aver alcun diritto a questa vita, al benessere e al cibo, col senso che
le privazioni e i desideri insoddisfatti siano il loro vero destino. Mi sono
tanto avvezzata a pensare a loro che adesso li riconosco subito quando li
incontro, e mi pare che portino impresse sul viso, nei gesti e negli abiti le
stigmate della loro natura di paria, di vittime consapevoli e predestinate.
Paria ce ne sono dappertutto. Non è detto che debbano essere dei veri paria,
non è detto che siano necessariamente scalzi e digiuni, con le membra dolenti
per aver passato la notte sulla panchina d’un giardino pubblico, benché la
parola paria faccia pensare a delle cose così. Di paria se ne trovano
dappertutto. Ma loro sono uomini che quando dormono in un letto o mangiano,
provano un senso di amarezza e di colpa, come se quel che possiedono l’avessero
strappato ad altri. I paria sono uomini a cui riesce estremamente difficile
compiere gli atti più normali e banali della nostra vita. Sono uomini che trovano
estremamente difficile servirsi degli strumenti consueti che sono offerti ogni
giorno a ogni uomo: acqua, pane, cibo, denaro, sigarette, lavoro. Oppressi da
una malinconia che è nata in loro nei giorni più lontani dell’infanzia, dove la
memoria non giunge, soffocati da un amaro senso di colpa, esitanti e riluttanti
dinnanzi agli oggetti più comuni e normali, i paria si muovono con suprema
lentezza e difficoltà in un mondo che gli uomini liberi e pienamente convinti
del proprio diritto percorrono con tranquilla superbia, viaggiando e facendo
all’amore, spendendo senza cautela e senza esitazione il loro denaro, colmi nel
sangue del loro pieno diritto e rapidi e pronti nei gesti, nel respiro e nel
passo. A questi uomini dal facile respiro la fatica di cui soffrono i paria è
affatto ignota. Non immaginano niente di simile nel libero e lieto fluire del
respiro e del sangue, nella calma e superba certezza degli atti loro. Non
suppongono come per un paria chiamare un facchino, ordinare un pranzo al
ristorante sia sempre un dramma, un problema interiore. I paria sentono sempre
il peso del loro corpo e dei loro gesti nell’aria, ogni futile atto suscita in
loro gli echi più remoti e profondi. Quando provano felicità o benessere, non
c’è uomo a cui non succeda di essere molto felice ogni tanto, i paria si
sentono immediatamente così colpevoli e in fondo così spostati in questo stato
tanto nuovo per loro che prendono ad aspettare l’attimo in cui la felicità
verrà loro strappata, il tempo del digiuno e delle privazioni, quando ancora
saranno solo e spogli, disprezzati e respinti. Con tutto l’animo e con tutto il
corpo si prostrano in attesa della sventura e soltanto nella sventura i paria
si sentono abbastanza a casa propria, riescono a trovarvi perfino una sorta di
tacita aggressività, finalmente un’audacia di ribellione che non cerca gesti o
parole ma in qualche modo li sazia. Non un’ora e non un minuto si abbandonano
alla quiete di vivere. Inoltre sono sempre perseguitati dal ricordo di lettere
a cui non hanno risposto, di telefonate che non hanno fatto, proprio perché in
loro ogni minimo atto solleva dubbi e problemi, proprio perché a loro costa
fatica servirsi dei più comuni strumenti che sono offerti agli uomini, perché a
loro è difficile ogni rapporto con gli uomini e con le cose. Se si recano a una
riunione mondana, pesano sulle loro membra gli abiti che non hanno scelto
secondo il loro desiderio, ma tenendo conto delle circostanze più diverse, e
che ora alla luce del sole sembrano loro così assurdi e ingiustificabili. E li
opprime l’invidia degli uomini dal respiro facile e libero, l’impotenza di
fronte a una realtà che non sono capaci di dominare, il mondo pieno di donne e
di negozi e di strade, così bello e lieto per coloro che lo percorrono liberi.
C’è un momento che i paria si rendono conto d’essere per sempre dei paria. Si
rendono conto che la loro condizione non è determinata da circostanze
esteriori, e che niente, né gli anni, né l’esperienza, né l’altrui affetto
potranno porci rimedio. E il momento in cui se ne accorgono è molto importante.
Può darsi che succeda allora qualcosa di molto importante nella vita dei paria.
Può darsi che si lascino andare, che si dichiarino vinti, e rinuncino allora
per sempre alla più elementare possibilità di vita: può darsi che si lascino
magiare dai vermi e dai cani, guardando spegnersi nel profondo del proprio
animo il barlume dell’ultima volontà, dell’ultima speranza. Sì, questo certo
può anche succedere. Ma può succedere invece qualcosa di molto bello, qualcosa
d’inaspettato, una metamorfosi straordinaria: può succedere che i paria
diventino uomini liberi, non liberi come sono liberi gli altri, quelli dal
facile respiro, di tutt’altra libertà invece: di una libertà più profonda,
tutta interiore, dove davvero i gesti e gli abiti, il digiuno e la sazietà non
contano assolutamente più nulla: può succedere che i paria diventino degli
uomini così liberi e così forti che i casi e le storie della loro vita perdono
ogni importanza; e quello che davvero resta vivo in loro, sono le cose vere ed
eterne, che non richiedono particolari strumenti, né gesti, né abiti, né
parole: nella nuova realtà che essi creano allora per sé, non c’è né la
vergogna, né la colpa, né il disgusto di sé, né il disprezzo altrui; è quella
una realtà dove i paria si sentono davvero molto bene, ed è una realtà che
forse raggiungono di rado gli uomini dal respiro facile e lieto: poiché i
viaggi, gli abiti, le parole, l’eccessiva spensieratezza dei gesti e degli atti
possono portare molto lontano dal mondo delle cose vere ed eterne, là dove
l’uomo è veramente solo e spoglio, umile ed inerme dinanzi a Dio. (rilettura
con meditazione su La specie dei paria, settembre 1948, di Natalia Ginzburg).
èèèèèèèèèèèèèèèèèèèèèèèèèèèèèèèèèèè
DA ACQUE E TERRE ED E’ SUBITO SERA
Ognuno sta solo sul cuor della terra
trafitto da un raggio di sole:
ed è subito sera.
-Salvatore Quasimodo-
Commenti
Posta un commento