STREPITOSA
SABATO, 25 GIUGNO 2011
STREPITOSA
Non è affatto sicuro
che al tempo dell’illimitato dominio delle dottrine religiose gli uomini
fossero complessivamente più felici di oggi; certo non furono più morali. Essi
hanno sempre saputo esteriorizzare le prescrizioni religiose rendendone in tal
modo vani gli intenti. I preti, che dovevano vigilare affinché la religione
fosse obbedita, li aiutarono in ciò. La misericordia di Dio doveva trattenere
il braccio della Sua giustizia: si peccava e, dopo aver fatto un sacrificio o
una penitenza, si era liberi di peccare di nuovo. L’interiorità russa optò per
la conclusione che, per godere di tutte le beatitudini della grazia divina, il
peccato è indispensabile e che dunque è in fondo opera grata a Dio. E’
evidentissimo che i preti sono riusciti a perpetuare la sottomissione delle
masse alla religione soltanto a prezzo di grandissime concessioni alla natura
pulsionale dell’uomo. Fu stabilito il seguente punto fermo: Dio solo è forte e
buono, l’uomo è debole e soggetto a peccare. Nella religione l’immoralità ha
trovato in tutti i tempi sostegno non meno della moralità. Se, riguardo alla felicità
degli uomini, alla loro attitudine alla civiltà e alle loro limitazioni morali,
la religione non è riuscita a ottenere risultati migliori, c’è da domandarsi se
invero non abbiamo sopravvalutato l’indispensabilità della religione per il
genere umano e se facciamo cosa saggia a basarci su di essa per le nostre
pretese di civiltà. Riflettiamo sull’inequivocabile situazione dei nostri
giorni. E’ stato detto che la religione non ha più sugli uomini lo stesso
influsso di una volta (ci riferiamo qui alla civiltà europeo-cristiana). E ciò
non perché essa abbia ridimensionato le sue promesse, ma perché queste appaiono
agli uomini meno credibili. Concediamo che la ragione di tale trasformazione
sia il rafforzamento dello spirito scientifico negli strati superiori della
società umana (forse non solo di questa). La critica ha intaccato la forza
probante dei documenti religiosi, la scienza naturale ha posto in luce gli
errori che esse contengono, la ricerca comparata è stata colpita dalla fatale
somiglianza tra le rappresentazioni religiose da noi venerate e le produzioni
spirituali di popoli e tempi primitivi. Lo spirito scientifico produce un modo
particolare di atteggiarsi verso le cose di questo mondo; di fronte alle
questioni religiose sosta un attimo, esita, ma da ultimo anche qui varca la
soglia. In questo processo non c’è interruzione; quanto maggiore è il numero di
uomini cui i tesori del nostro sapere diventano accessibili, tanto più si
diffonde il rifiuto della fede religiosa, in un primo tempo soltanto dei suoi
rivestimenti più antiquati e assurdi, poi però anche dalle sue premesse
fondamentali. Solo gli americani, istituendo il <processo della scimmia>
a Dayton [Cittadina del Tennessee in cui nell'anno 1925 un docente di scienze
naturali fu accusato di aver violato le leggi dello Stato perché aveva
sostenuto la teoria della discendenza animale degli uomini.] si sono dimostrati
coerenti. Per il resto l’inevitabile trapasso si compie tra mille ambiguità e
insincerità. La civiltà ha poco da temere dagli uomini colti e da chi si dedica
al lavoro intellettuale. In costoro, per quanto riguarda il comportamento
civile, la sostituzione dei motivi religiosi con motivi diversi, laici, può
avvenire senza strepito; questi individui sono inoltre in gran parte portatori di
civiltà. Le cose prendono un’altra piega quando si tratta di persone incolte,
di uomini oppressi, che hanno tutti i motivi di essere nemici della civiltà.
Tutto va bene finché non si accorgono che non si crede più in Dio. Ma prima o
poi dovranno accorgersene, anche se questo mio scritto non sarà pubblicato.
Costoro sono pronti ad accettare i risultati del pensiero scientifico senza che
si sia in essi prodotto il mutamento che il pensiero scientifico induce
nell’uomo. Non sussiste allora il pericolo che l’avversione di queste masse per
la civiltà converga sul punto debole che esse individuano nella loro tirannia?
Se non è lecito ammazzare il nostro prossimo solo perché il buon Dio lo ha
vietato e ci punirà severamente in questa o nell’altra vita, e se scopriamo
peraltro che il buon Dio non esiste e non abbiamo da temere alcun castigo, non
v’è dubbio che a questo punto ammazzeremo il nostro prossimo senza esitare e
soltanto una forza terrena potrà trattenerci. Dunque, o bisogna tenere
rigidamente a freno queste masse pericolose, impedire con attenzione estrema
che esse accedano a qualsiasi occasione di risveglio intellettuale, oppure
bisogna operare una revisione radicale del nesso civiltà-religione.
(meditazione -parte- su: L’avvenire di un’illusione di Sigmund Freud).
LA PREGHIERA DEL
PARIA (parte)
Grande Brahma, tu che reggi
ogni forza, e tutto emana
dal tuo seme, il giusto tu sei!
Tu null’altro che i bramani,
solamente i raja e i ricchi,
hai dunque generato?
O sei tu che hai creato
e le scimmie e i nostri simili?
Nobili non possiamo chiamarci:
tutte le nostre cose impure,
quello che è mortale per gli altri,
questo solo ci accresce e nutre.
Anche se gli uomini lo possono credere,
e ci danno il loro disprezzo,
tu devi stimarci lo stesso,
perché tutti puoi riprendere.
Dunque, signore, benedicimi come
tuo figlio, dopo questa supplica,
o lascia che qualcuno in mio nome
sorga e me pure a te congiunga.
Poiché tu hai elevato
una dea alle baiadere,
anche noi vogliamo udire,
per lodarti, un tale miracolo.
- J. W. Goethe -
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