LA CELLULA DEL CUORE
DOMENICA 10 APRILE
2011 h. 06,43.
LA CELLULA DEL CUORE
( foto : FIORI GIALLI )
Mario la chiama la cellula del cuore. Mario fece le sue prime
esperienze di partito libero insieme ai compagni di San Martino, insieme a
Guido, a Rodolfo, Nello, Bakunin, Beppe, Ermanno e altri giovani come i due
Franco, Sirio e altri, compagni attivi pieni di entusiasmo e di responsabilità
e ci dispiace tanto se, per qualche vuoto di memoria, qualcuno sia stato
dimenticato, tutti sono meritevoli di ricordo. A parte vogliamo parlare del
giovane compagno Floriano e della sua tragica fine. Floriano era ragazzo quando
nel '44 cominciò a frequentare insieme a suo padre imbianchino, la cellula di
San Martino. Era timido e volenteroso nello stesso tempo, per cui bisognava
sempre chiedergli se una cosa la voleva fare o no, egli rispondeva sempre di sì
e si capiva che sarebbe rimasto mortificato se fosse rimasto fuori. Voleva
stare sempre insieme ai compagni più attivi, a coloro ai quali, a volte, si
chiedevano prestazioni non prive di pericolo. Una volta in Corso Italia, per le
elezioni amministrative del 10 giugno 1951, Floriano salì sulla scala a pioli
per attaccare dei manifesti, dei grandi simboli del Partito, al di sopra di quelli
con lo scudo crociato, proprio nel palazzo dove aveva ed ha ancora sede la
democrazia cristiana. Non si sa come accadde, la scala si mosse ed egli venne
giù da un'altezza di oltre quattro metri, la caduta era tale che le conseguenze
potevano essere gravi, invece Floriano si alzò e disse che non si era fatto
niente, i compagni gli erano tutti intorno abbastanza preoccupati, egli avrebbe
voluto risalire subito sulla scala, ma invece lo fecero sedere sullo scalino
del palazzo Simoneschi mentre uno era corso a prendergli un caffè in un bar che
era ancora aperto. Floriano stava lì, mogio, in mezzo ai compagni che gli
domandavano se accusava dolori in qualche parte, ma egli rispondeva di no. Ho
avuto solo una grande paura, questo sì, ma ora m'è passata. Intanto era
arrivato il suo babbo che fece molta fatica per accompagnarlo a casa, lui
voleva restare con i compagni. Per fortuna, veramente non si era fatto niente,
solo una leggera contusione all'anca sinistra che aveva battuto sul
marciapiede. Di lì a poco gli morì la mamma e per lui fu un duro colpo, si
vedeva sul suo volto che la disgrazia l'aveva prostrato, si capiva che egli
aveva perduto quello che per lui era indispensabile, l'affetto della mamma. Da
allora la sua timidezza diventò mutismo, parlava poco e ricavava solo la
compagnia, peccato che la cellula restava aperta soltanto la sera, certamente
quelle erano per lui le ore più felici perché nei compagni trovava ciò che
aveva perduto in casa. La situazione peggiorò quando la sua sorella sposò e
tornò in casa di suo marito, anche se tutti i giorni andava nella casa paterna
a fare le faccende più difficili a farsi da suo padre e da Floriano. Suo padre
faceva da mangiare ma era un tipo un po' burbero anche se pieno d'affetto per
Floriano dal momento che erano rimasti soli. Ad un certo momento Floriano
cominciò a non andare tutti i giorni in cellula anche perché i compagni avevano
stabilito un orario settimanale e qualche giorno restava chiusa. Quello fu per
lui un guaio e se ne lamentava con i compagni che lo vedevano incupito e sempre
sopra pensiero, tuttavia pensavano che egli, così giovane, sarebbe stato capace
di superare la crisi di tristezza che lo aveva preso dopo la morte della mamma.
Ma un giorno accadde l'imprevedibile e irreparabile. Floriano solo in casa, in
quel Vicolo Lanfranchi, privo di sole, si tolse la vita sparandosi una fucilata
nella gola in direzione della testa. Lo trovarono in un lago di sangue. La casa
si riempì di gente, c'era suo padre, povero vecchio, che piangeva
disperatamente, c'era la sua sorella e suo cognato, venne la polizia e poi il
pretore per le constatazioni di legge, dopo di che, lo portarono all'obitorio.
I compagni rimasero esterrefatti e stentavano a credere alla dura realtà di
aver perduto un tanto caro compagno. Due giorni dopo ci furono i funerali
partendo dalle stanze mortuarie dell'ospedale di Santa Chiara. C'era tanta
gente, tante donne, i compagni c'erano tutti con le bandiere della cellula e
della sezione. In piazza Manin, Mario fu invitato a dire due parole ed era un
suo compito che avrebbe fatto volentieri in quella triste situazione. Ma appena
cominciò a parlare e disse il suo nome, Floriano, la sorella, il padre ed anche
tanti compagni cominciarono a piangere, dovette rinunciare. Intanto i compagni
si erano schierati per l'ultimo addio. La salma di Floriano passò mentre le
bandiere si inchinavano e i compagni salutavano col pugno chiuso. Quei pugni
chiusi erano l'espressione di una volontà collettiva, erano un saluto, una
promessa, un impegno. -Menotti Bennati, I compagni 1944-1953, dieci anni
di cronache dalla memoria.
CHI E' IL PARTITO?
Noi,
Tu e io e voi-noi
tutti.
E' nei tuoi
vestiti, compagno, e pensa nella tua testa.
Dove vivi è la sua
casa, e dove sei attaccato combatte.
-Bertolt Brecht-
Commenti
Posta un commento