IDIOSINCRASIA
martedì, 29 marzo 2011
IDIOSINCRASIA
Caro signor Freud, C’è un modo per liberare gli uomini dalla
fatalità della guerra? Com’è possibile che la massa si lasci infiammare fino al
furore e all’olocausto di sé? Vi è una possibilità di dirigere l’evoluzione
psichica degli uomini in modo che diventino capaci di resistere alle psicosi
dell’odio e della distruzione? So che nei Suoi scritti possiamo trovare
risposte esplicite o implicite a tutti gli interrogativi posti, sarebbe
tuttavia della massima utilità a noi tutti se Lei esponesse il problema della
pace mondiale alla luce delle Sue recenti scoperte, perché tale esposizione
potrebbe indicare la strada a nuovi e validissimi modi d’azione. Molto
cordialmente Suo Einstein.
Caro signor Einstein, Lei comincia con il rapporto tra
diritto e forza. È certamente il punto di partenza giusto per la nostra
indagine. Posso sostituire la parola “forza” con la parola più incisiva e più
dura “violenza”? Diritto e violenza sono per noi oggi termini opposti. I
conflitti d’interesse tra gli uomini sono dunque in linea di principio decisi
mediante l’uso della violenza. Ciò avviene in tutto il regno animale, per gli
uomini si aggiungono, a dire il vero, anche i conflitti di opinione, che
arrivano fino alle più alte cime dell’astrazione e sembrano esigere, per essere
decisi, un’altra tecnica. La forza muscolare viene accresciuta o sostituita
mediante l’uso di strumenti; vince chi ha le armi migliori o le adopera più
abilmente. Con l’introduzione delle armi la superiorità intellettuale comincia
già a prendere il posto della forza muscolare bruta, benché lo scopo finale
della lotta rimanga il medesimo: una delle due parti, a cagione del danno che
subisce e dell’infiacchimento delle sue forze, deve essere costretta a
desistere dalle proprie rivendicazioni. Le pulsioni dell’uomo, si presume,
siano soltanto di due specie, quelle che tendono a conservare e a unire – da
noi chiamate sia erotiche (esattamente nel senso di Eros nel Convivio di
Platone) sia sessuali, estendendo intenzionalmente il concetto popolare di
sessualità, – e quelle che tendono a distruggere e a uccidere; queste ultime le
comprendiamo tutte nella denominazione di pulsione aggressiva o distruttiva.
Quando gli uomini vengono incitati alla guerra, è possibile che si destino in
loro un’intera serie di motivi consenzienti, nobili e volgari, quelli di cui si
parla apertamente e altri che vengono taciuti. Non è il caso di enumerarli
tutti. Il piacere di aggredire e distruggere ne fa certamente parte;
innumerevoli crudeltà della storia e della vita quotidiana confermano la loro
esistenza e la loro forza. Il fatto che questi impulsi distruttivi siano
mescolati con altri impulsi, erotici e ideali, facilita naturalmente il loro
soddisfacimento. Talvolta, quando sentiamo parlare delle atrocità della storia,
abbiamo l’impressione che i motivi ideali siano serviti da paravento alle brame
di distruzione; altre volte, trattandosi per esempio crudeltà della Santa
Inquisizione, che i motivi ideali fossero preminenti nella coscienza, mentre i
motivi distruttivi recassero loro un rafforzamento inconscio. Entrambi i casi
sono possibili. La pulsione di morte diventa pulsione distruttiva allorquando,
con l’aiuto di certi organi, si rivolge all’esterno, verso gli oggetti.
L’essere vivente protegge, per così dire, la propria vita distruggendone una
estranea. Una parte della pulsione di morte, tuttavia, rimane attiva
all’interno dell’essere vivente e noi abbiamo tentato di derivare tutta una
serie di fenomeni normali e patologici da questa interiorizzazione della
pulsione distruttiva. Siamo perfino giunti all’eresia di spiegare l’origine
della nostra coscienza morale con questo rivolgersi dell’aggressività verso
l’interno. Noti che non è affatto indifferente se questo processo è spinto
troppo oltre in modo diretto; in questo caso è certamente malsano. Invece il
volgersi di queste forze pulsionali alla distruzione nel mondo esterno scarica
l’essere vivente e non può non avere un effetto benefico. Ciò serve come scusa
biologica a tutti gli impulsi esecrabili e pericolosi contro i quali noi combattiamo.
Si deve ammettere che essi sono più vicini alla natura di quanto lo sia la
resistenza con cui li contrastiamo e di cui ancora dobbiamo trovare una
spiegazione. Forse Lei ha l’impressione che le nostre teorie siano una specie
di mitologia, in questo caso neppure festosa. Ma non approda forse ogni scienza
naturale in una sorta di mitologia? Non è così oggi anche per Lei, nel campo
della fisica? Per gli scopi immediati che ci siamo proposti da quanto precede
ricaviamo la conclusione che non c’è speranza di poter sopprimere le tendenze
aggressive degli uomini. Si dice che in contrade felici, dove la natura offre a
profusione tutto ciò di cui l’uomo ha bisogno, ci sono popoli la cui vita
scorre nella mitezza. presso cui la coercizione e l’aggressione sono
sconosciute. Posso a malapena crederci; mi piacerebbe saperne di più, su questi
popoli felici. Anche i bolscevichi sperano di riuscire a far scomparire
l’aggressività umana, garantendo il soddisfacimento dei bisogni materiali e
stabilendo l’uguaglianza sotto tutti gli altri aspetti tra i membri della
comunità. Io la ritengo un’illusione. Intanto, essi sono diligentemente armati,
e fra i modi con cui tengono uniti i loro seguaci non ultimo è il ricorso
all’odio contro tutti gli stranieri. D’altronde non si tratta, come Lei stesso
osserva, di abolire completamente l’aggressività umana; si può cercare di
deviarla al punto che non debba trovare espressione nella guerra. Partendo
dalla nostra dottrina mitologica delle pulsioni, giungiamo facilmente a una formula
per definire le vie indirette di lotta alla guerra. Se la propensione alla
guerra è un prodotto della pulsione distruttiva, contro di essa è ovvio
ricorrere all’antagonista di questa pulsione: l’Eros. Tutto ciò che fa sorgere
legami emotivi tra gli uomini deve agire contro la guerra. Questi legami
possono essere di due tipi. In primo luogo relazioni che pur essendo prive di
meta sessuale assomiglino a quelle che si hanno con un oggetto d’amore. La
psicoanalisi non ha bisogno di vergognarsi se qui parla di amore, perché la
religione dice la stessa cosa: ama il prossimo tuo come te stesso. Ora, questo
è un precetto facile da esigere, ma difficile da attuare. L’altro tipo di
legame emotivo è quello per identificazione. Tutto ciò che provoca solidarietà
significative tra gli uomini risveglia sentimenti comuni di questo genere, le
identificazioni. Su di esse riposa in buona parte l’assetto della società
umana.
L’abuso di autorità da Lei lamentato mi suggerisce un
secondo metodo per combattere indirettamente la tendenza alla guerra. Fa parte
dell’innata e ineliminabile diseguaglianza tra gli uomini la loro distinzione
in capi e seguaci. Questi ultimi sono la stragrande maggioranza, hanno bisogno
di un’autorità che prenda decisioni per loro, alla quale perlopiù si
sottomettono incondizionatamente. Richiamandosi a questa realtà, si dovrebbero
dedicare maggiori cure, più di quanto si sia fatto finora all’educazione di una
categoria superiore di persone dotate di indipendenza di pensiero,
inaccessibili alle intimidazioni e cultrici della verità, alle quali dovrebbe
spettare la guida delle masse prive di autonomia. Che le intrusioni del potere
statale e la proibizione di pensare sancita dalla Chiesa non siano favorevoli
ad allevare cittadini simili non ha bisogno di dimostrazione. La condizione
ideale sarebbe naturalmente una comunità umana che avesse assoggettato la sua
vita pulsionale alla dittatura della ragione. Nient’altro potrebbe produrre
un’unione tra gli uomini così perfetta e così tenace, perfino in assenza di
reciproci legami emotivi. Ma secondo ogni probabilità questa è una speranza
utopistica. Le altre vie per impedire indirettamente la guerra sono certo più
praticabili, ma non promettono alcun rapido successo. E’ triste pensare a
mulini che macinano talmente adagio che la gente muore di fame prima di
ricevere la farina. Perché ci indigniamo tanto contro la guerra, Lei e io e
tanti altri, perché non la prendiamo come una delle molte e penose calamità
della vita? La guerra sembra conforme alla natura, pienamente giustificata
biologicamente, in pratica assai poco evitabile. Non inorridisca perché pongo
la domanda. Al fine di compiere un’indagine come questa è forse lecito fingere
un distacco di cui in realtà non si dispone. La risposta è: perché ogni uomo ha
diritto alla propria vita, perché la guerra annienta vite umane piene di
promesse, pone i singoli individui in condizioni che li disonorano, li
costringe, contro la propria volontà, a uccidere altri individui, distrugge
preziosi valori materiali, prodotto del lavoro umano, e altre cose ancora.
Inoltre la guerra nella sua forma attuale non dà più alcuna opportunità di
attuare l’antico ideale eroico, e la guerra di domani, a causa del
perfezionamento dei mezzi di distruzione, significherebbe lo sterminio di uno o
forse di entrambi i contendenti. Tutto ciò è vero e sembra così incontestabile
che ci meravigliamo soltanto che il ricorso alla guerra non sia stato ancora
ripudiato mediante un accordo generale dell’umanità. Qualcuno dei punti qui
enumerati può evidentemente essere discusso: ci si può chiedere se la comunità
non debba anch’essa avere un diritto sulla vita del singolo; non si possono
condannare nella stessa misura tutti i tipi di guerra; finché esistono stati e
nazioni pronti ad annientare senza pietà altri stati e altre nazioni, questi
sono necessitati a prepararsi alla guerra. Ma noi vogliamo sorvolare
rapidamente su tutto ciò, giacché non è questa la discussione a cui Lei mi ha
impegnato. Ho in mente qualcos’altro, credo che la ragione principale per cui
ci indigniamo contro la guerra è che non possiamo fare a meno di farlo. Siamo
pacifisti perché dobbiamo esserlo per ragioni organiche: ci è poi facile
giustificare il nostro atteggiamento con argomentazioni. So di dovermi
spiegare, altrimenti non sarò capito. Ecco quello che voglio dire: Da tempi
immemorabili l’umanità è soggetta al processo dell’incivilimento (altri, lo so,
chiamano più volentieri questo processo: civilizzazione). Dobbiamo ad esso il
meglio di ciò che siamo divenuti e buona parte di ciò di cui soffriamo. Le sue
cause e origini sono oscure, il suo esito incerto, alcuni dei suoi caratteri
facilmente visibili. Forse porta all’estinzione del genere umano, giacché in
più di una guisa pregiudica la funzione sessuale, e già oggi si moltiplicano in
proporzioni più forti le razze incolte e gli strati arretrati della popolazione
che non quelli altamente coltivati. Forse questo processo si può paragonare
all’addomesticamento di certe specie animali; senza dubbio comporta
modificazioni fisiche; tuttavia non ci si è ancora familiarizzati con l’idea
che l’incivilimento sia un processo organico di tale natura. Le modificazioni
psichiche che intervengono con l’incivilimento sono invece vistose e per nulla
equivoche. Esse consistono in uno spostamento progressivo delle mete
pulsionali. Sensazioni che per i nostri progenitori erano cariche di piacere,
sono diventate per noi indifferenti o addirittura intollerabili; esistono
fondamenti organici del fatto che le nostre esigenze ideali, sia etiche che
estetiche, sono mutate. Dei caratteri psicologici della civiltà, due sembrano i
più importanti: il rafforzamento dell’intelletto, che comincia a dominare la
vita pulsionale, e l’interiorizzazione dell’aggressività, con tutti i vantaggi
e i pericoli che ne conseguono. Orbene, poiché la guerra contraddice nel modo
più stridente a tutto l’atteggiamento psichico che ci è imposto dal processo
civile, dobbiamo necessariamente ribellarci contro di essa: semplicemente non
la sopportiamo più; non si tratta soltanto di un rifiuto intellettuale e
affettivo, per noi pacifisti si tratta di un’intolleranza costituzionale, per
così dire della massima idiosincrasia. E mi sembra che le degradazioni
estetiche della guerra non abbiano nel nostro rifiuto una parte molto minore
delle sue crudeltà. Quanto dovremo aspettare perché anche gli altri diventino
pacifisti? Non si può dirlo, ma forse non è una speranza utopistica che
l’influsso di due fattori – un atteggiamento più civile e il giustificato
timore degli effetti di una guerra futura – ponga fine alle guerre in un
prossimo avvenire. Per quali vie dirette o traverse non possiamo indovinarlo.
Nel frattempo possiamo dirci: tutto ciò che promuove l’evoluzione civile lavora
anche contro la guerra. La saluto cordialmente e Le chiedo scusa se le mie
osservazioni L’hanno delusa. Suo Freud. (Perché la guerra? carteggio Albert
Einstein – Sigmund Freud, luglio 1932). [personale sintesi]
ARRIVEREMO
Arriveremo un giorno
vecchi ma felici
per la libertà
della nostra morte
-Renzo Mazzetti-
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