FANCIULLEZZA
sabato, 19 marzo 2011
FANCIULLEZZA
Quel che fa poesia è
la fantasia, il sognare ad occhi aperti, interpretare il sentire – con il cuore
e con la mente – avere una chiave di lettura della realtà, passata, presente,
in divenire, essere anche preveggente. La fantasia è una prima forma umana
della conoscenza. É la forma di una lettura del mistero che circonda l’umanità
al quale vengono date risposte e, dove non riesce a spiegare utilizzando la
scienza, spiega con la fantasia raccontata poeticamente.
SPIRITO
La fantasia viene fuori alle origini dell’umanità, è la
prima forma della conoscenza. La poesia fa dei primitivi dei poeti.
Significativa è la denominazione di poesia di Giambattista Vico: Fanciullezza
dell’umanità. E sottolinea che gli studi della metafisica e della poesia sono
naturalmente opposti tra loro: quella purga la mente dai pregiudizi della
fanciullezza, questa tutta ve l’immerge e rovescia dentro; quella resiste al
giudizio dei sensi, questa ne fa la principale sua regola; quella infievolisce
la fantasia; questa la richiede robusta; quella ne fa accorti di non fare dello
spirito corpo; questa non d’altro si diletta che di dare corpo allo spirito;
onde i pensieri di quella sono tutti astratti, i concetti di questa allora sono
più belli quando si formano più corpulenti. La concezione della poesia come
libera fantasia creatrice, connaturata alla fanciullezza dell’umanità, gli
permette di fare una grande scoperta di carattere letterario risolvendo il
problema critico: quello della poesia omerica. Per il Vico l’Iliade e l’Odissea
non possono essere opera di un unico creatore, ma esprimono l’intero popolo
greco nel processo della sua civiltà: Omero non fu se non un’idea ovvero un
carattere eroico d’uomini greci, in quanto essi narravano cantando la loro
storia. Alla stessa stregua, la Divina Commedia è grande, perché è quasi una
storia dei tempi barbari della nazione italiana, perché Dante è il poeta della
ritornata barbarie d’Italia. La poesia, dunque, come fanciullezza del
mondo.(meditazioni rileggendo il grande pensatore napoletano).
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DESTATI ITALIA!
Destati, Italia! Del Benaco in riva
Il teutono guerrier ruota la spada;
E le vie ricalcando in cui fuggiva,
Aprirsi tenta al tuo bel sen la strada.
Se di senno e valor tu non sei priva,
Mal d’Alpe e dal mar chiusa contrada,
Il brando impugna, il prisco giogo schiva;
Vittima tua, che te vuol serva, cada.
Ma lui che a torto salvator nomasti,
Teco non sia di tanta pugna a parte,
Ché a te medesima, se lo vuoi, tu basti.
Gente che incontro a servitù vicina
Aita implora di straniero marte,
Cangia di ceppi e non divien regina.
-Giovan Luigi Redaelli-
(Cremona, 1785 – 1815)
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