IL DIRITTO DI PROPRIETA’
LUNEDÌ, 28 FEBBRAIO 2011
IL DIRITTO DI PROPRIETA'
Io credo che tutti convengano nella formulazione di una norma che, riconoscendo il principio della proprietà privata, non lo esprima secondo la vecchia formulazione del diritto romano, ma ponga delle limitazioni diverse e che appaiono più o meno dalle Carte costituzionali moderne anche se esse non sono di Paesi a regime socialista o tendenzialmente socialista. Infatti simili formulazioni noi le troviamo non solo nelle Costituzioni dell’URSS o della Jugoslavia ma anche nel progetto francese e già prima nelle Costituzioni del dopoguerra (Weimar, articoli 34-35). La formulazione può seguire due metodi diversi: o partire dall’affermazione generale del principio del diritto alla proprietà privata, aggiungendo poi le limitazioni che a questo principio sono da porre nell’interesse dell’intera società, cioè la Nazione, oppure, analiticamente, affermare e garantire le diverse forme di proprietà che sono andate costituendosi nella società moderna o che sono in via di costituirsi. Il primo metodo, che si scosta meno dalla tradizione, si riscontra nelle nuove Carte costituzionali dei paesi vecchi (Francia, per esempio), il secondo nelle Carte costituzionali dei Paesi come l’URSS e la Jugoslavia. Il risultato sostanziale è lo stesso: il riconoscimento della nuova situazione sociale, di rapporti economici nuovi che devono essere garantiti, difesi, salvaguardati. Quali sono i limiti sostanziali alla proprietà privata che esistono di fatto nella società contemporanea e che corrispondono, oltre che ad una esigenza economica dell’interesse nazionale, anche ad una esigenza della coscienza popolare? E’ bene ricordarli perché ad essi corrispondono forme diverse di impresa. In breve ci si può richiamare alla funzione sociale della proprietà, riconosciuta da tutte le Carte costituzionali, ma è chiaro che questa formulazione eccessivamente generica trova la sua concretizzazione in fatti specifici, in limiti comuni a tutte le forme di proprietà e nella distinzione di forme particolari di imprese economiche. La prima limitazione effettiva è che oggi tutta la proprietà, e quindi qualsiasi impresa economica, deve sottostare alle limitazioni poste dalla politica economica nazionale, si esplichi essa in un piano organico di produzione cioè in un piano economico oppure soltanto in piani di intervento parziali. Di ciò del resto abbiamo esempio anche nella realtà economica italiana, e fossero essi maggiori e più efficienti per il bene del paese, nel piano di importazioni, nella commissione centrale dell’industria, e più notevoli essi sono anche in Paesi che pure hanno struttura sociale simile alla nostra. Questa limitazione deve essere affermata da una Carta costituzionale moderna come una realtà, non solo inseparabile dalla nostra costituzione economica, ma corrispondente ad una esigenza della coscienza popolare e al principio della funzione sociale della proprietà: Essa potrebbe affermarsi con una formulazione positiva <nella funzione sociale la proprietà deve uniformarsi alle direttive della politica economica nazionale stabilita dallo Stato, ai piani economici fissati dagli organi statali> o negativa <… non può sottrarsi, ecc.>, o in modo ancora più forte:<la vita economica del paese è regolata dallo Stato nello interesse della Nazione mediante un piano economico di produzione a cui devono uniformarsi i singoli soggetti economici>. A questa limitazione di carattere generale sono soggette tutte le forme di proprietà (e quindi di impresa) siano esse statali, nazionalizzate, cooperative, sotto il controllo pubblico o privato, di grande o di piccola dimensione. Questa limitazione è espressa nelle Carte costituzionali in modo netto e deciso, in quella sovietica e in quella jugoslava (articolo 15), ma si trova in molte altre Carte costituzionali del dopoguerra. L’altro principio fondamentale che pone un limite alla proprietà privata e dal quale deriva il fondamento dell’organizzazione sindacale della protezione e della assicurazione sociale, è dato dal fatto che la produzione non ha fine a se stessa, ma serve per assicurare una vita degna e possibile al popolo italiano: la produzione serve cioè per l’uomo e non l’uomo per la produzione. La base dell’intervento del lavoratore nella produzione sta proprio qui. Perché l’impresa basata sulla proprietà privata dei mezzi di produzione non serva solo per creare profitti, indipendentemente dall’interesse nazionale, ma per creare prodotti e lavoro, perché la produzione sia potenziata, occorre che le masse lavoratrici partecipino direttamente alla direzione della vita economica, cioè dell’impresa economica qualunque forma questa abbia. E ciò come formulazione generale deve risultare anche dalla Carta costituzionale (questo principio è genericamente espresso oltre dalle solite Costituzioni anche dall’articolo 38 del progetto francese). Sotto questo aspetto la proprietà privata trova due limiti: a) nell’affermazione che il lavoratore attraverso le sue organizzazioni sindacali deve garantire al lavoro condizioni umane di retribuzione e quindi di vita, nei limiti alla durata e alle condizioni di lavoro per legge; b) nel riconoscimento del diritto al lavoratore come fattore fondamentale della produzione di intervenire nella direzione del processo produttivo assieme al proprietario dei mezzi di produzione. Essendo due casi distinti, sarebbe bene che fossero espressi con due diverse formulazioni. Queste non farebbero altro che sancire una realtà sociale in atto e corrispondere ad un principio democratico vivo ed operante nella coscienza popolare del Paese. La seconda affermazione sta infatti alla base del riconoscimento giuridico del Consiglio di gestione o di impresa.
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