CAMPO SAN PIETRO (Gli orrori del capitalismo)
martedì, 23 marzo 2010
CAMPO SAN PIETRO (Gli orrori del capitalismo)
Il Parlamento inglese, ora nell’interesse degli industriali,
ora in quello dei proprietari terrieri, era sempre nemico degli operai. Così lo
storico Trevelyan definisce l’azione parlamentare in Gran Bretagna negli anni
della rivoluzione industriale e in quelli che seguirono. E gli operai, che
vivevano nella più tragica miseria, avevano cominciato dapprima a sfogarsi
contro le macchine, che ritenevano loro nemiche, dando vita al movimento
luddista che culminò con l’impiccagione brutale dei suoi capi e dei suoi
animatori. Ma poco per volta, ammaestrati dalla loro stessa esperienza, gli
operai cominciarono a capire che in altro senso dovevano rivolgere la loro
lotta per strappare alle classi sfruttatrici migliori condizioni di lavoro e di
vita. Agli assalti alle macchine e agli incendi dei pagliai nelle campagne essi
cominciarono a sostituire vaste agitazioni per chiedere, per prima cosa, una
riforma elettorale che, mutando le leggi allora in vigore, permettesse
l’ingresso in Parlamento di deputati eletti democraticamente dalle masse
ponendo fine alla vergognosa abitudine dei Borghi corrotti nei quali riuscivano
eletti esclusivamente i rappresentanti delle classi possidenti. Nel 1819, con
l’approfondirsi della crisi economica, si andò sviluppando il senso di rivolta
delle masse per ottenere il suffragio universale. Imponenti riunioni di operai
furono tenute nei diversi centri industriali tanto che il governo conservatore
cominciò ad impensierirsi e a cercare rimedi adatti per eludere la precisa
volontà delle masse. Il paternalismo dei conservatori gettò finalmente la
maschera a Manchester, il 16 agosto 1819. E’ questa una data che i lavoratori
inglesi non hanno scordato. Col permesso delle autorità una immensa folla
pacifica e ordinata di uomini, donne e fanciulli, che i testimoni oculari fanno
salire a oltre 60.000 persone, si riunì quel giorno a Campo S. Pietro
(Peterloo) per ascoltare un discorso del radicale Hunt sulla riforma
elettorale. Ma i magistrati incaricati della vigilanza si impressionarono di
fronte all’imponenza dell’assemblea e ordinarono alla polizia di arrestare
l’oratore mentre il comizio era in pieno svolgimento. La folla respinse con
urla e spintoni i poliziotti e allora i magistrati ordinarono alla cavalleria,
riunita poco distante dalla località, di caricare. Fu una scelta terribile. Gli
ufficialetti conservatori, figli di aristocratici e di proprietari terrieri,
che comandavano la cavalleria, sguainarono le sciabole e si slanciarono con
inaudita ferocia contro la folla inerme. Ne seguì una sanguinosissima mischia.
Quando la folla si disperse nel vasto campo, chiazzato qua e là di sangue,
giacevano mucchi di morti e di feriti. I morti furono undici, comprese due
donne: più di cento persone furono ferite dai colpi di sciabola e altre
centinaia calpestate dai cavalli. Soltanto le donne rimaste ferite ammontavano
a più di un centinaio. Il governo espresse i suoi vivi ringraziamenti agli
autori della strage senza aspettare che sul grave fatto di sangue fosse aperta
una inchiesta. Lo sdegno popolare fu enorme ma, per quella volta, la violenza
sortì l’effetto voluto dalle classi sfruttatrici e il movimento di
rivendicazione dei lavoratori andò affievolendosi.
DISOCCUPATO
Aveva una faccia da buono:
dietro di lui c’era il ritratto nudo
di un bambino sulla riva del mare.
Gli dissi:Vorrei lavorare.
Aveva una faccia da buono
che si specchiava deforme
nel lucido piano della scrivania.
Attendere: il tempo si vuota.
Il sole camminava di sbieco
sulle piastrelle rosse dell’atrio.
A stare in piedi ero stanco.
Mi sedetti su un gradino di marmo,
ma il gradino di marmo scottava.
Attraversare tutta la città!
Il sole era diventato bianco
nel cielo di mezzogiorno.
Là, trovai sotto le mani
i ferri duri di un cancello,
e il mio chiamare privo di risposta
nella chiusa verdura del giardino.
Un pezzo di pane senza sapore
incartato nel giornale,
il fumo di una sigaretta
sulla pietra di una panchina.
Così ho consumato il calore
di un altro lunghissimo giorno.
Viene, dalla finestra sulla scala,
un soffio grasso di cucina.
Sulla voce di una donna che canta
corre il suono del campanello.
Di là dalla vetrata senza macchia
qualcuno dice: Ritorni domani.
I piedi mi sembrano più grandi
come le radici moleste
di un albero secco.
Il sole di sghembo commina
sui mattoni rossi dei portici,
in alto già grigi.
Per rientrare nella casa più grigia,
accendo con l’ultimo fiammifero
il mozzicone di sigaretta.
Mia madre sventola in fretta
tre pezzi di carbone
dentro il fornello di ferro.
Stasera il bambino ha la febbre.
-Renata Viganò-
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