MONARCHIA

 

lunedì, 22 febbraio 2010

MONARCHIA

Il problema della monarchia è diventato acuto in Italia in relazione al fatto che i partiti antifascisti – particolarmente sotto l’influenza del conte Sforza ( Carlo Sforza, già ministro degli esteri, trovatosi ambasciatore a Parigi al tempo dell’ascesa di Mussolini al potere era stato uno dei pochi funzionari dello Stato a dare le dimissioni. Si era ritirato in esilio prima a Parigi e poi a New York. Già dalla fine del 1941 da New York aveva pubblicato un programma in otto punti per la ricostruzione politica dell’Italia sulla base di una libera scelta delle sue istituzioni. Poco dopo l’armistizio Sforza rientrò in Italia e a Napoli si schierò apertamente per l’abdicazione di Vittorio Emanuele III e del figlio Umberto. I partiti del Comitato di liberazione nazionale napoletano furono così forzatamente influenzati da questa presa di posizione, che rifletteva anche le idee di Benedetto Croce.) – hanno fatto dell’abdicazione del re una condizione della loro partecipazione al governo, e, di conseguenza, il governo nazionale di tipo democratico che tutti si aspettavano non ha potuto venir costituito. Il problema della monarchia ha parecchi aspetti, e, a rigore, è concepibile una soluzione provvisoria e transitoria che, lasciando le cose impregiudicate e riservando la soluzione al popolo stesso, quand’esso potrà esprimere il suo volere, permetta la costituzione immediata del governo. Una cosa infatti deve essere premessa, e deve valere per tutti come un principio. Se l’Italia dovrà essere retta, in avvenire, a regime monarchico o a regime repubblicano, è la nazione intiera che dovrà deciderlo, inviando i suoi rappresentanti a quell’Assemblea nazionale costituente che dovrà gettare le basi del nuovo ordinamento democratico del nostro paese. Avrebbero torto quei partiti e quegli uomini, di convinzione repubblicana, che volessero imporre oggi, di sorpresa e senza consulta popolare, la loro soluzione. Allo stesso modo avrebbero torto quei monarchici che volessero privare la nazione del diritto di esprimere il proprio giudizio anche sul problema della monarchia o della repubblica. Dopo ciò che è avvenuto dal 1922 in poi, sarebbe insensato considerare l’istituto monarchico come indiscutibile. Al contrario, la sua funzione può e deve essere discussa. La soluzione dell’Assemblea costituente è la sola, del resto, che permette di decidere il problema istituzionale evitando ogni rischio di disordini e di violenze.

Essa è chiaramente indicata dalla “ Dichiarazione sull’Italia “ della conferenza di Mosca ( Si tratta della conferenza tripartita anglo-americana-sovietica, che si tenne a Mosca tra il 19 e il 30 ottobre 1943, dove fu emessa una dichiarazione sull’Italia, nella quale, oltre ad assumere l’impegno di distruggere il fascismo, si richiedeva l’ingresso dei partiti antifascisti nel governo italiano). Ad essa quindi ci si dovrà attenere. Se ora veniamo al fondo del problema, esso ha due aspetti. Uno riguarda la persona del re attuale; l’altro riguarda l’istituto monarchico in sé. Il re attuale ha commesso tre errori fatali, che lo hanno irrimediabilmente compromesso come capo dello Stato e che effettivamente rendono ben penoso il vederlo tuttora al suo posto. Primo: egli ha violato la fede alla Costituzione da lui giurata; ha lasciato che questa Costituzione venisse calpestata e soppressa. Secondo: quando gli fu data la prova nel 1926, da uomini come Amendola e Sforza, che Mussolini era un volgare assassino, egli si rifiutò di togliergli il potere. Terzo: egli acconsentì alla dichiarazione di guerra quando il suo dovere era di sapere che il paese era impreparato, che la guerra era ingiusta e ci avrebbe portato all’attuale catastrofe. Per tutti questi motivi è comprensibile che i capi democratici sollevino il problema dell’abdicazione di Vittorio Emanuele. Come potrebbero essi giurare fedeltà a un re che s’è visto in qual conto tenga i giuramenti suoi propri. Vittorio Emanuele avrebbe reso un gran servizio all’Italia e un omaggio segnalato alla pubblica morale se per conto suo, senza farselo dire, già avesse abdicato. La questione della monarchia come istituto è più complicata e più profonda. Per il vecchio diritto costituzionale, il valore dell’istituto monarchico sta nel fatto che esso sarebbe un elemento di equilibrio e di conservazione, che eviterebbe i salti bruschi, i salti nel vuoto e i conseguenti pericoli per il corpo sociale. Orbene, è un fatto che la monarchia in Italia non ha adempiuto questa funzione. Essa non soltanto non ha impedito, ma anzi ha contribuito a che il paese cadesse nelle mani di una cricca di pescicani, di irresponsabili e di banditi, che lo hanno prima saccheggiato per conto proprio, e poi lo hanno venduto ai tedeschi, lo hanno portato alla sconfitta militare, alla rovina economica e alla catastrofe. Chi può oggi affermare in buona fede che il mantenimento dell’istituto monarchico sia per la nazione italiana una garanzia contro il ripetersi d’una simile tragedia? Se vorremmo avere una garanzia seria – come sarà necessario che l’abbiamo, – della solidità del regime democratico nel nostro paese dovremo cercarla e la troveremo soltanto nell’esistenza di una solida e ampia rete di organizzazioni popolari – sindacati, cooperative, leghe di reduci di guerra, partiti politici antifascisti – le quali siano penetrate di vero spirito democratico e agiscano unite in modo da sbarrare per sempre il passo a ogni ritorno o rigurgito di reazione. Ma qui l’orizzonte si allarga, per abbracciare in pieno i problemi della costruzione di uno Stato italiano libero, forte, unito, indipendente e pacifico.

Noi rimaniamo fermi al principio che è il popolo stesso che deve esaminare, discutere, decidere nella sua sovranità questi problemi. La parola dell’Assemblea costituente diventa quindi il centro attorno al quale logicamente si può e si deve fare oggi l’unità nazionale, perché è la sola che non fa violenza al popolo, ne rispetta i sacrosanti diritti, riserva, senza pregiudicarli, tutti i problemi del futuro, e permette quindi il massimo di unità e concentrazione di forze per risolvere quelli del presente, cioè della guerra.

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IL RE DEMETRIO
 Quando l’abbandonarono i Macedoni
 mostrando chiaro d’anteporgli Pirro,
 il re Demetrio ( era uomo di grande
 animo ) non si comportò da re -
 così almeno si disse. Andò a spogliarsi
 dei suoi pomposi paramenti d’oro,
 gettò le calzature porporine.
 D’umili panni, frettolosamente,
 si rivestì, fuggì. Come un attore,
 non appena finito lo spettacolo,
 si cangia di vestito e se ne va.
 -Costantino Kavafis-


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