A CASA DEL CAVALIERE
mercoledì, 24 febbraio 2010
A CASA DEL CAVALIERE
La casa di don Diego, bella costruzione moresca, era grande
e spaziosa. Nel cortile si trovavano delle dispense e attorno ad esse si
vedevano schierate in buon ordine molte damigiane: quelle damigiane fatte al
Toboso richiamarono nella memoria di don Chisciotte il pensiero della sua cara
ed infelice Dulcinea. Si fermò, sospirò e, guardando le damigiane con occhi
pieni di lacrime, gemette: Oh, pegni cari e dolorosi di un così puro, ardente
amore, perché straziate la mia ferita?… Questa tenera invocazione alle
damigiane fu interrotta dal figlio di don Diego che si recava incontro a suo
padre, con sua madre, donna Cristina. L’eroe si affrettò a lasciare Ronzinante
e, con grande galanteria, andò a baciare la mano di donna Cristina. Signora,
disse don Diego alla moglie, vi presento il signor don Chisciotte della Mancia,
il più valoroso, il più istruito, il più amabile dei cavalieri erranti. Il
nostro cavaliere fu condotto in una sala dove Sancio lo disarmò, gli versò sul
capo cinque o sei brocche d’acqua gli diede della biancheria di bucato, e poco
dopo l’eroico cavaliere dei Leoni faceva la sua comparsa nel salone, dove lo
aspettava il figlio di don Diego, in farsetto di pelle di camoscio un po’
annerito dallo sfregamento delle armi, colletto senza pizzi e senza pieghe,
scarpe alla moresca, la fida spada al fianco appesa ad una tracolla di lupo
marino, e le spalle coperte da un mantello di stoffa comune. Signore, disse don
Chisciotte al giovane, vostro padre mi ha già parlato della vostra passione per
la poesia, ed ho appreso con interesse e piacere che siete un grande poeta. Oh,
rispose Lorenzo, la mia vanità non giungerà mai sino a credermi tale; e voi a
quale scienza vi siete dedicato in modo speciale? Ad una sola che le comprende
tutte, ed è la cavalleria errante, disgraziatamente troppo poco onorata in
questo secolo corrotto, ma, per fortuna, non ancora spenta. La conversazione fu
interrotta dal desinare. Don Chisciotte era innamorato del tono, delle maniere
di quella famiglia e ciò che lo colpiva maggiormente era il meraviglioso
silenzio, la pace, la calma, l’ordine che regnavano in quell’asilo. Ma, dopo
aver passato quattro giorni nella casa di don Diego, l’eroe della Mancia volle
tornare alla ricerca di avventure, delle quali, secondo lui, quel paese abbondava.
E una di quelle che più desiderava di intraprendere era di penetrare nel fondo
della caverna di Montesimos, dove si trovano le sette sorgenti del Ruidera. Don
Diego e suo figlio approvarono quel progetto e supplicarono don Chisciotte di
portar via da casa loro quanto avesse potuto occorrergli. Don Chisciotte
ringraziò i suoi ospiti e fissò l’ora della partenza con gran dolore di Sancio,
che non aveva troppo desiderio di tornare alla frugalità dei pranzi
cavallereschi. Prima della partenza il prudente scudiero ebbe però gran cura di
impinzare la propria bisaccia; dopo di che, colle lacrime agli occhi e gettando
teneri sguardi su quella casa ospitale, condusse Ronzinante al proprio padrone.
Costui fece i suoi addii a tutti e, tirando in disparte don Lorenzo, gli disse:
Il vostro nobile cuore è appassionato per la gloria: avete due vie da prendere.
La prima, difficile e lunga, è quella della poesia; l’altra via è assai più
breve, ma infinitamente più penosa: fatevi cavaliere errante. Riconosco che
durerete fatica, ma finirete per diventare imperatore! Don Lorenzo gli rispose
d’essere ancora troppo giovane per prendere una tale risoluzione però gli
promise di riflettere sui suoi consigli. Don Chisciotte rinnovò i suoi addii e
i suoi complimenti e portando seco il rimpianto di quella brava famiglia si
mise in cammino con Sancio.
-Michele Cervantes- (le avventure di don Chisciotte della
Mancia e di Sancio Pancia suo scudiere, edizioni Aurora, Milano,1934)
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L’ODIO
… Sì, questo è il mio difetto.
Dispiacer mi piace, dell’odio mi diletto!
Se tu sapessi come s’incede più gagliardi
sotto il fuoco di fila dei malevoli sguardi;
quali sul giustacuore, quali macchie gentili
fan gl’invidi il fiele e la bava dei vili!
No: la molle amicizia di cui cingete i frolli
cuori somiglia in tutto quei grandi e flosci colli
d’Italia che vi cingon così femineamente
la gola; vi si sta meglio… e men fieramente;
chè, d’ogni freno liberi, come d’ogni sostegno,
voi potete la testa piegar senza ritegno.
Me l’odio senza posa fascia il collo, e mi appresta
il rigido collare che tiene alta la testa;
cresce una crespa ad ogni nemico, al cui passaggio
mi s’aggiunge una pena, ma mi s’aggiunge un raggio;
chè, simile al collare spagnuol, se il collo stringe
come una gogna, l’Odio anche di un nimbo cinge! …
il poeta Edmond Rostand
-Edmond Rostand- (Cirano di Bergerac, frammento scena VIII,
Luigi Pierro Editore, Napoli 1907)
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