PARASSITI DELLA CULTURA

lunedì, 28 dicembre 2009

PARASSITI DELLA CULTURA

Ricordate i movimenti di cultura degli ultimi decenni, dal Leonardo alla Voce? Giorni migliori della nostra giovinezza, desiderio di veder chiaro e di orientarsi saldamente, passione di tutto conoscere e di tutto sapere, ardente ricerca di un punto di equilibrio onde lanciarsi nella vita, a lavorare, con coscienza di un fine e con certezza di sé. Chi non si sente un poco figlio di quei movimenti, chi non serba un poco di quella passione? In fondo quello Sturm und Drang culturale fu cosa buona perché fu un punto di partenza, e, meglio fu un punto di ritrovo di forze diverse che momentaneamente convergevano nello scopo unico di lottare per l’onestà degli studi e la serietà della vita. In seguito, ognuno proseguì per la sua strada, grandi e piccini, ognuno fece il suo cammino, secondo le forze sue. Oggi si vede che gli uomini che allora sembravano i più rappresentativi, penso a un Prezzolini, non ebbero altro valore che quello di fornire, con la loro personalità esuberante e vivace, un comune elemento connettivo e coordinatore.

Ma nella rivistina di cui ci occupiamo avviene il contrario: la cultura non è un atteggiamento di studio o di ricerca ma è il risultato, che si spaccia a buon prezzo; costoro ( ma non sarebbe meglio fare uso del singolare? ) sono, o fanno credere di essere, stabilmente arrivati, hanno un credo e una “ fede” da predicare. Chi la pensa in modo diverso, chi non è del tutto persuaso, chi nega la grande luce che quindicinalmente lo abbaglia da queste pagine, si fa presto a classificarlo: o è privo di moralità o di autocoscienza (!), o è un “malvagio“ o un “vigliacco”, non c’è via di mezzo: Io sono il solitario autocosciente, l’uomo completo, l’onesto, il disciplinato: o con me o contro di me.

Ecco: studio, serietà, disciplina, sono parole assai belle e si può usarle a ripetizione quante volte si crede; ma chi scrive queste righe, per esempio, è un pedante che ha l’abitudine di cercare se sotto quelle parole ci siano poi delle cose (uh il positivista!), delle cose che abbiano un senso e non degli spropositi e nemmeno delle frasi che ti sfuggon di mano e svaniscono non appena cerchi di afferrare il loro significato concreto. Qui invece io veggo che mi si giudica tutto l’universo, restando sospesi a mezzo cielo in un frasario nuvoloso che dovrebbe dare l’illusione della profondità. Se qualche volta si tocca terra, l’illusione cessa, le nubi dileguano e tu non puoi tenere il riso al veder questo scolaretto che si aggira tastoni tra le cose che non sa e quelle che vuol scimmiottare. Il socialismo diventa “ una ideologia sorta sull’ambiente storico della rivoluzione francese “, il comunismo si è sfasciato dopo il ‘48: operai, che avete letto gli opuscoli a 2 cm., insegnate voi al signor Gobetti che il socialismo sorse precisamente come opposizione alle astratte ideologie dell’89 e del ‘93, insegnategli che se il Manifesto è del ‘47, la Prima Internazionale e del ‘64, del ‘71 la Comune, di oggi la rivoluzione russa. E la lotta di classe? La “risolveremo nei suoi elementi” con alcune osservazioni che puzzano lontano un miglio della filosofia liceale che in altre pagine tanto si disprezza: e via! non siamo più al liceo, e dei libri ne abbiam letti anche noi, tanto da saper a prima vista riconoscere le “fonti” di queste osservazioni. Quanto a Marx, i socialisti non si sono mai posto il problema di spiegarlo, e che dico? una stroncatura la darà lui… quando l’avrà letto. E andiamo avanti: Treitschke vi diventa un positivista, la rivoluzione sociale un colpo di Stato, il problema della scuola…

Io non ho voglia di andar oltre spulciando le banalità e le sciocchezze che sono in queste pagine; ma che cos’è questo rinchiudersi, quando si tratta di venire all’essenziale, anzi, questo star rinchiuso dal principio alla fine in un sistema di espressioni semioscure, di parole che vorrebbero essere profonde e misteriose, che cos’è questo mal vezzo di non poter dire quattro frasi pulite e con garbo sull’ultimo

degli argomenti senza disturbare tutti gli dèi e gli Idoli del cielo idealistico, che cos’è questo continuo tirar in ballo per ogni inezia tutto l’arsenale dello Spirito, dell’Assoluto, Dell’Ideale, della dialettica e via dicendo? Penso che quei bambini i quali perché han messo la prima volta i calzoncini invece che delle sottane, lo van dicendo e mostrando a tutti e credono proprio che da quel momento incominci per il mondo intiero qualcosa di nuovo. E’ ora di smetterla con queste smanie da provinciale. Io credo che gli studiosi ed i maestri dell’idealismo devono per i primi sentirsi stomacati e offesi da questa ossessione parolaia, come ci si sentirebbe offesi a vedere una onesta donna trascinata pei trivi a far capriole con un saltimbanco. Che valore hanno, in fin dei conti, queste espressioni, disgiunte da un pensiero che sia degno di esse, disgiunte dalla coscienza dei problemi che si annidano nel seno dell’idealismo, e che non sono né pochi né lievi? Questo signor Gobetti possiede un sistema di “verità indiscutibili“ ma no, egli possiede soltanto un comodo mantello sotto il quale nasconde la sua ignoranza. Getti via i trampoli e si vedrà quant’è alto! Io, per ora, credo che nella bestemmia di un ubriaco ci sia maggior spiritualità che in tutto il suo spirito, in tutto il suo ideale, in tutto il suo catechismo male appreso e mal ripetuto. Avesse almeno un po di spirito ( S maiuscola ), un poco della diabolica agilità che ci faceva ammirare lo “stroncatore“ Papini: ma è pesante, greve, tedioso peggio di un professore, e saltella intorno alle sue frasi con la sveltezza di un Atta Troll alla catena. Si vanta giovane, ed è malato della più antipatica malattia dei vecchi e dei professori: la vanità loquace e presuntuosa.

Benedetto il positivismo, che i suoi neofiti mandava in giro pei manicomi a misurar crani di delinquenti, e non faceva di ogni “ragazzo d’ingegno“ un predicatore del rinnovamento morale del mondo; e benedetta la serietà, quella vera, di chi in silenzio pensa al suo cammino, e attende al proprio lavoro, nella scuola, nell’officina, nella organizzazione, e non va esibendosi con l’imprudenza di un nuovo arricchito. Ma di cosa è ricco costui? Si è appiccicato esteriormente a qualche movimento di idee e di uomini seri ed è tutto gonfio di quello che ha succhiato di qua e di là: io non so e non posso qualificarlo altrimenti che come un parassita della cultura.

INDOVINA L’ INDOVINELLO

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LA PATRIA DEL SAGGIO
 Chiuso in se stesso, e non mai solo, il Saggio
tacita gioia enesplicabil gode
nel riandare il suo terren viaggio,
pur che affatto ei non sia scevro di lode.
Guida e conforto gli balena un raggio,
per cui di Morte i Messi intrepid’ode;
qual de’ avvenir di liberato ostaggio,
che al dolce suol natìo con plauso approde.
Qual ch’egli accolga apinione in mente
su la caligin degli eterni giorni,
lieto, al tornar dond’ei movea consente.
Che, dopo gli anni di bell’opre adorni,
presumer de’, che figlio del Presente
l’Avvenir vie più fausto a lui raggiorni.
-Vittorio Alfieri-

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